31 gennaio 2008

Storie di "comune umanità"

Storie di “comune umanità”: dalla A alla Z

Apurimac e Zizzi

di Roberto Maurizio

In una Italia dominata da scontri a tutti i costi, da eterne divisioni fra Guelfi e Ghibellini, da continue lacerazioni esterne, interne, trasversali, romboidali, esiste ancora una forte umanità che nella sua semplicità non merita le prime pagine dei giornali, perché il messaggio che da esse proviene è di un’estrema semplicità e di un’enorme sincerità.
Fra le tante Organizzazioni senza scopo di lucro, le cosiddette Onlus (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale), due, in particolare, sono degne di menzione: “Apurimac” e “Zizzi”.

Apurimac

La Onlus “Apurimac” prende il suo nome dall’impegno di sostegno statutario che si prefigge l’aiuto diretto alla popolazione peruviana dell'omonima regione latino americana. Questa Onlus ha assunto anche la veste giuridica di Ong (Organizzazione non governativa), che le permette di beneficiare dei fondi del Ministero degli Esteri, utilizzati per i progetti di cooperazione internazionale in America Latina e Africa. Nata il 2 luglio 1992, “Apurimac” è costituita legalmente a Roma. Scopo iniziale della sua nascita è l'appoggio alla missione agostiniana italiana in Apurimac, regione meridionale del Perù tra le più povere di tutta l'America Latina. “Apurimac” costituisce la sezione italiana della Ong “Order of St.Augustine”, accreditata presso il Dipartimento di Informazione Pubblica (Dip) delle Nazioni Unite a New York. Come ONG è abilitata alle seguenti attività: realizzazione di progetti di cooperazione internazionale nei Paesi in via di sviluppo; formazione in loco di cittadini dei Paesi in via di sviluppo; attività di informazione ed educazione sui temi della solidarietà internazionale.

Tra le vette della Cordigliera

Delle 25 Regioni con le quali è diviso il Perù, Apurimac è la quarta zona con la quale è diviso il paese andino. Apurimac è situata sulla Cordigliera delle Ande, confina con Cuzco, ed è divisa a sua volta in sette province: l'area d'intervento della missione comprende tre di queste, Grau, Antabamba e Cotabambas, dette “Province Alte” per la loro altitudine variabile dai 2.500 ai 5.000 metri sul livello del mare. Esse costituiscono la Prelatura di Chuquibambilla, 8.000 kmq di zona montagnosa e una popolazione di circa 80.000 abitanti. Questo territorio è chiuso in un isolamento geografico ed economico estremo: alla mancanza di vie di comunicazione si sommano un'agricoltura ed un allevamento di pura sussistenza, la limitata disponibilità di acqua e luce elettrica, l'assenza di capitali e tecnologie che rende le ricchezze del sottosuolo non sfruttabili. Analfabetismo e condizioni igienico-sanitarie penose sono ulteriori piaghe che affliggono la popolazione. A questa gente è diretto l'aiuto dei missionari e dell’associazione. Tale aiuto è una delle forme in cui si concretizza l'obiettivo guida di “Apurimac” onlus, il sostegno alle missioni che lavorano per i Paesi del Sud del mondo: in questo rientra la realizzazione di progetti di sviluppo in America Latina ed Africa.

Quipo: un nodo da sciogliere

Fra le tante iniziative di “Apurimac”, citiamo quella relativa all’assegnazione di una giornata particolare dedicata, non allo scontro, ma alla condivisione delle idee, alle testimonianze tra laici e religiosi per un confronto della prassi e dei percorsi educativi del volontariato. Non a caso è stato scelto il nome “Quipo”, che in quechua (la lingua della popolazione delle Ande), significa «nodo». L’appuntamento annuale, “Quipo”, è stato ispirato dall'enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est” e incentrato sul nuovo ruolo della carità nella sua più moderna accezione. Personalità di spicco del mondo laico e religioso, rappresentanti della realtà medica, politica e della comunicazione si sono confrontati in una tavola rotonda, per offrire nuove chiavi di lettura sull'inedita collaborazione tra realtà all'apparenza tanto distanti. Una collaborazione quotidianamente sperimentata da “Apurimac”, negli ultimi 15 anni, insieme ai missionari agostiniani, impegnati nelle missioni in Perù e Africa.

Amici della “Zizzi”


L’altra Onlus di cui ci vogliamo occupare è “Amici della Zizzi”, associazione impegnata dal 1986 in iniziative di carattere sociale, rivolte all'affidamento, al recupero e al sostegno di minori in condizioni disagiate. Tra le numerose iniziative dell’Associazione, menzionimo “Sos Affido”, un progetto ideato e realizzato per favorire un istituto ancora poco conosciuto in Italia: l’affido.

Affido

L'affido familiare è un provvedimento temporaneo, adottato dal Tribunale per i minoorenni, mediante il quale un minore viene accolto presso una famiglia, una comunità o una singola persona, nel caso in cui la famiglia di origine sia in una fase di difficoltà o nel caso in cui, per motivi generalmente legati ad una malattia, alla detenzione o di ordine educativo, non riesca ad occuparsi del figlio. È regolamentato dalla Legge n.184 1983, successivamente modificata dalla Legge n.149 2001. Le caratteristiche di questo provvedimento che lo differenziano, tra le altre cose, dall'adozione sono: la temporaneità - l'affido familiare non è definitivo e il minore, a differenza dell'adozione, non ha lo status di figlio; il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine - il legame genitoriale non viene modificato; rientro del minore nella famiglia di origine - al termine della fase che impediva alla famiglia originaria di occuparsi del figlio questi torna a farne parte.


Una spiegazione chiara degli scopi, della natura di questa associazione no profit e dei suoi progetti,si può trovare nelle parole del suo fondatore Dott. Riccardo Ripoli, in uno stralcio del suo intervento di presentazione che riportiamo su "Articoli di Stampa, Scuola e Vita".

Contatti

Per prendere contatti con la prima Onlus, l’indirizzo web è: http://www.apurimac.it/ . Per “Amici della Zizzi”, http://www.zizzi.org/, oppure http://www.sos-affido.it/

30 gennaio 2008

Diciamo che...

Diciamo che…
di Roberto Maurizio


Nella misura in cui...

Let’s say… I suppose. Tutto iniziò con “nella misura in cui…”, seguito da “cioè”, per arrivare a “diciamo che”. L’intercalare rappresenta una pausa di riflessione che serve per riempire una frase, di solito senza senso, che non scorre. E’ un momento per raccogliere le idee. Quanti più sono i “diciamo che”, tanto più incomprensibile è il discorso che si sta pronunciando. Gli americani, intesi come cittadini degli Usa, si avvalgono dell’houm (aaaammmm) che ti dà un ciclopico fastidio solo a pensarlo un minuto prima (vedrai che dirà… houm). I francesi con il loro “bon”, gli inglesi con “I thing ” e via di seguito. Nell’intercalare si nasconde la cultura di chi pronuncia la pausa.

La pausa di semicroma

In musica, esistono diverse pause, ma ognuna è correlata con la sequenza matematica con la quale è stata concepita. La pausa musicale fa parte del contesto. La pausa è musica.

Pause intollerabili

Le pause verbali, invece, quando diventano ossessive, rappresentano la cattiva coscienza di chi le sta declamando.

La Guzzanti e Holunder

Diciamo che… è stata inventata, secondo me, da Massimo D’Alema o dalla sua imitatrice Sabina Guzzanti. La pausa verbale è passata di bocca in bocca, da un diessino all’altro, da un ulivista all’altro. E adesso sarà eredità dei pdisti.
Senza esagerazione, una devota diessina, ulivista, e adesso sicuramente pdista, che è stata acerrima nemica di Holunder, è riuscita a emettere questo incomprensibile suono per ben 50 volte in 5 minuti. Diciamo che… è stata brava! Poteva andare peggio…

29 gennaio 2008

Aung, come una lucciola

Per non dimenticare Aung San Suu Kyi

di Roberto Maurizio




E’ difficile giustificare il disinteresse di quasi tutto il mondo per Aung San Su Kyi. Perché continua a passare sotto silenzio questa notizia, che ogni tanto si riaccende? Riflettendo, si fa per dire, sono arrivato a due conclusioni.

