15 maggio 2010

Federico Caffè. 96 anni

Federico Caffè. Requiescat in pace
di Roberto Maurizio

6 gennaio 1914


Federico Caffè è nato a Pescara il 6 gennaio 1914, ricorrenza dell’Epifania, festa della Befana. Le armi dell’Europa aggressiva spalancano la via alla Prima Guerra Mondiale, (la Grande Guerra). Il 28 luglio 1914, l'Austria dichiara guerra alla Serbia, a seguito dell'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria, compiuto a Sarajevo (Bosnia Ersegovina), il 28 giugno 1914. Federico Caffè ha appena 173 giorni e non appartiene alla “classe di ferro”: 1913. Il futuro economista, tra i principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia e dell’economia del benessere, cresce a Pescara nella profondità del provincialismo più bieco e bigotto. Ma lui guarda in alto. Sogna di insegnare ai suoi futuri allievi un coacervo di idee tra rivoluzione e rispetto delle tradizioni cristiane, tra immagini marxiste, laiche e processionali. Al centro delle sue riflessioni esiste sempre la necessità di aiutare i ceti più deboli, dare una protezione ai derelitti e assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i meno abbienti. Il piccolo Caffè sta crescendo è guarda con parsimonia quello che gli ronza attorno. Il fascismo non è proprio un suo “modus vivendo”. Si laurea all'Università di Roma “La Sapienza” nel 1936 in Scienze Economiche e Commerciali. Nel 1939 diventa assistente presso la stessa Facoltà di Economia. Nonostante la sua bassa statura, presta il servizio militare come graduato, perché crede nell’Italia e negli italiani di buona volontà. Dopo l'8 settembre 1943 (come tantissimi altri italiani) è renitente alla leva, ma non si arruola nei ranghi dei partigiani, anche perché il suo “contributo” fisico non offre molto alla causa.

Amico e mentore

Basso, come qualsiasi uomo di non troppa elevata altezza (circa un metro e quaranta), dedica il suo “cervello” alla costruzione di un’Italia nuova, piena di speranze e di ambizioni. Nel 1945 diventa consulente del Ministro della Ricostruzione, Meuccio Ruini, durante il Governo Parri. Lavora inizialmente presso la Banca d’Italia, per poi insegnare Politica economica e finanziaria nell'Università di Messina. Insegna poi Economia Politica a Bologna. In seguito, dal 1959, fino alla sua scomparsa, è professore di Politica economica e finanziaria presso l'Università “La Sapienza” di Roma. Intere generazioni di economisti, insegnati, commercialisti, giornalisti italiani si formano alla sua scuola. Tra i suoi studenti più illustri, spicca l'attuale Governatore della Banca d’Italia, Prof. Mario Draghi. Federico Caffè è mentore e amico di Franco Archibugi, Giorgio Ruffolo, Luigi Spaventa, Marcello de Cecco, Ezio Tarantelli, assassinato dalle Brigate Rosse nel 1985, Nicola Acocella, Fausto Vicarelli, Bruno Amoroso, Guido Rey, Pierluigi Ciocca, Enrico Giovannini, Daniele Archibugi.

Lo strutturalismo cepalista



Il Prof. Caffè svolge il ruolo di relatore e correlatore delle tesi di laurea di più di mille studenti, fra le tante, anche la mia: «L’indirizzo di pensiero “Strutturalista” nell’analisi dei problemi dell’inflazione in alcuni paesi sottosviluppati», 108/110 ). Una tesi sofferta, quella sull’inflazione latinoamericana Cepalista. La Cepal (Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America Latina), negli anni ’70, in nuce, è una continuazione del pensiero keynesiano dell’intervento dello Stato nell’economia. In sostanza, la Cepal chiede allo Stato di intervenire interviene in favore delle classi più deboli, fregandosene dell’inflazione e del debito pubblico. Prima di tutti ci sono i lavoratori che devono essere tutelati, poi, lo Stato interviene con la spesa pubblica che non si preoccupa assolutamente del debito accumulato e dell’inflazione. Un’ipotesi che porta quasi alla rovina l’America Latina, negli anni ’70, con tassi d’inflazione a due cifre. Ma, cos’è che piace a Caffè della mia tesi? L’approccio eterodosso! Accanto a Carlo Marx, Wassili Leontief, Henry Aujac, Victor Argy, Hollis Chenery, Gonzalo Martner, Jan Tinbergen, Thorstein Veblen, Louis Althusser, Thomas Balogh, Roland Barthes, Duesenberry, Nurkse, Hollis Chenery, Camilo Dagum, Michel Foucault, Hans Freyer, Camilo Furtado, Joseph Grunwald, Frank Gunder, Albert Hirshman, Edmund Husserl, Nicolas Kaldor, François de Saussure, Arthur Lewis, Claude Levi Strauss, Goffrey Maynard, Anibal Pinto, François Perroux, Raul Prebish, Celso Furtado, Felipe Herrera, Dudley Seers, Osvaldo Sunkel, e poi, la Klein-Saks Mission, ed poi il “modello” di Felix, di Charles Schultze, di Roberto de Oliveira Campos. Tutti nomi ormai passati nel quasi dimenticatoio, scritti uno per uno da Paola di Umberto che aspettava Alessandro, 510 pagine.


