31 maggio 2010

Parte nopeo e parte napoletano

Parte nopeo e parte napoletano
di Roberto Maurizio

Ecco perché è caduto il Regno delle Due Sicilie

Navigando, durante la chiusura della lettura degli auguri su Fb per il mio compleanno, non so per quale recondito motivo, mi sono imbattuto con un video che va sicuramente portato a discolpa di Giuseppe Garibaldi, accusato di aver invaso il Regno delle Due Sicilie. Ma un Regno, anzi due regni, anzi mezza Sicilia, oppure due Sicilie un po' parte e un po' nopei, come faceva ad avere un Inno così brutto scritto da Giovanni Paisiello, tra l'altro nemmeno napoletano, ma "solamente" suddito pugliese? Paisiello ha scritto cose egregie dal punto di vista musicale. Ma quest'Inno a Francischiello non gli è riuscito bene. Il nome riportato nel testo, cambiava ogni volta che veniva incoronato un nuovo sovrano. Questo riportato nel video è la prima versione dell'inno, dove "Ferdinando" fa riferimento al regno di Ferdinando I delle Due Sicilie. La seconda strofa fa intendere che l'inno deve essere stato composto prima della formazione del Regno delle Due Sicilie (1816), quando i due regni erano separati in Regno di Napoli e Regno di Sicilia.


Il fagotto e il serpentone




La partitura prevede l’esecuzione con due parti di canto: soprano e basso, mentre gli strumenti utilizzati sono: flauti, clarinetti in do, oboi, corni in fa, trombe in do, fagotto e serpentone.Le parole, lasciamole perdere. Copiate un po' dall'inno britannico, un po' perché più "dura" la vita del sovrano più "si allunga" il vitalizio del compositore, come tanti che vendono le loro "corde" al potere. "Dio salvi Re Fernando" è una delle composizioni più orrende che io abbia mai sentito. Credo che Fernando o Francesco non l'abbiano mai sentita questa musica, altrimenti avrebbero votato per la Lega Nord. La musica è veramente così brutta, a tal punto, che mi fa rivalutare l'Inno di Mameli. E' un po' come salvare Fede o la Setta. Anche se Fede, cioè l'Inno di Mameli è brutto quanto la fame, rispetto alla Setta, dio salvi Fernando il Re, diventa un inno alla gloria!



30 maggio 2010

30 maggio 2010

Pippo Baudo è una "smerda"
di Roberto Maurizio
Il basilico sotto le ascelle. Questa è l'immagine che la Rai mostra della nostra agricoltura. E poi se la prende con le smorfie del Tg1, una specie di portatrice d'acqua piovana, che commenta con la mimica facciale le notizie che vengono attaccate dalla stessa azienda. Ecco che cos'è la Mission Rai, prendere in giro le altre trasmissioni della stessa Rete. Cacà, Strunz, Smerda, alle ore 21 e 30 richiamano l'attenzione degli afecionados "progressisti di sinistra", quelli che ridono con Cacà, con gli Strunz e con gli Smerda. Bene, questa è satira! Contro chi? Contro il governo, no, solo contro le persone che hanno avuto la sventura o la ventura di avere ereditato un nome. Contro Pippo Baudo che tutte le mattine va a cacare e non fa come le lumache. Bene! Questa è satira, questa è la sinistra! Ma siamo sicuri che questi Strunz, Smerda e Cacà potranno meglio governarci e dare una motivazione alla nostra esistenza solo con il turpiloquio. Basta con le parolacce sulla Rete Pubblica. Gli Strunz, i Cacà e gli Smerda si facciano una loro rete privata senza utilizzare i soldi dei contribuenti. La volgarità non porta voti. Saranno sempre meno quegli imbecilli che credono che se una persona dice parolacce dica la verità. E si mettono in fila per vedere i programmi osceni. Sono solo il 3% degli italiani e non l'hanno ancora capito. Gli italiani lavorano e odiono il turpiloquio. Dire le parolacce è la cosa più semplice che esista al mondo. Quando impari una lingua, la prima cosa che apprendi sono le parole scurrili e volgari. Perché mai devono pagare milioni di euro un'imbecille alla qualle le mancano solo le bestemmie che sono scritte sulla sua faccia. Ma se questi emeriti figli di puttana, stronzi, farabutti, rotti in culo, meretrici da quattro soldi, bocchinare da far schifo, credono che basta dire parolacce faccia piacere all'elettore hanno sbagliato canale. Il canale è sempre lo stesso. Il terzo. Già uno che si chiama terzo è un problema. Vuol dire che non vale un cazzo! Insomma, la Littizzetto mi ha rovinato il mio compleanno: 30 maggio 2010.

29 maggio 2010

Licia Ferro. "Miti romani. Il racconto"

L’antimateria e gli àuguri
di Roberto Maurizio

Giano bifronte

A sinistra del Tevere

L'antimateria

L’obiettivo era sempre lo stesso. Raggiungere in orario, alle 20.45, la libreria Bibli di via dei Fienaroli, 28, il centro culturale nel cuore di Trastevere, dove il tempo si è fermato e dove si continua ad essere ancora decisamente “sessantottini”, volutamente “rivoluzionari” e testardamente “cheguevaristi”. Nel 2008, gli scienziati scoprirono l’esistenza dell’antimateria nella Via Lattea, quindi, qualcosa di diverso su cui riflettere. Invece, ancora oggi, a Trastevere ci si trastulla con la Dolce Vita e con le idee di un mondo migliore, sostenibile, giustizialista, equo, duraturo, pubblico, obamista, grinnieconomista. Insomma, bocciofilo. “Stampa, Scuola e Vita” seguì, venerdì 7 maggio scorso, la presentazione di un bellissimo filmato, “Profughi invisibili”, che restò tale per l’incapacità di raggiungere Trastevere in orario. Gli àuguri mi indicarono la strada. Parcheggio proprio di fronte al carcere femminile. La Sgrena e la Boldrini, con tutti i commenti negativi che si possono fare su di loro (Cavallo Pazzo, docet) furono veramente due personaggi all’altezza della loro “mission”. Soltanto che mi aveva fatto passare ore di “inferno” per trovare il parcheggio, ma, contemporaneamente, mi aveva fatto incontrare di nuovo Giuseppe Garibaldi, il Gianicolo (quello di Giano bifronte), 150 anni di storia di questa misera e calpestata penisola.


Maurizio il lupo



Un muro di gomma





Il “meeting” presso la Libreria Bibli di ieri sera, venerdì 28 maggio, era allo stesso livello di quello con la Sgrena e la Boldrini: si sarebbe tenuta la presentazione del libro “Miti romani. Il Racconto”, di Licia Ferro e Maria Monteleone, di Einaudi, ET Saggi, pp. XXX – 426, € 14,00, ISBN 9788806191177. Sempre con la mia fedele macchina fotografica accanto, volevo raggiungere a tutti i costi questo importante appuntamento con la “storia”. All’incontro-presentazione del libro sapevo che sarebbero intervenuti, tra gli altri, anche Annamaria Vanalesti e Gabriele Di Gianmarino. Annamaria è una tra le più brave persone che io abbia mai conosciuto. Ci tenevo molto a rivederla e a sentirla. Invece, subito dopo San Giovanni, gli Aùguri mi mostrano il loro diniego: il traffico si ingrossa! Ero uscito alle 20.10 da una scuola privata situata su via Casilina, altezza Torremaura, dopo le mie canoniche tre ore di Economia aziendale del venerdì. Alle 20.25 stavo già in via dell’Ambaradam. Poi, un muro di gomma e di lamiere. Ancora gli àuguri. Ma non mi trovavo per caso nella città capitale del mondo? Mi chiedevo, a bassa voce, per non farmi sentire dai leghisti.


