9 maggio 2010

Profughi invisibili

Profughi invisibili
di Roberto Maurizio

Francesca Lancini, Bruno Neri, Laura Boldrini, Giuliana Sgrena (foto di Roberto Maurizio)


La falce della mezza Luna sul Gianicolo e il batacchio


La Falce della Mezza Luna Crescente sul Gianicolo, Roma (Foto di Roberto Maurizio)


A maggio, la sera, Roma veste gli abiti più belli ed eleganti che possiede da millenni. Una luce morbida, suffusa, calda e pacata. Domina l'ocra, soprattutto nella Roma barocca, ma ovunque è presente un'ampia gamma di sfumature che vanno dal profondo rosso al giallo rossiccio, scolorito e maturato dal tempo e dall'azione continua del Sole. Dissolvenze senza soluzioni di continuità si mescolano nella secolare magia dei colori del bianco grezzo del marmo travertino, dell'argento scintillante delle vecchie fontane, del blu sempre più intenso nel quale si stagliano i campanili le cui note si tuffano nel ponentino che trasporta gli ultimi rintocchi del vespro. In un ciclo continuo, i batacchi del pendolo di ferro dolce scandiscono il tempo delle funzioni, delle ricorrenze della comunità, tristi o allegre. I batacchi delle campane romane, nelle sere di maggio, si passano il testimone di un lento, sonnolente e ingombrante suono soave da una nota all'altra, da un campanile all’altro, fino ad arrivare al Cupolone, dove la Basilica più grande del mondo esibisce le sue sei campane. Il "Campanone", con un diametro di 231,6 cm e un peso di 8.950 kg, posto sotto l'orologio in facciata (la sua nota è Fa basso calante, Fa2); il Campanoncino, campana fusa nel 1725 da Innocenzo Casini, con un diametro di 177,2 cm, con una massa di 3.640 kg, con la nota predominante in Si Bemolle 2 calante, meno sei sedicesimi di semitono; la Rota, la decana del gruppo, con 1.815 kg e la nota in Re3 calante, meno sei sedicesimi di semitono, fusa da Guidotto Pisano nel XIII secolo; la Predica, fusa nel 1909 da Giavanbattista Lucenti e pesante 830 kg, la sua nota è Fa3 calante meno otto sedicesimi di semitono; l'Ave Maria, rifusa nel 1932 da Daciano Colbacchini, con un diametro di 75 centimetri e 250 kg di peso, con la nota in Si naturale calante, meno cinque sedicesimi; la Campanella, fusa da Luigi Lucenti nel 1825, con 235 kg di peso e con un Do acuto calante di meno tre sedicesimi di semitono. Ogni nota di queste sei campane si alza in cielo, varca l'orizzonte, incontra la gente e getta nell'animo insensibile dei romani mille passioni e una straordinaria quantità di domande ancora senza risposte, per chi è senza fede. La campane, come strumento musicale idiofono e a percussione, a Roma, lanciano messaggi che vanno al di là della fede. Si uniscono al profumo solenne che si propaga dal respiro dei platani, delle querce, dei cipressi, dei pini, dei lecci, degli olmi, dei gelsi, degli allori, delle palme, delle acacie che si mescolano ai suoni magici della paulownia tomentosa, clamorosamente bella, nella sua chioma larga e puntellata da rami diversificati, con i suoi fiori violetti e i suoi frutti color ocra che si aggrappano al ficus ruminalis, come per voler dal quale succhiare il colare zuccherino dei frutti, proprio come Romolo e Remo, figli gemelli di Rea Silvia. E poi, all'imbrunire, un lento, maestoso e armonico fiume sacro ai destini di Roma, si snoda di soppiatto tra la riva destra e sinistra per mostrare ancora vittorioso i chiari segni delle acque di Albula, del non profano Romon, del Pater Tiberinus, cioè del “biondo Tevere” che osserva la falce della mezza Luna sul Gianicolo.