La prima

La prima, come apprendiamo da “La Stampa” di Torino, coinvolge il governo Birmano che ha aumentato il canone tv. Secondo il prestigioso giornale “juventino”, “per evitare che la gente possa vedere servizi e notiziari dissidenti o internazionali, la giunta militare al potere in Birmania ha decretato, senza preavviso, un aumento di 166 volte del canone di abbonamento annuale alla tv satellitare”. “I possessori di parabola e decoder, senza sapere nulla, si sono recati a pagare all’ufficio postale e si sono sentiti dire che invece dei soliti 6.000 kyat avrebbero dovuto pagare un improbabile milione di kyat, pari a circa 530 euro, circa tre volte il reddito annuale di un birmano medio”. Questa notizia, comunque, giustificherebbe l’”oscuramento” di Aung nel suo paese.

La seconda

Allora, dal basso della nostra posizione che ci colloca molto al di sotto di nostra cugina superiore “La Stampa”, abbiamo azzardato, noi di “Stampa, Scuola e Vita”, una seconda ipotesi. Ma non potrebbe essere che la luce intermittente di Aung, simile a quella di una lucciola, sia dovuta alla sua religione? Ci siamo chiesti, allora: se fosse stata cristiana? se fosse stata musulmana? ebrea? induista? Sarebbe stata la stessa cosa? In fondo, il buddismo è la sesta religione nel mondo. Purtroppo, rappresenta solo il 6% del totale e non ha Santi in Paradiso!


Alcuni dei principali simboli religiosi. Da in alto a sinistra: croce latina (Cristianesimo), stella di David (Ebraismo), omkar (Induismo), stella a nove punte (Bahaismo), mezzaluna (Islam), croce del sole (Neopaganesimo), yin e yang (Taoismo), torii (Shintoismo), ruota del Dharma (Buddhismo), khanda (Sikhismo), svastica (Giainismo), mano (Ahimsa), fiore di loto con fiamma (Ayyavalismo), tre lune della Dea triplice, cross pattée (Ordine Teutonico), mani di Dio (Slavismo)
Fonte Wikipedia

27 gennaio 2008

Shoah

Il Giorno della Memoria
di Roberto Maurizio



Oggi, 27 gennaio 2008, si celebra, per l'ottava volta in tutta Italia, il “Giorno della Memoria”, istituito con la legge 211 del 20 luglio 2000 “in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Il significato profondo di questa data anticipato in uno scritto di Primo Levi dedicato ai visitatori del campo di Auschwitz. Al di là del nome da attribuire all'eccidio di ebrei, “Olocausto” o “Shoah”, e della disputa sul numero di uomini, donne e bambibi uccisi, resta un fatto inconfutabile: il razzismo è una vergogna indelebile non solo per chi lo applica, ma anche per chi lo giustifica, lo condivide, lo diffonde.
Questo blog, come sua “linea editoriale”, è per favorire il dialogo interreligioso, per non far dimenticare all’opinione pubblica mondiale i giornalisti uccisi o imprigionati, per non far far dimenticare San Suu Kyi e Betancourt. Sarebbero necessari 367 giorni all'anno da dedicare alla "Memoria".

Train de vie

Un film racconta, "sdrammatizzando" e "umanizzando" il dramma degli ebrei nel secolo scorso. “Il Treno per la vita”, “Train de vie”. 1941: lo spettro della deportazione minaccia la sorte di un intero villaggio yiddish dell'Europa centrale. Per scampare al pericolo imminente gli ebrei decidono di autodeportarsi, travestendo una parte degli abitanti da soldati nazisti e comprando un intero treno, un vagone dopo l’altro. Un piano (apparentemente) folle, ma mai quanto la destinazione: addirittura la Palestina, dopo un percorso a zig zag verso la Russia, fino in Crimea, per poi sbarcare in Asia Minore e raggiungere la terra promessa. L'idea, neanche a dirlo, è del classico pazzo del villaggio, quasi una figura di fool shakespeariano, a cui qualunque idiozia è concessa, e dietro la cui stravaganza si celano ragionamenti alla fine assai sensati. Il viaggio alla base di Train de vie si trasforma in un picaresco girovagare, con alle spalle i tedeschi (quelli veri) ed i partigiani della Resistenza (molto perplessi). A complicare le cose l'ideale del comunismo inizia a diffondersi nei vagoni del convoglio ferroviario, attirando le fantasie represse dei più giovani. L'esilarante fuga degli ebrei-comunisti si conclude con l'incontro con un gruppo di gitani che hanno avuto la loro stessa idea. Il finale chiude con una punta di tragicità dolceamara una storia - sicuramente sviluppata sul registro portante della commedia - incentrata sui toni caustici dell'umorismo yiddish.

23 gennaio 2008

Rapporto Unicef 2008

Nascere e crescere sani
di Roberto Maurizio


Un grido senza voce

I Rapporti annuali delle Nazioni Unite, delle sue Agenzie specializzate e dei suoi organismi istituzionali sembrano ripetitivi. Ogni anno, la Fao ci ricorda dell’esistenza di milioni di persone che muoiono di fame nel mondo, l’Unep (United Nations Environment Program) lancia l’allarme sull’ambiente, l’Ifad (International Fund for Agricultural Development) parla dei milioni di problemi delle micro strutture agricole che aspettano soluzioni, l’Undp (United Nations Development Program) sbandiera ai quattro venti la scarsa qualità della vita nei paesi poveri. L’allarme è continuo e monocorde. Ha la stessa tonalità di un “grido senza voce” urlato nel deserto. “Nessun cavallo bianco”, di conseguenza, si muove in soccorso della povertà e dell'inesistente sviluppo sostenibile dei paesi in difficoltà, né prima, né dopo i Rapporti dell’Onu.

Una classe mancante

Eppure, i Rapporti sono eloquenti, sono forniti di milioni di dati statistici ineccepibili, contengono analisi scientifiche di grande respiro. Cos’è che non funziona? Il messaggio. L’informazione non riesce a trapassare indenne le maglie della rete dei cosiddetti “mass media”, che la intrappolano, la deformano, la rendono banale, la trasformano in inutilità assoluta. Tutto questo succede soprattutto in Italia, dove, per volontà politica, non si è mai voluto “costruire” una classe di giornalisti “dello sviluppo”, “della cooperazione”; in altre parole, di veri e propri professionisti di politica internazionale seri e non ancorati alla nostra politica estera. Sono poche le eccezioni che si contano veramente sulle dita di una o al massimo di due mani.

Informazione e imprese

Se oggi si conducesse un’analisi sull’opinione pubblica italiana sul sottosviluppo, l’India, la Cina e il Brasile, risulterebbero negli gli ultimi posti tra i paesi più poveri, perché gli italiani sono rimasti, per colpa dei nostri giornalisti, agli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. Durante tutto il decennio ’90, nessun giornalista ha mai messo in evidenza la crescita esponenziale di questi tre paesi. Anche le nostre imprese non si sono accorte e sono arrivate buon ultime in Cina, dove ormai le imprese tedesche operano da più di 15 anni; in India, dove quelle inglesi sono sbarcate in forza negli anni ’90; in Brasile, dove le aziende spagnole, portoghesi, olandesi, e così via, si sono addensate fin dall'anno 2000 e ancor prima.

Mortalità infantile in diminuzione

Un altro esempio, della “mala informazione” è rappresentato dal modo con il quale la nostra stampa ha trattato l’ultimo Rapporto dell’Unicef, presentato ieri, 22 gennaio 2008, dal Presidente Antonio Sclavi, in concomitanza con il lancio internazionale effettuato a Ginevra. Il Rapporto 2008 afferma che la mortalità infantile mondiale è in diminuzione. Questo sarebbe dovuto essere un evento, una notizia sensazionale, doveva far nascere dibattiti sul perché di tale successo. Invece, niente. I giornali hanno sottolineato questo progresso ma hanno continuato a sbattere in prima pagina la morte di milioni di bambini nel mondo. E’ vero, muoiono ancora troppi, e non saranno mai pochi finché perirà anche un solo fanciullo a causa del sottosviluppo. Ma qualcosa sta cambiando.

Il "callo" insensibile

Quello che non cambia è la "fattura" con la quale viene confezionata la notizia: noia e ripetitività che generano il “callo”, l'insensibilità dell'opinione pubblica che continua ad allontanarsi dai problemi reali.

Un netto miglioramento

Il Rapporto prende in esame le strategie di lotta alla mortalità infantile, neonatale e materna di questi ultimi decenni, rilevando come gli interventi più "tradizionali" (vaccinazioni, terapia a base di sali reidratanti, allattamento al seno, etc.) abbiano ottenuto grande successo nel contrastare le cause più frequenti di decesso tra i più piccoli, come infezioni o diarrea. Già a settembre, l’Unicef aveva fatto notare come le cifre della mortalità infantile erano in netto miglioramento. Ieri, questo concetto è stato ribadito. Ma l’attenzione è caduta, di nuovo, sulla drammaticità del problema che fa notizia: in tutto il mondo, continuano a morire in media, ogni giorno, soprattutto per cause evitabili, più di 26.000 bambini sotto i cinque anni.