Traffico e monnezza




Caserta, monnezza scoperta

A Roma, dopo il mozambicano Veltroni (tutti a Maputo stanno ancora aspettando quel sindaco della città eterna che credeva di essere il duce del Foro Romano) e, prima ancora, il radicale Rutelli, quello della droga libera, dell’aborto come e quando vuoi, del motorino a tutti i costi, ci è piovuto addosso l’alpinista Alemanno. Omen Nomen. L’ex gerarca tedesco adesso scala le montagne e rende l’Urbe una città invivibile. Traffico, quadruplicato, monnezza da per tutto, immigrati ai semafori, mignotte qua e là. Cosa è cambiato? Nulla. Ma è colpa degli Aùguri che hanno peggiorato tutto! Adesso si chiedono sacrifici per la finanziaria. Va bene. Li facciamo.

Alemanno, Roma, monnezza "rarefatta"

Tutti sulla stessa barca






Dopo la guerra dello Yom Kippur e delle crisi petrolifere (1973-1979), mi hanno detto che ero ricco (350 mila lire al mese, circa, non ricordo bene), quindi mi hanno tolto gli assegni familiari (giusto, e perché no)? Poi, mi hanno chiesto di andare a piedi la domenica. Poi mi hanno fatto cambiare 5 macchine, quelle di prima inquinavano. Io, in realtà, ero ricco con 350 mila lire al mese più quello di mia moglie 400 mila. Potevamo comprarci uno yacht. Bene, pensavo a quelli che guadagnavano meno di me, quelli che si potevano comprare solo mezzo yacht. A Capalbio, i miei leaders comunisti se la passano male, e gli àuguri lo sapevano. 50 milioni al mese, uno o due yachts, ville, case e così via. Lo so, ma si stanno sacrificando per la storia. Pensa tu, quando sui libri di storia ci saranno i nomi dei leaders della sinistra che con appena 50 milioni facevano gli interessi degli operai, degli impiegati, dei giovani, dei disoccupati. La storia è una cosa seria. Tutto verrà a galla. Tutto sarà evidente se non verrà cancellato dall’ideologia.

Un gommone gonfiato




Negli anni ’80, con la mia Fiat 850, quella con la quale trasportavo la salsa dal paese a Roma, per un intero anno, feci la mia bella vacanza come Briatore sulla riviera marchisciana – romagnola, a Gabicce. Avevo comprato, prima di partire da Roma, un gommone da un negozio di giocattoli di “Mario”. Si gonfiava spingendo un piede sulla pompa rossa e nera ad aria compressa. Arrivato a Gabicce, diedi ordine al bagnino di allocare il mio piccolo panfilo, un’imbarcazione di 12 metri sul bagnasciuga. Ricordo ancora i “salamalecchi” che il povero bagnino mi fece. “E’ sempre meglio un ricco che un pezzente”. Pensò il bagnino. All’indomani, visto che prima dell’imbarcazione stavo scaricando il gonfiatore ad aria compressa, mi diede l’ultima fila degli ombrelloni. Briatore o D’Alema si nasce! Non ci si diventa.



Dopo 45 minuti




Ormai s’erano fatte le 21 e 40 e il traffico di Alemanno non ti dava scampo. La colpa è dei romani che il venerdì sera vogliono recarsi a Roma. Ma che cavolo pretendono? La mattina è una strage sul raccordo (che meno male gli hanno messo la r prima di accordo), un’ecatombe sulla Colombo, un olocausto sul Lungotevere, proprio di fronte alla Sinagoga, dove dopo aver proceduto a 2 chilometri all’ora, trovi un cartello liberatorio: per l’Ara Pacis, traffico scorrevole 2 ore e 45 minuti.


La resa



Alle 21 e 55, i primi sintomi di resa. Non si va avanti! Alternative non ci sono, se non l’elicottero. Forse costa un po’. Andare a piedi? Ma è lontano e dove parcheggi?. Prendere un taxi? Ma sono imprigionati anche loro. Imprecare contro Rutelli, Veltroni e Alemanno? Anche qui ti devi mettere in fila per aspettare le parolacce già prenotate in precedenza contro i terzetto. Allora, non mi resta che la resa totale, come quella di Geronimo: “In Sierra Blanca, vivevo tranquillo e felice, in pace con me stesso, senza fare né pensare male…”. “Pregavo la luce e l’oscurità, Dio e il Sole, che mi lasciassero vivere in pace con la mia famiglia…”. “Io seppi dagli americani e dagli Apaches, da Chatos, Mickey Free, che gente malvagia stava per arrestarmi e per impiccarmi, e così partii, così maturai la mia resa”. Come Geronimo anch’io, prima di essere strangolato dal traffico gettai la spugna, svoltai a sinistra, lontano da quel fiume di macchine selvagge, e trovai finalmente la strada della resa.


Annichilimento



Dunque, ero “annichilito”, annientato, annullato dal traffico. Mi sentivo come un agglomerato di antiparticelle, tra un antiprotone e un positrone, in pratica come un antielettrone caricato positivamente che si trasforma tramite radiazione elettromagnetica in antimateria. Non mi resta, allora, nient’altro se non pubblicare una “recensione” che prendo in prestito navigando su Google.


Miti romani



“Miti romani. Il racconto” è una narrazione, storia dopo storia, dei miti di Roma arcaica. Pubblicato qualche settimana fa da Einaudi, il libro è stato scritto da Licio Ferro e Maria Monteleone, ricercatrici universitarie in Antropologia del mondo antico all’Università di Siena. L’elegante pubblicazione della Casa Editrice sorta il 15 novembre 1933 è un libro veramente ben fatto, un bellissimo percorso narrativo alla scoperta dei racconti su cui si è fondata una delle più grandi civiltà del Mediterraneo e dei miti che ne hanno permeato sia la storia che la quotidianità. Dai miti più arcaici, quelli detti dei “primordia” – da Giano a Saturno, da Giove ad Ercole – passando per quelli più celebri della fondazione – da Enea a Romolo e Remo – il percorso offertoci dalle autrici ci accompagna attraverso la storia di Roma, fino al famoso episodio delle oche del Campidoglio e del sacco di Roma del 390 a.C. ad opera dei Galli di Brenno, terminando con il discorso di Furio Camillo, eroe romano che sconfisse i Galli e secondo fondatore di Roma. L’elemento notevole di questo libro, oltre naturalmente alla rigorosa cura “filologica” del racconto – basato sui testi di alcuni dei più grandi “narratori” della classicità, da Livio a Ovidio, da Virgilio a Plutarco – è la prospettiva proposta dalle due autrici, uno sguardo dall’interno, che fa della lettura di questo libro un’esperienza assolutamente coinvolgente, uno sguardo che trae la sua potenza e la nitidezza da uno stile curatissimo e suadente che spesso sembra assumere lo stesso ritmo, la stessa cadenza di alcune delle più grandi narrazioni della mitologia romana. La lettura di quest’opera si consiglia a tutti, anche perché è arricchita da un interessante saggio introduttivo di Maurizio Bettini (quello di cui sopra), dedicato all’annosa questione dell’esistenza o meno del mito romano, e da un folto apparato bibliografico. Il libro non è solamente “tecnico” e viene letto facilmente anche dai non addetti ai lavori. E’ proprio la passione per la scoperta e la ricerca della complessità del fascino della civiltà romana, che spinge le due autrici a percorrere l’arte del raccontare. Due eccezionali professioniste che hanno saputo dimostrare, con questa loro pubblicazione, di possedere in pieno, una spasmodica voglia di narrare e l’arte di trasmettere un messaggio talmente forte dal quale non si può fare a meno di essere contagiati.


