31 maggio 2009

Enrico Berlinguer: l'ultimo comunista

Tg3 e la Sette: faziosi più di Fazio
di Roberto Maurizio


Esproprio proletario

Fermo restando che Libero, il Giornale, Mediaset, Rete 4 di Fede sono delle nullità che saranno spazzate nel prossimo futuro, Report, o giù di lì, del Tg3 e la Sette (un programma sulla storia italiana) sono delle trasmissioni settarie che verranno anch'esse sputtanate nel breve termine. Report, o giù di lì, espone i problemi delle case in Italia. E' noto che più del 70% e più degli italiani, con il sacrificio e con il sudore della fronte sono proprietari di un appartamento. A chi può interessare a una settimana dal voto delle europee questo argomento? Al 30% degli italiani. Certo, sono molti, ma molti sono anche il 70/80/90 %. Ma in Italia la matematica è un'opinione. Cosa fa la brava giornalista? Dà ragione a chi occupa le case, quelli che prima o poi occuperanno casa tua. Gli italiani non sanno che in Italia la proprietà è un furto. Quindi, prima o poi, le nostre case saranno ramazzate dagli indigenti, dai poveri, dagli extracomunitari, dai marocchini, dai turchi, dai cinesi, dagli albanesi, dai russi, dagli altotesini, dai molisani guidati dal loro leader che ti chiederà come hai fatto a comprarti la casa? Con il mutuo becero imbecille! Con i sacrifici e non con i vostri soldi che sono simile alla grandine. La Sette parla del fascimo, un ventennio che viene preso per il culo, con musiche eseguite con il mandolino e le immagini da Ridolini. Ma dopo il fascismo non c'è più nulla da prendere per il culo? 60 anni di sfascio completo della Dc e dal compromesso storico con il Pci, 60 anni senza aver saputo costruire un futuro per i nostri figli, 60 anni di ladrocini del Psi e della Dc, mentre Berlinguer dalla sua Sardegna non ancora attaccata dai fotografi per immortalare ragazze in topless, con due seni meravigliosi esposti al vento portate dagli aerei dell'aeronautica militare che invece di fare la guerra facevano quello che propugnavano i figli dei fiori, parlava della barca in comune che faceva acqua da tutte le parti.



Enrico Berlinguer, l'ultimo comunista

Beato Enrico Berlinguer, un vero comunista, sepolto a Prima Porta, a Roma, abbandonato da tutti, non dai suoi familiari, sotto un cumulo di terra, senza altari, senza segni. L'ultimo comunista credeva in quello che diceva ed ha lasciato letteralmente la sua vita per ideali ormai scomparsi: uguaglianza, giustizia, libertà.



Con i nostri soldi

Ma brutti porci, siete convinti che gli italiani sono dei coglioni? A una settimana dal voto spunta la Santanché. E della disoccupazione, della malasanità, della scuola allo sfascio, delle case che crollano, del traffico, dell'ingiustizia, della magistratura schierata contro i cittadini, dell'Inps che ti manda la visita fiscale anche quando hai un piede rotto, delle morti sul lavoro, dei tanti suicidi che continuano ad insanguinare l'Italia, soprattutto dei giovani, chi se ne occupa? L'opinione pubblica si mobilita per Englaro dopo 17 anni, mentre a Taormina un ragazzo di 16 si toglie la vita, un altro di 18 muore per overdose, un altro ancora viene travolto sulle strisce, un altro ancora muore per un appendicite. Ma che Italia è questa? La sinistra non ha più un leader come Berlinguer e presenta in Tv, quella di Berlusconi, secondo loro, storie stereotipate con un sottofondo musicale aggiacciante e poi fa appladire, come a Piazza Venezia, quei quattro coglioni che assistono alle trasmissioni televisive della Rai e della Sette. Per la Sette non ci sono problemi. Fra poco chiuderà, perché non ha nulla da dire. Purtroppo la Rai resterà in piedi con i nostri soldi.

30 maggio 2009

Anche i cani hanno diritto alla vita

“Leone”, il cane del Sole
di Roberto Maurizio

Un giorno mi ritrovai, non ai confini dell’Afghanistan, ma in un paese immerso in un clima torrido dove ogni filo d’erba sembrava appartenere all’Africa e ogni “bella di notte” annunciava un nuovo giorno radioso. Ignoranza e superstizione facevano pendant con l’avvento di una nuova vita basata sullo sviluppo tecnologico e con il primato della crescita economica sulla povertà, sulla miseria, sui catini di urina che venivano buttati dal balcone. I cani randagi, oggi come allora, pullulavano sul territorio. Uno di questi, un “volpino”, con il naso all’insù, con una coda meravigliosa che cambiava colore al mutare delle stagioni e delle fasi lunari, vagava senza meta. I suoi occhi si confondevano con il giallo e con l’oro del Sole. Durante la notte di San Lorenzo, le sue pupille ridisegnavano le scie delle “stelle cadenti” e mi avvisavano delle successive “cadute” in anticipo. Non era un cane qualsiasi. Era il mio cane. Era irascibile, correva dietro le macchine, abbaiava contro gli uomini che gli avevano fatto un torto. Era un "selvaggio". Decisi di chiamarlo “Leone”, come il Sol Leone, in virtù della sua piccola criniera che non aveva nulla a che fare con il “re della foresta”. Ma la sua grinta, la sua “passione per la vita” erano visibilmente riscontrabili a centinaia di metri di distanza. Un brutto giorno, sempre per la sua “arroganza” contro le autovetture, venne investito da un camion. Tutti credettero che era morto. Andai in suo soccorso, lo presi tra le mani, lo portai sul marciapiede, lo guardai negli occhi. Tutti dissero che era morto. Non poteva essere così, anche se il suo corpo era stato quasi del tutto maciullato dal camion. Lo curai, lo accarezzai, lo abbraccia per mesi e mesi. Leone continuò a vivere e continuò ad abbaiare alle macchine. Anche i cani hanno diritto alla vita.

28 maggio 2009

Elezioni europee: 6 e 7 giugno tutti al mare, tutti a Ventotene

Elezioni europee: tutti al mare, tutti a Ventotene
di Roberto MaurizioVentotene, un'isola stupenda, un mare incantato, un'Europa lontana


