22 maggio 2010

Correva l'anno di grazia 1870

Correva l’anno di grazia 1870
di Roberto Maurizio


I popolani
Anna Magnani. Uno sguardo e una sensualità irripetibile


Ormai vedere la Tv è una noia. Sentire la Radio ha ancora un sapore del “passato”. La Rai, imperterrita, continua a trasmettere su "Raistoria" i suoi “capolavori”. Dopo la demenziale fiction “Eravamo solo in mille”, la Rai ha mandato in onda, il 21 maggio 2010, “Correva l’anno di grazia 1870”. Un cast d’eccezione: Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Mario Carotenuto, Franco Balducci, Gastone Balducci, Silla Bettini, Luciano Bonanni, Duilio Crucuani, Osvaldo Ruggeri. Il "film Rai" del 1971, genere drammatico, ebbe come regista e sceneggiatore Alfredo Giannetti. La sua trama era inconsistente e rimane tale. Nella Roma papalina, soggetta al governo pontificio, alla vigilia di diventare Capitale d’Italia, un gruppo di oppositori giace in prigione. Fortemente ideologizzati dalle nuove teorie illuministiche e rivoluzionarie dell’Internazionale socialista, per lo più massoni o comunque anticlericali, vicini a Mazzini e sostenitori di Garibaldi, restano in carcere per poter vedere vincitrice la loro lotta. Molti, secondo la versione Rai, essendo romani, cedono e rivolgono al Papa domanda di grazia; altri, più fermi nelle loro idee, la rifiutano decisamente. Tra costoro c'è un popolano, Augusto Parenti, che, pur essendo gravemente ammalato, si ostina a resistere. Resistere! Resistere! Resistere!
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Don Aldo, prete operaio?

Nannarella, un po' più sofisticara e bella

Di idee liberali, socialiste, massoni e anticlericali, e come lui, sua moglie Teresa, una donna energica e coraggiosa che fa intraprendere la strada del sacerdozio a suo figlio Mario, cerca come può di tirare avanti, facendo la cicoria e mangiando il pane. Anche Rutelli 120 anni dopo, afferma che lui ha vissuto mangiando pane e cicoria. Spinta dal bisogno, Teresa accetta il consiglio di un sacerdote amico, Don Aldo (una specie di prete operaio), e manda il bambino in seminario. I “rivoluzionari” si cacano sotto. Infatti, Teresa non riesce a convincere nessuno dei grandi idealisti a prendere posizioni, nonostante che i piemontesi stavano a due chilometri da Porta Pia! Approssimandosi il giorno della liberazione di Roma, un patriota (cioè quello che voleva far fuori il Papa al soldo dei massoni e dei garibaldini, amico di Augusto (un lestofante, che dopo avrà tutti i meriti dell’Italia unita, sarà l’imprenditore che costruisce le case a Piazza Vittorio, che gestirà una quantità enorme di soldi) penetra clandestinamente in città con un carico d'armi (pagate da chi? La fiction Rai non ce lo dice.

I “compagni” non rispondono

Il grande Marcello Mastroianni, nella fiction Rai, un po' deludente


Questo “rivoluzionario" si rivolge a Teresa perché chiami a raccolta i “compagni”. Ma i “compagni” non rispondono. Chissà perché, mentre si sapeva che Roma stava per passare nelle mani dei Piemontesi. La maggior parte di costoro si tira indietro. Finalmente, quasi senza colpo ferire, ma anche tra lo scarso entusiasmo della popolazione, i Piemontesi entrano in Roma. La fiction fa vedere le donne che penetrano nelle carceri, i soldati beceri e idioti si fanno sopraffare. Alla testa de un gruppo di fiere popolane (ma quanti erano i carcerati a Regina Coeli o giù di lì? Teresa, addirittura, libera il marito, il quale, stremato dalla malattia, le muore tra le braccia: prima di vederlo spirare, però, Anna Magnani (Teresa) gli descriverà (ad Augusto, cioè a Marcello Mastroianni), in tono trionfale, la liberazione di Roma, così com'egli l'aveva sempre sognata. Questo più o meno sceneggiato televisivo, riproposto per celebrare i 150 anni dall’Unità d’Italia, è un lavoro che fa parte di un ciclo di quattro film girati appositamente per la RAI dal regista Alfredo Giannetti. Una delle ultime prove della grande Magnani, ormai malata. Se questo è il più bello di Giannetti, figuriamoci gli altri!