Di nuovo al Gianicolo con le multe



Il libro di Licia Ferro e Maria Monteleoni è costruito su una montagna di parole che si staccano dal “vivere comune” di milioni di italiani alle prese con la crisi e con il dominio berlusconiano. Il mito potrebbe essere la rappresentazione della miseria umana. Piccoli uomini che a grandi passi costruivano una società nella quale il genere umano era alle prese con i difetti, le malattie, l’arroganza dei potenti, l’onnipotenza del tempo, inteso sia come fenomeno atmosferico che passaggio del Sole all’equinozio di primavera. La Ferro e la Monteleoni sollevano le loro mani per descrivere i miti di Roma e per raccontare la storia del futuro. E di nuovo ci viene incontro il Gianicolo, quello di Garibaldi, quello di Goffredi Mameli, il colle della Città Eterna che prende nome proprio da Giano. «Quando il mondo ebbe inizio e Giano tornò ad avere l'aspetto di un dio, poco a poco, si narra, apparvero ovunque le fonti, i laghi, i fiumi, le valli e i monti coperti di boschi. Apparvero pesci nell'acqua, animali sui prati e nelle foreste, uccelli nell'aria. Solo in ultimo fece il suo ingresso l'essere umano (ma questo non è un plagio della Bibbia?). Forse fu in quel momento che Giano si guardò intorno e scelse la sua dimora, una collina coperta allora di querce e farnetti. «Da quassù, - si disse, - potrò godermi ogni cosa, basta solo aspettare». E da quel colle - Gianicolo lo chiameranno - si dispose a guardare l'inizio del tempo e dello spazio di Roma».

Indignato stupore


Sono circa 200 anni che ci si chiede se è esistita una mitologia romana. Questa domanda, alla quale non risponderebbe nemmeno uno dei circa 200 mila cittadini di Tor Bella Monaca, anche perché non gliene può fregar di meno, alimenta accesi dibattiti accademici fra gli studiosi, cioè quelli che ci portano la storia su un piatto vuoto. Ma sono quelli che affollano il Liceo Classico, quelli che tolgono gli alunni agli tecnici commerciali, agli idraulici, agli agronomi, agli ingegneri. Forse un antico romano avrebbe risposto con indignato stupore, elencando nomi, luoghi e avventure: dal tempo dei Fauni e degli Aborigeni all'approdo di Enea nel Lazio e alla fondazione della stirpe, dalla storia di Romolo e Remo (attualmente più conosciuti come Romolo e Remolo), ai Sette Re di Roma, dalla fine della monarchia agli eroi della Res publica. Un “moderno” cittadino di Tor Bella Monaca guarda al passato che non va al di là dell’ultima bolletta pagata. Monte Sacro, il quartiere che dista circa a tre buoni di benzina da Tor Bella Monaca, fu il monte per la rivolta dei plebei romani. Menenia Agrippa, l’apologo, Esopo, Svetonio, il Grande Raccordo Anulare, il Giuramento di Simon Bolivar nel 1805, imparato a memoria in tutte le classi dell’America Latina, la visita di Chavez nel 2005. Nessun seguace della primogenitura di Tor Bella Monaca, quella integra e perfetta, andrebbe ad assistere i miti che hanno fatto di Roma una città invivibile e nessuno lascerebbe una lacrima per “El Juramento” del grande Simon Bolivar a Monte Sacro sfogliando i reati che nemmeno Amnesty International riporta. La piaga della pedofilia, del turismo pedofilo in America Latina, compresa Cuba, è una merce di scambio solo per il diavolo.


Fuori tema
Licia Ferro e Maria Monteleoni, ovviamente, non si possono prendere tutte le responsabilità che appartengono ad un mondo schifoso, colluso con la mafia, con la droga, con la pedofilia. Meglio parlare del passato! Bene, ma solo se il passato può darci delle indicazioni precise sul nostro futuro. Lo so che la Prof.ssa Ferro attribuirebbe a questa “nota” 4 e ½ (il voto che ho sempre preso nei temi di italiano, una schifezza che va contro la libertà di stampa, articolo 21). Sono uscito fuori tema. Il grande sforzo che la nostra scuola deve cercare di raggiungere è quello di saper coniugare bene il passato con il presente e con il futuro. Un miliardo e seicentomila cinesi non parlano il toscano; un miliardo e centomila indiani non conoscono il barese; brasiliani che parlano portoghese, americani degli Usa che parlano spagnolo; la Chiesa, l’unica che utilizzava il latino e il greco è in grande crisi. Vale la pena ancora pubblicare dei libri in cui le autrici sono mosse dal gusto e dal piacere del raccontare e guidate dalle coordinate rigorose fornite dalle fonti antiche? Io credo proprio di sì.

28 maggio 2010

Arretrati

Arretrati
di Roberto Maurizio

Cliccando su arretrati, Internet offre questa proposta


I tempi giusti del Mediterraneo

Arretrato in italiano, in questa lingua bislacca che avrà il tempo di cambiare a causa della globalizzazione, significa: 1. cose che si trovano più indietro; 2. sottosvilupato, paese economicamente povero, senza risorse e senza il rispetto dei diritti umani; 3. lavoro di un ragioniere, tipo Fantozzi, che si accumula sulla scrivania; 4. sonno che dura da tempo in quanto svegli mentre gli altri riposano profondamente, russando; 5. vecchio numero di una rivista o di un giornale che precede l'ultimo uscito; 6. mentalità vecchia, completamente superata. Ma sono due gli arretrati ai quali io voglio volgere lo sguardo: A. l'arretrato come salario o stipendio che veniva concesso ai lavoratori come "manna dal cielo" (arretrato che ha rappresentato per gli italiani del boom economico degli anni '60 e quelli delle altre decadi nelle quali la fame, la corruzione il mal costume e la sensazione di lavorare invano era il principale pilastro sul quale si fondava la Costituzione italiana); B. il miei articolo e riflessioni "arretrati" che sono le piccole note messe in cantiere per poterle trasmettere successivamente ai posteri, ai nostri lettori. Internet non scandisce i tempi giusti del Mediterraneo. Per essere come il Web, devi essere più veloce della luce!

27 maggio 2010

Leonardo. Giulio "dacci un taglio"

Solo la Rai non è coinvolta dalla crisi
di Roberto Maurizio

La "quindicesima ora" va in vacanza


Tremonti, Berlusconi, Marcegaglia, Bossi, Cisl, Uil. Tutti uniti contro la crisi, contro gli sprechi. Le province con meno di 250 abitanti, abolite; 10% degli stipendi dei ministri decurtati; pensioni per falsi invalidi cancellate. Bene, anzi, benissimo. Ma, quello che non capisco, come mai la rubrica giornaliera, "Leonardo", sul Tg3, quello degli intellettuali, sulla scienza, si possa permettere quattro, dico quattro, mesi di ferie pagate a fior di bigliettoni dagli italiani. Leonardo, infatti, senza pubblicità, è sul groppone di tutti contribuenti, non solo di quelli che pagano il canone, ma anche degli extracomunitati che pagano le tasse e non hanno nemmeno la televisione. E poi, gli extracomunitari lavorano, non vedono la Tv alle circa meno dieci della "quindicesima ora". Lo staff di "Leonardo", oggi, 27 maggio 2010, ha preso anche per il sedere i telespettatori facendo vedere il loro "backstage", cioè il sedere delle presentatrici. Nulla da eccepire. Anzi, se uno scienziato quando lavora si diverte anche un po', è cosa bella e sana! Ma, per quale cavolo di motivo questi giornalisti scienziati che parlano più l'inglese che il marchisciano devono essere pagati senza essere stati messi prima in cassa integrazione? Prendono lo stipendio pieno. Ma non siamo in tempi di crisi? Perché Rai3, oltre a non perseguire la sua mission di cultura, scienza e logica (un danno irreparabile per la società italiana) paga milioni di euro a questi scienziati giornalisti (con una dizione da cani) per quattro mesi? Arrivederci in autunno, è stato il commiato di Leonardo. E poi dicono che i professori lavorano poco!