L'Europa è una cosa seria. L'euro ci ha dato la "felicità". I parlamentari europei sono il perno del nostro benessere. Bruxelles è una meta da raggiungere a tutti i costi per i milioni di euro che dà ai nostri parlamentari (vedi Santoro con il suo Ruotolo e Lilli Gruber). L'unico paese, l'Italia, ti obbliga a votare: i diritti civili... Se proprio volete votare non votate il Pd , l'Idv e altri simili. Il Pdl raggiungerà quota 70%, per l'inerzia di una "sinistra" senza programmi, se non quella di Noemi. I galoppini di destra e di sinistra, quelli di sempre, raccoglieranno i loro voti tra la barbaria dell'inciviltà di un'Italia corrotta dalla politica che ha distrutto le carceri, gli ospedali, la scuola. Se gli italiani e le italiane avessero le palle dovrebbero mandare al macero queste elezioni europee farse. Non per le veline, ma per un Sassoli piovuto dalla Rai. Il male minore sarebbe votare Pannella, non la Bonino che vuole fare lavorare le donne fino a 65 anni. Ma Marco non ha la possibilità di smuovere nulla, anche perché sono 20-30 anni che a Bruxelles non ha prodotto niente in favore dei cittadini italiani, se non di quelli degli impiccati una volta ogni tanto (pena di morte all'Onu), ma niente in favore di quelli impiccati ogni giorni dal traffico, dalle multe, dagli ospedali fatiscenti. Chi si occuperà degli impiccati di ogni giorno in Italia? La vittoria di Berlusconi è scontata. Non ha nemmeno sprecato un soldo per propaganda. Anni fa venne contestato per i suoi manifesti giganti orrendi che adesso ce l'ha Casini. Allora, visto il Franceschini che attacca i figli di Berlusconi, visto il Berlusconi che viene descritto dalla stampa estera come un Duce di serie B, allora è meglio non andare a votare. Solo l'Italia continua ad essere amica e contaggiata da un'Europa che diventa sempre più lontana, mentre gli altri paesi hanno perfettamente capito che quest'Europa è un'invenzione che è rimasta a Ventotene. Allora, il 6 e 7 giugno, tutti a Ventotene!

19 maggio 2009

Liceo scientifico "Vito Scafidi", Rivoli, Italia

Liceo scientifico “Vito Scafidi”, Rivoli, Italia
di Roberto Maurizio

Nevermore

Il Comitato dei genitori del Liceo scientifico “Charles Darwin” di Rivoli ha pubblicato sul sito dell’Istituto una lettera che sembra essere, a priva vista, un momento d’apertura verso la richiesta sollevata dalla famiglia di Vito Scafidi, studente di 17 anni, ucciso il 22 novembre 2008 a causa della caduta del soffitto dell’aula nella quale stava svolgendo la “ricreazione” insieme agli altri compagni di classe, cioè quella di intitolare l’Istituto al giovane studente liceale. Analizziamo punto per punto la lettera, partendo, però, dalla fine. «Preferiremmo, dicono i Genitori del Dawin, che di Vito si ricordasse la vitalità, la simpatia, la bontà d’animo, la luce dei suoi occhi di cielo e che nel suo nome, ogni giorno, ciascuno nel suo piccolo, facesse qualche cosa, qualche piccola cosa, perché a nessuno, mai più, fosse tolto ciò che a Vito è stato tolto. Un “mai più” (il famoso nevermore di Edgar Allan Poe – vedere “Stampa, Scuola e Vita”: “The crow and the raven” del 10 ottobre 2007 -) che non sia fatto di parole al vento o inciso su targhe dimenticate, ma realizzato nei fatti, con il lavoro quotidiano per verificare, controllare, chiedere, per pretendere che il diritto alla sicurezza sia rispettato, per far sì che Scuola diventi sinonimo di futuro». A me sembra che chiedere il rispetto di un diritto, quello alla vita e alla salvaguardia della stessa attraverso la prevenzione, è una bestialità. Ci si riempie la bocca di rispetto della Costituzione, rispetto della Carta fondamentale dei diritti umani e poi, come schiavi e non come cittadini evoluti, si invoca dal “sovrano” la verifica, il controllo delle strutture quando dovrebbe essere lapalissianamente un compito quotidiano delle cosiddette autorità, prufumatamente pagate con i nostri soldi. Ma stiamo scherzando? La scuola non è il futuro è il presente. Nel futuro, cioè nel lungo temine, come disse saggiamente John Maynard Keynes, saremo tutti morti. Oggi, vogliamo un controllo immediato, giornaliero, vogliamo, non l’impegno, ma l’immediata realizzazione della prevenzione nelle scuole e nei posti di lavoro.

Monte Sei Busi

La lettera “aperta” dei Genitori, sempre letta a ritroso, sostiene che «Non siamo neppure sicuri che Vito vorrebbe che ogni giorno, entrando a scuola, i suoi amici e i suoi compagni avessero la sensazione di entrare in un luogo in cui il tempo si è fermato a quel maledetto 22 novembre e che questo tempo immobile, che rievoca nel profondo dell’animo l’insicurezza, l’angoscia e il dolore vissuti, si stendessero come un cielo plumbeo su ogni giornata della loro vita scolastica». Vito, purtroppo, non ha più amici né compagni di classe, ed è terribile interpretare la volontà di un ragazzo, senza che abbia avuto nemmeno il tempo necessario di sottoscrivere il suo “testamento biologico”. Mio nonno Beniamino “lasciò i suoi occhi” per difendere la Patria nel 1915, a Monte Sei Busi, e quando mi reco sul posto, nel sacrario dei tanti giovani italiani che perirono per un “ideale”, non sento insicurezza, angoscia, dolore. Anche in giornate di pioggia, vedere tante croci messe in fila di tanti giovani italiani caduti per la Patria, il cielo plumbeo diventa di un azzurro acceso.

A Zacinto

Senza scomodare, più di tanto, Ugo Foscolo, autore che si “studia”, di solito, in letteratura del quarto anno nelle scuole superiori italiane, che Vito forse stava “studiando”, proprio nel periodo relativo a quel maledetto giorno, basterebbe effettuare la parafrasi dell’opera sepolcrale del cantore di Zacinto (oggi, Zante), della famosissima “Dei Sepolcri”, per rendersi conto come esistano “alimenti” che risarciscono, al di là delle lusinghe, il pianto dei parenti per i loro morti. “Il sonno della morte è forse meno doloroso all'ombra dei cipressi e nei sepolcri su cui i parenti possono piangere i loro morti? Quando il Sole per me non feconderà più la Terra con le belle specie piante e di animali, e quando il futuro per me non ci sarà più davanti, ricco di lusinghe, né potrò più udire, dolce amico, la tua poesia malinconica, né più sentirò nel cuore l'ispirazione poetica e il sentimento d'amore, unico alimento per la mia vita di esule (ogni persona a cui viene negato un diritto è un esule, Ndr), quale risarcimento per i giorni perduti potrà mai costruire una pietra tombale che distingua le mie ossa da tutte le altre che la morte dissemina in terra e in mare? Meditate gente, meditate. Meditate Genitori del Darwin!

