San Martino in Pensilis
di Roberto Maurizio
Paese mio che stai sulla collina
San Martino in Pensilis è il paese che, per antonomasia, “sta sulla collina, disteso come un vecchio addormentato”. L’autore dei versi di “Che sarà” è Franco Migliacci, nato a Mantova, il 28 ottobre 1930, e, di colline “con la noia e l’abbandono” non credo che ne abbia viste molte, né, tanto meno risulta che abbia mai visitato San Martino. Eppure, nei suoi versi disegna, pedissequamente, questa splendida collina molisana e lo stato d’animo della sua gente costretta ad emigrare: “paesi mio, ti lascio e vado via”. Se i comuni italiani potessero avere un loro inno, credo che questa canzone di Migliacci, scritta sulla musica di Jimmy Fontana, potrebbe essere sicuramente l’Inno di San Martino. Migliacci è anche l’autore di “Volare”, “Nel blu dipinto di blu”, “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”, “In ginocchio da te”, “Andavo a cento all’ora”, “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, e anche di Heidi e Mazinga.
La piazza assolata, il Monumento ai caduti e il Palazzo Ducale
Dove il vento ti accarezza i capelli
San Martino in Pensilis si affaccia, con distaccata nonchalance, di fronte alle Isole Tremiti immerse nelle calde, salmastre e basse, ma soprattutto serene, acque di un Mare, Fratello e Nemico, situato nel Golfo di Venezia, l’Adriatico: l’insenatura più vulnerabile del Grande Padre Mediterraneo. Riceve, in inverno, il flusso benefico del gelido vento della Maiella (“majellese”) insieme alla limpida immagine della dea Maja, con tutti gli odori delle preziose erbe di montagna; in primavera il tiepido alito dei fiori nascenti dai rigogliosi campi e dagli orti malmessi della piana del Cigno, che si nutrono di miele di api, di voluptas (voluttà), castitas (castità) e pulchtritudo (bellezza); in estate, il torrido favonius (faogne) insieme allo scirocco e al garbino, che ti seccano la gola di giorno e di notte e ti fanno attendere con ansia la brezza di terra proveniente da Larino, Rotello, Montorio e Ururi, che ti lambisce i capelli senza abbassarli, li accarezza portando quel minimo ristoro che ti fa respirare quanto basta, per un attimo. E poi, in autunno, arriva l’odore della morte che si insinua di casa in casa e non lascia nessuna speranza, nessuna certezza di poter vedere di nuovo, domani, il sorgere del Sole. San Martino è il paese dove “chiove, tire u vent e suon a mort”. Ma è anche il paese della gioventù, della speranza. Non a caso, nella corsa dei carri i “partiti”, le “contrade”, le “fazioni”, prendono i nomi di: Giovani, Giovanotti e Giovanissimi.
Il carro dei Giovani (prove febbraio 2008)
Il carro dei Giovanotti (prove febbraio 2008)
Il carro dei Giovanissimi (foto di nikisan, pubblicato su Discovermolise)
Fans dei Giovanissimi (tra cui Nikisan) da Don Filippo
L’acqua di “Mazzangolle”
A San Martino, ogni luogo indica, esattamente, la presenza nelle vicinanze di un monumento, di una costruzione, di una posizione geografica precisa. Se si escludono il Palazzo ducale, il Palazzo di Pollice, le Chiese, il Municipio, il Monumento ai caduti, la Statua di Padre Pio, i due Campi sportivi e il Cimitero, tutti gli altri posti nascondano un significato alternativo . Ad esempio, "a Marine", è il luogo meno riparato del paese che designa la strada che porta verso il mare; "u Murajione", è un luogo appartato dove iniziano le prime esperienze dei giovani, "Mezzaterra", è il paese vecchio, "a Cittadelle", indica la direzione per raggiungere la Puglia, "i Stradelle", le vie disposte parallelamente che si trovano vicino al “Centro”, a "Società Operaie" è il luogo in cui gli anziani e i vecchi del paese di riuniscono per discutere e passare la maggior parte del loro tempo. Al di fuori del centro abitato, si indicano altri luoghi che nascondono un concetto che va al di là del contenuto della località. "U Calvarie" e "a Croce", oltre ad essere, rispettivamente, il primo un tempietto situato verso Ururi e, il secondo una colonna su cui è cementata una croce di ferro di notevoli proporzioni situata verso Portocannone, rappresentano anche unità di misura, essendo equidistanti dal Centro; così la stessa sorte capita anche alla "Funtanelle" e a "u Cummente", la prima una fonte d'acqua perenne che si trova verso Portocannone e il secondo una costruzione storica recentemente ristrutturata di grande valore artistico, verso Ururi. Altri luoghi, lontani dal centro del paese, costituiscono posizioni topografiche da cui trarre un insegnamento da non sottovalutare. "A Pinciere" era il luogo in cui venivano costruiti i vasi di argilla e altri utensili, ma rappresentava anche la fine che poteva subire un ragazzo che non voleva studiare ("nnanze a te, ce sta sole a Pinciera"); "Reale" era il ritorno ad un passato senza memoria (va a Riale, significava perdere i contatti con la famiglia); "Mazzangolle", la fonte perenne subito dopo "i Stradelle", era il luogo di perdizione dove si beveva il nettare della gioventù, dove si assaporava il gusto irripetibile della libidine, dove una volta che si era provato il suo immenso piacere, non si poteva fare a meno di ripeterlo. Era il luogo in cui si dichiarava eterna fedeltà al godimento, seppur fugace, provato vicino a quel flusso d'acqua sul quale si giurava il ritorno sistematico tra quelle foglie spoglie del frumento già mietuto, dove il tuo corpo era giaciuto. Da qui il detto sammarinese, ancora valido: "chi beve l’acqua di Mazzangolle, non può fare a meno di riberla". Cioè, tornerà sicuramente a San Martino.
