30 dicembre 2009

Oroscopo 2010

Oroscopo 2010
di Roberto Maurizio



Un anno sprecato per l’Astronomia
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Senza colpo ferire, finisce drammaticamente il 2009: l’Anno dell’Astronomia. Questa “vecchia” e sublime scienza ha subìto ancora una volta uno smacco dai media. La colpa di questo inevitabile insuccesso è dei sapientoni che vogliono elevare questa scienza “a portata di occhi” come qualche cosa astrusa, complicata, matematicamente incomprensibile. “Leonardo”, la rubrica degli intellettuali di Rai3, ha snobbato l’astronomia; il giornalista scienziato con il piccone e con il diploma dello scientifico, anche al di fuori dei salotti bene dell’alta classe di sinistra, è riuscito finanche a negare l’esistenza delle costellazioni zodiacali: “un imbarbarimento di stelle appiccicate con la forma voluta dai pazzi e visionari esseri terrestri”. E giù, sempre più giù addosso all’Astrologia. Che l’Astrologia non sia perfettamente scientifica è risaputo da tutti. Ma gli oroscopi, gli ascendenti zodiacali, i tarocchi, anche quelli dell’oroscopopiopaio Paolo Fox, sarebbero potuto essere un primo gradino per spiegare a tanti amanti del Cielo, non quello di Sky o degli australiani dell’emisfero senza Stella Polare, senza Piccolo e Grande Carro, senza Cefeo e Casiopea, senza Perseo e la Corona Boreale, la bellezza dell’Universo intero. Se si alzano gli occhi al cielo si vedono milioni di milioni di stelle, ma se tra quelle stelle ci si potrebbe riconoscere sarebbe un evento per far avvicinare a questa “vecchia” e “bellissima” scienza.

Con la puzza sotto il naso


Margherita Hack



Margherita Hack, forse la più grande astronoma italiana vivente, appartenente all’Unione Atei, Agnostici e Razionalisti, taglia corto. L’Astrologia è una balla di colossali dimensioni; le religioni, di conseguenza, sono l’oppio dei popoli. Così, la grande astrologa si inemica un miliardo di persone che credono all’oroscopo, più di un miliardo e mezzo che credono nella Luna crescente e altrettanti, quelli della Stella Cometa su Betlemme. Chi cazzo gli resta alla Hack? I cinesi e gli indiani? Altri 3 miliardi di persone. No. Perché anche questi hanno i loro riti e le loro superstizioni. Gli Atzechi? Nemmeno. Gli Egizi? Manco a dirlo. Allora dove sono e quanti sono gli Atei, Agnostici e Razionalisti nel mondo? 10 milioni? 100 milioni? Un miliardo? O solo quattro gatti! Con la puzza sotto il naso, gli scienziati accreditati e pronti a ricevere il lucroso Premio Nobel (meno male che non l’hanno nemmeno previsto) scartano fin dal principio la possibilità di ottenere ascolto da miliardi di persone interessate alla conoscenza dell’Universo. Li considerano dei somari e cartomanti. Mentre non sanno che il dovere di uno scienziato è quello di spandere il “verbo” della scienza. Un anno passato inutilmente che ha visto arroccato sulle loro posizioni gli scienziati che non hanno prodotto nessun risultato sull’interesse tanto sentito da miliardi di persone.



I segni zodiacali




Queste persone, invece seguono gli oroscopi e si occupano dello Zodiaco. Quello del 2010 sarà come quello del 2110 e come quello del 1910. Inizia con l'Ariete che va dal 21 marzo fino al 20 aprile, il Toro che va dal 21 aprile fino al 21 maggio, i Gemelli che vanno dal 22 maggio fino al 21 giugno, il Cancro che va dal 22 giugno fino al 22 luglio, il Leone che va dal 23 luglio fino al 23 agosto, la Vergine cha va dal 24 agosto fino al 23 settembre, la Bilancia che va dal 24 settembre fino al 23 ottobre, lo Scorpione che va dal 24 ottobre fino al 22 novembre, il Sagittario cha va dal 23 novembre fino al 21 dicembre, il Capricorno che va dal 22 dicembre fino al 20 gennaio, l'Acquario che va dal 21 gennaio fino al 19 febbraio, i Pesci che vanno dal 20 febbraio fino al 20 marzo. Questi segni zodiacali indicano la posizione del Sole durante l’anno. Sono, più o meno, uguali a quelli astronomici. L’importante sarebbe far vedere le stelle a tutti, anche partendo da un momento storico in cui il soggetto interessato è attratto dalla sua “Costellazione”. Oggi siamo nel segno del Capricorno, mancano poche settimane all’Acquario!




29 dicembre 2009

No Somalia Day. Il peggio del peggio. 31 gennaio 2010

“No Somalia Day, il peggio del peggio”. 31 gennaio 2010
di Roberto Maurizio Il quadro è di Roberto Maurizio (1967). Rappresenta la sconfitta dell'arroganza degli inetti contro la bontà degli uomini di buona volontà. La vittoria del bene contro il male. Anche se le fiamme predominano temporaneamente saranno annientate dallo sguardo lucido e vivido della ragione suprema dell'esistenza superiore della misericordia infinita che guarda al di là dei confini della storia e della pietà.
Il peggio del peggio

“Stampa, Scuola e Vita” lancia sul Web il “No Somalia Day 2010, il peggio del peggio” (Spdp). Sicuramente, non avendo sponsor, sarà un fiasco annunciato. Cmq, aspetto appoggi inaspettati. La proposta sarà presente anche su Fb. Sicuramente, anche questo “filone” non avrà successo.


Sviluppo sostenibile




L’obiettivo di “Stampa, Scuola e Vita” è quello di “rastrellare” la sensibilità di persone che da anni cercano di salvare la vita ai bambini e sono stati traditi e derubati da persone che vogliono solo “rastrellare” solo i loro soldi. La vita dei bambini del mondo sarà salvata solo quando in questi paesi saranno raggiunti la crescita e lo sviluppo economico. Solo il rispetto dei diritti umani e la democrazia potranno essere i pilastri dello sviluppo sostenibile. Solo un’Onu riformata potrà raggiungere questa situazione idilliaca, portando la mortalità infantile nel mondo a livello della Svezia. Il Premio Nobel sarà attribuito a questo paese che nel corso di secoli non ha mai dato nulla per il sottosviluppo, se non quel porco 0,45% del Pil di un paese così ricco che dà lo 0,95% per le pollastre adulte, e ha dato molto a Obama e a Dario Fo.


Aksum





Oggi, purtroppo, la Somalia è il più brutto paese del mondo, un paese senza storia. Appena sei righe, su Wikipedia, per raccontare 3 mila anni passati nella completa solitudine di una gente le cui radici si perdono nell’oscurità della storia, mai prima raccontata. La regione fu conosciuta attraverso gli antichi egizi. Fra il Secondo e il Terzo Secolo d.C. varie parti del territorio furono inglobate nel Regno etiope di Aksum. Poco tempo dopo, alcune tribù arabe si stanziarono non molte distante dalla costa del Golfo di Aden e lì formarono un sultanato che aveva come capitale il porto di Zeila. Allo stesso tempo il paese si islamizzò a causa degli sciiti provenienti dalla Persia. Nonostante ciò, gli abitanti mantennero le loro lingue ancestrali al posto di adottare l'arabo e divennero sunniti.


Condanna a morte




La Somalia è, dunque, un paese musulmano al 99% sunnita. La piccolissima Chiesa cattolica somala è costituita dalla Diocesi di Mogadiscio ormai quasi scomparsa a causa delle persecuzioni dei fedeli e delle distruzioni delle chiese. In Somalia la libertà religiosa è repressa. L’ordinamento prevede, infatti, la pena di morte per apostasia.



Pirati, bulli e fondamentalisti




Nonostante tutto, gli uomini veri somali e le bellissime donne somale non assomigliano affatto a questi quattro delinquenti che fanno i pirati, fanno i bulli, fanno i fondamentalisti islamici senza aver mai letto una riga del Corano, fanno il bello e il cattivo tempo, mentre la Somalia è allo sbando. Per la Somalia non ci saranno sicuramente tempi migliori, fino a quando “Stampa, Scuola e Vita” non organizzerà il “No Somalia Day, il peggio del peggio 2010”. Appuntamento: 31 gennaio 2010.