Vito, Aushwitz, Fosse Ardeatine e Foibe

«Una scuola, continua la lettera letta sempre a ritroso, è un luogo in cui i ragazzi trascorrono una larga parte della loro giornata (sei ore al massimo, Ndr) e della loro vita (cinque anni, Ndr) un luogo in cui, oltre a studiare e ad apprendere, crescono e diventano adulti vivendo sentimenti e passioni, momenti di serio impegno e di spensieratezza, di tensione e di allegria, di dolore e di gioia, di amicizia, d’amore, di speranza nel futuro. Vivono, insomma, tutto ciò che anche Vito ha vissuto finché tutto questo non gli è stato tolto anche a causa dell’imprevidenza e dell’incoscienza umana (e il Consiglio d’Istituto dove stava? E il Comitato dei Genitori, dove stava? Ndr). Proprio per questo abbiamo deciso di “agire” (in ritardo, Ndr), perché ciò che è possibile fare sia fatto affinché mai più (Nevermore, Ndr) tutto questo sia tolto a qualcuno (e ci mancherebbe altro! Ndr). Non siamo affatto sicuri che la strada migliore per ricordare Vito, per non dimenticare il suo sguardo aperto e il suo viso sbarazzino sia quella di trasformare una scuola in un mausoleo, in un sacrario, luoghi nobilissimi ma fatti per raccogliersi nel ricordo di persone care e ben diversi da una scuola». Ma che differenza esiste tra una scuola e un campo di sterminio come Aushwitz, come l’eccidio delle Fosse Ardeatine o come le Foibe? Per non dimenticare, purtroppo, in questa civiltà che fagocita ogni secondo milioni di notizie, occorre una “stele”, una “aedicula”, un “tempietto”, un “nome”, un “momento di riflessione”, anche se ora sembra insufficiente. Ma il “sacrificio” di Vito rimarrà lettera morta se non gli sarà assegnato e riconosciuto un riferimento in cui le generazioni future, probabilmente multietniche, potranno ricordarsi di un ragazzo morto per l’incuria delle Autorità. Non voglio paragonare la “Provincia di Torino” a Hitler. Sono due cose completamente diverse. Ma, se non si reagisce fermamente alla negazione di richieste di soluzioni immediate per la sicurezza e la prevenzione nelle scuole, potremmo correre il rischio di far ripetere la storia che si rincorre in Italia dal ‘48 ad oggi (corsi e ricorsi storici di Gianbattista Vico): continui rinvii, assoluzioni, progettazioni, programmazioni e nulla di concreto sulle strutture scolastiche. Facendo così, cioè non chiedendo a gran voce il riconoscimento del cambiamento del nome del Darwin in “Liceo Scafidi”, si corre il rischio che il carnefice passi inosservato. Saremmo di fronte di nuovo ad una specie di trattato Ribbentrop-Molotov, come l’invasione della Polonia. Assisteremo, allora, alla ripetizione della malvagità della Seconda guerra mondiale nelle scuole italiane. Basta!

Darwin, rimandato in latino
Da qui in poi, la lettera dei Genitori diventa patetica. «Alcuni, poi, fanno osservare come da sempre l’intitolazione di una scuola, luogo in cui si guarda all’evoluzione del pensiero umanistico e scientifico e si approfondisce il sapere, sia avvenuta per ricordare persone il cui contributo nei vari ambiti della conoscenza ha costituito elemento di svolta e progresso per l’intera comunità umana, oppure per onorare gli autori consapevoli di atti tesi alla protezione della comunità». E’ risaputo che Charles Darwin non era assolutamente “portato” allo studio degli antichi classici, quindi come mai a Rivoli hanno voluto dedicare proprio all’autore della “Teoria dell’Evoluzione” un Liceo scientifico? Se fosse vera l’affermazione dei Genitori circa l’intitolazione delle scuole a “persone di un certo spessore” (espressione che risente molto dalla scritta ancora impressa sul Palazzo della Civiltà del Lavoro di Roma, il Colosseo quadrato: poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigratori), non si capisce perché alcune scuole siano state intitolate a Totò (amato da tutti gli italiani) o a Ilaria Alpi. Il mio ex Istituto di Roma, nel quale ho insegnato per anni, il “Giovanni Da Verrazano” di Roma, è un tecnico commerciale e il nostro amato e simpatico Giovanni non sapeva nulla di ragioneria, anzi, era completamente analfabeta e si firmava con una sola z e non con due. Le scuole, in Italia, vengono intitolate a chiunque. Sembra, che a L’Aquila sia già pronto l’Istituto di Lingue greche e arcoriane “Bruno Vespa” e a Casoria e in tutto il napoletano, gli Istituti di Rifondazione del Muro “Michele Santoro”. Ma insomma, non ha importanza il nome, è importante che una scuola funzioni e sia sicura.

Un consenso diffuso
La lettera del Comitato dei Genitori continua sferrando un attacco senza senso al Ministro dell’Istruzione, che non centra nulla con la proprietà dell’edificio scolastico che appartiene alla Provincia, l’unica vera responsabile della cattiva manutenzione dell’immobile. I Genitori si lamentano che il nome dell’Istituto da intitolare a Vito Sfafidi sia piombato dall’alto, proprio dal Ministero, immediatamente subito l’avvenimento del mortale “incidente”. Da Darwin a Scafidi, dunque, è stato proposto da “Roma”. Qui, l’atteggiamento dei Genitori diventa incomprensibile e pazzesco, si avvicina molto al famoso detto cinese “per far dispetto a mia moglie…”. Ma come? “Stampa, Scuola e Vita” sta raccogliendo le firme, anche tramite Facebook, per inviarle al Ministero mentre la porta è già spalancata? Sono i Genitori del Consiglio d’Istituto, allora, che si rifiutano? «Mentre le proposte del Consiglio di Istituto hanno trovato un consenso diffuso (cioè, quello di intitolare un campo d’erba vicino alla scuola, Ndr.) quelle del Ministro e del Presidente della Provincia hanno invece sollevato un accorato dibattito e rischiano di creare incomprensioni e fraintendimenti e perfino divisioni all’interno della comunità scolastica, alla fine di un anno difficilissimo in cui tutti hanno subito forti contraccolpi psicologici».

Responsabilità morali?
«Dobbiamo infatti constatare, continua la lettera, che la proposta delle due personalità politiche suscita in molti perplessità circa il metodo e nel merito: - la decisione in merito riguarda direttamente, anche per legge, la comunità scolastica, ma la proposta calata dall’alto e le fortissime pressioni che ci risulta esservi state, hanno messo in dubbio la sua autonomia, mentre la proposta avrebbe avuto ben altro valore lasciando che, se sentita, fosse scaturita da chi nel Liceo vive e lavora; - invece la proposta è stata avanzata da un Ministro su cui grava la responsabilità di aver operato drastiche riduzioni delle risorse per la scuola pubblica (ma che c’entra? Questi sono genitori o sindacalisti dei docenti? Ndr) e che a distanza di sei mesi dalla tragedia non ha provveduto ad alcun contributo diretto per la sicurezza dell’Istituto (ma non spetta al Ministero! Ndr), salvo rilasciare ai giornali dichiarazioni in merito all’intitolazione; - la proposta è caldeggiata anche dal Presidente della Provincia, Ente responsabile della manutenzione dell’edificio ed Ente sul quale, sebbene dopo i fatti l’intervento sia stato tempestivo, grava la responsabilità morale di non aver saputo, nel tempo, valutare appieno, attraverso le proprie strutture tecniche, la necessità di attuare controlli più efficaci in ordine a un edificio storico che, evidentemente, necessitava e necessita di interventi di prevenzione (qui i Genitori hanno perfettamente ragione, occorre trovare il responsabile, anzi l’irresponsabile della Provincia che non ha provveduto ad effettuare le opere necessarie per l’incolumità degli studenti, qui, anche se non entrerà la “giustizia umana”, arriverà la “giustizia divina”,Ndr). Constatiamo inoltre che questa proposta calata dall’alto, appare ai più come un facile “atto riparatore”, che non costa nulla in termini economici e d’impegno per la reale sicurezza nelle scuole, ma che facendo leva sulla pietà sollevata dai tragici avvenimenti cerca al tempo stesso di lenire (ma sarà mai possibile? Ndr) la domanda di giustizia e il dolore inconsolabile di una Famiglia e di avviare un’azione di propaganda tesa a recuperare le critiche per lo stato della sicurezza nelle scuole italiane, senza di fatto operare realmente affinché le cose cambino davvero». Qui, i Genitori hanno ragione da vendere.