Finalmente un bel titolo e una bella foto

Il Rapporto, che inverte la tendenza alla drammatizzazione, ha anche un il titolo "bello": “Nascere e crescere sani"; e ancor più bella è la foto scelta per la copertina (vedere in alto). Finalmente un bel bambino “paffutello” che apre la via alla speranza di poter ottenere buoni risultati fin da subito.

Il successo consolidato degli interventi salvavita

Secondo il Rapporto, accanto agli effetti di lungo periodo dei conflitti, tra le cause della mortalità infantile emergono con nettezza le malattie delle vie respiratorie e le conseguenze dirette e indirette delle cattive condizioni di gravidanza e parto (gravidanze precoci, parti non assistiti, mancanza di servizi e personale sul territorio). Per le "tradizionali" cause di morte dei bambini (malattie infettive, diarree) molto si è fatto, ha ricordato Sclavi, grazie alle campagne di vaccinazione promosse dall'Unicef negli anni '80 e '90 e grazie alla diffusione dei sali reidratanti per via orale, arrivando così per la prima volta nella storia a ridurre la mortalità da 0 a 5 anni sotto i 10 milioni annui (9,7 nel 2006). Ma le infezioni delle vie respiratorie e la mortalità per cause legate al parto, combinandosi con gli effetti della diffusa malnutrizione cronica e con la malaria, continuano a fare strage di neonati e bambini. Per arrivare all'Obiettivo di Sviluppo del Millennio n. 4, che prevede la riduzione di due terzi della mortalità infantile entro il 2015, servono analisi costanti delle situazioni più a rischio e nuove modalità d'intervento, più articolate, sistematiche e complesse. La sfida è garantire che i bambini possano accedere a un'assistenza medica continuativa, sostenuta da solidi sistemi sanitari nazionali.

Un'altra bella immagine dell'Unicef (foto: Rapporto Unicef 2007)

Conflitti e povertà, gli ostacoli che rallentano il progresso

Nonostante i passi avanti globali, si è ancora lontani dal raggiungere l'obiettivo nella gran parte del Medio Oriente e Nord Africa, nell'Asia meridionale e nell'Africa Subsahariana.
Per riuscirci, servono progressi sostanziali anche in altre aree, dall'istruzione alle forniture idriche, ma soprattutto servono due cose, come dimostra l'esperienza di vari paesi:
un deciso impegno politico a livello nazionale, che coinvolga i governi, i donatori e le comunità locali, con politiche sanitarie integrate e coerenti su tutto il territorio nazionale e omogeneizzando le iniziative dei diversi attori, Ong, agenzie Onu, etc. e un'integrazione degli interventi di base (vaccinazioni, zanzariere impregnate anti-malaria, integratori vitaminici, promozione dell'allattamento al seno e servizi base di assistenza alla gravidanza e al parto) e la loro erogazione capillare in tutte le aree anche periferiche in modo sinergico
Nell'Africa Subsahariana, dove 1 bambino su 6 muore prima del quinto compleanno, è evidente la necessità di adeguate strategie salvavita. Nel 2006, quasi la metà di tutti i decessi sotto i 5 anni si è verificata nell'Africa Subsahariana, anche se solo un quarto nei nuovi nati nel mondo sono in quest'area. Le cause? Guerre, disastri naturali, Aids, miseria e scarse strutture medico-sanitarie indubbiamente aggravano la mortalità infantile nella regione.

Zanzariere trattate

Tuttavia, nonostante questi problemi, non in tutti i paesi la situazione è uguale: Stati poveri e con difficoltà enormi come Eritrea, Etiopia, Malawi e Mozambico, per esempio, sono riusciti a ridurre di oltre il 40% la mortalità infantile dal 1990 a oggi, dimostrando una volta di più che sono possibili risultati straordinari se si attuano interventi concentrati che diano priorità assoluta alla salute di madri e bambini. «L'integrazione a livello comunitario di servizi essenziali per madri, neonati e bambini piccoli, insieme a un miglioramento sostenibile dei servizi sanitari nazionali, può salvare la vita di molti dei 26.000 bambini sotto i 5 anni che muoiono ogni giorno» ha sottolineato il Direttore generale dell'Unicef, Ann Veneman. «Il rapporto descrive l'impatto di misure salvavita semplici ed economicamente sostenibili, quali l'allattamento esclusivo al seno, le vaccinazioni, l'utilizzo di zanzariere trattate con insetticidi, la somministrazione d'integratori di vitamina A, ciascuna delle quali ha contribuito negli ultimi anni a ridurre la mortalità infantile».

20 gennaio 2008

La scuola italiana affonda

Somari si diventa!

di Roberto Maurizio
Pisa. Programme for International Student Assessment

La Germania, dopo i risultati deludenti di Pisa 2003, si è “rimboccate le maniche” ed ha raggiunto nel 2006 livelli di eccellenza. L’Italia giace da sempre sul fondo della graduatoria Pisa e non riesce a proporre nessuna strada per la soluzione dei suoi problemi. Gli alunni non hanno colpa della brutta figura che continuano a fare nei confronti dei coetanei degli altri paesi Ocse. E’ il disinteresse delle Istituzioni pubbliche a gettare nel fango l’intero sistema scolastico italiano. Le soluzioni ci sarebbero, ma nessuno si vuole assumere la responsabilità di una vera rivoluzione copernicana. Sono state “innestate” nelle discipline italiane metodologie copiate da altre paesi, il problem solving, il problem finding, il rasoio di Occam, il problem making, senza cambiare le mentalità degli insegnanti. In sintesi, secondo me, sono tre i primi problemi di risolvere: 1. Nelle scuole si continua a privilegiare la lezione frontale; 2. la scuola finisce per far odiare certe materie, come matematica, chimica, fisica, ma anche l’italiano e soprattutto le lingue straniere; 3. gli alunni, infine, vengono trattati come “ricettori”, “uditori”, “ripetitori” e non ATTORI.

Che cos’è Pisa

Abbiamo già parlato della brutta figura fatta dalla scuola italiana in occasione della presentazione del III rapporto Ocse-Pisa 2006 (vedere E’ la somma che fa il totale). Abbiamo parlato dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e di Pisa. Ma che cos’è Pisa. L’acronimo Pisa significa: Programme for International Student Assessment. E’ un’indagine triennale accurata condotta dall’Ocse, principalmente,sui suoi paesi membri per verificare, con test appropriati su un campione di quindicenni, le conoscenze acquisite da questi studenti in lingua nazionale, matematica e scienze. Il primo Pisa è stato svolto nel 2000, il secondo nel 2003 e l’ultimo nel 2006. La pubblicazione dei dati Pisa 2006 è stata effettuata nel 2007. Ora si va verso il Pisa 4: 2009.

Come funziona Pisa

Pisa è un'indagine internazionale con periodicità triennale che valuta conoscenze e capacità dei quindicenni dei 30 Paesi Ocse più altri Paesi sviluppati (l’ultima indagine è stata fatta su 43 nazioni). Non valuta tanto le competenze in senso stretto quanto la capacità di applicarle ai problemi reali.

Le materie

Ogni volta si valutano i tre ambiti della lettura, della matematica e delle scienze (oltre ad alcune competenze trasversali), ma se ne approfondisce uno a rotazione (la lettura 2000, la matematica 2003, scienze 2006) in modo da avere un quadro dettagliato dei risultati degli studenti in ciascun ambito di competenza ogni nove anni.

Gli strumenti

La rilevazione avviene attraverso prove scritte strutturate che durano due ore per ciascuno studente. Le prove sono costituite da domande a scelta multipla, domande aperte a risposta univoca e domande aperte a risposta articolata.

I paesi partecipanti a Pisa 2006

Argentina, Australia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cina-Hong Kong, Cina-Macao, Cina-Taipei, Colombia, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Giordania , Grecia, Kazakistan, Kyrghizistan, Indonesia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Portogallo, Qatar, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Coreana, Repubblica Slovacca, Romania, Russia, Serbia-Montenegro, Slovenia, Spagna, Stati Uniti d'America, Svezia, Svizzera, Tailandia, Tunisia, Turchia, Ungheria, Uruguay.