"A Funtanelle"
"A Pinciere"
Perché San Martino?
Sicuramente, la prima parte del nome, San Martino, deriva da Martino di Tours, nato in Pannonia, l’attuale Ungheria, nel 316 o 317, probabilmente a Sabaria o, come sostengono in molti, a Pannonhalma, e morto l’8 novembre 397 a Candes (Francia) e tumulato a Tours (Francia) l’11 novembre. Secondo quanto viene riportato da Gianbattista Masciotta, nel suo libro, “Il Molise dalle origine ai nostri giorni”, Volume quarto, “Il circondario di Larino”, San Martino in Pensilis prende il nome da una chiesa, che formò il primo nucleo dell'abitato intorno al 1200. Martino di Tours (in latino Martinus) è venerato come Santo dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e da quella copta. Suo padre, che era un importante ufficiale dell’esercito dell’Impero Romano, gli diede il nome di Martino, in onore di Marte, dio della guerra. Martino nasce da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. E’ in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
La leggenda del mantello
Quando Martino era ancora un soldato, ebbe la visione che diverrà l'episodio più narrato della sua vita. Si trovava alle porte della città di Amiens con i suoi soldati quando incontrò un mendicante seminudo. D'impulso tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. Quella notte sognò che Gesù si recava da lui e gli restituiva la metà di mantello che aveva condiviso. Udì Gesù dire ai suoi angeli: "Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito." Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia, ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il termine latino per "mantello corto", cappella, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all'oratorio reale, che non era una chiesa, chiamato cappella. Biografi illustri di Martino sono il suo "primo" discepolo Sulpicio Severo ed anche Venanzio Fortunato con il poema "Vita di san Martino". (Fonte: Wikipedia).
Conversione al cristianesimo
Il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che si fece battezzare il giorno seguente e divenne cristiano. Nel 356, decise di lasciare l'esercito per diventare monaco. Raggiunge a Poitiers, che si trova tra il Massiccio Armoricano e il Massiccio Centrale, oggi Prefettura del Dipartimento della Vienne e Capoluogo della Regione Poitou-Charentes, il dotto e combattivo vescovo Ilario, che aveva conosciuto alcuni anni prima. Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe. Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Martino si rifiutò di vivere nella città e preferì il monastero come residenza, noto in latino come Maius monasterium (monastero grande), divenne in seguito noto come Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora "il Dio che si adora nelle città". Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni. Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva. L'opera di Martino di Tours consentì di vincere l'eresia, creando le premesse per il Concilio di Nicea.Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin. Martino lottò contro l'eresia ariana.
Culto popolare
San Martino di Tours viene ricordato l'11 novembre, sebbene questa non sia la data della sua morte. Nei primi secoli del cristianesimo, il culto reso ai santi spesso si collegava alla data della depositio nella tomba. Questa data è diventata una festa straordinaria in tutto l'Occidente, a causa di un numero notevole di cristiani che portavano il nome di Martino. Nel Concilio di Macon, era stato deciso che sarebbe stata una festa non lavorativa. Molte chiese in Europa sono dedicate a san Martino. L'11 novembre i bambini delle Fiandre e delle aree cattoliche della Germania e dell'Austria, partecipano a una processione di lanterne. Spesso, un uomo vestito come Martino cavalca in testa alla processione. I bambini cantano canzoni sul santo e sulle loro lanterne. Il cibo tradizionale di questo giorno è l'oca. Secondo la leggenda, Martino era riluttante a diventare vescovo, motivo per cui si nascose in una stalla piena di oche. Il rumore fatto da queste rivelò il suo nascondiglio alla gente che lo stava cercando. In anni recenti la processione delle lanterne si è diffusa anche nelle aree protestanti della Germania, nonostante il fatto che la Chiesa protestante non riconosca il culto dei Santi. In Italia il culto di san Martino è legato alla cosiddetta estate di San Martino, all'inizio di novembre. Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe.