28 dicembre 2009

Somalia. Le terre del diavolo

2010. Somalia, il peggio del peggio
di Roberto Maurizio

Gli Stati Canaglia



Ricordo perfettamente gli “Stati Canaglia” di Bush dopo l’11 settembre del 2001: Iraq, Afghanistan, Corea del Nord, Cuba, Siria, Iran, Sudan e Somalia. L’espressione “Stati Canaglia”, “Rogue States” venne coniata prima di Clinton, che nell’ultimo semestre del suo mandato tramuto l’appellativo in “State of Concern”, traducibile in “Stati da seguire con attenzione”. Ma George W. Bush tornò alla prima espressione. Mentre per i primi due “Stati Canaglia”, Iraq e Afghanistan, i bombardieri americani riportarono alla ragione i due regimi tirannici e dittatoriali, per la Corea del Nord si va ancora avanti tra uno stallo dopo l’altro. Cuba dorme sonni tranquilli aspettando la fine “naturale” del dittatore tanto amato e tanto odiato dal popolo, come tutti i dittatori che si rispettano; Siria, Iran e Sudan, sono sull’orlo della brace e anche qui si aspetta che i tizzoni ardenti si spengano per mancanza di ossigeno. L’unico Stato canaglia che la comunità internazionale ha completamente abbandonato è la Somalia, un paese nelle mani del diavolo, inteso come il disinteresse estremo per il rispetto dei diritti umani e della salvaguardia dei bambini.


Un paese immerso nel buio e nelle fiamme dell’arroganza



Una popolazione allo stremo, milioni di cittadini allo sbando; morte, fame, distruzione, inciviltà, oblio, non curanza dei media italiani impegnati a seguire le traiettorie delle “madonnine” tirate in faccia a Berlusconi e ad applaudire agli spintoni verso il “Pastore tedesco”. Dopo la “ritirata” poco dignitosa dalla Terra di Satana, prima degli Stati Uniti (1994) e poi dell’Onu (1995), con il fallimento completo della missione Unosom, alla quale partecipava anche l’Italia; dopo l’uccisione della giornalista italiana, Ilaria Alpi il 20 marzo 1994, una morte ancora immersa nel buio delle tenebre di un paese in cui le fiamme avvolgano fatti e misfatti di un’area troppo vicina all’Arabia Saudita, l’unica soluzione sarebbe un intervento massiccio delle potenze mondiali per distruggere alle radici poche centinaia di migliaia di indiavolati e fondamentalisti che fanno il loro porco comodo appoggiati da non si sa chi. Una missione impossibile.



La Zanzara e il Ragioner Rossi



Ma riportare l’ordine e la pace in Somalia, significherebbe buttare ancora milioni di bombe. E come sparare con un mitragliatore contro una zanzara. Ma gli Stati Uniti hanno fatto sempre così. Con le loro bombe hanno prodotto un cambiamento climatico sulla Terra e nessuno dice nulla e, a Copenhagen, al Summit mondiale sul clima, se la prendono con il Ragionier Rossi, con la sua Seicento, con la sua folle idea di lavarsi tutti i giorni utilizzando l’acqua senza chiudere il rubinetto, con il suo folle gesto di scaricare lo sciacquone del water ogni giorno e forse anche più e pulirsi con la carta igienica, un’invenzione del diavolo che condurrà la Terra all’estinzione fra non molto tempo.


Afghanistan, anime in cerca di cielo


Ricordo perfettamente la Luna Piena che alle 8 della sera del mese di novembre del 2001 si alzava sull’orizzonte e mi indicava là dove il rombo delle ali volanti della civiltà democratica si sarebbe abbattuto su povere casupole che ospitavano temibili terroristi senza scarpe e senza ombrelli. I bombardamenti sull’Afghanistan rimbombavano fino sulle mura della Città Eterna. La Luna Piena indicava esattamente la luce delle polveri “civili” che si sarebbero sollevate sulla popolazione senza protezioni.

The Butterflay Effect




Dal 7 dicembre 1941 ad oggi, gli Stati Uniti hanno lanciato miliardi di bombe in tutto il mondo, sconvolgendo, secondo me, anche l’inclinazione dell’Asse terrestre, con le successive ed inevitabili conseguenze ambientali, ad iniziare dal Niño. Una cretinata tutta da dimostrare. Ma se fosse vero che “il minimo battito di un’ala di una farfalla in Amazonia sia in grado di provocare un uragano” (The Butterfly Effect), se avesse, quindi, ragione Edward Norton Lorenz, pioniere della “Teoria del Caos” (da non confondersi con Konrad Lorenz, lo scienziato etologo e filosofo austriaco, presente in questo blog, con Otto Max Lorenz, l’economista americano “padre” della “curva sulla distribuzione del reddito”, e con il più prosaici e costosi orologi milanesi Lorenz), figuriamoci l’impatto sull’ambiente terrestre delle bombe e delle trivellazioni di petrolio, di carbone, di diamanti. Edward Norton Lorenz, in un suo scritto del 1963, preparato per la “New York Academy of Sciences”, sosteneva che secondo “Un meteorologo le sue teorie erano corrette, per cui un battito delle ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre”. In discorsi e scritti successivi, Lorenz usò la più poetica farfalla, forse ispirato proprio dal suo diagramma generato dagli attrattori, che somigliano proprio a tale insetto, o forse influenzato dai precedenti letterari (anche se mancano prove a supporto). “Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas”? Fu il titolo di una conferenza tenuta da Lorenz nel 1979. Ma se un battito di una farfalla potrebbe generare un tornado, perché mai le bombe fatte esplodere dal paese più “democratico” del mondo, gli Stati Uniti, non dovrebbero produrre scompensi sul clima?


Bomba su bomba

Ogni bomba lanciata su Foggia, ogni missile esploso durante la guerra di Corea e in Vietnam, ogni granata fatta brillare in Medio Oriente, ogni bombardamento trasmesso in diretta televisiva dalla Cnn su Bagdad, possibile che non abbia procurato nulla sul nostro piccolo grande ambiente? E le bombe atomiche? Quelle su Hiroshima e su Nagasaki, quelle fatte deflagrare nelle viscere della Terra, sotto i ghiacciai, nascoste sotto la sabbia del deserto da paesi “civili” come l’Usa, l’Urss, la Francia, Regno Unito, Israele, India, Cina, Pakistan, sono colpi allo stomaco della nostra amata Terra. E poi se la prendono con il signor Rossi o con le fabbriche che danno lavoro a miliardi di persone.

Il pianto delle prefiche


Basta con le esplosioni. Gaia, la nostra Terra tramortita da esplosioni nucleari e da bombe sganciate durante guerre una dietro l’altra armata, trascurata da una becera sinistra che va a fare i reportage con nostri soldi sugli animali nati liberi, bestie che non solo non sono libere ma sono divorate dai leoni e non se la prende più con le guerre e i guerrafondai. Un’informazione da quattro soldi per imitare le più blasonate trasmissioni televisive americane e inglesi solo per non aggiungere niente a quello che già si sa, copiando e incollando, rubando con i nostri soldi, per immolare sull’altare della verità il disfattismo e il catastrofismo tipico delle “prefiche”. Ma le “prefiche” sono state pronte a piangere sul sangue di Berlusconi e a far riempire di gioia gli avversari che avrebbero voluto 100, 100.000 statuette da lanciare. Le “prefiche” hanno pianto lacrime di infamità. Come quelle che stanno sconvolgendo l’amata Somalia, una Terra abbandonata da Dio in pasto al diavolo, quello che ha portato via il corpo e l’anima di Ilaria Alpi.


Non c’è pace per il Regno di Satana


Nel giorno di Natale si sono registrate almeno 15 vittime civili nei combattimenti fra le truppe governative e i miliziani islamici che controllano buona parte del paese. Scontri che sono proseguiti anche ieri mattina, 27 dicembre 2009, causando la morte di altre tre civili e il ferimento di altri cinque. Le caserme dei peacekeepers dell'Unione Africana sono state l’obiettivo di diversi attacchi condotti a colpi di artiglieria pesante, caduti anche su case di civili. Dall’inizio dell’offensiva dei radicali islamici, lanciata nel maggio del 2008, si contano oltre 20 mila morti e circa un milione e mezzo di profughi dalla sola Mogadiscio.