Non importa se Darwin o Scafidi: però stop alle morti annunciate


La lettera aperta dei Genitori del Darwin, una componente essenziale della scuola italiana, continua, anzi inizia nella lettera letta a ritroso, in questo modo. «Il giorno dopo la tragedia del 22 novembre in tutti noi, insieme allo sgomento, al dolore, allo slancio solidale si sono fatte strada una rabbia sorda e una domanda: “Come possono accadere fatti come questo”? Poi, con il passare dei giorni, di fronte ai rituali cui sempre si assiste quando accade un fatto simile, di fronte al fiume di parole che si sprecano in un paese che ha poca memoria, che si straccia le vesti e poi dimentica finché non accade un nuovo dramma e poi un altro e un altro ancora, la rabbia ha lasciato il posto alla consapevolezza che bisognava “agire” in prima persona, per fare in modo che la memoria restasse viva, che mai si dimenticasse chi ha perso la vita e lo strazio dei suoi cari, la sofferenza di chi, in un attimo, ha visto cambiare il proprio futuro, il trauma silenzioso di chi ha provato e prova dolore per gli affetti perduti, di chi è stato segnato per sempre da incubi, più o meno gravi, che mai avrebbe pensato di vivere. Questa consapevolezza è poi sfociata nella determinazione di proposito fermo, irremovibile: “agire perché questo non accada più”». E qui, altre ragioni da vendere da parte dei Genitori. E’ vero quello che dicono i Genitori: non importa se Darwin o Scafidi, basta però che le strutture scolastiche siano degne di un paese civile. Però, “Stampa, Scuola e Vita” continuerà la sua battaglia per fare assegnare al Liceo scientifico di Rivoli il nome di “Vito Scafidi”, con la stessa intensità con cui difende a “spada tratta” l’eroina birmana Daw Aung San Suu Kyi.

18 maggio 2009

Aung San Suu Kyi. Dove sono le Nazioni Unite?

Un. Where are you?
di Roberto Maurizio


Un grido di dolore si alza dal Myanmar, mentre Daw Aung San Suu Kyi viene arrestata, processata e condannata: Nazioni Unite dove siete? A Lampedusa, a pescare le vongole?

16 maggio 2009

Aung San Suu Kyi, l'eroina della democrazia

Daw Aung San Suu Kyi. La “zia” della democrazia
di Roberto Maurizio

Naypyidaw: la sede dei re


La storia di Aung San Suu Kyi rappresenta, un po’, la storia della Birmania, un paese semisconosciuto in Italia (a parte che nel nostro paese, molti “compaesani” non sanno nemmeno dov’è Matera e se il Molise è bagnato dallo Ionio, che non è un alogeno, né tanto meno una tintura che serve a curare le ferite). La Birmania, in inglese Burma, dal 18 giugno 1989 ufficialmente Myanmar, è uno Stato dell’Asia sudorientale con una popolazione stimata su circa 51 milioni di abitanti, che occupa parte della costa occidentale della penisola indocinese. E’ il doppio dell’Italia, poco più grande dell’Afghanistan e poco meno dello Zambia ed è attraversata dal Tropico del Cancro. Il Myanmar si affaccia sul Golfo del Bengala e sul mar delle Andamane. Confina con Bangladesh, India, Cina, Laos, e Thalandia. Attualmente, dopo il colpo di Stato del 1988, è sotto il regime militare di Than Shwe. Il 27 marzo 2006, la Giunta militare ha spostato la capitale da Yanghon a Pyinmana, che è stata ufficialmente rinominata Naypyidaw, cioè “sede dei re”.

Aung San
Durante la Seconda guerra mondiale la Birmania divenne una parte importante nel teatro asiatico sudorientale. Dopo i successi iniziali, i giapponesi nel 1942 invasero la Birmania, nel 1942 ed i britannici furono espulsi dalla maggior parte del territorio. Ma gli alleati reagirono e nel luglio 1945 ripresero il paese, con l'aiuto dell'Afpfl (Lega per la libertà delle persone antifasciste), guidato da Aung San. Nel 1947, Aung San divenne Vicepresidente del Consiglio esecutivo della Birmania, in un governo transitorio. Tuttavia, nel luglio 1947, alcuni rivali politici assassinarono Aung San e parecchi membri politici. Il 4 gennaio 1948, la nazione si trasformò in una repubblica indipendente, conosciuta come Unione della Birmania, con Sao Shwe Thaik come primo presidente ed U Nu come Primo ministro. Ma, puntualmente, con l'indipendenza, arrivarono anche le richieste, avanzate dalle minoranze (chin, kachin, karen, mon e shan) di uno Stato Federale, e portate avanti con una guerriglia contro lo stato, che rispose con una feroce repressione. Diversamente della maggior parte delle altre ex colonie britanniche, la Birmania non divenne membro del Commonwealth.

U Thant


Nel 1961 U Thant, allora rappresentante permanente della Birmania all’Onu e Segretario precedente al Primo Ministro, fu scelto come Segretario generale dell’Organizzazioni delle Nazioni Unite; era il primo Segretario non occidentale che dirigeva l’Onu. U Thant è stato il terzo Segretario generale dell’Onu, dal novembre 1961 al dicembre 1971. Fu scelto come sostituto di Dag Hammarskjöld, morto in un incidente aereo nel settembre 1961. Nei dieci anni in cui guidò l’Onu, U Thant dovette negoziatore in occasione di numerose crisi (Cipro, Rodesia, Israele)) ed inoltre tentò di sciogliere i nodi della guerra del Vietnam.

Ne Win

Il Governo democratico fu destituito nel 1962 da un colpo di Stato militare condotto dal Generale Ne Win. Dal 1962 al 1988 il regime birmano fu un tipico regime comunista, guidato da un gruppo di militari marxisti. Ne Win, uomo forte del regime, promosse una disastrosa «via birmana al socialismo», imponendo un'economia rigorosamente collettivista che ridusse il paese alla fame, mentre la repressione fece migliaia di morti. Procedendo a tappe forzate, vennero nazionalizzate le industrie, soppressi i partiti politici (1964) e fu proibito il libero scambio. Il paese rimase isolato dal resto del mondo, data l'assenza di diritti civili per la popolazione, così come di libertà di stampa.