La sosta nella giungla, tra un busto e l’altro


Busto di Carlo Pisacane al Gianicolo, Roma (Foto di Roberto Maurizio)


A maggio, la sera, Roma, a Trastevere, diventa una giungla d'asfalto senza liane e senza parcheggi, nemmeno a pagarli oro. Venerdì 7 di questo magico mese delle rose e, per i cristiani, della Madonna, dovevo raggiungere, alle ore 20.30, il "Centro Culturale Libreria Bibli", proprio al di là del Tevere, in via dei Fienaroli 28, dove, in collaborazione con "Terre des hommes" e "East", stava per essere proiettato il documentario della giovane regista Francesca Lancini: "Profughi Invisibili. Iraq, le conseguenze di una guerra" (24’, produzione Quasar Multimedia). Alle 20.30 in punto, sono di fronte al Ministero dell’Istruzione. Non mi ricordo se si chiama ancora "della Pubblica Istruzione" e se contiene al suo interno "l’Università e la Ricerca". Forse è stata concellata "Pubblica", è stata inserita l'Università, è stata tolta la Ricerca, è stato tolto il prefisso e aggiunto un suffisso. Insomma, ero proprio davanti al Ministero che si occupa di tutto, ad eccezione dell'Istruzione: ero, comunque, a due passi dalla "Libreria Bibli". Il problema era come parcheggiare l'autovettura. Semplice, basta trovare un posto! Roma, Caput Mundi, ti offre tutte le possibilità di trovare la tua spiritualità, la tua appartenenza politica, ma il parcheggio, proprio no. Prima un primo giro del Ministero, poi un secondo, poi un terzo e, dopo, visto che sono iniziate le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, mi affido a Garibaldi e arrivo al Gianicolo, a 82 metri sopra il livello del mare. Vedo il monumento equestre del 1932 ad Anita Garibaldi, opera di Mario Rutelli, sì proprio il bisnonno dell’ex Sindaco di Roma, poi i busti di Nino Bixio, Goffredo Mameli, Luciano Manara (con il cappello rotto con una martellata), Carlo Pisacane, Luigi Mercatini ("Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti"), Lauro De Bosis, e anche lì non c’è nemmeno un posto auto per parcheggiare. Allora, di nuovo giù, verso Viale Trastevere, verso il Minculpop, costeggiando la chiesa di San Pietro a Montorio, dove si trova il Tempietto del Bramante, un sito dove qualcuno afferma che venne crocifisso San Pietro. E ancora niente parcheggio: no bramanty? no parking! Non mi resta che accettare la resa. Lasciando la Gelmini a sinistra, imbocco la strada del ritorno verso i Castelli Romani. Finalmente, un piccolo pertugio, proprio poco prima di Porta Portese. Parcheggio la mia vettura (si fa per dire, in quanto cammina una volta sì e una volta no) di fronte al Carcere Minorile. Ormai, si sono fatte quasi le 22. Non fa niente, l'importante è partecipare, Quindi, dopo una bella “galoppata”, finalmente arrivo a via dei Fienaroli 28, dopo aver sbagliato per ben tre volte la strada ed incontrato tipi di tutti i tipi.

Il dramma della diaspora silenziosa

Francesca Lancini (Foto di Roberto Maurizio)

Entro nella sala dove, ovviamente, perlomeno un’ora e mezza prima avevano già trasmesso il documentario sui profughi, mentre stava intervenendo proprio la regista Francesca Lancini, 34 anni, giornalista dal 2000 per varie testate nazionali e straniere. Le sue parole sono accorate e si sente subito la vasta preparazione della giovane giornalista che si occupa di attualità internazionale e temi legati ai diritti umani. La giovane regista è stata inviata a Cuba, in Giordania, Albania, India, Nepal, Sri Lanka e Francia.