24 maggio 2010

Stampa, Scuola e Vita raggiunge le 200.000 visite

200.000 pagine su "Stampa, Scuola e Vita", 1.100 amici su Facebook
di Roberto Maurizio

"Stampa, Scuola e Vita" ha raggiuno il 22 maggio 2010, Santa Rita, le 200.000 pagine lette in tutto il mondo. Speriamo che vengano lette anche nel Darfur, in Congo, in Iran, in Corea del Nord, a Cuba, negli Stati Uniti. La globalizzazione dell'informazione non si ferma nemmeno di fronte alle difficoltà della lingua. Oggi traduttori immediati, in quasi tutte le lingue del mondo, possono moltiplicare il massaggio. Noi, tutti i giorni, non ci accorgiamo di essere ormai completamente globalizzati. Ai lettori di "Stampa, Scuola e Vita" va il mio più sentito ringraziamento per la loro cortesia di leggere degli "articoli" che, a prima vista, sembrano incomprensibile. Letti meglio si ha la netta sensazione che non solo non dicano nulla, ma dai quali non si può trarre nessun beneficio comportamentale. Internet è lo specchio della società e mi piace riportare le "sensazioni" di una mia "amica", Caterina, che riassumono le mie attuali condizioni: orientamento politico, disorientamento; orientamento religioso, devotamente laico. Miliardi di persone nel mondo vivono in una tremenda povertà, mentre noi ci lamentia del mal funzionamento del Decoder. Ogni giorno, quando si alza il Sole da Oriente ad Occidente, milioni di vittime vengono abbattute nel nome della civiltà. Megalopoli insostenibili, metropoli violente, Stati africani in guerra, Stati latino americani con la falce e il martello pronti a tagliare la testa ai pescecani, immigrati trattati come schiavi, immigrati che credono di fare i loro porci comodi su un suolo "altrui". Di chi? Di chi ha vissuto perlomeno quattro giorni. Un mondo basato sulla "biodiversità", "più sono diverso, più te meno". Una religione cattolica attaccata da tutte le parti, anche dal Pd, al cui interno ci sono circa il 20% degli ex democristiani che valgano 49%. E gli altri? Idv combatte Berlusconi e la corruzione; la Lega Nord ha ormai solo un pallino, il "federalismo"; Casini, come ha detto Bossi, Omen Nomen, ripunta sulla Dc; Fini fa il difensore degli immigrati; Berlusconi canta con Apicella; Napoletano va da Obama; Tremonti comanda. Oggi, 24 maggio, sì quello dell'Esercito passava per raggiunger la frontiere, per la prima volta a Roma il termometro ha superato i 32 gradi, dopo circa 10 mesi ininterrotti di pioggia. E' stato l'unico inverno e l'unica primavera in cui non è stato possibile osservare una stella, né la costellazione di Orione, il Toro, i Gemelli e le Pleiadi. Eppure i catastrofisti ci dicono che la fine del mondo per il riscaldamento globale è vicina. La siccità ci assale. Andatelo a dire a Messina o a Ponza! La bellezza di questa Terra è nella sua rotondità. E' come una palla che gira e non si sa mai dove andrà finire. I Millennium Goals sono stati stabiliti nel 2000, prima delle Torri Gemelle. Non serve raggiungere tutti gli Obiettivi del Millennio nel 2015. Basterbbe solo uno. Essere con i piedi per terra, facendo calcoli giusti e gettando alle ortiche l'arroganza, la volgarità, l'egoismo, l'imbecillità. Satana è presente nella mente di tanta gente malvagia. Solo di una cosa ha paura il Diavolo: della bontà.

Biodiversità, equa e solidale

Biodiversità, equa e solidale
di Roberto Maurizio

Il “motogladiatore”


L’Inter ha vinto tre “tituli”. Li ha vinti con la “biodiversità”, ad eccezione di Balotelli, nero per caso, non si trovava nessun nella squadra di Mou che fosse italiano. Ieri, 23 maggio 2010, per compiere il mio dovere di giornalista pubblicista, ho cercato di raggiungere il “seggio elettorale”, situato in largo Giulio Onesti, 1, zona Nord di Roma, per esprimere il mio voto “decisivo” nell’attribuzione dei seggi del Consiglio regionale, nazionale e quello dei revisori dell’Ordine dei giornalisti di mia appartenenza. Di buon ora, mi alzo e cerco di raggiungere entro le 13 il seggio elettorale. Io che sono del Sud, che vivo a Cinecittà Est più vicino al Sud, mi informo. Né Google Map, né Michelin, né Google Hearth, sanno dov’è sta cavola di via, o meglio sto cavolo di largo! Ho capito però che, se provenendo dai Parioli, prendi il Ponte Flaminio, giri, ad un certo punto a destra, fai la conversione ad U e, dopo poche decine di metri arrivi. Impavido, con lo stesso ardore di Garibaldi a Quarto, o forse un quarto di ardore di Garibaldi, o come la “tigna” di Colombo con il suo “uovo”, parto, sperando nella “dea bendata”. Ecco, proprio questa! Forse, arrivato sul posto del “delitto”, quando sentivo vicino “il seggio”, solo per riflettere, mentre attraverso un crocevia prima di viale Parioli, cercando un “indigeno”, che a Roma di domenica non se trovano, dopo essere partito con il verde da circa 20 secondi, mi arriva addosso, mentre stavo fermo, un “gladiatore” con la moto: un “motogladiatore”. Si dovrebbe vedere che sono in difficoltà e in ambascia per la ricerca del “Sacro Graal”. Niente il “motogladiatore” si trasforma in un delinquente con l’elmetto in testa, la glava nella sella e la bava nella bocca, e, con la sua asserita precedenza, mi manda a fare in culo, mi dice stronzo e poi chiede la pena di morte. Ecco i romani, calmi e tranquilli! Ecco la biodiversità: quelli di Roma Sud ed Est sono tolleranti, i romani del Nord sono dei cafoni. Comincio ad imparare qualcosa. Visto che la ricerca del seggio elettorale diventava sempre più difficile, dopo aver chiesto ai giornalai, ai pensionati astanti e alle guardie giurate, decido di andare all’Auditorium, dove era in corso l’ultima giornata della “Settimana della Biodiversità”.


Quando non è giornata…


Quando non è giornata… Parcheggio, si fa per dire, con la gomma anteriore sinistra sul marciapiede. Prima di scendere, apro la portiera per prendere la mia bella e costosa macchina fotografica. Lascio per circa 4 secondi aperto lo sportello e una “bella signora” affabile su una Smart mi scarica addosso una tonnellata di hertz dal suo fottuto clacson. Anche la signora appartiene alla biodiversità romana. Quando non è giornata… Mentre le hostess e le guardie dell’Auditorium spippacchiano a volontà, entro e mi dichiaro: sono un giornalista che vorrebbe assistere alla vostra incantevole iniziativa. Non ti cacano nemmeno! Entro in bancone e chiedo informazione. Bene, dopo aver detto di essere giornalista, mi dicono devi andare a ritirare il biglietto di entrata. Cavolo, sono stato preceduto dalla Bbc, da Sky News, dal Financial Times, dal New York Times. In quel bel edificio ideato da Lorenzo Piano, scomodo, arido, senz’anima, salgo circa tre piani con 347 scalini. Entro nella sala dove, in inglese, si stava tenendo la Tavola rotonda “Biodiversità, clima e popoli indigini” (Sala Petrassi) e mi trovo di fronte al buio che più buio non si può. Dopo la scalinata lunga come quella di Piazza di Spagna, mi trovo di fronte un buio che non vedevo da circa 30 anni, l’ultima volta che sono andato al cinema. Ma al cinema di una volta, per lo meno, c’era la “mascherina” che ti faceva un po’ di luce soffusa tra una nuvola di fumo. Qui, nel tempio della cultura e della modernità, niente: buio pesto e alito pesante. Credevo di non trovar posto, visto che i miei colleghi delle testate mondiali erano già lì da circa due ore. Ovviamente, da buon italiano, non prendo le cuffie per la traduzione in quanto io e l’inglese siamo come culo e camicia. Ma, non fa niente. Io ero in veste di fotografo.