Un quadro desolante: la scuola italiana “senza ascensore”

Il quadro che emerge dal rapporto Ocse 2006 sulla scuola italiana è sconfortante: i nostri alunni sono tra i peggiori studenti dell’Unione Europea e dei paesi dell’Ocse. Peggio di noi c’è solo la Grecia. Il nostro paese è al 33° posto per competenze di lettura, al 36° per cultura scientifica, al 38° posto per quella matematica. Con risultati che sono peggiorati rispetto alle precedenti rilevazioni triennali. I migliori a scuola sono i finlandesi, i coreani e i cinesi. Il rapporto Ocse 2006 fotografa la situazione degli studenti di 15 anni di età in 57 paesi di tutto il mondo. Tra questi, il 70% degli italiani ha raggiunto un risultato sotto il livello 2, ovvero l'insufficienza. “C'è un'emergenza educativa e di formazione che riguarda tutto il Paese”. Così il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, ha commentato i dati dell’Ocse. Per Fioroni, è necessario "ripristinare il merito affinché la scuola sia un ascensore sociale". Duro il commento del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo: "Il quadro delineato dall'Ocse sulla scuola in Italia è mortificante". "Ogni sforzo di creare una valutazione del merito e meccanismi premiali - aggiunge Montezemolo - viene regolarmente vanificato".

Problem solving: la zia di Cappuccetto Rosso

Possibile che i quindicenni di mezzo mondo sviluppato sappiano fisica, chimica e biologia così meglio dei nostri? In realtà la ricerca Pisa non misura il «profitto», in senso stretto, ma la facoltà di «problem solving»: di tradurre cioè le conoscenze in soluzioni di fronte a dei problemi. Quando lo studente italiano si trova di fronte alla prova di lingua per esempio, spiega un tecnico Pisa, riesce a rispondere a domande «chiuse» ma non a quelle «aperte». Se legge la favola di Cappuccetto Rosso - per dire - e si trova di fronte alla domanda se il protagonista avesse una nonna, un nonno o solo una zia, sa dove mettere la crocetta giusta. Ma se gli si chiede di scrivere da chi fosse costituita la famiglia di Cappucetto Rosso lascia lo spazio vuoto. C’è, in sostanza, una incapacità di tradurre le cose apprese in risposte concrete a domande poste dall’esperienza.

Esistono soluzioni?

Si può fare qualche cosa per sbloccare questa situazione? «In questi anni c'è chi si è dato da fare e chi no - dice Giuseppe Ferrari, direttore della Zanichelli, una delle maggiori case editrici scolastiche - In Germania la pubblicazione di Pisa 2003 è stata vissuta come un problema nazionale e ha determinato una mobilitazione da parte della scuola e delle famiglie. Tant’è che la Germania è risalita al 13° posto dal 18° che aveva: l’Italia ha perso 9 posizioni». In quanto editore, Zanichelli ha anche varato un progetto che prevede, all’interno dei libri di testo, delle prove di valutazione analoghe a quelle di Pisa, e una serie di esercizi di problem solving che vanno verso la direzione auspicata dall’Ocse. Ma la questione principale è quella di avvicinare i ragazzi alle scienze associando l’esperienza e il laboratorio allo studio. «Noi - spiega Nicola Vittorio, presidente dei presidi delle facoltà scientifiche - ci siamo posti questo problema già dal 2003 e abbiamo varato il progetto per le lauree scientifiche, che comincia proprio da un lavoro di orientamento sui ragazzi di 15 anni. Che cosa li frena ad avvicinarsi alle scienze? Secondo noi l’”accademia”: l’apprendimento solo come una teoria libresca. La lezione frontale è importante ma non può bastare. Lo studio delle scienze va fatto in laboratorio e cominciando dall’esperienza. I ragazzi devono essere attori e non recipienti. Non è possibile che a 8 anni chiedano il piccolo chimico a Babbo Natale e a 18 preghino perché chimica non esca alla maturità». Questa svolta, conferma Vittorio, non può che passare attraverso gli insegnanti e la loro formazione. «La scuola non può diventare il posto in cui la passione per le scienze viene soffocata».

19 gennaio 2008

La scelta della scuola è una scelta per la vita

SCUOLA PUBBLICA, PRIVATA O PARITARIA?
Una scelta vitale per il futuro dei giovani studenti

di Roberto Maurizio

Il Ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni
fonte: Savona News


Termine per le iscrizioni

Il 30 gennaio 2008 è il termine ultimo per la presentazione delle domande di iscrizione a tutte le scuole statali e paritarie. A stabilire questa data è l’annuale circolare sulle iscrizioni alle scuole di ogni ordine e grado per l’anno scolastico 2008-2009, firmata il 14 dicembre 2007 dal Direttore generale per gli ordinamenti scolastici. La circolare n° 110, prot. N° AOODGOS 1032 è pubblicata integralmente su Articoli di Stampa, Scuola e Vita.

Maggiore trasparenza per le scuole e nessun controllo del MDPI

Il MDPI (Ministero Della Pubblica Istruzione), vedovo oramai della Sign.ra Università, impegnata a respingere il Papa, ha invitato le scuole “ad assicurare maggiore trasparenza nelle procedure connesse alle operazioni di iscrizione: pubblicizzazione dei criteri di ammissione definiti dal Consiglio di circolo/istituto, informazione tempestiva delle domande non accolte, formazione delle classi”.
La circolare “impegna le istituzioni scolastiche (rigorosamente minuscole, qual lor sono, ndr) a riservare una particolare e rinnovata attenzione alle famiglie, con la predisposizione accurata e puntuale dell’informazione sull’offerta formativa della scuola (vuoto assoluto, ndr), l’organizzazione di specifici incontri e la consegna di copia sintetica del Pof (Piano dell’offerta formativa) all’atto dell’ iscrizione (che bella soddisfazione, ndr)”.
Inoltre, la circolare chiede alle istituzioni autonome “ad attivare e potenziare reti scolastiche e reti tra istituzioni per un governo condiviso delle problematiche formative del territorio (ad esempio, sugli alunni stranieri)”.

Le principali novità

C'è innanzitutto, come abbiamo detto, un invito alle scuole ad assicurare maggiore trasparenza nelle procedure connesse alle operazioni di iscrizione (pubblicizzazione dei criteri di ammissione definiti dal Consiglio di circolo /istituto, informazione tempestiva delle domande non accolte, formazione delle classi, ecc.).
La circolare impegna le istituzioni scolastiche a riservare una particolare e rinnovata attenzione alle famiglie, con la predisposizione accurata e puntuale dell'informazione sull'offerta formativa della scuola, l'organizzazione di specifici incontri e la consegna di copia sintetica del Pof (Piano dell'offerta formativa) all'atto dell' iscrizione.
Nei confronti delle scuole, la circolare invita le istituzioni autonome ad attivare e potenziare reti scolastiche e reti tra istituzioni per un governo condiviso delle problematiche formative del territorio (ad esempio, sugli alunni stranieri).
In particolare, per quanto riguarda aspetti specifici relativi ai vari ordini di scuola, la circolare precisa che per la scuola dell'infanzia non è più consentita la possibilità dell'anticipo di iscrizione , già previsto dalla precedente normativa, nei confronti dei bambini che compiono tre anni dopo il 31 dicembre 2008. Conferma, tuttavia, sulla base di una prassi consolidata, la possibilità di accogliere l'iscrizione di bambini che compiono tre anni entro il successivo 31 gennaio 2009, compatibilmente con la disponibilità dei posti e in subordine all'accoglimento di quelli che compiono i tre anni nel 2008. Per quanto riguarda l'iscrizione alle sperimentali sezioni primavera, la circolare rinvia ad apposita disposizione che sarà varata successivamente.
Per la scuola primaria viene evidenziata la nuova normativa che ripristina il modello unitario di tempo pieno (carcere preventivo, così iniziano a imparare come si fa, ndr), a cui le famiglie possono chiedere l'iscrizione nei limiti consentiti dalle disponibilità dei posti attivati.
Sempre per la scuola primaria si dà conferma, anche per quest'anno, della possibilità di chiedere l'iscrizione anticipata alla prima classe da parte dei bambini che compiono sei anni entro il 30 aprile 2009.

Dalle otto e un quarto alle quattordici e trenta

Per la scuola secondaria di I grado non sono state previste variazioni di rilievo; viene confermato anche per quest'anno l'orario massimo di 33 ore di lezioni settimanali, comprensivo di orario obbligatorio e facoltativo opzionale, compatibilmente con le risorse di organico disponibili.