La Somalia è uno degli Stati politicamente più instabili al mondo

Situato nel Corno d'Africa, il paese diviene indipendente nel 1960, quando vengono unificati i territori dell'Unione della Somalia (sotto Amministrazione fiduciaria italiana) e del Somaliland (Protettorato britannico). Nel 1969, con un Colpo di Stato, prese il potere il generale Siad Barre, che lo mantenne per oltre venti anni. La progressiva perdita di consenso popolare spinge Barre a dar vita a una politica sempre più autoritaria, che rafforza l'opposizione interna. Si riaccende (1977) anche l'annoso conflitto con l'Etiopia per la regione semidesertica dell'Ogaden. Nel 1991, i movimenti di liberazione interna rovesciano la dittatura e proclamano la Repubblica. La situazione interna però, si dimostra da subito turbolenta, e, già nello stesso anno, nel nord del paese il Somaliland si proclama repubblica indipendente. Quando, l'anno successivo, la comunità internazionale decide di intervenire per stabilizzare il paese, inizia una fase di caos e anarchia che si protrae fino ai nostri giorni. La radicalizzazione dello scontro tra i "Signori della guerra" e il contingente americano fa naufragare la missione Onu di Peacekeeping "Restore Hope" (cui partecipa anche l'Italia). Dal 1995 di fatto l'Occidente cessa di occuparsi direttamente della Somalia.

I Signori della Guerra


Negli anni successivi la Somalia attraversa una fase di frammentazione, con il consolidamento di poteri locali legati ai clan e ai "Signori della guerra". Le ultime vicende storiche riguardano la formazione (2004) di un effimero Governo di transizione, sostenuto dall'Etiopia, che però viene facilmente estromesso da Mogadiscio nel 2006 dalle Corti islamiche, formazione fondamentalista sostenuta da Iran e Libia, che impongono un regime rigidamente religioso ma anche una pacificazione provvisoria. Nel 2007 gli equilibri vengono nuovamente rovesciati dall'intervento etiope, che restaura con le armi il Governo di transizione a Mogadiscio, al prezzo però di una recrudescenza del conflitto, che provoca migliaia di vittime civili e l'aprirsi di una nuova crisi umanitaria. Il paese è soggetto a periodiche siccità che hanno peggiorato la, già precaria, situazione di vita della popolazione. Il paese ha uno dei tassi di mortalità infantile più alti del mondo con 225 bambini morti per 1000 nati vivi. Le cause principali di morte sono la dissenteria, le infezioni respiratorie e la malaria (si stima che l'87% dei somali siano a rischio di malaria).


Il Dolce Stil Novo


Meno del 30% della popolazione ha accesso all'acqua potabile; la malnutrizione è in crescita e la malnutrizione acuta compisce il 17% della popolazione. Lo stile di vita nomade delle popolazioni rurali della Somalia rendono difficile l'implementazione di un programma di vaccinazioni, di conseguenza morbillo e colera costituiscono una pericolosa minaccia. Il tasso netto di iscrizione alla scuola primaria è solo del 13% per i bambini e 7% per le bambine. La Somalia, non avendo un governo riconosciuto da tutte le fazioni in lotta, è uno degli unici due Stati al mondo a non aver ratificato la Convenzione sui diritti dell'infanzia.


Condizioni pietose senza anima e senza umanità


La Somalia, ex colonia italiana, sotto il Governo di Craxi possedeva la più grande università dell’Africa, riceveva aiuti consistenti. Oggi, il Governo di destra di Berlusconi ha chiuso i cordoni della borsa. L’avevano fatto pure i governi della cosiddetta sinistra cattocomunista. Uno schifo che è stato il risultato di Mani Pulite e della morte di Ilaria Alpi. Dal 1994 in poi, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo è stata smantellata, sono stati assunti personaggi di secondo piano senza educazione alla cooperazione. La Somalia abbandonata a se stessa e ad una banda di assassini, senza che la Chiesa cattolica con tutte le sue diramazioni, impegnate anche a combattere il Berlusconismo, abbia mosso un dito in favore dei nostri fratelli somali. Nel 1994, pur essendo anche allora uno dei paesi più poveri del mondo, la Somalia aveva una sua dignità, aveva dei leaders che avevano viaggiato e vissuto in altri paesi europei e africani. Forse erano corrotti, secondo Di Pietro, ma non ammazzavano le persone e si occupano del benessere della popolazione, Una Somalia, degna di questo nome, che dovrebbe far emergere in tutti gli italiani, non come colonialisti di accatto, ma come figli di uno stesso Dio di quello dei Somali, figli di una stessa civiltà, quella promulgata dalle Nazioni Unite, figli di una stessa madre, la bontà che è nel Dna dei due popoli, l’indignazione di una situazione non più accettabile come umana.

Nessun Paladino per Mogadiscio



Mentre gli analisti dell’“Economist Intelligence Unit”, una società sorella di “The Economist”, ha identificato il peggior paese al mondo per il 2010, nessuno in Italia si erge come Paladino per combattere questa atroce situazione di un paese africano assegnato alle nostre “cure”. La Somalia Italiana è un’area sconosciuta dai nostri giornali e dalla nostra popolazione. Ci dovremmo solamente vergognare! Il Pdl, il Pd, i Francesconi e i Franceschini, i Berlusconi i Berluschini, i Bersanini e i Bersanoni, i Dipietrini e i Dipietroni, se ne fregano altamente dall’alto dei loro scranni conquistati a Montecitorio. La Somalia non ha Paladini né Paladoni in Italia.
Turchilometrienistan, il penultimo; Somatrienistan, una forzatura
La Somalia, dunque, il paese peggiore del mondo del 2010, il più derelitto, il più abietto, il più “schifoso” del mondo. I precedenti vincitori di questo dubbio onore includevano l'Afghanistan (prima del 2001) e il Turchilometrienistan. Stavolta, il campione è in Africa. Colpito dalla piaga della guerra civile, stritolato da povertà e pirateria rampante, la Somalia sarà nel 2010 il peggio del peggio. Chiamare la Somalia un paese è una forzatura. Ha un Presidente, un Primo ministro e un Parlamento, ma con scarsa influenza al di fuori di poche roccaforti nella capitale, Mogadiscio. Ciò che passa per un Governo è protetto da una forza di “peacekeeping” dell'Unione africana che presidia il palazzo presidenziale. Gran parte del Paese è controllata da due fazioni islamiste radicali armate, al-Shabab (la Gioventù) e Hizbul Islam (Partito dell'Islam), che ingaggiano regolarmente scontri con le forze leali al Governo. Entrambi chiedono l'imposizione di severe leggi islamiche, in quello che equivarrebbe alla talebanizzazione della Somalia. Al-Shahab si è assunta la responsabilità di attentati suicidi a Mogadiscio, lo scorso settembre, che uccisero 17 membri delle forze di pace; gli Stati Uniti d’America, quella democratica di Obama, considera il gruppo un alleato di Al Qaeda. “I paesi poveri sono spesso definiti dai loro deboli risultati nel campo della salute, dell'educazione e del reddito, ma le condizioni in Somalia sono in gran parte troppo devastate per poter essere anche soltanto misurate. I pochi dati che si possono raccogliere sono realmente terribili: secondo la Fao, più del 40 per cento della popolazione ha bisogno di aiuti in cibo per poter sopravvivere, e un bambino su cinque è gravemente malnutrito. I continui combattimenti hanno costretto a vaste migrazioni interne oltre 1,5 milioni di persone, di cui un terzo vivono ora in campi di fortuna in condizioni pietose. Le organizzazioni internazionali sono state in grado di rifornirli con metà dell'acqua di cui hanno quotidianamente bisogno.