Than Shwe


Nel 1988, dopo le rivolte studentesche, che provocarono migliaia di morti, Ne Win si dimise, e fu proclamata la legge marziale, mentre il generale Saw Maung organizzò, il 18 settembre, un colpo di Stato. Venne, così costituta la Giunta militare, sotto il nome di Consiglio per la restaurazione della legge e dell’ordine nello Stato, e venne nominato Than Shwe tra i 21 componenti. Nel 1990, si tennero nel Myanmar, per la prima volta in 30 anni, le elezioni libere. Il 23 aprile 1992, in seguito alle dimissioni di Saw Maung, Shwe divenne Capo dello Stato e Comandante delle forze armate (Tatmadaw). Than Shwe è ora anche il Capo del Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo (Spdc). Inizialmente, Than Shwe dimostrò una maggior apertura politica, liberando alcuni membri dell'opposizione e facendo alcune concessioni democratiche. Cambiò il nome dello Stato da Birmania a Myanmar e iniziò il processo di redazione di una nuova Costituzione ancora in redazione. Allo stesso tempo aprì il paese agli organismi internazionali, come l’Asean, e permise alla Croce Rossa e a Amnesty Internationale di compiere visite in Myanmar. Nonostante questo progresso, dal 1996 in poi, si passò ad una situazione di forte repressione contro le minoranze etniche e religiose. Il regime di Than Shwe ha agito secondo un’ottica di repressione in tutti gli anni a venire. Than Shwe, a 60 anni, l'età prevista per la pensione obbligatoria, ha esteso tale termine ed ha aumentato significativamente il suo potere con con l’arresto del Primo Ministro Khin Nyunt. La Giunta militare guidata da Than Shwe ha promesso elezioni politiche nel 2100.

Zio U Thant e Zia Dwa Suu Kyi


Aung San Suu Kyi , figlia dell’eroe nazionale della Birmania Aung San, ha aggiunto al suo “vero” nome, Suu Kyi, a quello del padre, Aung San. In Birmania i nomi e i cognomi delle persone sono difficili da decifrare per gli “occidentali”, cioè per quella massa di uomini e donne che credevano di possedere il mondo intero. Omnia munda mundis. Suu Kyi è preceduto da Daw, in birmano,, Daw Suu Kyi (pronuncia Do’ Su Ci). Daw, come U, sono titoli onorifici: Daw significa Signora, Lady, Madam, Zia, U, significa Signore, Mister, Zio,. Quando due entità diverse entrano in contatto, si perdono le radici storiche. Un bell’intervento dell’attore più amato in Occidente, Jim Carrey, in difesa di Daw Suu Kyi, “perde la brocca” e per difendere la Signora birmana la paragona a un “eroe sconosciuto”, cioè a Aung San (pronunciato in inglese unsan), cioè ad un “eroe senza storia”. Invece, Daw Suu Kyi, oggi tormentata dall’arresto in carcere emanato dal dittatore birmano, non significa altro che Zia Suu Kyi, come era lo Zio Thant. Il ruolo degli zii, dei parenti è fondamentale in tutte le civiltà asiatiche. Questa nozione si è praticamente persa nel cosiddetto mondo occidentale sviluppato, dove la parentela è stata sostituita dal dio denaro. Non sono più in Occidente, soprattutto in Italia, i figli e i nipoti ad occuparsi dai nonni, degli zii e delle zie. Ormai, le vecchie zie, gli orribili nonni malandati vengono affidati alle extracomunitarie con o senza permesso di soggiorno. Una vergogna che ricadrà sull’intera popolazione italiana costretta a far “badare” dalle “badanti” i loro genitori. Daw Suu Kyi è una zia, una Signora, che ha bisogno del sostegno della popolazione birmana, in un’ottica di democratizzazione, sperando che la democratizzazione birmana non si trasformi in quella “pugliese”, “milanese” e “romana” dove i vecchi sono bestie da macello. Daw Suu Kyi rappresenta una donna dalla quale prendere insegnamenti su come rispettare la democrazia, la libertà e la capacità di riconoscere un posto adeguato agli infermi, ai vecchi, ai carcerati, alle persone sofferenti. Il nostro sistema di merda riduce gli ammalati, gli afflitti i diversi (non quelli di Chiambretti, lesbiche e gay che hanno miliardi a loro disposizione, solo per fare spettacolo), ma quelle persone vere alle quali la Zia Suu Kyi si sta rivolgendo, sempre se quel “maledetto comunista” di Than Shwe non ci abbia già pensato!

La vita di Aung San Suu Kyi nella storia e nelle immagini


Suu Kyi (in basso al centro) nata il 19 giugno 1945 a Rangoon. Ha solo due anni quando il padre Aung San, leader dell’indipendenza Birmana dalla Gran Bretagna, viene assassinato da paramilitari. Frequenta le migliori scuole della capitale birmana, continua gli studi in India – dove la madre era stata nominata ambasciatrice nel 1960 – e poi in Gran Bretagna. Voce dolce e fragile silhouette , 63 anni, incarna da più di 20 anni la minaccia principale per la dittatura militare in Birmania.


Laureata in filosofia, economia e scienze politiche a Oxford, diventa assistente nelle Scuole orientali di Londra, e sposa nel 1972, Michael Aris, un universitario britannico, specialista del Tibet e del buddismo con il quale avrà sue bambini.


Nell’aprile 1988, Suu Kyi si reca al capezzale della madre malata, in Birmania. Il paese è in fermento: una rivolta degli studenti in favore della democrazia provoca circa 3.000 morti.


Nell’agosto del 1988, Aung San Suu Kyi prende la parola di fronte al migliaia di persone radunate di fronte alla Pagoda Shwedagon di Rangoon. Un mese dopo, fonda il suo partito, la “Lega nazionale per la democrazia" (Lnd), con il contributo di numerosi oppositori del regime. Venne arrestata dalla Giunta militare nel luglio 1989 che le offre la possibilità dell’esilio che lei rifiuta. Per gettare acqua sul fuoco i militari le offrono la residenza in Birmania che Suu Kyi manterrà fino al 1995.


Nel 1991, un anno dopo aver ricevuto il premio Sakharov per la libertà di pensiero, Aung San Suu Kyi ottiene il premio Nobel per la Pace. Per la prima volta nella storia del Premio Nobel, il premio viene consegnato ad una prigioniera che non lo potrà ritirare. Al suo posto, ad Oslo ci saranno il marito e un suo figlio.


Durante le elezioni legislative del 1990, il partito di Suu Kyi impartisce una solenne sconfitta ai militari al potere dal 1962, che rifiuteranno i risultati della consultazione elettorale, provocando una protesta della comunità internazionale.


Nel 1999, mentre il marito stava morendo di cancro in Gran Bretagna, lei decise di rimanere in Birmania, credendo di non poter più tornare in questo paese. Anche Michael Aris rifiutò il diritto di ricongiungersi a sua moglie. Lei non lo rivedrà mai più. Aris muore nel mese di marzo del 1999.


Nel settembre del 2000, Daw, la Signora, la Zia, è di nuovo assegnata agli arresti domiciliari, fino al maggio del 2002. Questo periodo, tuttavia, non ha impedito l’apertura di discussioni storiche in vista di una “riconciliazione nazionale”, con il Primo ministro Khin Nyunt (nella foto con U Aung Shwe, il Presidente della Lnd). Il dialogo è stato bruscamente interrotto quattro anni più tardi con la “liquidazione” di Nyunt da parte del “generalissimo” Than Shwe.


Nel maggio 2003, viene di nuovo arrestata e imprigionata tramite un attacco al suo convoglio da miliziani pro Giunta. In settembre, viene condotta nell’attuale residenza sul lago Inya di Yangon, in quasi totale isolamento.



Nel 2007, sei settimane dopo la repressione della protesta dei monaci buddisti, Suu Kyi si rende disponibile al dialogo con il regime e, attraverso una missiva all’Onu, chiede che, “nell’interesse della nazione” lei “è disponibile a dialogare” con i militari. A gennaio del 2008, Aung San Suu Kyi, dopo essere stata in attesa di una risposta, afferma che i suoi propositi sono “scomparsi dal calendario”.