Pubblico, privato o paritario

La scelta pubblico, paritario e privato, qui diventa irrilevante. Le paritarie e le private non hanno ancora avuto un riconoscimento effettivo del Governo, del Parlamento e, conseguentemente, della popolazione. I finanziamenti, 40 miliardi di euro, sono al 99,9% riversati sulla struttura pubblica (e poi dicono concorrenza!).

L'istruzione secondaria, di nome e di fatto

Per gli istituti del II grado viene riservata una particolare attenzione al nuovo obbligo di istruzione per il biennio iniziale con conferma della possibilità di accedere, in alternativa, ai percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale.
Per la prima volta in questo settore scolastico potrà trovare applicazione il nuovo statuto delle studentesse e degli studenti che prevede all'atto dell'iscrizione la sottoscrizione da parte di genitori e studenti del Patto educativo di corresponsabilità predisposto dal Consiglio di istituto. Commento. Io non scendo a patti, soprattutto non lo faccio con i genitori (che sarebbe ora che uscissero dalla scuola e ritornassero sui banchi per apprendere e stare all'altezza dei figli, e non mi riferisco solo ai figli di operai, ma anche a quelli di insegnati, farmacisti, politicanti di varia natura. Finché il Ministero non capisce che la forza della nostra scuola sta negli studenti è la fine. I contentini non servono a nulla).

Finalmente si sono accorti che esistono altre cittadinanze

Un apposito paragrafo della circolare è dedicato agli alunni con cittadinanza non italiana, nei confronti dei quali vengono espressamente richiamati criteri e disposizioni per l'accoglienza, l'assegnazione alle classi, la costituzione di reti territoriali per politiche di intervento.

Un terno al Lotto

Un vero e proprio dramma scoppia in famiglia in occasione della scelta della scuola per il proprio figlio. Iniziamo dall’Asilo, scuola d’infanzia. Qui c’è poco da scegliere perché il dilemma è cornuto: o pubblico o privato. La stessa cosa avviene per le elementari e medie (scuola primaria e scuola secondaria di I grado). Il dramma si trasforma in angoscia per la scelta del II grado. Da più di 10 anni, le famiglie italiane iscrivono i figli ai licei: il classico (con le lingue morte), lo scientifico (con la matematica astratta e filosofica), artistico (che non ha niente di artistico se non la disoccupazione perenne). Le “famiglie” snobbano i tecnici e i professionali, troppo popolari. L’unico professionale che resta in piedi è l’alberghiero, per ovvie ragioni. Allora, a che cosa assistiamo? Ad un rigonfiamento fino all’inverosimile dei classici, degli artistici e degli alberghieri e allo svuotamento dei tecnici e scientifici seri che non siano licei.

Che fare? Un primo decalogo

1. Rinnovare i programmi degli istituti scientifici, economici e giuridici; 2. Non dare la possibilità ai liceali di scegliere qualsiasi facoltà; 3. Precludere l’iscrizione alle facoltà di Economia, Scienze statistiche, Matematica e Scienze ai liceali; 4. Rafforzare le lingue negli istituti tecnici, con insegnanti di madre lingua; 5. Avviare un’inchiesta sulle assunzioni da parte delle imprese che appartengono a Confindustria, esempi di limpidezza sulla carta (ma se le cose vanno bene, come voi dite, perché le imprese italiane sono in difficoltà?). Avete provate ad assumere in base alle capacità e non per raccomandazioni. La raccomandazione non è solo quella che viene dall’alto, può prevenire dal basso, può essere dettata da scelte sbagliate che compiono i vostri selezionatori. Raccomandazione occulta; 6. Scardinare il sistema attuale dando le stesse potenzialità alle scuole pubbliche e a quelle private, inserendo concretamente la concorrenza e la libera scelta; 7. Dare impulso alle scuole private costringerebbe quelle pubbliche ad adeguarsi; 8. Per non parlare a vuoto e teoricamente: ci saranno nei prossimi anni milioni di studenti extra comunitari che saranno introdotti nel nostro sistema scolastico che partono con un vantaggio rispetto ai nostri studenti: conosceranno due madre lingue; 9.Liberiamoci di una scuola repressa e stressata dai partiti e dall’ingerenza negativa della Confindustria; 10. La Confindustria pensi alle industria, se lo sa fare, e lasci alla scuola di esprimersi liberamente come azienda produttiva.

16 gennaio 2008

Il testo integrale del discorso del Papa

Fonte: La Stampa

La laicità della scienza

di Roberto Maurizio

Ormai è certo. Il Papa Benedetto XVI non andrà alla Sapienza di Roma in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. “Un evento «incongruo» e non in linea con la laicità della scienza”. Così un passo della lettera scritta da 67 professori universitari (tra cui, i fisici Andrea Frova, Carlo Maiani, presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Carlo Bernardini, Giorgio Parisi, Carlo Cosmelli. Vediamo se è vero. Pubblichiamo il testo integrale che il Papa avrebbe dovuto pronunciare domani, giovedì 17 gennaio.

Allocuzione del Papa Benedetto XVI in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico – Roma, Università della Sapienza 17 gennaio 2008


"Magnifico Rettore, Autorità politiche e civili, Illustri docenti e personale tecnico amministrativo, cari giovani studenti!

È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell'anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l'istituzione era alle dirette dipendenze dell'Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo.
Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l'impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l'Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell'accoglienza e dell'organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".
Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l'invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un'occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell'università "Sapienza", l'antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l'università del Papa, ma oggi è un'università laica con quell'autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all'autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l'università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un'istituzione del genere. Ritorno alla mia domanda di partenza: Che cosa può e deve dire il Papa nell'incontro con l'università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sè alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: Qual è la natura e la missione dell'università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all'Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell'intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"-episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all'insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell'insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l'interno della comunità credente. Il Vescovo - il Pastore - è l'uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù - e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura - grande o piccola che sia - vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull'insieme dell'umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa - le sue crisi e i suoi rinnovamenti - agiscano sull'insieme dell'umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell'umanità. Qui, però, emerge subito l'obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perchè si pone qui la questione assolutamente fondamentale: Che cosa è la ragione? Come può un'affermazione - soprattutto una norma morale - dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l'altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l'esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell'umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell'umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sè un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l'intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica. Ma ora ci si deve chiedere: E che cosa è l'università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell'università stia nella brama di conoscenza che è propria dell'uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l'interrogarsi di Socrate come l'impulso dal quale è nata l'università occidentale. Penso ad esempio - per menzionare soltanto un testo - alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti ? Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b - c). In questa domanda apparentemente poco devota - che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino - i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d'uscita da desideri non appagati; l'hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore. Per questo, l'interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell'essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell'essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l'interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell'ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l'università. È necessario fare un ulteriore passo. L'uomo vuole conoscere - vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theorìa, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto - chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene.
Questo è anche il senso dell'interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l'ottimismo che vive nella fede cristiana, perchè ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell'incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa. Nella teologia medievale c'è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire - una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l'università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell'universitas significava chiaramente che era collocata nell'ambito della razionalità, che l'arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all'ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista. Ma qui emerge subito la domanda: Come s'individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all'essere buono dell'uomo? A questo punto s'impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell'uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell'opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell'umanità. Jurgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono - lo sappiamo - prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all'insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico. Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: Che cos'è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d'interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell'università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c'erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull'essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l'uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda - in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta. Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall'altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d'Aquino - di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico - di aver messo in luce l'autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s'interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell'università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull'avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l'idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all'umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell'umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un'istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all'interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.Ebbene, finora ho solo parlato dell'università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell'università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell'università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l'uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all'umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell'uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell'uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell'università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell'università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.

Dal Vaticano, 17 gennaio 2008 BENEDICTUS XVI".

Mastella

Il Guardasigilli
di Roberto Maurizio
Sandra Lonardo Mastella, moglie del Ministro della Giustizia, Guardasigilli, nato a Ceppaloni 5 febbraio 1947, è agli arresti domiciliari. Abbiamo incrociato il volto del Ministro Mastella pochi giorni fa, davanti a Palazzo Chigi. Si possono leggere nel suo volto già le amarezze che l'avrebbero colpito oggi. Il Ministro si è dimesso, il Governo sta cercando una soluzione, mentre l'Italia sprofonda in una crisi di credibilità internazionale mai prima raggiunta.