La regista del documentario "Profughi invisibili", Francesca Lancini (Foto di Roberto Maurizio)


La Lancini, che collabora anche per "East - Europe and Asia strategies", bimestrale di politica, cultura ed economia dell'Est Europa e dell'Asia, diretto da Vittorio Borelli, è al suo primo film documentario: “Profughi invisibili”. Francesca Lancini afferma che il documentario è stato realizzato nei luoghi di assistenza della Ong “Terre des hommes Italia” per raccogliere le voci dimenticate dei profughi iracheni fuggiti in Giordania dal 2003 a oggi. Attraverso le storie di tre famiglie, il documentario racconta il dramma della diaspora silenziosa dall'Iraq, che sta avvenendo nell’indifferenza del mondo. "Già 3 milioni di persone sono fuggite e almeno mezzo milione di esse si trova in Giordania", sostiene la giovane regista. "Qui, ai profughi, non è riconosciuto lo status di rifugiati". "Ritrovandosi senza diritti, afferma la Lancini, gli esuli sopravvivono di stenti e con gravi traumi psicofisici in attesa di essere trasferiti in un Paese straniero. Così, Sciiti, Sunniti e Cristiani sono uniti da un medesimo incerto destino".

In prima linea contro la violenza, l’abuso e lo sfruttamento

Foto di Roberto Maurizio


Il “tavolo” della presentazione del documentario è moderato da Bruno Neri, responsabile emergenze di “Terre des hommes Italia”, che interviene subito dopo la giovane regista, affermando che la sua Ong in Giordania ha due centri per il supporto psicosociale ai profughi iracheni e ai poveri locali. In Iraq, sostiene Bruno Neri, la sua Ong continua a lavorare con personale del posto, ma non ha più espatriati per motivi di sicurezza. "Terre des Hommes da 50 anni, afferma Neri, è in prima linea per proteggere i bambini di tutto il mondo dalla violenza, dall’abuso e dallo sfruttamento e per assicurare a ogni bambino scuola, istruzione, cure mediche e cibo". "Attualmente, Terre des Hommes è presente in 65 paesi con quasi 1.000 progetti a favore dei bambini". "La nostra Ong ha due siti www.terredeshommes.it e www.terredeshommes.org".

Due donne protagoniste


Laura Boldrini e Giuliana Sgrena (Foto di Roberto Maurizio)

Al “tavolo” della Presidenza della presentazione del documentario, oltre alla giovane regista e a Bruno Rossi, sono presenti due “grandi protagoniste” del nostro tempo, Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Unhcr (United Nations High Commissioner for Refugee) e Giuliana Sgrena, giornalista e scrittrice de “il manifesto”, due donne eccezionali, due donne che hanno dedicato con passione la propria vita alla conoscenza, all’informazione, alla comunicazione, alla diffusione della cultura come culto della verità e come antidodo contro l’odio, il razzismo, la discriminazione sessuale e religiosa, che non si sono fermate solo all’analisi del mondo globalizzato dalle anguste redazioni o negli uffici Onu di un paese sviluppato, ma hanno viaggiato, ininterrottamente e interiorizzato i loro rapporti diretti con le donne musulmane, con il mondo arabo, africano, con la gente più povera del mondo che fugge dalla guerra e dalla persecuzione. In Mozambico insieme, proprio durante i periodi più tragici, e poi in Algeria prima, durante e dopo la guerra civile degli anni ’90, in Egitto, per non parlare dell’Iraq. Due donne “scomode” che, attualmente, non godono di grande “stima” da parte del “potere politico”. Non tutto ciò che esse pensano e sostengono deve essere preso come oro colato. Però, al di là delle loro idee, esiste in tutte e due una volontà ferrea di conoscere il mondo direttamente per raccontarlo. Sarebbe troppo bello poter discutere con loro ogni giorno dei problemi di quello che una volta veniva chiamato "Terzo Mondo", per segnare i punti di avanzamento di una dialettica che porterebbe vantaggio in tutte le direzioni. Invece, la Tv e i giornali italiani si interessano di altre cose casalinghe.

Migrante economico e rifugiato politico

Bruno Neri e Laura Boldrini (Foto di Roberto Maurizio)

Il Chairman Rossi dà la parola al portavoce dell’Unhcr, Laura Boldrini, giornalista, che da oltre vent’anni lavora nelle agenzie Onu. Dal 1998 è portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. In questi anni ha svolto numerose missioni nei più diversi luoghi di crisi, dal Kosovo al Rwanda, dall’Afghanistan all’Iraq. La Boldrini fornisce una notevole quantità di dati sui rifugiati: in Siria, attualmente, ci sono 1.500.000 e in Giordania, 700.000. In Italia, invece, dopo le ferree misure adottate con la collaborazione della Libia, assistiamo ad un dimezzamento delle domande presentate per asilo politico, da circa 37.000 a 17.000. La portavoce Unhcr ricorda la differenza esistente tra migrante economico e rifugiato o richiedente asilo politico.