Il 14 magio 2009, meno di due settimane prima del riesame della sua detenzione, proprio quando le sue condizioni di salute peggioravano, Aung San Suu Kyi, viene arrestata di nuovo a causa della misteriosa intrusione dell’americano nella sua dimora. Oggi, rischia 5 anni di prigione.
Premi e riconoscimenti internazionali

1990 : Premio Fondazione Rafto per I diritti umani (Norvegia)
1990 : Premio Sakharov per la libertà di pensiero (Parlamento europeo)
1991 : Premio Nobel per la Pace (Norvegia)
1991 : Premio per I diritti umani (Stati Uniti)
1992 : Premio Marisa Bellisario (Italia)
1992 : Premio internazionale Simòn Bolívar (Unesco)
1993 : Premio Rose (Danimarca)
1993 : Premio internazionale per i Diritti umani Victor Jara (Stati Uniti)
1993 : Premio Jawaharlal Nehru per l’intesa internazionale (India)
1995 : Premio Gandhi (Canada)
1995 : Premio per la Libertà del Comitato internazionale di aiuto (Stati Uniti)
1997 : Cittadinanza onoraria Città di Roma (Italia)
1997 : Premio internazionale del gruppo per la pace e la giustizia Sant’Angela (Irlanda)
1999 : Premio per la Libertà, International Republican Institute (Stai Uniti)
2000 : Premio Dublino per la Libertà (Irlanda)
2000 : Medaglia presidenziale per la libertà (Stati Uniti)
2003 : Premio “Esprit Libre Forum pour la Liberté”, (Stati Uniti)
2004 : Cittadinanza onoraria Città di Parigi
2005 : Premio Olof Palme
2007 : Cittadinanza onoraria Città del Canada
2008 : Premio della Fondazione Jacques Barrot Vice-Presidente della Commissione europea M. Federico Mayor Co-Presidente del Panel delle Nationi Unite per l’Alleanza delle Civilizzazioni.
P.S. I partiti di sinistra, Pd, Radicali e Di Pietro non hanno alzato un dito per Daw Suu Kyi. I "comunisti" non hanno levato alcuna lamentela. La destra se ne strafrega. Popolo della libertà di chi? Quando un domani, cioè nel 2010, in Birmania, una terra ricca di ogni bene della terra, tornerà la libertà tutti diranno (come diceva Totò): io c'ero.
Foto: le magnifiche foto della vita di Aung San Suu Kyi sono di Afp.

14 maggio 2009

Vito e Paola Scafidi

Il teatrino della scuola
di Roberto Maurizio e Paola Scafidi
Paola Scafidi

Che tristezza vedere ridotta così male la scuola italiana! Senza toccare minimamente le infrastrutture scolastiche fatiscenti e la loro capacità di procurare la morte a soli 17 anni di studenti disarmati mentre sono intenti a fare ricreazione (ogni riferimento a Vito Scafidi, ucciso il 22 novembre 2008 è puramente casuale), come può la scuola italiana premiare i gruppi teatrali (quelli pagati a fior di mila euro dal Fondo d’Istituto) a scapito di cose molte più serie, come ad esempio, il riconoscimento della bellezza di una vita spezzata nel fiore della gioventù? E’ una vergogna, quando in una scuola si spendono soldi per fare “rappresentazioni teatrali” prive di senso, solo per far piacere ad un insegnante e fargli mettere in tasca 1.500 euro lorde l’anno. Una Colf guadagna, giustamente, le stessa cifra in un mese. Il teatro della vita è una cosa più seria rispetto al teatrino della politica e a quello scolastico.

La vera razza giornalistica


La sorella di Vito Scafidi, Paola, come risulta su Facebook, ha cercato di pubblicare una lettera che la stampa le ha rifiutata, con la motivazione banale di “troppo lunga”. In realtà, Paola, la lettera è troppo lunga e poi non ci sono i presupposti per la sua pubblicazione. Adesso ti spiego quali sono: 1. Gli articoli devono essere brevi; 2. Devono essere comprensibili; 3. Devono lanciare un messaggio; 4. Devono “stare sulla notizia” (il famoso uomo che morde il cane); 5. Non devono contenere errori di grammatica e di battitura; 6. Devono avere un’audience capace di sfiorare perlomeno il 10% del totale; 7. Devono rispondere alle regole fondamentali della comunicazione (Who, What, Where, When, Why). Ma poi, esistono altre leggi non scritte. Per pubblicare un articolo, stampare un giornale, fare una televisione, costruire una radio, devi avere, come si dice in America (intesa come Stati Uniti d’America) una lobby, un “gruppo di pressione”. Tu, Paola da chi sei appoggiata? Dalla Chiesa? Dai Cristiani? Dagli Ebrei? Dai Musulmani? Dai Cinesi? Dai Russi? Dall’Onu? Dalla Mafia? Dalla Camorra? Dal Pdl? Dal Pd? Da Di Pietro? Da Casini? Dalla Preside? Dalla Prof.ssa Ferrero? No. Quindi, è per questo che i tuoi articoli saranno sempre cestinati. Non da “Stampa, Scuola e Vita”, che li accoglie e li pubblica volentieri proprio perché, io e te, siamo purtroppo della stessa “razza”: non siamo appoggiati e sostenuti e finanziati da nessuno.

Attenti a Internet


Ma, queste Lobbies italiane sbagliano i loro conti perché non sanno che hanno a che fare con la grande rivoluzione di tutti i tempi: Internet. Stanno cercando di strumentalizzarla, ma non ci riusciranno, perché ci sono milioni di persone che ragionano con il proprio cervello e non si vendono alle Autorità costituite (Stato, Onu, Mafia, Ue). Per essere una vera Autorità devi avere il rispetto degli esseri umani. E sono miliardi le persone che utilizzano Internet. Fra poco, si potranno avere sul proprio computer di casa, tradotto nella lingua del paese in cui si riceve la notizia, tutte le “note” di Facebook, tutti gli articoli provenienti da tutte le parti del mondo. Non ci saranno più le censure che queste cosiddette Autorità impongono. Purtroppo, parlo di un mondo che deve ancora arrivare. Ma chi vivrà, vedrà fra non molto (non sono i tempi lunghi di Keynes).