Perché in Pensilis?
L'aggiunta "in Pensilis" denota la sua postura che pende dalla cima di una collina non molto elevata dal livello del mare 281 metri. L’accesso al paese, comunque, resta ripido, soprattutto se lo si raggiunge provenendo dal mare o dal fondo valle del Cigno e del Biferno. “In Pensilis”, che è stato aggiunto dopo San Martino, denotava una posizione topografica anche modestamente elevata. In Pensilis, del resto, era anche il suffisso che venne dato alla chiesa di San Salvatore, ora si chiama San Stalinslao dei Polacchi, e si trova a Roma, in via delle Botteghe oscure. S. Martino, in ogni caso, aveva bisogno d'un epònimo qualsiasi, per differenziarsi dagli altri diciannove Comuni omonimi che erano presenti nel Regno d’Italia, ciascuno dei quali ha dovuto ricorrere ad analogo espediente. Il 23 maggio 1863 il Consiglio Comunale deliberò di far seguire a San Martino, il “suffisso” in Pensilis , venne riconosciuta dal Governo con R. D. 26 luglio stesso anno, in forza del quale il Comune venne autorizzato a far seguire al proprio nome l'aggiunto "in Pensilis".
Da in Pensilis a di Castrozza,
passando per Pascoli e Carducci
San Martino di CastrozzaVediamo di conoscere meglio i 19 paesi italiani che attualmente portano il nome di San Martino. Prima, è doveroso citare una località turistica che non è un paese, ma che è il “San Martino” più noto in Italia e nel mondo. E’ San Martino di Castrozza. Il “dislivello” fra i due “paesi” in Pensilis e di Castrozza, non risiede solo nell’altitudine, 1450 metri il “dolomitico” e appena 281 metri il “molisano”, ma nella “ricchezza” prodotta dalla famosa località turistica trentina, situata nell’alta valle del Primiero, che non “ha dignità di comune italiano”, in quanto fa parte dei comuni di Siror e Tonadico. Tra il primo, in Pensilis, e il secondo, di Castrozza, scorrono altri ben 18 paesi che si fregiano del nome di questo grande Santo, con il mantello dimezzato, con la capacità di proteggere per alcuni giorni l’Europa dal freddo (l’estate di San Martino) e, purtroppo, anche per molti anni e per secoli uomini con le corna.
Novembre
Myricae
Giovanni Pascoli
« Gemmea l'aria, il sole così chiaro / che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, / e del prunalbo l'odorino /amaro senti nel cuore.../ Ma secco è il pruno e le stecchite piante/di nere trame segnano il sereno, / e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante / sembra il terreno. / Silenzio, intorno; solo, alle ventate / odi lontano, da giardini ed orti, / di foglie un cadere fragile. È l'estate, /fredda, dei morti. »
San Martino
Giosuè Carducci
« La nebbia a gl'irti colli / Piovigginando sale, / E sotto il maestrale / Urla e biancheggia il mar; / Ma per le vie del borgo / Dal ribollir de' tini / Va l'aspro odor de i vini / L'anime a rallegrar. / Gira su' ceppi accesi / Lo spiedo scoppiettando: / Sta il cacciator fischiando / Su l'uscio a rimirar / Tra le rossastre nubi / Stormi d'uccelli neri, / Com'esuli pensieri, /Nel vespero migrar.»