Ilaria Alpi e la pirateria




La Somalia verrebbe notata poco, se non fosse per la sua industria in più rapida crescita: la pirateria. La Somalia si estende sulla punta dell'Africa orientale e dentro il Golfo di Aden, uno dei luoghi al mondo con più traffico nelle rotte navali. Più di 20 mila navi mercantili attraversano il Golfo ogni anno, un bersaglio invitante per i pirati somali, che hanno sviluppato un mercato redditizio, catturando navi e chiedendo riscatti. L'International Maritime Bureau ha contato circa 40 sequestri andati a segno nel 2008 e altri 31 soltanto nella prima metà del 2009. Navi da guerra dell'Unione europea, degli Stati Uniti e di altre potenze adesso pattugliano le acque, ma i pirati hanno spostato i loro attacchi ancora più al largo. La pirateria in Somalia inizia nel 1992 dopo una serie di vicissitudini politiche, e secondo i somali svolge anche un ruolo di controllo e contrasto alla pesca illegale che depreda le acque somale senza che il Governo sia mai intervenuto in alcuna maniera. Quindi, Ilaria Alpi, forse, si stava interessando, senza saperlo, di pirateria già nel 1994, un’attività appena sul pelo dell’acqua. Perché nessuno ha mai parlato di inchieste su questo bubbone che oggi fa della Somalia il paese più “affascinante del mondo”: quello dei pirati. Il Corsaro nero, l’Isola del Tesoro, lo Sparviero del mare, Sinbad il marinaio, l’Ultimo dei bucanieri, il Pirata Barbanera, la Tigre dei Sette Mari, i Pirati del Tortuga, quelli della Malesia, quelli di Maracaibo rappresentano un filone di libri più letti dai ragazzi dell’Occidente, dove Capitan Uncino diventa un mito per molti bambini del mondo.

Quattro milioni di dollari
Mentre in Somalia ogni giorno la sofferenza, la fame e la morte della popolazione, soprattutto quella giovanile, sono una realtà quotidiana, i pirati rubano i ricchi per riempirsi le loro luride tasche. Infatti, è proprio di ieri, 27 dicembre 2009, la notizia che un elicottero ha lasciato cadere un riscatto di 4 milioni di dollari sul ponte di una nave cinese che trasporta carbone dirottata da pirati somali a metà ottobre. Lo ha riferito uno dei pirati a bordo dell'imbarcazione. La nave De Xin Hai coi suoi 25 membri di equipaggio e 76mila tonnellate di carbone, partita dal Sudafrica e diretta al porto indiano di Mundra, era stata dirottata il 19 ottobre nell'Oceano Indiano circa 700 miglia a est del Corno d'Africa. Le bande di pirati somali hanno fatto decine di milioni di dollari in riscatti per le navi dirottate lungo le rotte dello strategico Golfo di Aden che collega Europa e Asia.

24 dicembre 2009

Israele contro Babbo Natale

La Terra Santa contro Babbo Natale
di Roberto Maurizio

Un Babbo Natale Palestinese


La barba di Santa Claus


Gerusalemme


La figura di Babbo Natale ormai ha travalicato il suo significato religioso cristiano per riassumere la figura mitica presente nel folclore di molte antiche culture europee di una persona con la barba bianca e un vestito rosso che distribuisce doni ai bambini la sera della vigilia di Natale. Babbo Natale, Santa Claus, Santa Klaus, Père Noël, Sinterklaas, Kleeshen, Kerstman, Sint Maarteen è diventato un elemento importante della tradizione natalizia della civiltà occidentale oltre che in America Latina, in Giappone e in altre parte dell’Asia orientale.

Israele, Ashdod



San Nicola di Bari tra prostitute, cravattari e carcerati




Ucraina

Come è noto, il primo personaggio dal quale si crede che deriva Santa Clauss sia San Nicola di Mira (più noto in Italia come San Nicola di Bari), un vescovo cristiano del IV secolo. Mira (o Myra) era una città della Licia, una provincia dell'Impero bizantino che corrisponde all'attuale Anatolia, in Turchia. In Europa (in particolare nei Paesi Bassi, in Belgio, Austria, Svizzera e Germania) viene ancora rappresentato con abiti vescovili e con la barba. San Nicola è considerato il proprio patrono da parte di marinai, mercanti, arcieri, bambini, prostitute, farmacisti, avvocati, prestatori di pegno, detenuti. È anche il santo patrono della città di Amsterdam e della Russia. In Grecia, San Nicola viene talvolta sostituito da San Basilio Magno (Vasilis), un altro vescovo del IV secolo originario di Cesarea. Nei Paesi Bassi, in Belgio e in Lussemburgo, Sinterklaas (Kleeschen in lussemburgese) viene festeggiato due settimane prima del 5 dicembre, data in cui distribuisce i doni (il suo compleanno risulta essere il 6 dicembre).

Gerusalemme vecchia

San Martino e San Basilio



Gaza

L'equivalente di Babbo Natale in questi paesi è Kerstman (letteralmente "uomo di Natale"). In alcuni villaggi delle Fiandre, in Belgio, si celebra la figura, pressoché identica, di San Martino di Tours (Sint-Maarten). In molte tradizioni della Chiesa ortodossa, San Basilio porta i doni ai bambini a Capodanno, giorno in cui si celebra la sua festa.


La calza della Befana


Indonesia

Prima della conversione al cristianesimo, il folklore tedesco narrava che il dio Odino (Wodan) ogni anno tenesse una grande battuta di caccia nel periodo del solstizio invernale (Yule), accompagnato dagli altri dei e dai guerrieri caduti. La tradizione voleva che i bambini lasciassero i propri stivali nei pressi del caminetto, riempiendoli di carote, paglia o zucchero per sfamare il cavallo volante del dio, Sleipnir. In cambio, Odino avrebbe sostituito il cibo con regali o dolciumi. Questa pratica è sopravvissuta in Belgio e Paesi Bassi anche in epoca cristiana, associata alla figura di San Nicola. I bambini, ancor oggi, appendono al caminetto le loro scarpe piene di paglia in una notte d'inverno, perché vengano riempite di dolci e regali da San Nicola - a differenza di Babbo Natale, in quei luoghi il santo arriva ancora a cavallo. Anche nell'aspetto, quello di vecchio barbuto dall'aria misteriosa, Odino era simile a San Nicola (anche se il dio era privo di un occhio). La tradizione germanica arrivò negli Stati Uniti attraverso le colonie olandesi di New Amsterdam e New York, prima della conquista britannica del XVII secolo, ed è all'origine dell'abitudine moderna di appendere una calza al caminetto per Natale, simile per certi versi a quella diffusa in Italia il 5 gennaio all'arrivo della Befana.


Fondamentalismo a Gerusalemme


Cina, un pericoloso Babbo Natale

Nessun giornale italiano ha parlato della notizia riportata da “Le Figaro” il 23 dicembre: “La Terra Santa dichiara guerra a Babbo Natale”, una corrispondenza di Marc Henry. Mentre in tutti i paesi del mondo, viene “osannato” Babbo Natale per i doni che porta ai bambini, anche in paesi non cattolici o cristiani come la Cina e l’Indonesia, a Gerusalemme il Grande Rabbino vuole fare scomparire il capello rosso di Santa Klauss e le decorazioni a festa dei commercianti israeliani. Babbo Natale, quindi, non è in odore di santità presso il Grande Rabbinato in Israele, ma la santità, come si sa, a Gerusalemme è difficile attribuirla. Come ogni anno, i proprietari di alberghi, ristoranti, luoghi pubblici e privati, per accogliere benevolmente gli stranieri paganti, facevano indossare, durante le feste di Natale, i cappelli rossi di Babbo Natale, e i colori natalizi si stagliavano nella grigia e burocratica Gerusalemme fino a Capodanno. Un avviso forte e duro è stato lanciato da Ofer Cohen, direttore della “Lobby per i valori giudaici” del Grande Rabbinato: «Noi avvertiamo di rendere pubblico la lista delle imprese che contravverranno all’ordine di non utilizzare indumenti non consoni ai nostri valori». Praticamente, questi ristoranti, alberghi, luoghi pubblici e privati potrebbero non più ricevere il certificato di “decenza” per la somministrazione di alimenti che si allontani dai precetti giudaici. Incredibile!



Le foto sono de “Il Corriere della Sera” e de “Le Figaro”

23 dicembre 2009

Jerzy Popieluszko come Stefano Cucchi?

Tempi supplementari per Pio XII, per il Pd e per Cucchi
di Roberto Maurizio


AVVERTENZA: LE FOTO QUI PUBBLICATE RAPPRESENTANO LA CRUDA REALTA’. MOLTO PIU’ CRUDELE SAREBBE NASCONDERLE ALL’OPINIONE PUBBLICA Padre Jerzy Popieluszko


Stefano Cucchi


Mentre per Papa Pio XII sono stati assegnati i “tempi supplementari” per la sua beatificazione, decretati dagli "arbitri esterni", per il sacerdote polacco Jerzy Popieluszko, rapito, torturato e ucciso dai funzionari del regime comunista polacco nel 1984, ci sarà il “processo breve” e quasi l’uso della “moviola in campo”, infatti sono passati appena 25 anni dal suo assassinio riconosciuto come “martirio in odio alla fede” da Benedetto XVI. Allora, mi chiedo, come fa ad esistere il Pd se al suo interno raccoglie vecchi “comunisti” e “cattolici” come la Bindi? Se continua così, fra pochi anni, alle soglie degli altari, potrebbe essere venerato anche Stefano Cucchi, “martire in odio al potere”?