Ecco la lettera di Paola Scafidi


Buon giorno, siamo la famiglia di Scafidi Vito, il ragazzo che tragicamente ha perso la vita a scuola il 22 novembre 2008, nella sua aula, nel luogo in cui stava costruendo il suo futuro. Non avremmo mai voluto scrivere in prima persona, non ci appartiene tale comportamento, ovvero metterci in mostra, ma leggendo quanto è stato pubblicato in data 8 maggio 2009, ci siamo sentiti toccati nel profondo. Rispondiamo a colei che ha tentato, inutilmente, a nostro parere, di giustificare il comportamento tenutosi lunedì 4 maggio durante la riapertura del Liceo scientifico Darwin di Rivoli. La Prof.ssa Anna Maria Ferrero ha affermato di essere da anni referente del Gruppo di teatro del Liceo, in base alle sue affermazioni ho tratto le mie conclusioni. La “signora” si è preoccupata, e mi domando come concepisca essa la preoccupazione, del suo Gruppo teatrale e dell'interruzione di tale attività. E' evidente quindi che il personale di tale scuola si preoccupi maggiormente di cose futili, di poca importanza. A mio parere, vista la rappresentazione teatrale di poco spessore, sarebbe stato meglio evitare tale rappresentazione; essa ha parlato di tenacia da parte dei ragazzi, ragazzi che hanno lodato, lusingato la struttura scolastica e non solo, rimuovendo, o forse trascurando un piccolo grande particolare. La scuola da loro cantata e lodata allo stesso modo in cui Dante cantava la sua Beatrice, D'Annunzio la sua Ermione, ha portato via un ragazzo di soli 17 anni e ha cambiato totalmente la vita di Andrea Macrì. Mi domando allora da chi essa tragga spunto per svolgere tale ruolo, tale mansione. I grandi della storia hanno realizzato grandi opere teatrali, rivalutandole più volte, opere che sono rimaste immortali e che non verranno mai eclissate. Ovviamente, il corpo teatrale del Liceo Darwin non è a tale livello, è infatti un semplice Liceo. Ma sempre dai grandi della storia ci è stato insegnato che quando non si trovano parole, bisogna lasciare parlare il silenzio. Sarebbe stato meglio far salire sul palco ragazzi vestiti di nero, disporli in fila e far urlare “silenzio”. Questa tipologia di rappresentazione teatrale sarebbe stata apprezzata e applaudita, sarebbe rimasta nella storia della scuola. E' facile improvvisarsi attori, è difficile riuscire bene nella parte. La Prof.ssa ha affermato che l'idea di tale rappresentazione è partita dagli allievi stessi, mi domando fino a che punto essa possa credere che la gente creda a tale affermazione. Ogni iniziativa studentesca, per poter andare in porto, deve avere l'approvazione dall'alto ovvero da chi ha il potere di farla realizzare . Dietro a uno studente, c'è sempre un professore o meglio dire c'è sempre chi da il consenso. Sono state dette tante parole, parole che non rimangono, ma che volano via e si perdono nello stesso momento in cui vengono pronunciate. Non è stato ricordato Vito tanto meno Andrea. La Prof.ssa afferma che i ragazzi si sono sentiti avviliti ed addolorati nel constatare come le loro parole, i loro pensieri siano stati attribuiti ad un malinteso. Le propongo invece di mettersi per un solo istante nei panni delle due famiglie, addolorate, invece dalle parole di quei ragazzi immaturi, irresponsabili, visti come pedine nelle mani di chi si serve di loro per esultare la propria scuola. Io Paola Scafidi, sono salita sul palco per ringraziare a mia volta il Liceo scientifico Darwin, ho ringraziato, anche nome della mia famiglia e della famiglia di Andrea. Ho ringraziato l'edificio per avermi privato per sempre di mio fratello e per aver cambiato la vita ad Andrea. Un ringraziamento ironico, pesante, provocatorio. La Sig.ra Ferrero ha dimostrato la sua maturità dopo le mie parole pronunciate sul palco, poiché durante la mia uscita, ha invitato i ragazzi ad accompagnarmi con la musica, per far sì che uscissi degnamente di scena. Ovviamente il tutto ironicamente. Non intendo prolungarmi oltre evito di commentare ancora questa lettere è stata inviata alla stampa che non la pubblicherà perché troppo lunga a voi i commenti grazie.


Paola
“Stampa, Scuola e Vita” pubblica con entusiasmo la tua bella lettera. La stampa non è solo quella finanziata con i miliardi delle Lobbies, ma quella che viene letta. Questo blog, come puoi vedere ha circa 70.000 contatti. E’ letto sia in Italia sia all’estero: Canada, Australia, Brasile, forse Cina e Birmania. “Stampa, Scuola e Vita” è come un “messaggio lanciato da un naufrago in una bottiglia”. Prima o poi il messaggio arriverà. Ciao Paola, ciao Vito, un bacio a Andrea.

Questo articolo si trova anche su Facebook (note di Roberto Maurizio) e su www.maurizioroberto.com

Aung San Suu Kyi in carcere

Arrestata Aung San Suu Kyi
di Roberto Maurizio

Il 27 maggio prossimo, scadranno i termini degli arresti domiciliari per Aung San Suu Kyi, la “Signora di Rangoon”, la leader dell’opposizione in Birmania (Myanmar), il Premio Nobel per la Pace 1991. Nel frattempo San Suu Kyi è stata arrestata con l’accusa di “aver infranto le regole" della sua assegnazione agli arresti domiciliari che durano dal 2003.
La “Signora”, in pratica ha trascorso 13 degli ultimi 19 anni agli arresti. Se sarà riconosciuta colpevole, la leader della Lega nazionale per la democrazia rischia da tre a cinque anni “per visita non autorizzata”. Con lei sono stati incriminati anche due collaboratori domestici della leader. Il fatto a cui fa riferimento l'incriminazione è il gesto di un cittadino americano di 53 anni, John William Yeattaw, che una decina di giorni fa si era introdotto furtivamente nella sua residenza a nuoto per renderle visita e per questo era stato arrestato.
Oggi, 14 maggio, Suu Kyi è stata trasferita dalla sua casa al carcere di Insein, a Rangoon. «Le autorità hanno incriminato Aung San Suu Kyi e due collaboratori domestici in base all'articolo 22 della legge contro la sovversione, ha dichiarato l'avvocato Hla Myo Myint. Anche il visitatore Usa, già arrestato, è stato incriminato».

12 maggio 2009

Occhi rossi di una nera

Occhi rossi di una nera
di Roberto MaurizioGli occhi rossi di una donna africana. Da "Libero"