Gli indigeni


Ecco la sala nelle prime file, pensate dopo...


Mi faccio largo nel buio, ogni due scale, in discesa a 45% (ma non l’aveva fatto Piano?) mettevo un piede in fallo, controllavo se avessi ancora a sinistra la macchinetta fotografica e a destra la telecamera, ma il buio mi toglieva anche la forza di misurare il peso. Sullo sfondo erano sedute sette persone che dietro avevano uno schermo gigante. Sempre nel buio pesto, che con il passare dei secondi diventava sempre meno tragico, pensavo a quante persone fossero state presenti in quella sala ad ascoltare Christensen Fund, Alejandro Arumedo, Hervé Bouagnimbeck, Willy Douma, Gigi Manicad, Francesco Martone e Laura Monti che parlavano degli indigeni e bodiversità. Visto che oltre ai miei “colleghi” delle Tv estere, per non parlare della Rai (che da 40 anni buca qualsiasi incontro internazionale interessante), ci sarebbero dovuti anche essere perlomeno i rappresentanti dei 45 fra Patrocini e Sponsor (Comune di Roma, Provincia di Roma, Cra, Enea, Coop, Linea, ect.), fra Partner e Media Partner (Acra, Slow Food, Fondaione Bioparco di Roma, Eco Radio Lifegate, etc.) temevo proprio di aver fatto una brutta figura arrivando in ritardo. Sempre nel buio pesto, inizio a scattare le foto. Purtroppo la mia macchinetta nel buio ha bisogno del flash. Scatto la prima, la seconda foto, scendo un po’ più vicino ai relatori e scatto la terza e la quarta. Alla quinta, arriva l’energumeno “fotografo ufficiale” della “Biodiversità” che mi ordina di non usare il flash. Ecco perché esiste la biodiversità! Esistono fotografi con macchinette “ufficiali” che riescono a catturare i fotogrammi nel buio e quelli “indigeni” come me, che addirittura usano ancora il flash. Allora, mi son detto, forse ho sbagliato convegno. Come indigeno non ho trovato il clima adatto. Mentre sto per abbandonare la sala, insieme ad altri quattro annoiati che non aspettano la fine del dibattito, mi giro intorno, ormai gli occhi si erano assuefatti al buio e conto le presenze. Incredibile! Erano più gli oratori che gli uditori! Ma una giornata storta non finisce qui.


Il biodiverso con la Smart

Riprendo la macchina per farmi i miei circa 27 chilometri per tornare a casa, là fra gli indigeni di Cinecittà Est. Subito dopo “il Palazzaccio”, giro a destra “regolarmente”. Un “romano” (quello biodiverso), con un’altra Smart cercava di superarmi a destra. Quando non è giornata… Pochi metri dopo, mi supera a destra, abbassa il finestrino e mi dice “a coglione” (una parola che adesso va molto di moda) “vedi de sta attento”! Cioè, per far capire la biodiversità, ma come tu cerchi di superarmi a destra e credi di aver ragione? Quando non è giornata…

Ma che storia è questa!

Ma che storia è questa!
di Roberto Maurizio


Il ventilatore della Rai

Mentre Santoro se ne va dalla Rai con il suo bottino, senza aver commesso minimamente nessun reato, se non quello di far incazzare la gente e avere un ascolto altissimo con introiti, per la Rai, da capogiro, la storia più subdola della Tv italiana salta agli occhi di poche centinaia di persone che seguono un programma “milionario” (lato spese) condotto, redatto, aggiustato e servito su una tavola imbandita piena di idiozie e bugie da Gianni Minoli su “Raistoria”. Ma che storia è questa! Mentre Santoro e la Littizzetto, fra un paio d’anni, saranno come delle vecchie mummie imbalsamate, nessuno di ricorderà di loro, nemmeno quelli che si sono “splellate” le mani durante gli applausi delle trasmissioni trash, per Minoli è un’altra cosa. E’ stato affidato a lui una trasmissione importantissima della Rai, che si trova sul digitale (“Raistoria”), alla quale partecipano tutte persone fidate e “mielate”. La storia siamo noi! Non si scherza con la storia e nemmeno con la geografia. Questo paese, a 150 anni dall’Unificazione, oltre a non conoscere l’inglese e la matematica, oltre a non saper leggere e scrivere in italiano, si permette di sputare addosso alla storia e anche alla geografia. Fateci caso: tutte le cose firmate dagli italiani nella Rai sono veramente pezzi che vanno sotto il livello della Tv dello Yemen. Ho visto, sempre su “Raistoria”, sul digitale terrestre, un ottimo reportage su Henry Kissenger, veramente qualcosa di buono, da far vedere a tutti gli studenti italiani. Peccato che il filmato era americano. Stasera (ieri sera), invece, ho assistito ad un’allucinante puntata su uno squallido omicidio degli anni settanta a Torino. Ballerini e Pan sono i protagonisti che vengono mescolati nel ventilatore della storia. Un problema privato che viene mescolato con le Brigate Rosse, con la “Strategia della tensione”, con la Pd. Ma che cazzo c’entrano? Non si scherza con la storia. La storia non è fatta solo da una sequenza di immagini accompagnate da commenti di parte.


Giovanni o Gianni Minoli


Henry Kissinger


La Storia con la S maiuscola è un’altra cosa, e non può essere raccontata solo da una parte. Quante volte Henry Kissinger, durante l’intervista, non rispondeva su Allende. Invece, qui, in questa bella Italia fatta di Rai e di caciocavallo, tutto è permesso, calpestando la verità. Ecco che cos’è la Storia con la S maiuscola la Verità, con la V maiuscola. Ma questo nostro popolo con meno di 150 anni di storia unitaria, è in grado veramente di dire che cos’è la nostra verità? Dalle 22.03 alle 23.30 circa è andato in onda, ormai ieri, 23 maggio, perché mentre scrivo scorre il tempo, il programma di Minoli su Ballerini e Pan, nel quale salgono agli onori gli eroi carabinieri e vengono presi per il culo i poliziotti come investigatori di serie B. Una confusione mai vista! Le femministe, le bombe, i treni volanti, i fascisti, Brescia, i sindacati e poi questi due poveri stronzi (che all’epoca vennero definiti gli amanti diabolici di Torino, Paolo Pan e Franca Ballerini, quest’ultima descritta come “la bionda che portava la morte”). Mentre per far cassa, Minoli ha sdraiato a terra un programma da quattro soldi per allungare la brodaglia, mescolando la crisi dello Yom Kippur del 1973, citando solo l’Egitto come paese proponente la guerra contro Israele (dimenticandosi della Siria, va be’ ma questa è storia!), ricordando le “domenica a piedi” dell’Austerity (nome mai pronunciato, durante il programma), quando gli italiani non solo non arrivavano a fine mese, ma erano costretti a restare in casa dopo le 22 di sera, con il coprifuoco, a non circolare la domenica, a stringere veramente la cinghia. Ma questo che c’entra con il Pan e con la Ballerini? Se la poteva cavare, Minoli, con pochi soldi, come ha fatto il sito www.misteriditalia.it, che con 698 parole ha raccontato tutta il giallo e il mistero del povero Fulvio Magliacani.