Il diritto di asilo

Un momento della presentazione del documentario (Foto di Roberto Maurizio)


E’ noto a tutti il concetto di profugo, espressione priva di un contenuto giuridico usata per definire genericamente chi si è allontanato dal paese di origine per le persecuzioni o per una guerra. Ciò che caratterizza il rifugiato, invece, è l'aver ricevuto dalla legge dello Stato che lo ospita o dalle convenzioni internazionali questo Status e la relativa protezione attraverso l'asilo politico. Il fenomeno ha assunto dimensioni rilevanti dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l'Onu ha istituito un organismo appositamente chiamato a tutelare i rifugiati, l’Unhcr fondato alla fine del 1950. Di poco successiva alla fondazione dell'Unhcr è la prima definizione organica del concetto giuridico di rifugiato, contenuta nella Convenzione firmata a Ginevra il 28 luglio 1951: "Colui che, (...) temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra". Il diritto di asilo è un diritto umano fondamentale definito all'art. 14 della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” come diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni, non invocabile, però, da chi sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai princìpi delle Nazioni Unite. Hanno dunque diritto di asilo i “rifugiati”.

Lo status di “rifugiato”

Una bambina vietnamita rifugiata (Foto di repertorio)

Quello di "rifugiato" è uno status riconosciuto, secondo il diritto internazionale (art. 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951), a chiunque si trovi al di fuori del proprio paese e non possa ritornarvi a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni. Il riconoscimento di tale status giuridico è attuato dai governi che hanno firmato specifici accordi con le Nazioni Unite, o dall’Unhcr secondo la definizione contenuta nello statuto dell’Alto Commissariato. In questo senso, l'asilo politico è un caso particolare di diritto di asilo, è il diritto di asilo, cioè, di chi è perseguitato per le proprie opinioni politiche, e che è perciò un rifugiato politico. Il diritto d'asilo è un'antica nozione giuridica secondo la quale una persona perseguitata nel proprio paese per via delle proprie opinioni politiche o credenze religiose, poteva ricevere protezione da parte di un'altra autorità sovrana, come un altro Stato o una Chiesa. Questo diritto ha radici antiche nella tradizione occidentale, anche se era già riconosciuto dagli antichi egizi, greci (per i quali era anche una consuetudine di ospitalità), ebrei: Cartesio ricevette asilo in Olanda, Voltaire in Inghilterra, Hobbes in Francia (assieme a molti nobili inglesi durante la Guerra Civile Inglese). Tra gli altri rifugiati celebri, oltre ad Albert Einstein, Victor Hugo, Giuseppe Garibaldi, Enrico Fermi, il Dalai Lama, c’è anche Gesù Bambino, insieme alla Madonna e a San Giuseppe.

La tutela dei rifugiati


Francesca Lancini, Bruno Neri, Laura Boldrini, Giuliana Sgrena (Foto di Roberto Maurizio)

I rifugiati sono tutelati anche dalla Convenzione Oua (Organizzazione dell’Unità Africana, oggi, Ua, Unione Africana) di Addis Abeba nel 1969, dalla “Dichiarazione di Cartagena” del 1984, dalla “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, firmata a Roma, nel 1950, dalla “Legislazione sul diritto di asilo in Europa” (Regolamento “Dublino II”, CE n. 343/2003).