Pio XII e gli ebrei

Eugenio Maria Giuseppe Giovanni Pacelli. Pio XII
di Roberto Maurizio

Mio fratello è figlio unico


La notizia era nell’aria. A cinque giorni dall’annuncio della beatificazione di Papa Pio XII, il Vaticano, di fronte alle “proteste” degli ambienti ebraici italiani e internazionali, fa marcia indietro. Come nelle migliori famiglie che si rispettano, vince sempre il “primogenito”. Però, pur ammettendo il principio della graduatoria per discendenza, ben più pesante sarebbe la situazione in cui ci si troverebbe se a “prendere sempre gli schiaffi” fosse un “fratello minore fantasma”. Utilizzando il titolo del film di Daniele Luchetti, tratto dal libro di Antonio Pennacchi, non vorrei che la Santa Chiesa Apostolica Romana si possa rivolgere alla molta più antica religione monoteista del Torah dichiarando “mio fratello è figlio unico”.


Due pesi e due misure



La beatificazione di Pacelli, quindi, non sarà contemporanea a quella di Wojtyla. Benedetto XVI, dunque, ha ceduto le armi alle “perplessità ebraiche” sulla santificazione di Pio XII, Papa accusato da una parte rilevante del “popolo eletto” di aver taciuto di fronte alla Shoah. «Il fatto che i Decreti sulle virtù eroiche di Papa Giovanni Paolo II e Pio XII siano stati promulgati nello stesso giorno (19 dicembre 2009, ndr), non significa un abbinamento delle due Cause da ora in poi». «Le due Cause - ha detto padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, in una nota per la Radio Vaticana diffusa dalla Sala stampa della Santa Sede, (oggi, 23 dicembre 2009, ndr) - sono del tutto indipendenti e seguiranno ciascuna il proprio iter. Non vi è quindi nessun motivo di ipotizzare un'eventuale beatificazione contemporanea». La firma del decreto per la beatificazione di Pio XII non vuole, tuttavia, essere un atto ostile agli ebrei e ci si augura «che non sia considerata un ostacolo sul cammino del dialogo tra ebraismo e la Chiesa cattolica».


La leggenda nera



Il Vaticano, con la nota di oggi di padre Lombardi, sta cercando una “direttiva” su, come, quando e chi deve beatificare. Infatti, padre Lombardi, da parte sua cerca di convincere il “fratello maggiore” che Pio XII, alla fine dei conti, si è comportato bene, anzi, l'azione di Pacelli compiuta in favore degli ebrei «è testimoniata anche da molti di loro». In merito all'azione svolta da Pio XII nel secondo conflitto mondiale, fra l'altro si legge che non s’intende con l'approvazione del decreto sulle virtù eroiche limitare «la discussione circa le scelte concrete compiute da Pio XII nella situazione in cui si trovava. Per parte sua, la Chiesa afferma che sono state compiute con la pura intenzione di svolgere al meglio il servizio di altissima e drammatica responsabilità del Pontefice». In ogni caso - prosegue la nota - «l'attenzione e la preoccupazione di Pio XII per la sorte degli ebrei, cosa che certamente è rilevante per la valutazione delle sue virtù, sono largamente testimoniate anche dagli ebrei».

La bolletta della grazia divina del Servo di Dio



L'eventuale beatificazione di Pio XII «si colloca nella stessa linea di proporre al popolo di Dio, con l'ulteriore conforto del segno di grazie straordinarie date da Dio per intercessione del Servo di Dio, un modello di vita cristiana eminente. Ciò - ha spiegato il portavoce della Santa sede - non intende dunque minimamente limitare la discussione circa le scelte concrete compiute da Pio XII nella situazione in cui si trovava. Per parte sua, la Chiesa afferma che sono state compiute con la pura intenzione di svolgere al meglio il servizio di altissima e drammatica responsabilità del Pontefice». In proposito, padre Lombardi ha citato oggi ai microfoni della Radio Vaticana quanto detto da papa Wojttyla alla Beatificazione di Giovanni XXIII e di Pio IX il 3 settembre del 2000: «La santità vive nella storia e ogni santo non è sottratto ai limiti e condizionamenti propri della nostra umanità. Beatificando un suo figlio, la Chiesa non celebra particolari opzioni storiche da lui compiute, ma piuttosto lo addita all'imitazione e alla venerazione per le sue virtù a lode della grazia divina che in esse risplende». In pratica, la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, minore e minorenne, prima di fare un “santo” in “santa pace”, chiede l’autorizzazione per iscritto al “maggiorenne”.

Stalin, una stella che ancora non tramonta

21 dicembre. Stalin. Uomo d’acciaio
di Roberto Maurizio

Mosca, 21 dicembre 2009, Piazza Rossa


Il culto del capo

La statua di Stalin a Gori, Georgia



Il 21 dicembre, oltre ad essere « il giorno più corto » dell’anno nell’emisfero boreale (alle 17.44, si verifica il solstizio d’inverno e si entra ufficialmente nell’inverno astronomico; il Sole raggiunge la sua massima distanza al di sotto dell’equatore celeste, circa -23,27°, e l’arco apparente descritto da Sud-Est a Sud-Ovest è ridotto al minimo), è anche il giorno (1891), in cui venne giocata la prima partita di pallacanestro, il giorno (1898) in cui Marie e Pierre Curie scoprirono il radio, il giorno (1913) in cui nacque il cruciverba (world-cross, di Arthur Wynne). Il 21 dicembre, però, è anche il giorno in cui molti stanno tifando per la fine del mondo. Sono molti quelli che buttano iella e sperano nel 21 dicembre 2012 come giorno in cui si verificherà la catastrofe finale del nostro pianeta. Più prosaicamente, il 21 dicembre è la data di nascita di Iosif Vissarionovič Džugašvili (in russoИосиф Виссарионович Джугашвили; in georgiano იოსებ ბესარიონის ძე ჯუღაშვილი, Ioseb Besarionis Dze Jughašvili). Stalin, infatti, nacque a Gori (Georgia) il 21 dicembre 1878 e morì a Mosca il 5 marzo 1953 fu un rivoluzionario e politico sovietico bolscevico conosciuto come Stalin (rus. Сталин, d'acciaio), Segretario Generale del Partito Comunista dell’Urss e leader di tale Paese dal 1924 al 1953.

Addavenì Baffone




Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in piena guerra civile in Italia, erano in molti a pronunciare la famosa frase “Addavenì Baffone”, riferendosi e Stalin. In realtà, la frase conteneva un auspicio e un sentimento condiviso da tutte le persone in difficoltà, cioè che le “cose, prima o poi, dovessero cambiare”. Baffone, però, rappresentava la speranza di molti “comunisti” italiani di vedere praticata l’invasione di torme di cosacchi che avrebbero dovuto pranzare sulla piazza del Vaticano. La storia ha cancellato completamente questa ipotesi. Però, non tutti sono completamente convinti. Anche in Italia. Il giustizialismo, il revanchismo, l’arrivo di un Messia completamente diverso dal Cristo, non con la barba, ma con i baffi, è ancora atteso con disperato orgasmo.



Cortei in onore di Stalin





Il 21 dicembre 2009, in Russia e in quasi tutta l’ex Unione Sovietica, in occasione del 130° anniversario della nascita del “Georgiano d’acciao”, molti sono stati i cortei fatti in onore del Dittatore di Gori. Nessuna cerimonia ufficiale è stata celebrata. Ma, i nostalgici stalinisti, sotto la guida del proprio leader comunista, Guennadi Ziougonov, che rappresenta con il suo schieramento la seconda formazione in seno alla Duma, ha decorato i veterani della Seconda Guerra Mondiale. Di fronte a 1.500 persone, Ziougonov ha deposto una corona di fiori davanti alla tomba del suo idolo, ai piedi del Kremlino. Il capo del Partito Comunista ha invitato i russi a giustificare gli “errori del periodo stalinista” e a vedere nel “vecchio maestro dell’Urss” un “creatore, un filosofo e un patriota”. Secondo un sondaggio, pubblicato il 18 dicembre dall’Istituto Vtsiom, Stalin raccoglierebbe ancora il 54% dei consensi come dirigente della Russia, 9 punti in meno, però, rispetto al 2000. Comunque, il 58% dei russi è dell’avviso che una leadership di tipo staliniano non è più necessaria per il proprio paese.