Che dire?
La Breccia di Porta Pia, Roma, 1870
Dal punto di vista storico il film non vale niente. Non fa capire chi doveva combattere contro chi. Si limita solo alla cicoria di Anna Magnani, e alla sconfitta del Papa. La Magnani, però, come al solito e nonostante la malattia, resta la nostra grande Nannarella, stupenda e strepitosa. Ma il suo ruolo è ambiguo nel film: non le dà la sua solita grinta. Non è un’eroina. E’ una mezzacalzetta che accetta le proposte oscene di un prete, per salvare il marito e per dare una “professione” al figlio, Mario. Per questo motivo, per la parte che le hanno attribuita, cade di tono, non riesce a bucare lo schermo. Resta ferma e immobile, come l’ultima scena del film sulle scale con in braccio il marito morente. Il figlio Mario, invece, quando canta l’Ave Maria (ovviamente doppiato) raggiunge il massimo della bellezza di questa finction. Il ruolo del bambino, un po’ troppo sovraesposto. Bello senz’anima, nonostante l’Ave Maria.

Mario Carotenuto, un Oscar oscurato

Il vero grande artista del film è Mario Carotenuto, al quale, a mio avviso, dovrebbe essere dato il Premio Nobel della recitazione, se esistesse, o un Premio Pulitzer per gli attori, se esistesse, o un misero Premio Oscar, che esiste, ma che non glielo hanno mai dato. Mario Carotenuto, in questo film, è veramente straordinario. Sebbene, talvolta, ingannato da una flebile regia, guarda verso la “telecamera”, resta integra la sua interpretazione. Il suo discorso di “spalla” con la Magnani è un “capolavoro”. L’accento calcato romanesco e la battuta pronta, rendono palpabile il suo discorso per convincere la madre (Anna Magnani) a mandare in seminario il figlio (Mario). Un vero e proprio capolavoro da rivedere alla moviola. Carotenuto in meno di dieci minuti dà il massimo di se stesso. Il colloquio con la Magnani dovrebbe essere studiato e trasmesso a tutti coloro che volessero intraprendere l’arte dell’attore. Mario Carotenuto è stato il vero protagonista del “film storico della Rai” (che non compare nemmeno su Wikipedia tra quelli interpretati dal “grande artista”). Ha dato il massimo di se stesso con la massima semplicità. La sua recitazione si aggrappa al suo enorme e tenero germoglio di un fiore arricchito di romanità non volgare. Conquista la gente, quella comune, fatta di tanti figli e figlie di questa Roma bistrattata che trova in lui, in questa “fiction della Rai” la sua massima espressione linguistica, piena di significato e significante. In altre parole, Mario Carotenuto ha saputo dare una trasposizione del romanesco volgare nella grandezza immensa dei cieli azzurri. Insomma: Mario Carotenuto, in questa fiction della Rai, è stato grande perché ha saputo rappresentare la genuinità delle frasi pronunciate ex abrupto, improvvisamente senza stacchi, la levatura di un personaggio di secondo piano che sale nell’ascensore della storia, la beltà della recitazione e un grande e incommensurabile trasporto verso l’arte.


Un Premio a Carotenuto da “Stampa, Scuola e Vita”