Giuliana Sgrena


Giuliana Sgrena (Foto di Roberto Maurizio)

Subito dopo l’intervento del portavoce dell’Hnhcr, Laura Boldrini, prende la parola Giuliana Sgrena, che scrive per il quotidiano “il manifesto” dal 1988, per il mensile Modus vivendi dal 1997 e per il settimanale tedesco Die Zeit. Nella sua carriera di cronista, la Sgrena ha avuto modo di realizzare numerosi resoconti da zone di guerra, tra cui Algeria, Somalia ed Afghanistan. Si è occupata particolarmente della condizione della donna nell'Islam, tema sul quale ha pubblicato diversi libri, tra cui “Il prezzo del velo”, Fertinelli Editore, 2008. Sgrena è stata candidata per le Europee del 2009 con Sinistra e Libertà e nel Congresso fondativo del partito a dicembre dello stesso anno è stata inserita nel coordinamento nazionale. La giornalista parla della sua esperienza personale in favore dei rifugiati o dei richiedenti asilo politico. Sottolinea le grandi difficoltà ancora oggi presenti in Italia su questo spinoso argomento e l’insensibilità a volte trovate anche nelle ambasciate e nei consolati di parecchi paesi del mondo. Giuliana Sgrena, nel corso del dibattito con il pubblico, parla anche del suo ultimo libro.

Il ritorno in Iraq


“ll ritorno. Dentro il nuovo Iraq” (Feltrinelli Editore, Serie Bianca, 2 febbraio 2010, 144 pagine, 13 euro) è il resoconto del viaggio in Iraq di Giuliana Sgrena, a cinque anni dal suo rapimento. Dapprima timidamente, nella regione di confine controllata dai curdi. Poi, finalmente, a Baghdad. Ritornare in luoghi tanto amati, ma anche così drammatici, non può che essere per lei fonte di vivo shock. Ma poco dopo, la giornalista del “manifesto” lascia spazio alla descrizione di ciò che vede. Ora la vita, nonostante lo stillicidio di attentati sanguinari, sembra riprendere i ritmi del periodo di Saddam Hussein. La gente torna a mangiare sulle rive del Tigri, le donne riconquistano una visibilità sociale e politica, tanto da abbandonare il velo, e anche la sinistra sociale, seppur con fatica, sembra riconquistare uno spazio che tradizionalmente le appartiene. Insomma, la nuova strategia americana di accordarsi con gli anziani dei villaggi sunniti ha di fatto tolto spazio politico alla propaganda armata del fondamentalismo islamista.


Giuliana Sgrena (Foto di Roberto Maurizio)


Ma alla vigilia del “disimpegno” americano nell’area non tutti i problemi paiono essere risolti. Rapita nel 2005 dall'Organizzazione della Jihad islamica mentre si trovava a Baghdad (Iraq) per realizzare una serie di reportage per il suo giornale, è stata liberata dai servizi segreti italiani il 4 marzo, in circostanze drammatiche che hanno portato al suo ferimento e all'uccisione di Nicola Calipari, uno degli agenti dei servizi di sicurezza italiani che dopo lunga e efficace trattativa la stavano portando in salvo.

Tutti indietro


Prima della fine della presentazione ufficiale del documentario della giovane regista, Francesca Lancini, il moderatore, ricorda anche il libro di Laura Boldrini, “Tutti indietro”, Rizzoli, 2010, pagine 252, euro 18,00. Sayed ha vent'anni. A undici anni è dovuto scappare dall'Afghanistan, lasciando la madre e la propria casa, per sfuggire a chi lo voleva costringere a combattere con i talebani. È arrivato in Italia dopo nove anni di viaggio, tra stenti e periodi di prigionia, trattato in modo disumano.



Laura Boldrini (Foto di Roberto Maurizio)



Quella di Sayed è solo una delle tante storie raccolte da Laura Boldrini nella sua lunga esperienza in prima linea. Cosa spinge migliaia di persone a cercare di raggiungere le coste italiane sfidando ogni pericolo? Che cosa sappiamo veramente di loro? Dobbiamo averne paura? È giusto respingerli, come il Governo italiano ha deciso di fare dal maggio 2009? Oggi nel dibattito pubblico si tende a considerare tutti i migranti allo stesso modo, mettendoli indistintamente in un unico grande calderone e presentandoli come minaccia alla sicurezza. Anche i rifugiati, da vittime di regimi e conflitti, finiscono per rappresentare un pericolo. Un grande equivoco che mina i principi di solidarietà e di diritto radicati da sempre nella società italiana.