Ecco i nomi dei vari paesi italiani dedicati a “San Martino”:
1. al Tagliamento (Pn)
2. Alfieri (At)
3. Buon Albergo (Vr)
4. Canavese (To)
5. d’Agri (Pt)
6. dall’Argine (Mn)
7. del Lago (Cr)
8. di Finita (Cs)
9. di Lupari (Pd)
10. di Venezze (Ro)
11. in Badia (Bz)
12. in Passiria (Bz)
13. in Pensilis (Cb)
14. in Rio (Re)
15. in Strada (Lo)
16. Sannita (Bn)
17. Siccomario (Pv)
18. Sulla Marruccina (Ch)
19. Valle Caudina (Av)
Inoltre, con il nome del Santo finale, esistono i seguenti paesi:
20. Adrara San Martino (Bg)
21. Borgo San Martino (Al)
22. Camp San Martino (Pd)
23. Cazzago San Martino (Bs)
24. Fara San Martino (Ch)
25. Monte San Martino (Mc)
26. Vigano San Martino (Bg)
La storia di San Martino in Pensilis
Intorno all’anno mille, dopo la distruzione di Cliternia, nome punico, KLY = finita, distrutta + THR = del tutto, completamente, ma anche TER se deriva da TRY/GLY = andare in esilio; quindi Cliternia potrebbe significare "Città distrutta ed i suoi abitanti mandati in esilio", gli scampati, secondo la tradizione, andarono a costruire altri casali sulla fascia costiera tra il torrente Saccione ed il fiume Biferno, particolarmente fertile, e un Borgo che acquisisce, in seguito, l'identità di San Martino. Una leggenda popolare, mai confermata con documenti certi, racconta che dopo la distruzione di Cliternia, alcuni abitanti di questa città distrutta presero posizione presso “località Reale”, prendendo il nome di San Martino. A seguito delle incursioni frequenti che provenivano da Campomarino, gli abitanti si spostarono sulla prospiciente collina che si trovava a Nord, difesa a Sud da un Vallone e a Nord da una salita ripida (80%). Da allora due elementi sono rimasti immutati nello scorrere del tempo: il colle dal nome " Pensilis" e il nome derivato da San Martino, vescovo di Tours. Il dominio sul territorio di San Martino è legato alla più generale storia del susseguirsi delle conquiste nel Mezzogiorno d'Italia. Durante la dominazione longobarda San Martino fece parte del ducato di Benevento: è dubbio, peraltro, se fosse ascritta alla contea di Termoli od a quella di Larino, delle quali non sono note le circoscrizioni rispettive. Al tempo dei normanni appartenne alla Contea di Loritello (Rotello); e si sa, per di più, che Roberto Conte Palatino essendosi nel 1095 recato per le penitenze quaresimali a Montecassino, fece donazione alla Badia di quanto egli possedeva a S. Martino; onde l'università diventò feudo ecclesiastico. Quando morì Roberto di Bassavilla e la Contea di Loritello cessò di esistere, S. Martino doveva essere posseduta dalla Badia Cassinese; invece il Magliano, sull'autorità del Winkelmann, opina che fosse giacente nel demanio . Nel Catalogo del Borrello è menzionato quale feudatario dell'università un Amerius de S. Martino, che tiene S. Martino feudo di due militi: il che vuoi dire appunto che il feudo era stato retrocesso dalla Badia al Demanio, e da questo collocato. Il periodo svevo trascorre privo di notizie di S. Martino e così gran parte di quello angioino; e il Tria, per colmare il vuoto, mette innanzi i Conti di Montagano che ne sarebbero stati titolari. Tutto ciò è erroneo, ed infondato. Chi fosse signore di S. Martino anteriormente all'avvento di Carlo di Durazzo al trono di Napoli (1381-1386) ignoriamo. È noto però che nel 1381 il novello Re assegnò S. Martino alla propria consorte la regina Margherita: la quale si disfece poi del feudo al tempo della lotta con Ludovico d'Angiò, che contendeva la corona di Napoli al figlio di lei Ladislao. Ella, per far danaro, alienò S. Martino in favore di Ugolino degli Orsini, della potente famiglia laziale già ramificata nel Reame. L'Orsini tenne poco tempo il possesso del feudo; ed invero verso il 1400 il feudo stesso, o perchè venduto o perchè giacente al demanio, fu dato in camera alla principessa Giovanna di Durazzo (poi Regina Giovanna II): e da quel tempo ebbe le medesime vicende feudali di Guglionesi fino al 1495. Nel 1495 Andrea di Capua, duca di Termoli, ottenne S. Martino in feudo; e da tale anno, insino al 1806, l'università di S. Martino ebbe comuni con Termoli le successioni feudali e titolari, onde il lettore per averne notizie deve ricorrere alla mon. di Termoli. Un solo e lieve divario riscontrasi nelle vicende dei due Comuni, ma affatto transitorio, ed è questo: che il duca Ferrante di Capua nel 1566 vendè S. Martino per 20.000 ducati ad un Citarelli banchiere napoletano col patto del retrovendendo, del quale si avvalse poco dopo: tanto che alla di lui morte S. Martino cadde in eredità alla figlia Giulia poi sposa in casa del Balzo. Con la fine della Rivoluzione francese il Paese seguì le sorti del Regno di Napoli, facendo parte della Terra del Lavoro, fino all'unità d'Italia. Dopo l’unità il Molise e San Martino entrarono a far parte degli Abruzzi. Nel 1963 il Molise tornò ad essere regione autonoma.