Ecco il volto preoccupato del Guardasigilli







Le foto sono di proprietà di roberto maurizio

Aung San Suu Kyi e Tornatore

Facciamo gli scongiuri


Aung San Suu Kyi, foto (mini) RaiNews24

di Roberto Maurizio


La notizia è di ieri, 15 gennaio 2008. Adnkronos annuncia che Giuseppe Tornatore (nella foto Adnkronos) girerà un film sulla vita di Aung San Suu Kyi intitolato “The Lady”. Il film costerà 30 milioni di dollari e sarà il primo lungometraggio a produzione interamente internazionale (nippo - americano) del regista siciliano. Il cast è ancora top secret.


Commento: le riprese del film inizieranno alla fine dell’anno, sperando che nel frattempo non succeda nulla di grave. Sembra che Tornatore abbia scelto la vita (speriamo lunga e proficua) di San Suu Kyi a 30 miliardi di dollari al posto della vita di Prodi a una finanziaria e mezzo. Aung, non foss’altro, è più fotogenica di Romano. Sembra che Tornattore, non è un refuso, dopo aver abbondantemente sfruttata l’immagine di Aung e appena terminate le riprese del film, abbia promesso di tornare attore al Teatro dei Pupi.

15 gennaio 2008

Il Cristallo Rosso e il Papa

Lo spot sulle morte bianche si è rivelato profetico: evitare la Croce, si può, e il Papa non è andato alla Sapienza, usare la testa si deve, ma, talvolta non si trova la misura

13 gennaio 2008

Il Cristallo Rosso

Proteggere la dignità umana
di Roberto Maurizio

Il Cristallo Rosso


Il secolo breve, il Novecento, pregno di ideologismo e condizionato dal fanatismo, ha lasciato i suoi segni anche nelle icone, alcune provenienti da altri periodi, altri inventati su due piedi: la svastica, la falce e il martello, lo scudo crociato, la stella di David, la mezzaluna crescente, la rosa nel pugno, l’ulivo, la margherita, il garofalo, la stella a cinque punte delle brigate rosse, il teschio… Internet, sommerso da immagini, da clip e smart art, da simboli matematici, da video, da Youtube, ha finito per oscurare le icone del passato. Permangono, purtroppo, ideogrammi duri a morire, perché troppo legati alle radici e alla storia di alcune località regionali o nazionali. Siamo ancora troppo lontani dal riconoscimento di uguaglianza tra tutti i popoli del mondo. Una tra le cause di disuguaglianza tra i popoli è l’arroccamento sulla simbologia ufficiale delle nazioni. La croce è presente in una miriade di bandiere del cosiddetto occidente sviluppato, la mezzaluna crescente si staglia sui tessuti delle bandiere di troppi paesi islamici, le stelle, i soli, i pianeti, continuano ad essere impresse ufficialmente sui simboli che distinguono e non uniscono i popoli. Ma non sono i popoli ad essere divisi. Sono i loro rappresentanti politici che, per mantenere intatto il loro potere interno, non fanno altro che premere sull’acceleratore della distinzione internazionale ed esterna. Certo, una "certa" differenze molto evidente esiste tra un nero del Burkinafaso o del Kenya e una bianca della Finlandia o della Svezia. Sicuramente, un maschio kenyota e una femmina finlandese, in una discoteca, non penseranno mai ai simboli delle loro bandiere: le lance e lo scudo da una parte e la croce nordica dall’altra. La differenza emergerà solo sulla capacità di ballare l’ultimo ritmo scatenato inventato proprio per eliminare la disuguaglianza.
Tutto questo parlare a vanvera che sto facendo, è per poter giustificare il pezzo su “Testo o croce”. Io non potrei mai avercela con la Croce, che mi appartiene per svariati motivi, ma quello che non tollero è l’uso indiscriminato che viene fatto in nome suo per giustificare l’arroganza di chi, per soldi, prende a calci il prossimo. Se utilizzo la Croce (facendo finta che non esistono altre persone che non la pensano come me) per costruire una pubblicità che dovrebbe essere rivolta a tutti i lavoratori, a prescindere dalla fede religiosa, sto commettendo un’ingiustizia.
Inoltre, il simbolo che è stato scelto dalla pubblicità, quello della Croce Rossa, è stato accantonato dalle Nazioni Unite un anno fa, proprio per non creare discriminazioni. Il Cristallo Rosso sostituisce i vecchi simboli delle ambulanze. Il Cristallo Rosso non sarà bello, non sarà rappresentativo, non sarà simpatico, ma potrà essere, perlomeno, una veicolo utile alla distensione fra i popoli e assicurerà la diffusione dell’amicizia fra tutte le nazioni del mondo.
Non ha importanza il simbolo dell’ambulanza che salva una vita umana, basta che protegga la dignità umana.

I simboli della Croce Rossa, della Mezzaluna Rossa e del Cristallo Rosso

11 gennaio 2008

Testa o croce?

Pubblicità progresso. Non era meglio la roulette russa?
di Roberto Maurizio

"Usare la testa, si deve. Evitare la croce, si può". Questo lo slogan lanciato per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle morti bianche. Tradotto, lo slogan vuol dire prendi le dovute cautela tu imprenditore e tu lavoratore rispettando le norme sulla sicurezza, altrimenti finirai sepolto sotto una croce. E i musulmani, gli ebrei, i buddisti, ... ?

Curiosità: Speriamo che la pubblicità non sia stata finanziata con i soldi che dovevano essere spesi per il Dialogo interreligioso.

Indigenismo

BERTINOTTI ALLA PAZ

El Libertador Fausto Bertinotti, Presidente della Camera, si converte all’indigenismo, cioè alla politica che mira a “restituire il petrolio, gas e acqua agli indigeni (etimologicamente, significa abitanti del luogo, ndr) boliviani”, “restituire i redditi delle terre agli indios che le abitano”. Ma questo non l’abbiamo già sentito da Bossi? La Padania ai padani.


Miss Padania 2007, www.mi-lorentaggio.it


Umberto Bossi, www.blog.panorama.it

Bella è stata anche la frase pronunciata nel corso della visita del "folgorato di La Paz", non proprio vicino a Damasco, dal Presidente rivoluzionario indios boliviano Evo Morales: “voi (occidentali, ndr) parlate di giustizia, noi di armonia, voi dite di voler vivere meglio, noi siamo per cercare di vivere bene". Ma non l’abbiamo già sentito da un certo San Francesco “poverello” di un certo paesino vicino Perugia?

Il poverello d'Assisi, www.oggisalerno.it

Moratoria sull'uccisione di giornalisti


"NON STRAPPATE LE PENNE AI GIORNALISTI"

di Roberto Maurizio
Segretario generale dell'Agsi



Questa è un’iniziativa dell’Agsi. Dopo la moratoria sulla pena di morte, approvata dall’Onu, e sull’aborto proposta da Giuliano Ferrara (le moratorie potrebbero continuare a lungo: sulle morti bianche dei lavoratori, sugli incidenti stradali, sulla mala sanità, e quant’altro) chiediamo, in quanto categoria professionale, la moratoria sull’uccisione dei giornalisti .
1. Basta con il fucile puntato contro un tesserino
2. Basta con i giornalisti torturati e imprigionati
3. Basta con i giornalisti ridotti alla fame (ogni riferimento all’Italia è puramente casuale)
4. Basta con lo strangolamento della libertà di stampa.
Per aderire alla "Moratoria contro l'uccisione di giornalisti", “Non strappate le penne ai giornalisti”, inviate un’email a questo blog (robertomaurizio1947@gmail.com oppure a
roberto.maurizio@fastwebnet.it)

Troppa grazia

Claudia Pregno. Troppa grazia, Sant’Antonio!

La nostra critica sul programma di scienza sul Tg3, Leonardo, che va in onda alle 14 e 50 di ogni giorno, escluso giugno, luglio, agosto, settembre, tutti i santi, i morti, i sabati, le domeniche, natale, pasqua, ferragosto, il corto week end, il long week end, la settimana bianca, il giorno dispari di venerdì dopo la merenda (cioè, i giorni in cui la scienza va in ferie!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!), si è frantumata davanti alla bella sorpresa di vedere una nuova annunciatrice, Claudia Pregno, che parla in italiano e fa anche capire quello che dice! Inoltre, al nostro sogno di poter capire le parole del programma, se ne aggiunto un altro. Mamma Rai, con la Claudia non ci ha dato solo il top della scienza, ma anche il bottom. E che bottom! Troppa grazia, Sant’Antonio.