Gli amanti diabolici


Il giallo ed il mistero, in questa storia di un marito ammazzato e due amanti da fotoromanzo, non sta tanto nell’inizio quanto nella fine. Tanto è trito e banale l’assassinio del povero Fulvio Magliacani, marito tradito, quanto è intrigante e imprevedibile la decisione finale della giustizia che, senza logica né discernimento, tra due colpevoli da punire, gli amanti appunto, ne sceglie uno solo. Rompendo così una regola aurea del delitto passionale: gli amanti che assieme decidono di eliminare il terzo incomodo. La storia degli amanti diabolici di Torino comincia quasi un anno e mezzo dopo il fatto quando, il 25 ottobre 1973, grazie alle confidenze di uno sbandato, Tarcisio Pan, i carabinieri di Torino scoprono, sepolto sulle colline della città, il cadavere di un uomo ormai saponificato. L’indagine, condotta abilmente dal maresciallo Savoia - un altro investigatore d’altri tempi - ha preso spunto dalle inquietudini di Francesco Magliacani, un padre distrutto dal dolore che da tempo ormai cerca aiuto per ritrovare suo figlio Fulvio. Questi, rappresentante di commercio, benestante, marito da tre anni di una biondina provocante e un po’ irrequieta, Franca Ballerini, madre di una bambina, è misteriosamente sparito nella notte del 20 luglio 1972. Quel cadavere trovato in collina appartiene proprio a suo figlio, ucciso con otto coltellate al petto e due alla schiena. E a farlo ritrovare è stato quel Tarcisio, fratello di Paolo Pan, ex ladruncolo e ora trafficante di auto rubate e, guarda caso, amante della Ballerini, moglie di Fulvio. Il caso è chiuso? Lo sarebbe in un Paese dove investigatori e magistratura si comportano in maniera appena seria, cercando le prove e con quelle istruendo i processi, con pazienza ma anche con celerità. Non avviene - e non è la prima volta, né sarà l’ultima - qui da noi dove - specie in materia di investigazioni e giustizia - l’approssimazione regna sovrana. Basti pensare che il processo alla Ballerini e Pan per il delitto Magliacani comincia il 10 marzo 1977, ben tre anni e mezzo dopo che il caso poteva, davvero, essere considerato chiuso. E al processo di primo grado, così come in quelli seguenti, ovviamente, ne succederanno di tutti i colori. Intanto la vicenda si è complicata perché, come da copione (basti ricordare il caso dei coniugi Bebawi), i due amanti hanno cominciato ad accusarsi reciprocamente: per Paolo Pan ad uccidere Fulvio è stata la moglie Franca, lui ha solo occultato il cadavere. Per Franca, la bionda dagli occhi chiari, stereotipo perfino in quanto amante, ha fatto tutto Paolo da solo, senza neppure avvertirla dell’intenzione del delitto. Due versioni che si elidono, tanto incredibili che alla fine saranno credute, almeno dai giudici di ben due corti d’Appello. Come se non bastasse nella storia si sono poi infilati altri due personaggi: uno è il fratello di Paolo, Tarcisio, colui che ha fatto trovare ai carabinieri il corpo di Fulvio Magliacani che, come da copione, ha ritrattato tutte le accuse, fingendosi pazzo. L’altro è Germano la Chioma accusato di complicità nel delitto del cugino, Giovanni La Chioma, un altro trafficante di auto rubate, ammazzato anche lui - secondo le accuse di Tarcisio, anche queste ritrattate - da Paolo Pan. Nel dibattimento di primo grado si delineano meglio le personalità degli accusati, anche grazie alle perizie ordinate dall’accusa: Paolo Pan? Un uomo freddo, amorale, intelligenza sopra la media, un ego molto forte. Suo fratello Tarcisio? Un debole, emotivamente insicuro, condizionabile. E lei, la donna del peccato, Franca Ballerini? Solo una piccola ipocrita, vana e superficiale, con un ego fragile. Il processo è tutto uno scambio di accuse tra i due amanti. Il 2 maggio 1977 arriva per entrambi la condanna all’egastolo, 28 anni a Tarcisio Pan, assolto La Chioma. Ma non è finita. Il 3 dicembre 1978 il processo d’Appello ribalta la sentenza precedente: ergastolo per Pan, assolta la Ballerini così come gli altri due imputati. La corte, che ignorerà nuove prove emerse nel corso del processo, crede alla improbabile versione della donna. Cassata anche questa sentenza dalla Cassazione, l’assassinio di Fulvio Magliacani, così come il delitto La Chioma, tornano nuovamente in Appello da cui arriva la definitiva conferma: ergastolo per lui, assoluzione per lei. Forse ancora una volta giustizia non è stata fatta.

23 maggio 2010

Biovarietà

Ancora un anno sprecato dall'Onu
di Roberto Maurizio



Biovarietà


Oggi si conclude a Roma, la settimana sulla Biodiversità. Mentre il Latino, il Greco e l'Inglese, lingue "globalizzanti", sono ineccepibili, infatti, con queste lingue sono stati scritti la storia e il diritto del mondo, l'italiano, come le altre lingue di "periferia", appese ai campanili, non riescono a trasmettere il messaggio corretto. La comunicazione (l'azione interattiva) e l'informazione (solamente i fatti) se trasmessa in italiano non raggiungono l'obiettivo. La "gente" non capisce la "biodiversità". Sembra una parola che voglia assencondare il diverso biologico, l'omossessuale o il prete pedofilo, un "diverso" o giù di lì. La biovarietà, come viene espresso giustamente in inglese, è un'altra cosa. "Biovariety" fa comprendere subito che si tratta della enorme varietà di piante, di animali terrestri, di pesci, di tante altre cose che sono sotto gli occhi costantemente dell'uomo e delle donne contemporanei che fanno finta di non vedere. Subito dopo una sfuriata di un nubifragio su Roma a maggio, cosa inconsueta, ma accettabile, basta scedendere per strada, come Leopardi, e vedere la tanta biovarietà di piante che ti circonda: "Odo augelli far festa e la gallina tornata sulla via...". La parola biodiversità, però, non è negletta. Basta attribuirla ai politici, ad iniziare dai Comitati di quartiere. Ecco, biodiversità potrebbe essere utilizzata per distinguere i cittadini onesti (compreso i ladri) dai politici.

22 maggio 2010

Correva l'anno di grazia 1870

Correva l’anno di grazia 1870
di Roberto Maurizio


I popolani
Anna Magnani. Uno sguardo e una sensualità irripetibile


Ormai vedere la Tv è una noia. Sentire la Radio ha ancora un sapore del “passato”. La Rai, imperterrita, continua a trasmettere su "Raistoria" i suoi “capolavori”. Dopo la demenziale fiction “Eravamo solo in mille”, la Rai ha mandato in onda, il 21 maggio 2010, “Correva l’anno di grazia 1870”. Un cast d’eccezione: Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Mario Carotenuto, Franco Balducci, Gastone Balducci, Silla Bettini, Luciano Bonanni, Duilio Crucuani, Osvaldo Ruggeri. Il "film Rai" del 1971, genere drammatico, ebbe come regista e sceneggiatore Alfredo Giannetti. La sua trama era inconsistente e rimane tale. Nella Roma papalina, soggetta al governo pontificio, alla vigilia di diventare Capitale d’Italia, un gruppo di oppositori giace in prigione. Fortemente ideologizzati dalle nuove teorie illuministiche e rivoluzionarie dell’Internazionale socialista, per lo più massoni o comunque anticlericali, vicini a Mazzini e sostenitori di Garibaldi, restano in carcere per poter vedere vincitrice la loro lotta. Molti, secondo la versione Rai, essendo romani, cedono e rivolgono al Papa domanda di grazia; altri, più fermi nelle loro idee, la rifiutano decisamente. Tra costoro c'è un popolano, Augusto Parenti, che, pur essendo gravemente ammalato, si ostina a resistere. Resistere! Resistere! Resistere!
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Don Aldo, prete operaio?