Passione e coraggio


Francesca Lancini, Bruno Neri, Laura Boldrini, Giuliana Sgrena (Foto di Roberto Maurizio)

Dalle parole di Laura Boldrini emerge una realtà invisibile all'opinione pubblica. L'autrice, che negli anni ha affrontato con passione e coraggio alcune tra le principali crisi umanitarie - dal Kosovo, all'Afghanistan, dal Sudan all'Iraq - racconta la propria esperienza, maturata nell'incontro costante con il dolore di chi è costretto a scappare. Ma descrive anche l'Italia della solidarietà, spesso oscurata dai mezzi d'informazione: dagli uomini che mettono a rischio la propria vita per salvare in mare i naufraghi partiti dalle coste africane, alle tante persone che nel rapporto quotidiano con immigrati e rifugiati realizzano un'integrazione vera e spontanea, gettando le basi per la società italiana del futuro. Oggi si tende a considerare tutti i migranti allo stesso modo, mettendoli indistintamente nel grande calderone degli immigrati clandestini. Ma che cosa si conosce di queste persone e delle loro difficili esistenze? Non abbastanza, è l’avviso dell’autrice. E poiché i mezzi di informazione offrono troppo poco spazio per restituire all’opinione pubblica l’altra faccia degli sbarchi e del dramma che c’è dietro, diventa facile trasformare queste storie in paura. Anche i rifugiati in cerca di una via di scampo da guerre e persecuzioni finiscono per essere percepiti come minaccia alla sicurezza. Un tragico equivoco che mette in discussione i principi di solidarietà e di diritto che hanno da sempre caratterizzato la società italiana. In questo libro Laura Boldrini, racconta, attraverso la sua esperienza sul campo, quello che succede nei cosiddetti viaggi della speranza, nella fuga verso la pace e la sicurezza; parla di chi presta soccorso nel Mediterraneo, spesso rischiando in prima persona, e rivela anche un’Italia poco conosciuta, quella che all’orrore resiste con l’umanità.

Aspettando un nuovo Garibaldi


Statua equestre di Giuseppe Garibaldi al Gianicolo, Roma (Foto di Roberto Maurizio)

Prima che si spengano definitivamente le luci della ribalta, dopo l’ultima domanda del pubblico da parte di un calabrese per caso su “quando c’era lui” (Saddam), mi accosto e saluto le mie due “vecchie amiche”, Laura e Giuliana. I ricordi si accavallano e si intrecciano. La serata è passata in fretta, come troppo in fretta passano le notizie sul sottosviluppo, sulla gente del Sud della Terra in difficoltà, sulla fame nel mondo, sui bambini che muoiono per mancanza di cibo, sui fanciulli e le fanciulle che a Bagdad quest’estate continueranno a prendere i sonniferi per poter dormire senza sentire un caldo afoso perché privi di corrente elettrica, sull’insensibilità di una parte del mondo egoista legata sola agli indici di borsa. Dopo 30 anni, l’Italia non solo non è cambiata, è peggiorata. I cosiddetti Media italiani non hanno mai fatto informazione e mai pensato di diffondere la comunicazione sui paesi meno fortunati. E continuano a non farla nonostante la globalizzazione. “Stampa, scuola e vita” ha cercato, con i suoi potenti mezzi, di dare un senso alla sua “mission”: dalle notizie ai fatti. Purtroppo, non si può fare niente senza notizie e il giornalismo italiano non ha mai prodotto informazioni perché crede che alla gente non gliene frega niente del Corno d’Africa e del Bangladesh. L’Afghanistan e Haiti, se non fossero stati colpiti da vere e proprie tragedie, non esisterebbero neppure nell’immaginario dell’italiano “medio”. Che peccato! A Trastevere, in una serata di maggio c’è stata un’occasione irripetibile, costruita sui grandi valori che dovrebbero unire l’umanità. Il buio della notte, interrotto solo dalle luci a fascio dei ristoranti, fa da cornice all’insensibilità di questa classe politica superata perfino dall’interesse che si sprigiona dai busti di marmo inanimati di Goffredo Mameli e di Carlo Pisacane. Non ci resta altro che attendere un nuovo Garibaldi!

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Tutte le foto dell'incontro sono pubblicate sul sito http://www.maurizioroberto.com/ e su Facebook Roberto Maurizio

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