22 dicembre 2009

Aridatece Tribuna Politica, aridatece Pannella

Aridatece Tribuna Politica
di Roberto Maurizio



Non se ne può più di questi "salotti politici per bene" gestiti da giornalisti miliardari (Vespa, Santoro, il laureato alla Luiss, Floris, la coscia bella del fatto e rifatto, Monica Setta, che ruba in continuazione gli ascolti a Rai 3 regionale). Cosa hanno ha che fare questi conduttori da strapazzo con gli operai e con gli italiani di destra e di sinistra, lo sanno solo loro. Più la mazzetta è alta più il tifo pro o contro Berlusconi, pro o contro il Milan, pro o contro Di Pietro, pro o contro gli eccentrici nostri politici, aumenta. Non se ne può più con queste trasmissioni dove l'applauso di quattro coglioni condiziona un elettorato attivo e passivo (più passivo che attivo). Aridatece Tribuna Politica, con Marco Pannella. Senza applausi, ma con le linee programmatiche dei partiti. Vogliamo sapere che cosa ci offre la maggioranza, quali sono le risposte dell'opposizione. Vogliamo i politici a viso scoperto, senza applausi e conduttori venduti. Basta con la televisione di sinistra estrema e con quella della destra addolcita a suon di miliardi. Una Tribuna Politica in cui possa intervenire in diretta, tramite email, anche l'ascoltatore, l'elettore e il contribuente. Spazziamo via la spazzatura!

20 dicembre 2009

Copenhagen. Troppi galli a cantare

Copenhagen. Nulla di nuovo sul copione
di Roberto Maurizio


Il bicchiere mezzo vuoto
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Mi occupo di Vertici, Summit, Meeting, Incontri internazionali, Conferenze mondiali, Tavole rotonde, Dialoghi promossi dall’Onu, da più di 30 anni e non mi ricordo di aver brindato subito dopo la fine di una di queste Riunioni. I commenti sono sempre stati gli stessi: “fallimento”, “il bicchiere mezzo vuoto”, “le aspettative sono state deluse”, “il bastone e la carota”, “rinvii a tempi più adeguati”. Molto di rado si è assistito a un’esplosione di gioia per l’accordo raggiunto all’unanimità. Quindi anche il Vertice sul Clima di Copenhagen non poteva fare eccezione. Certo mettere d’accordo i 193 paesi presenti al 15° Meeting della “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici” (Unfccc: United Nations Framework Convention on Climat Change) nella capitale Danese dal 7 al 18 dicembre 2009, rappresentati da 100 Capi di Stato e di Governo e più di 45.000 richieste di accredito, era un’impresa oltremodo difficile. Troppi galli a cantare! E ogni “gallo” ha un voto! “One Country, One Vote”, è il motto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ma “Copenhagen” non poteva fallire trascinando così il discredito sui suoi prestigiosi protagonisti.
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Salvare la faccia

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Quindi la faccia è stata salvata, facendo sì che, alla fine, è emersa una formula che ha esaltato i pochi progressi e ha decisamente mascherato, a fatica, i molti fallimenti. Le previsioni, fin dall’inizio della Conferenza, non erano buone. La presenza fisica di Obama non è riuscita a trasformarsi un “pacco dono natalizio”. Anzi. Gli incontri-scontri del G2, Premier americano e Primo Ministro cinese Wen Jiabao (il Presidente, Hu Jintao, prudentemente è rimasto a Pechino) sono riusciti a sbloccare un modesto compromesso con l’apporto anche di India, Brasile e Sudafrica. Ha così preso corpo un’intesa politica che agli impegni vincolanti sostituisce le buone inten¬zioni, ma lo fa nel mo¬do meno credibile, evitan¬do persino di citare il sem¬pre ripetuto obiettivo di dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2050. Tra i paesi ricchi ognuno farà quel che vorrà su base nazionale o di gruppo (come l'Europa). L'intento fondamentale, quello di contene¬re entro 2 gradi l'aumento della temperatura rispetto all'era preindustriale, è sopravvissuto a fatica. Ma, forse, soltanto per evitare che Copenaghen facesse meno del G8 dell'Aquila.

Fondamentalismo ambientalista

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La rissa continua del Bella Center e i suoi insoddisfacenti risultati offrono alcune indicazioni. La prima è che il fondamentalismo ambientalista, per quanto giusto e sostenuto dalle indicazioni scientifiche, diventa controproducente quando deve calarsi nella realtà degli interessi economici e politici. Non si tratta certo di sospendere la battaglia, ma è necessario, se si vuole progredire sul serio, individuare metodi negoziali diversi e non arrivare, come è colpevolmente accaduto a Copenaghen, con tutti i dossier tecnici in alto mare e le sensibilità nazionali al culmine dell'esaltazione. Poi c'è il tanto temuto G2 cino-americano. Un Obama vincolato dal Congresso ha fatto a braccio di ferro con il premier cinese ma alla fine è con lui che ha trovato l'intesa. Copenaghen ha confermato che Usa e Cina non sono più insensibili al tema del clima. Ma si può star certi che la genericità degli accordi sui tagli delle emissioni e ancor più l'assenza di vincoli legali rappresentino per loro, che sono i più grandi inquinatori del mondo, due otti¬me notizie. Gli Usa hanno le elezioni permanenti, la Cina deve continuare a cre¬scere.

Una “dichiarazione glaciale”




Il generico accordo politico sul clima, firmato il 18 dicembre 2009 dal Presidente americano Barak Obama e dai rappresentanti di Cina, India, Brasile e Sudafrica, pure se, fra proteste e delusioni, è stato adottato all’unanimità dai 193 paesi partecipanti al Summit climatico delle Nazioni Unite, lascia irrisolti i principali problemi sul tappeto della trattativa climatica globale. A questo punto, come si svilupperanno, nell’immediato, le azioni internazionali per la riduzione dei gas serra? La prima questione urgente in sospeso è cosa farne del Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012: Copenaghen, infatti, era considerato l’ultimo appuntamento utile per decidere se reiterarlo, innalzando gli impegni di riduzione dei gas serra, attualmente bloccati su una striminzita media del 5,2%. Ma nella capitale danese è apparso evidente che pure Obama, come già Bush, non vuole o non può fare entrare gli Usa nei meccanismi di Kyoto, iscrivendo gli annunciati programmi di riduzione delle emissioni americane all’interno di una «fase due» del Protocollo (dal 2012 al 2020). Se accettato dalla nuova amministrazione democratica Usa, l’avvio della «fase due» del Protocollo di Kyoto avrebbe rappresentato la strada più agevole e rapida anche per la maggior parte delle altre macro aree mondiali: gli europei che, fin dall’inizio, hanno strenuamente sostenuto e difeso il vecchio trattato climatico; i Paesi in via di sviluppo a cui sono stati riconosciuti il sostegno economico e le esigenze di crescita; la Russia e l’Est Europa che possono fa valere crediti di emissioni ereditati dal crollo economico del blocco sovietico. Inoltre, essendo Kyoto un trattato già legalmente valido, in quanto a suo tempo ratificato dai parlamenti nazionali dei Paesi aderenti, un suo prolungamento avrebbe evitato rallentamenti o, peggio, interruzioni nei processi di riduzione dei gas serra.