Il Palazzo baronale. Il Castello
A San Martino in Pensilis ci sono vari Palazzi e Chiese incastonati nel centro storico che hanno origini chiaramente medioevali. Ci sono piccole case che si affacciano su stradine molto strette e palazzi di famiglie nobili con piazze scorci incantevoli. Svetta il Castello baronale, appartenuto anche a Ferdinando di Capua, duca di Termoli, che vi aveva fissato la sua dimora abituale. Esso risale al periodo normanno (sec.XII) e ciò è sottolineato sopratutto dalla presenza di archi gotici in alcune sale del palazzo. Si accede con un'alta e "construtta sciula di breccioni", la rampa. Dopo di essa una volta vi era un ponte levatoio che copriva il fosso di sicurezza, oggi non più presente. Sul lato che da verso la "marina" vi è una bella terrazza con finestroni ad arco molto caratteristici. Il Palazzo baronale, chiamato volgarmente il Castello, è di antica costruzione, ma, secondo alcuni, forse non anteriore al secolo XV. Ha un aspetto maestoso e dal superbo loggiato a settentrione permette la visione del prossimo mare, mentre dall'altro ad oriente l'occhio spazia nella vallata sottostante. L'edificio occupa la superficie di 1600 metri quadri, e sorge nella zona più elevata dell'abitato, a capo della parte antica del medesimo. Da un manoscritto del 1590 -- che fino a pochi anni fa era stato conservato fra i libri del locale “Convento di Gesù e Maria” -- si apprende che "Trovasi in dicta terra di S. Martino un antico palazzo in forma di castello ch'è di proprietà et pertinenzia del nostro Ill.mo Signore D. Ferdinando de Capua quarto duca di Termoli. Dicto palazzo è in forma di commoda et insespugnabile fortezza, et è posto nel luogo più sublime di dicta terra. Ha a guardia del lato che è più esposto all'assalto delli nemici, un forte castello quadrato, con contromurali a scarpa, attaccato alle mura di dicta Terra. Si entra nel palazzo con alta e ben costructa sciulia di breccioni (vale a dire rampa), dopo la quale viene il ponte levatoio che cuopre il fosso di sicurezza, che gira tutto intorno al fabbricato. Passato il ponte si trova il primo portone del cortile con sua ritirata e difesa per merli e merloni di pietra massiccia et altre opere ben munite per improvvisi assalti. Dalla corte si passa ad un secondo portone che mette nelle stanzie tutte commode e ben constructe et assai numerose". I restauri e le variazioni, cui l'edificio andò soggetto nel tempo, hanno cancellato le tracce dell’omogeneità dello stile e della sua vetustà, per cui non esiste più niente di ciò che l'anonimo cronista accenna. Lo stabile si appartiene, attualmente, in parte ai Signor Tozzi che l'acquistarono nel 1858, in parte al Conte Cattaneo erede della famiglia feudale del luogo.
Curiosità
L'ufficio postale venne aperto il 12 aprile 1871; 'ufficio del telegrafo il 14 giugno 1875. Le istituzioni economiche e di beneficienza sono: Monte Frumentario. Non esiste più come tale, il suo capitale essendo stato liquidato ed investito sul Debito Pubblico per la rendita di L.176. Banca Agraria. Istituita nel 1914, conta oltre 200 soci. Agenzia del Consorzio Agrario Cooperativo Molisano. Istituita sempre nel 1914. Illuminazione pubblica a petrolio, dal 29 aprile 1883.
Le chiese
S. Martino è pertinenza della diocesi di Larino, fin dalle proprie origini. Comprendeva in tempi lontani tre parrocchie intitolate a San Martino, S. Maria in Pensili, e S. Pietro apostolo. Nel Sinodo diocesano del 1642 il vescovo mons. Caracci soppresse le prime due, e ne concentrò i beni in quelli della terza, la quale da allora è l'unica. Il protettore del Comune è S. Leone dei benedettini, che per tradizione vuolsi concittadino, e la cui festa è celebrata il 2 maggio con la caratteristica corsa dei buoi, il 30 aprile. Le chiese sono: S. Pietro apostolo. Distrutta la vetustissima chiesa preesistente di tal titolo, la presente fu costruita in sito più adatto, restaurata radicalmente nel secolo XVIII, e decorata con gusto nell'occasione della traslazione del corpo di S. Leo, che dal 1728 vi riposa in una cassa d'ebano con pareti di cristallo sotto la mensa dell'altare maggiore. L'edificio è ad una sola nave; ed il suo interno misura m. 38 di lunghezza, m. 12 di larghezza, e m. 16 d'altezza. Nella facciata prospiciente sulla piazza è murata una lastra di marmo che porta scolpito un epitaffio dell'epoca romana: lastra di cui avevano fatto gradino per la porta piccola dell'edificio stesso, e che deve l'attuale situazione ad ordini di mons. Tria. Nella notte dal 19 al 20 marzo 1893 un fulmine determinò l'incendio della fabbrica; onde molti arredi ed oggetti preziosi andarono in cenere, e perduta andò pure una bella tela di Niccolò Melanconico raffigurante "La Vergine adorata dai protettori locali". Nel 1728 la parrocchiale fu eretta dal Tria in Collegiata insigne, con dodici canonici aventi le insegne della cappa o zamparda, e della mozzetta. Recentemente, per lo zelo dell'attuale arciprete, la