Nannarella, un po' più sofisticara e bella

Di idee liberali, socialiste, massoni e anticlericali, e come lui, sua moglie Teresa, una donna energica e coraggiosa che fa intraprendere la strada del sacerdozio a suo figlio Mario, cerca come può di tirare avanti, facendo la cicoria e mangiando il pane. Anche Rutelli 120 anni dopo, afferma che lui ha vissuto mangiando pane e cicoria. Spinta dal bisogno, Teresa accetta il consiglio di un sacerdote amico, Don Aldo (una specie di prete operaio), e manda il bambino in seminario. I “rivoluzionari” si cacano sotto. Infatti, Teresa non riesce a convincere nessuno dei grandi idealisti a prendere posizioni, nonostante che i piemontesi stavano a due chilometri da Porta Pia! Approssimandosi il giorno della liberazione di Roma, un patriota (cioè quello che voleva far fuori il Papa al soldo dei massoni e dei garibaldini, amico di Augusto (un lestofante, che dopo avrà tutti i meriti dell’Italia unita, sarà l’imprenditore che costruisce le case a Piazza Vittorio, che gestirà una quantità enorme di soldi) penetra clandestinamente in città con un carico d'armi (pagate da chi? La fiction Rai non ce lo dice.

I “compagni” non rispondono

Il grande Marcello Mastroianni, nella fiction Rai, un po' deludente


Questo “rivoluzionario" si rivolge a Teresa perché chiami a raccolta i “compagni”. Ma i “compagni” non rispondono. Chissà perché, mentre si sapeva che Roma stava per passare nelle mani dei Piemontesi. La maggior parte di costoro si tira indietro. Finalmente, quasi senza colpo ferire, ma anche tra lo scarso entusiasmo della popolazione, i Piemontesi entrano in Roma. La fiction fa vedere le donne che penetrano nelle carceri, i soldati beceri e idioti si fanno sopraffare. Alla testa de un gruppo di fiere popolane (ma quanti erano i carcerati a Regina Coeli o giù di lì? Teresa, addirittura, libera il marito, il quale, stremato dalla malattia, le muore tra le braccia: prima di vederlo spirare, però, Anna Magnani (Teresa) gli descriverà (ad Augusto, cioè a Marcello Mastroianni), in tono trionfale, la liberazione di Roma, così com'egli l'aveva sempre sognata. Questo più o meno sceneggiato televisivo, riproposto per celebrare i 150 anni dall’Unità d’Italia, è un lavoro che fa parte di un ciclo di quattro film girati appositamente per la RAI dal regista Alfredo Giannetti. Una delle ultime prove della grande Magnani, ormai malata. Se questo è il più bello di Giannetti, figuriamoci gli altri!

Che dire?
La Breccia di Porta Pia, Roma, 1870
Dal punto di vista storico il film non vale niente. Non fa capire chi doveva combattere contro chi. Si limita solo alla cicoria di Anna Magnani, e alla sconfitta del Papa. La Magnani, però, come al solito e nonostante la malattia, resta la nostra grande Nannarella, stupenda e strepitosa. Ma il suo ruolo è ambiguo nel film: non le dà la sua solita grinta. Non è un’eroina. E’ una mezzacalzetta che accetta le proposte oscene di un prete, per salvare il marito e per dare una “professione” al figlio, Mario. Per questo motivo, per la parte che le hanno attribuita, cade di tono, non riesce a bucare lo schermo. Resta ferma e immobile, come l’ultima scena del film sulle scale con in braccio il marito morente. Il figlio Mario, invece, quando canta l’Ave Maria (ovviamente doppiato) raggiunge il massimo della bellezza di questa finction. Il ruolo del bambino, un po’ troppo sovraesposto. Bello senz’anima, nonostante l’Ave Maria.

Mario Carotenuto, un Oscar oscurato

Il vero grande artista del film è Mario Carotenuto, al quale, a mio avviso, dovrebbe essere dato il Premio Nobel della recitazione, se esistesse, o un Premio Pulitzer per gli attori, se esistesse, o un misero Premio Oscar, che esiste, ma che non glielo hanno mai dato. Mario Carotenuto, in questo film, è veramente straordinario. Sebbene, talvolta, ingannato da una flebile regia, guarda verso la “telecamera”, resta integra la sua interpretazione. Il suo discorso di “spalla” con la Magnani è un “capolavoro”. L’accento calcato romanesco e la battuta pronta, rendono palpabile il suo discorso per convincere la madre (Anna Magnani) a mandare in seminario il figlio (Mario). Un vero e proprio capolavoro da rivedere alla moviola. Carotenuto in meno di dieci minuti dà il massimo di se stesso. Il colloquio con la Magnani dovrebbe essere studiato e trasmesso a tutti coloro che volessero intraprendere l’arte dell’attore. Mario Carotenuto è stato il vero protagonista del “film storico della Rai” (che non compare nemmeno su Wikipedia tra quelli interpretati dal “grande artista”). Ha dato il massimo di se stesso con la massima semplicità. La sua recitazione si aggrappa al suo enorme e tenero germoglio di un fiore arricchito di romanità non volgare. Conquista la gente, quella comune, fatta di tanti figli e figlie di questa Roma bistrattata che trova in lui, in questa “fiction della Rai” la sua massima espressione linguistica, piena di significato e significante. In altre parole, Mario Carotenuto ha saputo dare una trasposizione del romanesco volgare nella grandezza immensa dei cieli azzurri. Insomma: Mario Carotenuto, in questa fiction della Rai, è stato grande perché ha saputo rappresentare la genuinità delle frasi pronunciate ex abrupto, improvvisamente senza stacchi, la levatura di un personaggio di secondo piano che sale nell’ascensore della storia, la beltà della recitazione e un grande e incommensurabile trasporto verso l’arte.


Un Premio a Carotenuto da “Stampa, Scuola e Vita”


Figlio d'arte, Mario Carotenuto, visse insieme al fratello maggiore Memmo, anch'egli in seguito attore, un'infanzia turbolenta e il carattere ribelle gli varrà, una volta adolescente, anche tre anni di riformatorio (uno degli istituti di correzione in cui il giovane Carotenuto ha scontato i propri debiti con la giustizia è stato a Cairo Montenotte). Il suo debutto sul palcoscenico era avvenuto a soli otto anni al Teatro Costanzi di Roma, ma successivamente aveva svolto molti mestieri che con lo spettacolo avevano poco a che fare (attacchino, salumiere). Solo nella seconda metà degli anni quaranta inizia la carriera di attore alla radio. Si dedica quindi anche al teatro di rivista e, nel 1953, è a capo di una sua compagnia. Sempre presente nei film che hanno fatto grande la commedia all’italiana, spesso nel ruolo dell'industriale romano intrallazzatore, Mario Carotenuto interpreta più di cento film, alcuni dei quali pluripremiati ed uno, il notissimo "Lo scopone scientifico”, gli vale la Maschera d'Argento nel 1972. Anche a teatro la sua carriera è importante. Di rilievo la sua partecipazione in "L'Opera da tre soldi" di Brecht per la regia di Giorgio Streheler, cui seguirono negli anni partecipazioni importanti nei musical di Garinei e Giovannini ma anche nel teatro classico, interpretando Shakespeare, Pirandello e Molière, e brillante, Feydeau e Neil Simon, fino alla fine della sua lunga carriera. Muore all’Aurelia Hospital di Roma il 14 aprile 1995 dopo una lunga malattia. Riposa nel cimitero di Grottammare. Per l’interpretazione in questo film (per quello che vale), “Stampa, Scuola e Vita” rilascia un riconoscimento come migliore attore della fiction Rai 1971 “Correva l’anno di grazia 1870”.