Dopo il flop




Dopo il flop di Copenaghen, Kyoto resta senza futuro e, se non si correrà ai ripari convocando una conferenza straordinaria delle Nazioni Unite entro la prima metà del 2010, tutto il complesso sistema dei vincoli, dei controlli internazionali, dei commerci di quote di emissione e dei programmi di assistenza tecnologica ai Paesi in via di sviluppo, rischia una battuta d’arresto. Il vertice di Copenaghen aveva lasciato intravedere un’altra prospettiva: la possibilità di sostituire Kyoto con un trattato di più ampio respiro, più flessibile, e quindi più gradito ai Paesi che mal sopportano l’attuale e farraginoso sistema dei vincoli e dei controlli. Un patto climatico ex novo, fra l’altro, eviterebbe agli Usa l’imbarazzo di dovere rientrare in Kyoto ammettendo, implicitamente, l’errore di esserne usciti nel 2001, dopo l’avvento di Bush. Alla costruzione di questo possibile, nuovo patto, aveva lavorato assiduamente per due anni un gruppo di lavoro formato dai rappresentanti di tutti i Paesi del mondo che, nella capitale danese, ha presentato una bozza di testo da completare con l’inserimento dei target di riduzione e delle cifre dei finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo. Ma Obama e cinesi, che a Copenaghen hanno condotto i giochi, invece di impegnarsi per il successo dell’una (Kyoto 2) o dell’altra (nuovo Protocollo) soluzione, hanno preferito la via di fuga dell’accordo politico di facciata, che trascura del tutto gli obblighi immediati e affida la salvezza dell’atmosfera alla buona volontà dei governi futuri. Ora, per salvare il salvabile, si parla di una Cop 15 bis da tenere a Bonn, forse nel prossimo mese di giugno. Il cancelliere tedesco Angela Merkel starebbe già lavorando a una soluzione di questo tipo, cui sarebbe affidata la difficile impresa di ricucire gli intricati fili della trattativa rotti a Copenaghen e condurre in porto un’ipotesi operativa di patto climatico entro la Cop 16 in programma a Città del Messico alla fine del 2010.

Le foto sono dell'Ansa. Svp, citare la fonte

19 dicembre 2009

Igor Man, l'arabo siciliano

Igor Man. “Vecchio cronista” arabosiculo
di Roberto Maurizio


Con quella faccia da straniero




Un’altra “penna” illustre del giornalismo italiano è venuta meno, il 18 dicembre 2009. Pochi giorni dopo l’abbandono di Gianni Pennacchi, ci ha lasciato Igor Man. Con quella faccia da straniero, non potevi scommettere sulla sua nazionalità. Sono ancora molti a credere che Igor Man non sia italiano. Il nome e il cognome ti facevano dubitare sulla sua provenienza. Un Igor russo accompagnato da un Man inglese, mescolato a un viso decisamente arabo con baffetti da notabile egiziano e con quell’anello mostrato sempre in evidenza a evocare misteriosi geroglifici sottratti alla comprensione comune, con una frezza bianca sui capelli nerissimi, tipo Aldo Moro, con un á plomb inglese nel vestire, con una ricercatezza francese nella scelta dell’eleganza nel parlare e nell’assaporare il gusto della vita ti ingannavano fin quando la sua sicilianità non veniva smascherata da un lontanissimo accento catanese. Un uomo decisamente mediterraneo, con una cultura immensa accumulata non solo sui libri, ma dai tanti suoi viaggi all’estero e dagli incontri con le personalità più importanti della Terra. Il “vecchio cronista” ha intervistato personaggi simbolo del Novecento, come John Fitzgerald Kennedy, Nikita Khrusciov, Che Guevara (Ernesto Guevara de la Serna), Mu’ammar Gheddafi, Khomeini (Ruhollāh Mustafa Mosavi Khomeyni), Yasser Arafat (Muḥammad ʿAbd al-Raḥmān ʿAbd al-Raʾūf al-Qudwa al-Ḥusaynī), e Shimon Peres (Shimon Perski). Igor fu un profondo conoscitore di molte pieghe della nostra storia e di molti giganti, da Padre Pio a Papa Giovanni Paolo II.

Talento della scrittura




Igor Man donò ai suoi lettori tanti reportages di taglio letterario ed anche testi di narrativa di derivazione pirandelliana C'era quasi sempre, nei suoi racconti, l'imprevisto: il momento o il personaggio che d'un colpo si fa perno della narrazione. Se ne andato, quindi, un talento della scrittura.

Il professore e le melanzane




Nato a Catania 87 anni fa, vero nome Igor Manlio Manzella, era figlio del giornalista e scrittore Titomanlio Manzella e di una nobildonna russa. Studioso delle religioni e appassionato in particolare di mondo arabo e Medio Oriente, ha lavorato al quotidiano La Stampa fin dal 1963, quando era direttore Giulio de Benedetti. Le sue opere: “Diario arabo. Tra il serio della guerra e il sacro del Corano” (Bompiani, 2002), “L'Islàm dalla A alla Z. Dizionario di guerra scritto per la pace” (Garzanti, 2001), “Il professore e le melanzane e altri racconti” (Rizzoli, 1996), “Gli ultimi cinque minuti. Cronache con forma di racconto” (Sellerio, 1992). Ha avuto molti riconoscimenti: nel 2000 ha vinto il premio di giornalismo Saint-Vincent alla carriera e nel 2001 è stato insignito del titolo di Grande ufficiale dell'ordine al merito della Repubblica Italiana dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi; quest'anno ha ricevuto il premio America della Fondazione Italia-Usa. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso intensa commozione per la morte di Igor Man, definendolo nel messaggio alla famiglia «giornalista e scrittore di altissimo livello professionale e impegno civile». «Ha fortemente contribuito alla formazione di una ben informata e responsabile opinione pubblica sui grandi temi della politica internazionale e dell'evoluzione mondiale - scrive Napolitano -. Restano incancellabili nella mia memoria le occasioni di incontro che, in modo particolare negli ultimi anni, mi hanno permesso di cogliere la sempre straordinaria vitalità del suo pensiero e di constatare la profondità del nostro comune sentire».

Prima di tutto i fatti




Franco Siddi, presidente della Federazione nazionale della stampa, lo ricorda così: «Era il testimone di un secolo, un giornalista di eccellenza, un grande inviato nella cronaca e nella storia di un mondo vissuto e conosciuto in profondità. I fatti prima di tutto, raccontati con sapienza avendone prima penetrato tutti i risvolti, affinché chiunque potesse avere accesso vero anche alle vicende più complesse di geopolitica, di politica internazionale, di cronaca. Comprendeva subito come anche episodi che per taluni potevano apparire secondari fossero destinati a incidere profondamente nel corso della storia. Eppure è rimasto sempre radicato alle sue terre: la Sicilia di nascita, Torino di adozione, l'Italia. Oggi lo ricordiamo con ammirazione».

Il vecchio cronista




Con uno dei tanti vezzi che amava coltivare, Igor Man aveva scelto «Il vecchio cronista» come titolo della sua ultima rubrica su “La Stampa”. Sapeva bene d’essere un personaggio pubblico, uno di quei nomi di immediata riconoscibilità, figure e caratteri cui una dimensione mitica finisce per attribuire doti, valori, forza morale, che la quotidianità del vissuto privato non sempre è pronta a sostenere; e allora, in quella volontaria riduzione di un ruolo (il Grande Giornalista, invece) conquistato con la sapiente costruzione della propria vita professionale, questo titolo modesto, da leggersi quasi con voce sommessa, piana, finiva per condensare il recupero di un’autenticità difficile da vendere al grande pubblico. Ma era, comunque, un recupero orgogliosamente consapevole che la modestia se la possono concedere soltanto coloro che di aristocratica immodestia possono vivere.