chiesa è stata ampliata di alcuni ambienti per uso di sagrestia e di archivio parrocchiale. S. Martino. È detta pure di S. Giuseppe, o del Purgatorio, e probabilmente è la più antica delle chiese locali, poiché una rozza lapide a caratteri gotici, murata nel campanile, ricorda che nel 1410 "Hoc opus fieri fecit D. Petrus Robertus Archipresbyter". Nel 1675 dov’è essere restaurata dalle fondamenta; sennonché i lavori non pregredirono ed anzi furono interrotti e ripresi poi nel 1728, allorchè potè fruire dei materiali di risulta della demolizione delle antiche chiese di S. Maria in Pensili e S. Giuseppe, le quali erano state abbattute perché cadenti. Nel 1734 la chiesa venne riaperta al pubblico nella sua nuova partitura in tre navate. Nel 1909 ne furono rinnovati il pavimento e le decorazioni alle pareti. È sede della Confraternita del Monte dei Morti, la cui fondazione risale ai primordi del secolo XVIII. S. Maria in Pensili. - Edificata negli esordi del secolo XVIII in prossimità e sostituzione dell'antica cappella omonima, nella quale fu custodito il corpo di S. Leo in un'urna di marmo dal 1300 al 1728. È ad una sola nave, e sede della Confraternita del SS. Sacramento. Madonna delle Grazie. Sorge poco oltre mezzo chilometro dall'abitato, e fu fondata dalla devozione dei cittadini. Il quadro che raffigura la titolare attira annualmente numerosi pellegrinaggi dai paesi circostanti.Di recente, è stato inaugurato un monumento a San Pio da Petralcina. L’affetto e la devozione dei sammartinesi per Padre Pio risale fin dai suoi primi anni di predicazione. La Maestra Troilo, zia Maestra, fu tra le prime che ebbe una possente fede per il padre di Petralcina, a tal punto di chiamare il suo primogenito Pio. Ma, Padre Pio, come del resto altri Santi, vedi San Gennaro a Napoli, hanno un rapporto conflittuale con i credenti che vogliono i miracoli a tutti i costi anche quando sono inutili. L’odio è il rovescio della medaglia dell’affetto. Padre Pio sa chi nasconde in se i peccati più gravi, il più doloroso di tutti è la superbia.
Il Convento
Il Convento com'era prima della ristrutturazione
Il Convento oggi
Ad un chilometro a valle dell'abitato, lungo la strada provinciale che conduce ad Ururi, vi è il Convento dei Frati minori e i resti della Chiesa di “Gesù e Maria”, oggi in restauro quasi terminato. Questa Chiesa contiene qualche altare di pregio ed ha un bel soffitto in oro zecchino. A fianco ad essa vi è il Convento fondato nel 1490 per uso dei frati minori osservanti. E' spazioso e sta per essere recuperato alla cittadinanza, con un uso ancora da destinarsi. Il Convento di Gesù e Maria fu edificato nel 1490 per volontà del signor Martino de Rita, cittadino sammartinese che ne finanziò la costruzione in onore di suo fratello Pietro. La Provincia Monastica di Sant’ Angelo di Puglia era allora sotto la dominazione di Federico III° d’Occidente ed il Pontificato di Innocenzo VIII°. Martino de Rita morì prematuramente ed il Convento fu completato solo dieci anni dopo da Vincenzo e Ferdinando De Capua, duchi di Termoli, con il consenso del Vescovo di Larino, Iacopo Petrucci. Danneggiato irrimediabilmente da una tempesta, nel 1640, fu completamente ricostruito grazie ai proventi che provennero dalle elemosine dei fedeli. Benché non sia particolarmente ricca la bibliografia in cui è citato, ne descrivono la struttura alcuni dei testi fondamentali della storia molisana. Oltre al Tria, ne parla Frate Ludovico Vincitorio nel “Sacro ritiro dei Frati Minori” e Padre Doroteo Forte nel suo “Movimento Francescano”: “ Ha il Convento un solo chiostro tutto istoriato dalla vita di San Francesco con pitture e affreschi, fatte nel 1850 da Pietro Pomella di San Marco in Lamis; trenta stanze adibite a seminario di novizi, parte per uso di comunità di panni e di libri, il resto con le officine a piano terra, per la comodità della famiglia religiosa.....Circondato di molti ettari di terreno, in parte adibiti ad orto e tredici versure coltivati L’orto, murato e adiacente al Convento, conteneva alberi da frutto e un rigoglioso vigneto. ...” Con l’Unità d’Italia, nel 1866, la confisca dei beni ecclesiastici attribuì la proprietà della struttura al Comune e nel 1902 il Vicario Generale, padre Fleiming ne decise la chiusura per carenza di personale. Tre anni dopo, il Ministro Provinciale, padre Filippo Petracca ne consentì la riapertura. Nel decennio successivo, un progressivo deterioramento della struttura indusse il Vicario Provinciale padre Agostino Cimino a chiuderlo definitivamente. Era il 1913 e da quel momento il Convento fu abbandonato a se stesso, benché rappresentasse una presenza forte nella comunità sammarinese e continuasse a suscitare l’interesse di studiosi e storici dell’arte. Oggi, ristrutturata la Chiesa e il chiostro, torna alla vita, testimone possente e austero della storia di questo squarcio di Italia contadina a metà tra il mare e la terra, tra futuro e antico.