Lord Di Pietro

La “performance” di Di PietroAntonio Di Pietro e Leoluca Orlando

Che l’on. Antonio Di Pietro, da buon meridionale e molisano doc, abbia qualche difficoltà nell'uso del congiuntivo è risaputo. L'Onorevole ha anche inventato il “dipietrese”: “Capisci a me”, “Aiutatemi a capire ciò che vi dico e ve lo formulerò meglio”, “Che ciazzecca”. Ma ieri, 10 gennaio 2008, sul Sacro Suolo di Roma, davanti a Palazzo Chigi, sommerso da una folla di giornalisti, cameramen e fotografi di tutto il mondo, ha superato sé stesso: ha sciorinato uno splendido inglese esibendosi in un numero degno della migliore Camera dei Lords, pronunciando “performance” con l’accento sulla prima e, pérformance, e non, come è giusto, sulla o, perfòrmance. Se continua a sbagliare gli accenti, Antonio potrebbe essere retrocesso dalla Camera Alta dei Lords, alla Camera Bassa di Campo Basso.

Le foto sono di Roberto Maurizio

Aung e Ingrid

Aung San Suu Kyi e Ingrid Betancourt



L’iniziativa di questo “giornale” di stare accanto a due splendide donne, Aung San Suu Kyi e Ingrid Betancourt, che segneranno, speriamo nel migliore dei modi, il 2008, è stata al centro degli interessi del Comune di Roma, che sul Campidoglio ha esposto una gigantografia di Aung e di Ingrid insieme. Ecco le foto.




Per comprendere se il nostro messaggio è arrivato a chi di dovere, cioè agli insegnanti, agli studenti, agli operai, agli impiegati, ai pensionati, insomma, ai cittadini italiani che hanno a cuore l’interesse di Aung e di Ingrid, questo “giornale” invita tutti coloro che si collegano per svariati motivi ad esso, a sottoscrivere l’iniziativa, inviando un messaggio via email a roberto.maurizio@fastwebnet.it. Sarà pubblicata integralmente su questo sito.

Le foto sono di Roberto Maurizio

Non è Gabriele, è "Michele"

Navigare nell’etere
di Roberto Maurizio



Si chiama “Michele”(non è il suo vero nome). E’ il finto giornalista, sempre con la penna blu in mano e un taccuino vuoto sul quale fa finta di annotare le frasi più gustose dei maggiori personaggi politici italiani. “E’un lavoro che svolgo da molti anni”. Mi dice, il 10 gennaio, alle ore 12.00, davanti a Palazzo Chigi. Il nostro “simpatico” personaggio compare sugli schermi televisivi italiani e stranieri, dietro le immagini di politici e di altre personalità pubbliche a ogni piè sospinto. La sua agenda viene aggiornata quotidianamente. Non ha bisogno di calendari speciali, di mailinig list, di segretarie, di computer. Lui sa dove avverranno i fatti principali della giornata. Il suo fiuto, da giornalista in erba, da cane segugio, lo porta a stare “nel momento giusto al punto giusto”. A differenza dell’omologo, Gabriele Paolini, addirittura citato su Wikipedia, con il quale, mi ha confidato di aver iniziato a “intraprendere il lavoro”, “Michele” è un vero “professionista”: è “attento”, è come un alunno del primo banco. Non dà fastidio, annota sul suo taccuino vuoto le frasi spoglie, digiune e banali dei potenti, che vengono assaliti dalle telecamere da 50.000 euro, da macchine fotografiche da 10.000 euro, da telefoni cellulari ricetrasmittenti, da 5.000 euro. A lui, basta un taccuino di 50 centesimi e una penna scarica di 10. Lui desidera solo comparire. Gli dico che metterò la sua storia sul mio blog. E lui: “Non mi interesso di tecnologia avanzata, di computer. A me basta essere presente e basta”. Gli chiedo di farsi fotografare. “Con piacere”. Quando gli chiedo, sottovoce, perché lo fai, mi risponde: “E’ un po’ come sentirmi immortalato per l’eternità”. Ti farò comparire su Internet, gli ripeto. “Io sono superiore a Internet. La mia immagine quotidiana in Tv arriva nelle case degli italiani, vola nell’etere, attraversa la volta celeste, si ferma per un attimo sulla Luna, poi si spinge verso Marte; da lì inizia un cammino verso il regno assoluto dell’oscurità e dei buchi neri della Galassia, per riprendere poi definitivamente il sentiero che la porta allo splendore dei confini dell’Universo”. Questa frase non è stata pronunciata da lui, ma l’ho letta nel suo pensiero. Proprio quando la stava enunciando, allarmato mi dice, “Arriva Mastella”. Uno scatto da centometrista. Lo inseguo. Poi sbotta: “E’ meglio di no”. “La guardia del corpo del Ministro non mi sopporta”. Mi giro, e l’Universo scompare.


Le foto sono di Roberto Maurizio

9 gennaio 2008

E' la somma che fa il totale

Lo “strabismo” dell’Ocse sulla scuola italiana
di Roberto Maurizio




Una scuola "squinternata" con 40 di miliardi di euro l’anno

E’ passato giusto un anno dal Rapporto “Education at a Glance 2006” (Uno sguardo sull'Istruzione 2006) dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), pubblicato a gennaio del 2007. In attesa del nuovo Rapporto, che dovrebbe uscire a giorni, presentiamo i principali dati e le considerazioni sostanziali dell’importante organismo parigino di Chateau de la Muette. Comunque, visto l'andamento della scuola italiana nel 2007, non ci saranno grosse novità o sorprese eclatanti; non è previsto nulla di buono, anzi, le cose dovrebbero essere peggiorate. Per aspettarci buone nuove, dobbiamo affidarci solo su un improbabile "strabismo" (squint) parigino.
La prima e fondamentale considerazione allarmante dell’Ocse sulla salute della scuola italiana nel 2006, è, a dir poco, impietosa: il sistema scolastico italiano, da oltre un decennio, è vicino al collasso. Abbiamo una scuola arretrata, inefficiente, stagnante e arrogante.

Che cos’è l’Ocse

L’Ocse è stata istituita con la Convenzione di Parigi, firmata il 14 dicembre 1960, ed entrata in vigore il 30 settembre 1961. La sua sede è nella capitale francese, Chateau de la Mouette. Attualmente aderiscono all’Ocse 30 paesi industrializzati, che rappresentano i due terzi dell’intera produzione mondiale di beni e servizi ed i tre quinti delle esportazioni complessive. I paesi membri sono: Australia, Austria, Belgio, Canada, Corea, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda,Islanda, Italia, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria. L’adesione all’Ocse è condizionata all’impegno da parte dello Stato richiedente di avere un’economia di mercato ed una democrazia di tipo pluralistico.

Una scuola costosa ed inefficiente

Stando ai numerosi dati contenuti nel Rapporto (di cui pubblichiamo la sintesi in italiano su Articoli di Stampa, Scuola e Vita), il sistema di istruzione nazionale risulta troppo costoso se paragonato agli scarsi risultati che riesce a produrre. Un sistema nella sostanza inefficiente che richiede un approfondito restyling. Scuola, istruzione post-secondaria e università arrancano, sfornano studenti che non riescono a reggere il confronto con i compagni degli altri 30 paesi aderenti all'Ocse e laureati che troppo spesso restano disoccupati.
Il ponderoso volume di 465 pagine, ricche di tabelle, grafici e numeri (con dati aggiornati al 2004), attraverso il confronto fra i diversi sistemi di istruzione dei vari paesi aderenti all'Ocse, individua le cause dei mali che affliggono la scuola italiana e indica soluzioni possibili .

Cultura scientifica

Per quanto riguarda la Cultura scientifica, il Rapporto afferma che nel 2003 i quindicenni italiani figuravano al 27° posto per le loro competenze nelle materie scientifiche e nel 2006 sono slittati al 36° posto. In cima alla lista scientifica figurano gli studenti della Finlandia, paese che non solo continua a mantenere buoni risultati (da 548 punti a 563), ma in cui tutti gli alunni raggiungono livelli di buon rendimento. Dietro l'Italia si piazzano solo Portogallo (474), Grecia (473) e Israele (454). Fra i Paesi al di sotto della media Ocse, oltre all'Italia, si posizionano Croazia, Slovacchia, Lituania, Norvegia. E peggio dei nostri ragazzi, oltre ai coetanei di Portogallo e Grecia, fanno gli studenti di Bulgaria (434 punti) e Romania (418), fra gli ultimi entrati nella Ue.