AAA cercasi. Le società di Rating
Non è detto che questa teoria “astrusa” sia da scartare per sempre. I Mediterranei e i Latinoamericani sono “estroversi”, non sono come i tedeschi e i “lumbard”. Ma siete sicuri che vivere una vita sotto i raggi del Sole sia più noiosa delle fredde, gelide e nebbiose terre della Baviera e della Padania? Rispettare i parametri di Maastricht (stabilità dei prezzi, delle finanze pubbliche, del tasso di cambio e dei tassi interessi) serve per proteggere un’Europa a tripla velocità (Germania e forse Francia e i paesi bassi, come Caffè, i Mediterranei, sdraiati al Sole e l’ex Europa dell’Est)? La teoria Cepalista è stata sconfessata dalla Scuola di Chicago, con Milton Freedman in testa, seguita da Reagan e dalla Tactcher. Il Fondo monetario internazionale ancora “bacchetta” i paesi “Pigs”, in primo luogo la Grecia caduta sotto i “riflettori” delle società di Rating, come Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Rtings. Ma siamo sicuri che il “Default” (fallimento) sia sempre una cosa negativa? Non potrebbe rappresentare la realtà? Quando una società, un’azienda fallisce è per l’incapacità di chi l’ha amministrata. Una volta fallita, per forza, la società deve compiere dei passi in avanti per riemergere per non essere completamente strangolata. Il Cepalismo, forse, comprendeva anche questa ipotesi che adesso nessuno più persegue. Morto un Papa se ne fa un altro. Morta un’economia, come dall’Araba Fenice, può risorgere un’altra.


Il piccolo grande chicco di caffè



Il Piccolo Grande Caffè non ha avuto modo per approfondire questa ipotesi. Se ne andato misteriosamente il 15 aprile 1987, a 73 anni. A lui è dedicata la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università degli Studi “Roma Tre”, la Biblioteca del Dipartimento di Economia Pubblica dell’Università La Spaienza di Roma e l’Aula magna della Facoltà di Economia dell’Università di Chieti-Pescara e una scuola superiore Tecnica Commerciale nel quartiere Monteverde di Roma. Sono intitolate a Federico Caffè una piazza nel Comune di Roma (inaugurata alla presenza, tra gli altri, del Prof. Mario Draghi il 25 Novembre 2008) e una via nel Comune di Pescara. Federico Caffè lavorò sempre sui temi della politica economica e del Welfare, con particolare attenzione agli aspetti sociali ed alla distribuzione dei redditi. Dedicò particolare attenzione agli economisti scandinavi ed alle esperienze di tali paesi nel Welfare. Divulgò in Italia il pensiero e gli scritti di economisti scandinavi come quelli di Gunnar Myrdal. Come Keynes, Caffè appare eclettico nel suo accettare contributi eterogenei nella costruzione del grande edificio della scienza economica (per esempio include Marx ed i marginalisti). Ciò fanno apparire più forti le sue critiche al pensiero liberista. Ma questo “appunto” è solo un momento per tracciare sulla sabbia la parola fine.

Requiescat in pace (Rip)


Oggi, il Prof. Caffè, ancorché vivo, avrebbe 96 anni. L’11 luglio 1973, nel giorno della mia laurea, non so per quale recondito motivo, sembrava molto più giovane di mio padre del 1913 e di mia madre del 1917. Ecco, forse, perché speravo ancora nella sua presenza ancora in vita oggi, nonostante i suoi quasi cent’anni! Caffè, insieme a Costanzo, professore di Statistica, e a Marrama, professore di Economia politica, è stato per me come un secondo padre, molto più giovane dell’età che aveva e non dimostrava. Oggi, sono quasi sicuro che ormai non c’è più nulla da fare. Speriamo solo che riposi in pace. Requiescat in pace.

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