La Croce, la Madonnina, la Fontanella e “Fratellò
n!”
A Croce
"A Madonnine"
"A Fontanelle"
"A curva di Fratellon!" Una volta, negli anni ’50, ’60 e ‘70, per recarsi a Termoli occorreva percorrere la strada provinciale che lambiva, prima la Croce, poi la Madonnina e poi la Fontanella. Una strada percorsa dagli asini, dai buoi, dai contadini, che, ovviamente, sceglievano l’itinerario meno faticoso. D’un botto, per omaggio alla modernizzazione a tutti i costi, venne tracciato un altro cammino, molto più ripido, ma la distanza San Martino – Termoli era stata accorciata di ben 467 metri. Veniva perciò cancellata la strada con tanta cura scelta dagli asini. Nel contempo, anche la Madonnina “sfioriva” e la Fontanella dichiarata “oggetto superfluo, da cancellare, da dare in pasto al degrado e alla non curanza”. Per quanto possa ricordare, cercherò di raccontare cosa avveniva quando i “motorizzati” (Vespa 125, Topolino, Fiat 500, Fiat 600) di allora percorrevano questo tragitto. Il guidatore della vespa, con il proprio bambino situato tra il sedile e il manubrio, con dietro gli altri due rampolli, avvinghiati fra loro e il conducente, passando davanti la Croce, si levava il capello con una mano e con l’altra cercava di frenare la frenetica corsa raggiunta dopo la discesa, 40 km all’ora; prima di raggiungere a cospetto della madonnina, rallentava, dava il suo capello al bimbo intrappolato tra il sedile e il manubrio, e proprio davanti alla statua si faceva il segno della croce, come tutti i passeggeri della Vespa 125. Arrivati davanti alla Fontanella, soprattutto durante le giornate più calde, si scendeva e si “abbeverava” l’equipaggio. La stessa metodologia, un po’ più aggraziata, veniva realizzata dai “motorizzati” più “granarosi”. Non appena davanti la Croce, il conduttore e capo famiglia, rallentava e si segnava, così come tutti i passeggeri. A pochi metri di distanza, il rito si ripeteva e, insieme al segno di Croce veniva intonata l’Ave Maria. Meno accaldati, erano pochi gli equipaggi delle autovetture che si fermavano alla Fontanella, ma intonavano lo stesso la canzone, ma che bella fontanella e l’acqua e bella…Croce, Madonnina, Fontanella, e Fratellon! Subito dopo la Fontanella, immersa in un lussureggiante susseguirsi di canne di bambù, la strada si incartava in una serie di curve, la più pericolosa delle quali era quella quasi ad U, che non permetteva di intravedere il veicolo che procedeva in senso opposto. Uno dei tanti giorni di mare, la truppa su due ruote della 125, stava cercando di raggiungere la spiaggia, dopo aver meticolosamente “onorato” la Croce, la Madonnina e la Fontanella, quando dalla curva U, “sfrecciò” a grande velocità, invadendo temporaneamente la corsia opposta, una Vespa 150 con a bordo un adulto e due bambini. L’impatto venne evitato per poco, quando dal conducente dell’altro scooter si levò un grido: “Fratellon”! Il pilota dell’altro “bolide” era un “collega” del conducente della 125. Da allora, quella curva, ormai oggi affrontata solo da vecchi asini, ha preso il nome di “Fratellon!”.