Lettura
Per la lettura, l'Italia si posiziona al 33° posto, totalizzando un punteggio totale di 469, che la posiziona al di sotto della media Ocse nella classifica che vede ai primi cinque posti Corea, Finlandia, Hong Kong, Canada e Nuova Zelanda. Di paesi dell'Unione Europea, soltanto Repubblica Slovacca, Spagna e Grecia hanno fatto peggio del nostro paese, oltre alle nuove entrate Bulgaria e Romania. L'Ocse, inoltre, rileva come l'Italia abbia peggiorato il proprio risultato rispetto al primo rapporto Ocse-Pisa del 2000. Per quanto riguarda la differenza tra maschi e femmine, le ragazze di tutti i paesi interessati dalla ricerca hanno fatto meglio dei loro coetanei: in particolare, per quanto riguarda l'Italia lo scarto è di 41 punti a favore delle studentesse.

Matematica

Per la matematica, il nostro paese si trova al 38° posto (con 462 punti) della classifica che vede ai primi cinque posti Taiwan, Finlandia, Hong Kong, Corea e Olanda. Peggio dell'Italia, tra i paesi dell'Unione europea soltanto la Grecia che si posiziona al 39° posto e Bulgaria e Romania. Anche per la cultura matematica, come per la capacità di lettura, almeno un quarto degli studenti che hanno partecipato al progetto non ha raggiunto la ''sufficienza'' del secondo livello di conoscenza, classifica in cui siamo superati anche dalla Grecia. L'Italia, infatti, è fuori anche dalla ''classifica'' che vede almeno il 70% degli studenti raggiungere il secondo livello. Come per le altre due rilevazioni Ocse-Pisa, anche per quella matematica i risultati ottenuti nel 2006 sono peggiori di quelli del 2003. A differenza della classifica per capacità di lettura, per la matematica i ragazzi si sono comportati meglio delle loro colleghe studentesse.

Solo il Nord Italia il linea con i migliori

E’ inutile tapparsi il naso davanti a manifestazioni, a volte, estemporanee di Bossi. Preso da solo il Nord Italia, senza il “fardello del Centro-Sud”, si colloca sempre tra i primi posti nella stesura di tante statistiche: dal reddito pro-capite, alle ore lavorate, dalla produttività industriale al tasso di occupazione, dalla sanità allo sport (è doloroso dirlo!). Quindi, il Nord, anche nel settore scolastico, fa rimarcare dati confortanti che lo collocano sopra la media dei paesi Ocse.

I licei “stracciano” i professionali

Secondo il Rapporto, gli studenti dei licei hanno conseguito mediamente risultati migliori rispetto ai tre ambiti di indagini (scienze, matematica, lettura) con un punteggio di 518 più alto di quello di istituti tecnici e professionali, questi ultimi staccati di oltre 100 punti a 414. Gli studenti del nord-est hanno un punteggio di 520, seguiti da quelli del nord-ovest con 501, dal centro con 486, dal sud con 448 e le isole con 432. Estrapolando i dati, emerge che gli istituti tecnici del nord-ovest e del nord-est si collocano al di sopra della media Ue, dimostrando un livello di preparazione assolutamente migliore di quello dei loro colleghi delle altre regioni d'Italia.

Eccellenze depresse. Si coltiva la depressione

I dati Ocse mostrano "l'immagine di una scuola che da un lato continua a non riuscire a coltivare le eccellenze, dall'altro assiste ad uno slittamento verso il basso del livello medio di prestazione degli studenti, almeno per quanto riguarda l'ambito della lettura".
Il grado di istruzione complessivo, secondo l'Ocse, pone l'Italia al penultimo posto per numero di laureati: appena 11 su cento persone di età compresa fra 25 e 64 anni. Solo la Turchia è sotto di noi, ma veniamo sopravanzati perfino dal Cile e dal Messico. I paesi asiatici (Giappone e Corea) ci surclassano (37 e 30 rispettivamente), così come Stati Uniti e Australia. Situazione non cambia prendendo in considerazione i giovani laureati di età compresa fra i 25 e i 34 anni. E il divario fra l'Italia e la media dei paesi dell'Unione europea (a 19 stati) si amplia per numero di laureati nelle facoltà scientifiche: 1.227 ogni 100 mila giovani fra i 25 e i 34 anni contro i 2.128 della media Ocse. Le cose non cambiano molto se si passa ai semplici diplomati: siamo in fondo alla classifica (appena 48 su 100) con una media Ocse che si attesta sui 67 ogni 100 abitanti di età compresa fra i 25 e i 64 anni.

Le leggende metropolitane

Quarant’anni fa in Italia, su 100 bambini che si iscrivano alla prima elementare solo 10 si laureavano. Oggi sono 11! Allora, che ne dite della frase, trita e ritrita, una vera e propria leggenda metropolitana, che si sente sui “poggi capo” dei barbieri, sulle “pedane” degli autobus, ma anche sui “tappeti” dei salotti bene della nostra amata “borghesia progressista e illuminista”: TROPPI DIPLOMATI, TROPPI LAUREATI!

Si scommette sulla selezione naturale

L'Organizzazione parigina, però, alla fine diventa "buona" con l'Italia. Un'occasione da non perdere: entro il 2015, l'Italia, subirà un calo della popolazione scolastica (tra il 10% della materna e il 4% delle superiori) che avrà un impatto positivo sulla spesa per l'istruzione. La sola diminuzione degli alunni dovrebbe, secondo l'Ocse, consentire un risparmio del 6% che, in tempi di magra, non è poca cosa. Che bella soddisfazione! Per diminuire le spese, scommettiamo "sulla selezione naturale".

Superiori ammalate

Siamo seri. La scuola italiana deve essere più efficiente per reggere il confronto con le altre economie mondiali. Il Commissario europeo per l'istruzione, la formazione, la cultura e il multilinguismo, Ján Figel', invece, avverte: "Sistemi d'istruzione e di formazione efficienti possono avere un notevole impatto positivo sull'economia e sulla società, ma le disuguaglianze nell'istruzione e nella formazione hanno consistenti costi occulti che raramente appaiono nei sistemi di contabilità pubblica. Se dimentichiamo la dimensione sociale dell'istruzione e della formazione, rischiamo di incorrere in seguito in notevoli spese riparative".
Sulla stessa linea si pone il Ministro della Pubblica istruzione, Fioroni: “la scuola non è equa perché distingue tra chi è figlio di operai e chi di professionisti”. Porre la questione in termini esclusivamente di equità vuol dire, a nostro avviso, non comprendere a fondo i veri mali del sistema. Sono elementi sociali di grande rilevanza politica, richiamano sicuramente i voti molti utili alle elezioni, ma sembrano un po' datati, fermi al secolo scorso, il famoso "secolo breve" dove hanno trionfato l'ideologismo e le tirannie. Per allinearci ai livelli europei serve una scuola più competitiva e la chiave non sta tanto nell'affrontare questi problemi a livello di scuola primaria (la vecchia scuola elementare, che, secondo la graduatoria stilata dalla rivista Forbes, risulta essere tra le prime nel mondo, in termini di competitività), bensì a livello di scuola secondaria. E’ lì che il vero male si annida.

Non è mai troppo tardi!

Senza parole!

Il grande Maestro Manzi



BOX
Desaparecidos
Ogni anno, in provincia di Napoli, quasi diecimila studenti abbandonano le aule scolastiche. I "desaparecidos" della scuola pubblica napoletana sono ragazzini delle medie, e soprattutto dei primi due anni della scuola secondaria di secondo grado, che nel bel mezzo dell'anno scolastico decidono che la loro carriera scolastica può considerarsi conclusa. Nessuno sa che fine fanno. Nessuno studio serio è mai stato effettuato per capire dove finiscono gli studenti (ma anche le studentesse, di cui nessuno si occupa – probabilmente, perché non fanno scippi -). Solo congetture come: “la maggior parte di loro prende la strada del lavoro, spesso precario e in nero, utile però a racimolare qualche decina di euro da tenere in tasca per sentirsi 'grandi'. Altri incappano nelle maglie della microcriminalità e diventano corrieri della droga o il braccio di una piccola manovalanza del crimine. Solo una piccola parte chiede 'asilo' alle scuole private". Ma da dove prendono questi dati, se non esistono? Per la dispersione, sembra, che venga stanziato il 5% del totale delle spese del Ministero della Pubblica (adesso sì, tre anni fa no) Istruzione che ammonta a 40 miliardi di euro. E’ la somma che fa il totale…