Figlio d'arte, Mario Carotenuto, visse insieme al fratello maggiore Memmo, anch'egli in seguito attore, un'infanzia turbolenta e il carattere ribelle gli varrà, una volta adolescente, anche tre anni di riformatorio (uno degli istituti di correzione in cui il giovane Carotenuto ha scontato i propri debiti con la giustizia è stato a Cairo Montenotte). Il suo debutto sul palcoscenico era avvenuto a soli otto anni al Teatro Costanzi di Roma, ma successivamente aveva svolto molti mestieri che con lo spettacolo avevano poco a che fare (attacchino, salumiere). Solo nella seconda metà degli anni quaranta inizia la carriera di attore alla radio. Si dedica quindi anche al teatro di rivista e, nel 1953, è a capo di una sua compagnia. Sempre presente nei film che hanno fatto grande la commedia all’italiana, spesso nel ruolo dell'industriale romano intrallazzatore, Mario Carotenuto interpreta più di cento film, alcuni dei quali pluripremiati ed uno, il notissimo "Lo scopone scientifico”, gli vale la Maschera d'Argento nel 1972. Anche a teatro la sua carriera è importante. Di rilievo la sua partecipazione in "L'Opera da tre soldi" di Brecht per la regia di Giorgio Streheler, cui seguirono negli anni partecipazioni importanti nei musical di Garinei e Giovannini ma anche nel teatro classico, interpretando Shakespeare, Pirandello e Molière, e brillante, Feydeau e Neil Simon, fino alla fine della sua lunga carriera. Muore all’Aurelia Hospital di Roma il 14 aprile 1995 dopo una lunga malattia. Riposa nel cimitero di Grottammare. Per l’interpretazione in questo film (per quello che vale), “Stampa, Scuola e Vita” rilascia un riconoscimento come migliore attore della fiction Rai 1971 “Correva l’anno di grazia 1870”.


“Nun me fate morì a Velletri”


Anna Magnani e Marcello Mastroianni, due grandi del cinema italiano

Ormai si scrivono gli appunti, mentre si guardano i film della Rai, si seguono programmi sempre meno credibili di quest’emittente allo sbando, su un mucchio di cartacce, di lettere della banca, del gas, della luce, del condominio, di Equitalia (ecco a che serve questo recupero credito!). Le multe sopra la tovaglia imbandita sono un formidabile appoggio per scrivere le proprie osservazioni. Una di queste riflessioni non può essere trascurata. Augusto, Marcello Mastroianni, è in carcere e sconta una pena per motivi politici. Fin qui va bene! Cosa aveva fatto? Non si sa. Anche perché ho visto la fiction a metà. Ok. Mettiamo che non aveva fatto niente. Bene. Ma che voleva fare? Eliminare il Papa. Mi sembra un mission corretta. Augusto era un rivoluzionario talebano, un partigiano, un amante della libertà? Bene. Augusto era di idee illumiste, quelle che rendono liberi gli uomini per ottenere una società più democratica, uno Stato che rispetti i bisogni fondamentale delle persone, i diritti umani, la pace, l’energia eolica. Va bene! Augusto (Marcello Mastroianni) muore per una probabile tisi che aveva contratto prima di entrare nel carcere? Nessuno lo dice nella fiction. Augusto è stato malmenato come qualche volte avviene anche oggi dai poliziotti e dalle guardie carcerarie? Non si sa. Ma quello che veramente non riesco a capire da questa miserevole fiction, che ha coinvolto anche un grande e indimenticabile attore, come Marcello Mastroianni, è perché cazzo gli hanno fatto dire “Nun me fate morì a Velletri”!


Maurizio Trani?


Non sono sicuro al cento per cento che il truccatore della fiction Rai si chiamasse Maurizio, anche perché i “cartelloni” pubblicitari del film, nemmeno su Internet, riportano chiaramente il nome di Trani. Sicuramente, so che il suo cognome era Trani. Nessuno parla mai di questi “poveri” artisti che hanno reso nobile il cinema italiano. Il 2011 sarà l’anno dell’unità dell’Italia. Perché oltre a Cavour, a Mazzini e a Garibaldi, non ci ricordiamo anche delle figure minori che hanno fatto di questa Italia un paese “forte e coraggioso”? Oltre a Fellini, c’è anche Maurizio Trani. Oltre ad Andreotti, c’è Maurizio Trani. Questo “povero” paese, con tanti yacht e tante Ferrari, con politici, giornalisti, imprenditori, manager che vanno da 500.000 euro in su, con liquidazioni mostruose di centinaia di milioni euro, perché non si ricorda anche di queste bellissime figure che, come Maurizio Trani, nell’ombra e con pochi soldi, hanno fatto bello il cinema italiano? Non è il mio un begero populismo! Riconosciamo i meriti a chi se li merita!

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