Cucina sammartinese
San Martino in Pensilis risente soprattutto della sua vicinanza con la Puglia, ma ha legami intensi e affettivi smisurati con i cugini dell’Abruzzo, ed è influenzato dalle altre regioni meridionali con le quali ha condiviso centinaia di anni della sua storia, Campania, Basilicata e Calabria. Con la Sicilia i rapporti sono un po’ più freddi, forse a causa dello Stretto! Esiste, comunque, un reciproco rispetto siculo-molisano-sammartinese. Mio nonno fu uno tra i primi a intervenire in soccorso delle popolazioni, come soldato dopo il tremendo terremoto di Messina del 1908. “Culturalmente”, però, i contatti più serrati i sammartinesi li hanno sviluppati con la Puglia, l’Abruzzo, la Basilicata e la Calabria. Da dove si evincono queste relazioni privilegiate? Dalla cucina.Il Lazio e la Campania devono essere escluse per problemi latteari. In queste Regioni si usa la Bufala che a San Martino e in quasi tutto il Molise non esiste come priorità di lavorazione del latte. Alla Puglia, all’Abruzzo, alla Calabria e alla Basilicata ci uniscono i seguenti alimenti: la Pigna (una specie di Panettone di Pasqua), i Cavicioni (dolci con fragranze mediterranee), i Caragnoli (dolci a base di miele, simili a quelli arabi), i Scartellate (meno dolci dei Caragnoli), i Mostaccioli (con il cioccolato), i Tarallini (con tanto zucchero sulla pasta frolla). A parte le Lumache (ciammaich), gli asparagi (i sparen), i Tacquinell (pasta romboidale con acqua e farina), i Piccillat (biscotti con il finocchio) e le patate sotto la cenere del braciere, che si trovano anche nelle altre Regioni, i veri prodotti tipicamente sammartinesi sono: i spaghett ca mijca (piatto tipico di San Giuseppe), i Torcinelli, e la Pampanella.
Torcinelli
I torcinelli non sono una vera invenzione e specialità esclusiva di San Martino. E’ la loro preparazione e il loro trattamento che li differenziano dagli altri produttori, soprattutto pugliesi. Fino a poco tempo fa, quando la qualità della vita dal punto di vista di partecipazione emotiva era superiore e il rispetto delle norme igieniche inferiori, passare per le stradelle di San Martino e sentire l’odore dei torcinelli che stavano bruciando sui carboni ardenti, nascosti da un fumo che spiccava il volo sempre più in alto quanto più grasso e aceto colava sulla fiamma, era come assaporare il dolce profumo del Mediterraneo. In un sol momento, ti apparivano dinanzi gli achei, i romani, i turchi, gli ebrei, i croati, i georgiani.Ma cosa sono i torcinelli? Sono budella del piccolo intestino d'agnello, alla quale vanno aggiunte animelle, trippa, mesentere di agnello, aglio, prezzemolo, peperoncino piccante, pepe, origano e sale. Le budella e la trippa vengono lavate con acqua, sale e farina di mais e poi lessate. La trippa, insieme a qualche budellina, viene tagliata a pezzetti e condita con sale, peperoncino, rosmarino, aglio e origano ed avvolta nel mesentere . Intorno al mesentere, così riempito, vengono avvolte (attorcinate) le budella. La cottura normalmente viene fatta alla brace o al forno, ma è possibile cucinarli anche in altri modi.
La Pampanella
Il vero e proprio prodotto Doc sammartinese è la Pampanella, carne di suino semigrassa completa di cotenna insaporita con aromi naturali ed abbondate peperoncino finemente macinato e cotta al forno. La materia prima è la carne di maiale del peso di 60 - 70 Kg. La carne viene tagliata a pezzi sul ceppo e portata sul pianale di acciaio dove viene condita con sale, aglio e peperoncino. Così preparata, viene messa in un contenitore di acciaio dove rimane per 6 - 7 ore in ambiente fresco. Viene cotta nel forno a legna a temperatura di 300° C, per due ore circa. Il nome Pampanella deriva dal fatto che anticamente, sia durante che dopo la cottura, essa veniva avvolta in foglie di vite (pampini). La vera ricetta della Pampanella si trova su “Il Gambero Rosso”, al quale l’è stata fornita da Giovanni La Vecchia, ma è difficile trovarla. Ci ripromettiamo di pubblicarla il più presto possibile.A San Martino i produttori di Pampanella sono numerosi. Quelli più accreditati sono La Vecchia e Muccillo. Senza esagerare, la produzione verace della Pampanella e come quella dello Champagne e della Coca Cola. Esistono segreti che si tramandano da padri in figli. De gustibus non disputandum est, diceva Giulio Cesare. Ma, vi assicuro che chiunque sia il produttore, basta però che sia sammartinese, sapete quello che mangiate e proverete un gusto inimitabile!
Giovanni La Vecchia
La Famiglia Muccillo
Le specialità sammartinesi si possono assaporare presso il ristorante "Don Filippo" . Pampanella e Torcinelli: tra gli Ulivi e le Palme
Le foto sono di Roberto Maurizio