La Terza pagina




Man è stato uno degli ultimi interpreti d’un mondo che era scomparso con il secolo che finiva, il mondo degli “inviati speciali” cui di diritto spettava il grande reportage nella Terza Pagina (anch’essa sparita da tempo, travolta dalla mutazione genetica dell’editoria). Oggi che i giornali sono fatti di notizie rapide, immediate, bruciate nella voracità insaziabile dei bit affastellati freneticamente dentro le modalità hertziane, un mestiere come quello degli inviati è un lusso che nemmeno un museo della comunicazione riuscirebbe più a proporre al consumo del sistema mediale. Era un lavoro affascinante e privilegiato, questo degli inviati, un lavoro nel quale dovevano sapersi fondere qualità di scrittura, capacità investigativa, forte personalità, e un’insaziabile voglia di viaggiare dentro la vita del mondo. E Man queste doti le aveva certamente, forse non tutte di pari forza ma ugualmente le sapeva utilizzare al meglio, costruendo con una meticolosa cura della loro qualità fascinatrice l’identità pubblica del proprio personaggio (a cominciare dalla stessa sua firma: da Manzella a «Man», che ha questo suono netto e forte, di vite misteriose, esotiche, evocatrici di geografie impossibili e di grandi intrighi internazionali).
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I nomi che hanno fatto la storia del giornalismo italiano
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È stato, quel tempo ormai chiuso, il mondo di Luigi Barzini e di Virgilio Lilli, di Paolo Monelli, di Malaparte, di Max David, di Montanelli, dei nomi, insomma, che hanno fatto la storia del giornalismo italiano preso ancora a mezzo tra le radici elitarie delle sue ascendenze letterarie e l’urgenza, sempre più forte, più pressante e angosciosa, del racconto di una realtà che andava sottraendosi alle sue dimensioni mitiche. Di suo, Igor Man aggiungeva due carature che sempre lo hanno accompagnato, e anche distinto, alla fine, dai suoi compagni di storia: la prima era quella intensa visionarietà che stava dentro il suo racconto di cronaca, una dimensione nella quale vita e immaginazione si trasfiguravano a comporre un tessuto espressivo fortemente partecipato, denso di connotazioni emotive, di sentimenti e parole che si rifiutavano al ritegno del pudore e del distanziamento che dovrebbero sostenere il rigore del giornalismo; la seconda era la sua stessa figura, quel volto così nobile e altero, i segni profondi e marcati delle rughe d’una vita vissuta davvero, i baffi scuri e sicilianazzi sotto le ciocche elegantemente bianche.


Il viaggiatore
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Il suo lavoro professionale lo ha portato in ogni angolo del pianeta, viaggiatore nelle guerre dell’Asia e del Levante e osservatore attento e sensibile delle convulsioni che agitavano le mezze democrazie dell’America Latina. Ha raccontato anche storie italiane, storie di un paese che veniva fuori dalle ossessioni amare del dopoguerra, ma la sua attenzione si era concentrata soprattutto sulle latitudini inquiete del pianeta, là dove in un tempo ormai lontano passavano i loro giorni di vita gli inviati di prestigio dei grandi giornali, il “Il Corriere della Sera” e “La Stampa”, e l'amicizia e la solidarietà s’incrociavano spesso con i tranelli professionali, la concorrenza più spietata, anche il furto del lavoro dei colleghi più ingenui (ci sono storie che Fabrizio Del Noce e il povero Egisto Corradi hanno consegnato alla storia del giornalismo).

Una sicilianità mediorientale
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Del sua carattere profondamente umano, della sua sicilianità, Man aveva fatto anche una chiave di comprensione e di interpretazione di quella parte del mondo che più lo ha reso noto al grande pubblico: il Medio Oriente, tagliato dentro dal drammatico conflitto tra mondo arabo e Israele e segnato dalla complessa trama religiosa e politica dei popoli della Mezza Luna. Come siciliano, come figlio di una storia che ha intrecciato culture e memorie calate lungo i secoli di vicende e di contaminazioni mai sedimentate fino alla loro ultima acquisizione, Man avvertiva con particolare sensibilità le tensioni di questa lotta nella quale si scontravano, e ancora si misurano, i destini non soltanto di due popoli ma della stessa umanità del nostro tempo, per ciò che ha di comune questo tempo con i principi conflittuali della intolleranza e della integrazione, della identità segregazionista e del riscatto culturale, della spiritualità della fede e della capacità manipolatrice della religione. Il suo “Diario arabo”, quelle notazioni quotidiane che sulle pagine de “La Stampa” hanno accompagnato e spiegato le complesse filiere nelle quali s'andava dipanando la preparazione - fino a poi lo scontro sul terreno - della guerra del Golfo tra Saddam Hussein e il resto del mondo guidato dai marines di Schwarzkopf, quel diario giornaliero su “La Stampa” gli aveva dato alla fine la popolarità che solo il giornalismo televisivo riesce altrimenti ad attribuire; e il merito, com’egli stesso ha riconosciuto, stava nell’aver saputo legare la cronaca quotidiana di un’inquietante confronto politico con le motivazioni culturali e religiose che inevitabilmente stavano ripiegate dietro l'apparenza del conflitto geostrategico. Prendendo a spunto i versetti del Corano, e leggendone con cura e rispetto il senso profondo, Man offriva ogni giorno al lettore strumenti nuovi e «altri» per la comprensione di fatti e di personaggi che si mostravano inaccettabili nella semplificazione mistificatrice di tipizzazioni di comodo. E da questa vicinanza all'Islam come religione (ma anche come struttura identitaria, sempre riproposta e offerta all'attenzione del lettore) Man era passato progressivamente a vivere con una partecipazione intensa la dimensione cattolica della sua propria storia privata; è stata però, la sua, una religiosità laica, mai perduta dentro le anse difficili del fideismo, ma ugualmente intensa, verrebbe da dire pubblicamente intensa, in quello spazio nel quale un personaggio popolare finisce per essere obbligato a consumare anche i momenti più intimi del proprio vissuto quotidiano. E il racconto dei suoi incontri privati con gli ultimi due Pontefici lo coinvolgeva e lo emozionava anche al di là dei doveri che il cronista deve sapersi dare. In questo, come in tutti gli aspetti della sua biografia, Man mostrava alla fine quale sia stata la sua scelta di vita: un’integrazione - voluta e ricercata con costanza - tra dimensione pubblica e orizzonti privati, un terreno nel quale il racconto della storia del mondo non poteva mai prescindere dagli occhi, e verrebbe da dire dal cuore, di chi quel racconto lo sta facendo, e lo sta vivendo, non solo pestando la tastiera della macchina per scrivere o, poi, con il computer, ma anche mettendoci la propria pelle, la carne, le emozioni, la sensibilità fino alle lacrime.

Testimone di un secolo




«Con Igor Man è scomparso il testimone di un secolo, un giornalista di eccellenza, un grande inviato nella cronaca e nella storia di un mondo vissuto e conosciuto in profondità -dichiara Franco Siddi, segretario nazionale della Fnsi-. I fatti prima di tutto, raccontati con sapienza avendone prima penetrato tutti i risvolti, affinché chiunque, leggendo sul giornale, potesse avere accesso vero anche alle vicende più complesse di geopolitica, di politica internazionale, di cronaca».

Fini. Un gelido messaggio di condoglianze





La terza carico dello Stato, il Presidente della Camera, Giancarlo Fini, si è fatto scrivere, speriamo, dai suoi “sherpa” un messaggio di condoglianze per Igor Man che più burocratico di così si muore. Poteva mettere qualche parola in più. In definitiva, con Man, scompare una parte rilevante della Stampa Italiana dell’ultima parte del “Secolo breve”. Forse i politici hanno nel cassetto delle formule già ben confezionate di messaggi da inviare in caso non remoto di scomparsa di una persona. Basta cambiare alcune frasi, andare su Google, prendere l’attualità del personaggio scomparso e infilare tutto dentro un messaggio di quattro righe: «Sin dai suoi esordi al quotidiano La Stampa, ha dimostrato una grande professionalità ed una rara capacità di compiere analisi lucide, intelligenti e non convenzionali sui grandi fatti ed i grandi personaggi che hanno attraversato la storia mondiale della seconda metà del Novecento. Le sue interviste e le sue cronache - scrive Fini - con un tratto insieme garbato ed acuto, resteranno ad esempio di un giornalismo brillante ed attento alla realtà dei fatti». Garbato, acuto? Brillante e attento? Ma che significa? Fini ha mai letto “Diario arabo. Tra il serio della guerra e il sacro del Corano” e “L'Islàm dalla A alla Z. Dizionario di guerra scritto per la pace”? Possibile che non abbia carpito nulla del messaggio di Igor Man sulla necessità di una pace perenne in Medio Oriente, in Israele, in Palestina? Ma, non si è messo il Kippah a Gerusalemme il Presidente della Camera? Non vuole dare il voto agli extra comunitari, molti dei quali sono musulmani? Possibile che non gli è venuto in mente a lui o ai suoi “sherpa” di aggiungere una parola di riconoscenza ad una vita, quello dell’arabo siciliano, tutta dedicata veramente al raggiungimento della pace nel mondo?

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P.S. Agli inizi degli anni '90, Igor Man è stato membro e Presidente per pochi giorni dell'Associazione dei giornalisti per lo sviluppo internazionale (Agsi)

Le foto sono de "La Stampa". Svp, citare la fonte