“Nun me fate morì a Velletri”


Anna Magnani e Marcello Mastroianni, due grandi del cinema italiano

Ormai si scrivono gli appunti, mentre si guardano i film della Rai, si seguono programmi sempre meno credibili di quest’emittente allo sbando, su un mucchio di cartacce, di lettere della banca, del gas, della luce, del condominio, di Equitalia (ecco a che serve questo recupero credito!). Le multe sopra la tovaglia imbandita sono un formidabile appoggio per scrivere le proprie osservazioni. Una di queste riflessioni non può essere trascurata. Augusto, Marcello Mastroianni, è in carcere e sconta una pena per motivi politici. Fin qui va bene! Cosa aveva fatto? Non si sa. Anche perché ho visto la fiction a metà. Ok. Mettiamo che non aveva fatto niente. Bene. Ma che voleva fare? Eliminare il Papa. Mi sembra un mission corretta. Augusto era un rivoluzionario talebano, un partigiano, un amante della libertà? Bene. Augusto era di idee illumiste, quelle che rendono liberi gli uomini per ottenere una società più democratica, uno Stato che rispetti i bisogni fondamentale delle persone, i diritti umani, la pace, l’energia eolica. Va bene! Augusto (Marcello Mastroianni) muore per una probabile tisi che aveva contratto prima di entrare nel carcere? Nessuno lo dice nella fiction. Augusto è stato malmenato come qualche volte avviene anche oggi dai poliziotti e dalle guardie carcerarie? Non si sa. Ma quello che veramente non riesco a capire da questa miserevole fiction, che ha coinvolto anche un grande e indimenticabile attore, come Marcello Mastroianni, è perché cazzo gli hanno fatto dire “Nun me fate morì a Velletri”!


Maurizio Trani?


Non sono sicuro al cento per cento che il truccatore della fiction Rai si chiamasse Maurizio, anche perché i “cartelloni” pubblicitari del film, nemmeno su Internet, riportano chiaramente il nome di Trani. Sicuramente, so che il suo cognome era Trani. Nessuno parla mai di questi “poveri” artisti che hanno reso nobile il cinema italiano. Il 2011 sarà l’anno dell’unità dell’Italia. Perché oltre a Cavour, a Mazzini e a Garibaldi, non ci ricordiamo anche delle figure minori che hanno fatto di questa Italia un paese “forte e coraggioso”? Oltre a Fellini, c’è anche Maurizio Trani. Oltre ad Andreotti, c’è Maurizio Trani. Questo “povero” paese, con tanti yacht e tante Ferrari, con politici, giornalisti, imprenditori, manager che vanno da 500.000 euro in su, con liquidazioni mostruose di centinaia di milioni euro, perché non si ricorda anche di queste bellissime figure che, come Maurizio Trani, nell’ombra e con pochi soldi, hanno fatto bello il cinema italiano? Non è il mio un begero populismo! Riconosciamo i meriti a chi se li merita!

21 maggio 2010

La globalizzazione dell'ignoranza in Italia

La globalizzazione dell’ignoranza in Italia
di Roberto Maurizio

Una bellissima e drammatica foto del Congo. Un paese abbandonato da tutti!


L’interfaccia
Esistono in Italia materie scolastiche odiate, amate e ignorate, ognuna delle quale può apparire in tutte e tre le ipotesi di scelta. Iniziamo da quelle più ignorate, cioè da quelle che gli studenti italiani si rifiutano di conoscere, in ordine d’importanza: matematica, italiano, lingue straniere, greco, chimica, fisica, latino, storia e geografia. Quelle più amate: educazione fisica, educazione civica, educazione sessuale, educazione alla droga, religione e musica. Quelle più odiate: matematica, fisica e chimica. Ma che Italia è questa? Dalla Cina e dall’India ci arrivano fior fiori di professori giovani di matematica, fisica e chimica. I Bric (Brasile, Russia, India e Cina) ci “accannano” in tutti i settori. Noi non facciamo niente per “arginare il mare”. Restiamo immobili e aspettiamo gli eventi. Il Congo muore dissanguato e noi non facciamo niente. Il Darfur ha problemi e noi ce ne freghiamo. La biodiversità sta scomparendo e la Polonia galleggia in un mare di acque. In Thailandia chiudono Facebook, Skype, Twitter, Youtube e noi voltiamo l’interfaccia da un’altra parte. Speriamo che l’Inter faccia un capitombolo a Madrid, così gli italiani si ricorderanno di chiamare gli italiani per prima, poi i padani, poi i siciliani. I molisani e gli extra comunitari saranno protetti solo da Di Pietro e da Moratti! Meno male che esistono banditi in odore di mafia che riescono a prendere per il culo un paese “civile” come la Francia e una città caotica come Parigi, un Louvre abbandonato a se stesso che non sa proteggere i capolavori dell’Umanità. Un solo ladro ha preso in prestito “La donna con il ventaglio di Modigliani”, un Picasso, un Matisse, un Braque e un Leger, per un valore inestimabile di miliardi di euro. Vive la France.

Monica Setta. Il tappetino di Berlusconi

Monica Setta
di Roberto Maurizio

Il giovedì, dopo Santoro, smaltivi l’incazzatura facilmente. Cambiavi canale e basta. Invece, oggi, sei “costretto”, se resti su Rai2, a vedere “Peccati”. Peccato che c’è Monica Setta, il tappetino sgraziato di Berlusconi. A suo confronto, Emilio Fede è un giornalista indipendente!

19 maggio 2010

L'incubatore e la filiera

L’incubatore e la filiera
di Roberto Maurizio



Filiera a cricco per filettare, incubatore a schiera per start-up di incubation gratuates

Sono molte le persone in Italia che se la prendono con l’inglese, una lingua sconosciuta da quasi 7/8 dei cittadini straordinariamente uniti da Giuseppe Garibaldi. Quanti sono, invece, quelli che non pagano le tasse in Italia e non conoscono la lingua di Dante? La risposta è semplice. Tanti. I nostri politici sono diversi. Con corsi accelerati serali, hanno imparato a imbastire nei loro discorsi astrusi e senza senso, incubatore e filiera. L’incubatore non è quel sostantivo che ti rimbomba in bocca e presagisce la presenza di un lurido fetende, che tra un labiale e un dentale, aspetta solo che ti giri.



La filiera del vino

Così come la filiera non è quella fanciulla, bionda con gli occhi azzurri, che spande i semi della sua beltà per fertilizzare un mondo senza guerra, votato solo alla pace eterna. L’incubatore e la filiera, termini mutuati dai politici dai tecnici e dai filosofici per non dire un cazzo, servono solo per offuscare la mente degli elettori. Non fidatevi dei politici che usano questi due termini, due specchietti per le allodole per non dire niente. La filiera è solo un segno, un segnale che ti dà indicazioni sul tuo percorso. Gli incubatori sono dei parcheggi dove vengono rinchiusi i giovani prima di prendere il posto dei vecchi che, prima o poi, moriranno!