Adesso basta con il razzismo! Feltri mette sul suo “giornale” la foto di una donna africana con gli occhi rossi e tumefatti: rossi come la vergogna di appartenere ad un continente che non riesce a decollare, tumefatti perché chiede aiuto e nessuno, da nessuna parte, alza un dito per dare una mano, soltanto elemosine vengono offerte come risposte meschine ed egoistiche; rossi come le arterie “incompiute” dei bambini africani che muoiono in quantità da supermercato; rossi come la sporcizia del Pd, che si riempie la bocca di annunci, e annunzia con l’Annunziata, un Veltroni in Africa mentre sta a Velletri, e non sa che pesce prendere; rossi come quelli di una Acnur o Unhcr (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), sedotte dalla noia, vendute all’ipocrisia, schiave della burocrazia che chiedono ancora cose che i cittadini italiani non capiscono: diritto d’asilo; rossi come quelle dell’Onu, di un carrozzone che va riformato immediatamente, incapace di trattare problemi reali dei popoli della Terra; rossi come quelli di Bossi e della Lega che vorrebbero respingere, giustamente, i delinquenti, ma che buttano in mare anche donne in cinta, raccolte molto spesso sulla sabbia senza vita; rossi come quelli di Berlusconi, che perde colpi, perché, in questo momento elettorale sferrare un attacco, contro le donne (lasciamo perdere il caso pietoso della moglie miliardaria Veronica) che non assomigliano per niente alla diletta consorte Veronica, né nella cassaforte che la povera ha in camera da letto, né nelle sue cure che nessuna donna italiana abbia mai avuto l’onore di ricevere (parlo delle cure mediche, pagate profumatamente dal marito, mentre la calabrese di Reggio deve fare la fila per una lastra al piede); rossi come quelli dei “clandestini, rifugiati, spacciatori, terroristi, meridionali in transito per il Nord Europa, gente sbandata, giovani senza lavoro, uomini, donne e bambini” che chiedono solo di essere aiutati; rossi come quella della giovane ragazza in cinta che non ha le stesse possibilità di Veronica, la ex Fist Lady; rossi di fuoco come quelle delle bellissime eritree o somale, o ciadiane o senegalesi, o etiopi o molisane, che cercano di ottenere un loro status riconosciuto non dalla Convenzione di Ginevra, non dalla Costituzione italiana, ma dal Dna degli esseri civili; rossi per la vergogna di non sapere affrontare e risolvere un problema semplice: facciamo in modo che nessuno prenda un barcone mettendo a rischio la propria vita e aiutiamoli a venire in Italia, in maniera legale, dopo aver fatto del tutto per poter convincerli che l’unica terra disponibile al mondo è la propria. Obama, ovviamente, non sarà d’accordo, Veltroni neanche e Berlusconi ha dato tanto di quel lavoro ai pugliesi che si sente anche lui un po’ meridionale e un po’ partenopeo. Dopo tangentopoli, la sinistra ha distrutto la cooperazione italiana, l’ha massacrata. Successivamente, l’aiuto pubblico allo sviluppo è stato ridotto a pedalino bucato e a continuato ad essere il fanalino di coda di sempre. Esistono, oggi, gli accordi con la Libia. Facciamoli funzionare. Ma raddoppiamo, triplichiamo le risorse per andare incontro ai nostri fratelli africani. Non esistono solo gli abruzzesi da rimettere in carreggiata (anche perché a Pescara, a Chieti e a L’Aquila sanno come fare, detengono un ottimo know how), esistono anche gli occhi rossi di una donna nera che un Feltri malvagio e “paraculo” poteva evitare di sbattere come mostro in prima pagina.

Roma Wine Festival 2009. Like Ofiuco

Roma Wine Festival 2009”. Like Ofiuco
di Roberto Maurizio

La mamma del vino è l’aceto. L’aceto è quell’elemento che destabilizza il gusto, ma serve per togliere tutte le impurità e i parassiti che si depositano su un alimento crudo. L’alimento crudo è la gente, le impurità e i parassiti sono quelli che campano sulle disgrazie della gente. Cruda è stata la realtà con la quale, in modo accidioso, ho fermato le lancette della libertà il 10 maggio. Ecco la continuazione, ecco il numero due di Capitan Miky, di Italioti. Ecco la storia di Ofiuco, di colui che tiene il serpente: cioè la volontà di non fare in Italia l’educazione all’alimentazione. Il Roma Wine Festival 2009 poteva fare di più in questo senso, ma non era la sua mission. Speriamo che attraverso Rwf si possano raggiungere perlomeno due soli obiettivi: portare nelle scuole italiane l’educazione all’alimentazione; far fare un salto di qualità alla stampa italiana, ai media. Due obiettivi in partenza persi: la scuola e la stampa. Ci resta la vita. “Stampa, Scuola e Vita” si batterà fino in fondo per portare l’Italia vicino ai quei paesi che ormai, come gusto e qualità della vita, ci hanno abbondantemente superati.

La “filiera” del buon gusto

Un calendario fitto quello del “Roma Wine Festival 2009” (Rwf2009) organizzato dall’Arsial (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura nel Lazio), che quest’anno ha visto il Gambero Rosso nelle vesti di promotore dell’evento al fianco di Publica: conferenza stampa il 5 maggio e un lungo weekend all’insegna del buon gusto, il 9 e il 10 dello stesso mese. Degustazioni, incontri con protagonisti, produttori, esperti, assaggiatori, giornalisti specializzati nell’arte del vino e dell’olio: il “Custoza”, con Giuseppe Carrus, il “Syrah” del Nord Rodano, di Paolo Zaccaria, il “Grenache” e/o “Cannonau” e il “Chablis” di Dario Cappelloni, i bianchi autoctoni del Lazio, di Giuseppe Carrus, e, last but non least, i grandi extra vergine del Lazio, di Marco Oreggia. “Stampa, Scuola e Vita” ha seguito tutto, o quasi tutto, l’incontro.

Il bilancio

Quali sono le nostre considerazioni finali che, ovviamente, valgono poco, in quanto neofiti di un mondo, quello del vino e dell’olio, in cui non ci può improvvisare. Cuochi non si nasce, imprenditori di vino non si diventa senza passione, spirito di sacrificio, intuizione e professionalità, assaggiatori non ci si “laurea” dopo un corso di quattro settimane. In ogni caso la nostra “impressione” è la seguente: 1. la manifestazione Rwf2009 si è conclusa con esiti positivi dal punto di vista della partecipazione dei produttori e dei visitatori; 2. l’evento che sarebbe dovuto essere “storico” meritava una maggiore presenza dei media, alquanto carente, non per colpa degli organizzatori; 3. di solito, un avvenimento inizia in sordina e cresce durante lo svolgimento e diventa apoteosi finale nelle conclusioni, Rwf2009 è iniziato bene ed è finito male in quanto i vincitori degli attesi “Awards” sono stati comunicati alla stampa solo il giorno dopo; 4. molti elementi buoni sono emersi dalla “filiera” del buon gusto: qualcuno un po’ scontato, altri di notevole interesse (come quello di una vera e propria “lezione cattedratica” tenuta da uno dei più grandi esperti mondiali dell’olio, Marco Oreggia) ; 5. Roma, con le sue pseudo strutture, non può garantire la perfetta riuscita di avvenimenti di portata internazionale (traffico sempre impazzito, dalle 5 della mattina alle 5 della mattina successiva; parcheggi inesistenti a qualsiasi ora; trasporti urbani al collasso, quelli extraurbani collegati bene solo da Zagarolo a Formello, tanto non li prende nessuno); 6. la struttura edilizia avveniristica del Gambero Rosso – Città del Gusto, bella da fotografare, da guardare, non risponde bene agli spostamenti che in questi casi sarebbero più convenienti orizzontali e non verticali; 7. la gentilezza non è mai troppa, e le guardie del “corpo”, immedesimati nel loro ruolo di duri, non sempre sono stati capaci di dire “bon jour Monsieur”; 8. la matematica, a volte, è un’opinione, per cui il terzo piano in effetti sta al secondo, il primo al secondo, il quarto è il quinto e nei negozi del terzo che è il secondo non puoi fotografare, perché tra il primo e il secondo c’è di mezzo il terzo uomo; 9. come abbiamo avuto modo di dire in precedenza, sono state soprattutto le ragazze (tranne, in verità, quelle meno carine, sempre lo stesso problema di “Phisic du Rôle” dei loro coetanei e maleducati gendarmi in borghese) del team della réception della stampa ad essere le più ospitali e le più gradevoli di tutto il Festival.

Il Lazio sul podio


Il Lazio è salito sul podio. Ma l’informazione sugli Awards stenta a decollare. Un solo e vago annuncio dell’Ansa, spiega, si fa per dire, i premi assegnati. «La “kermesse” capitolina, secondo una nota della Arsial, l’Agenzia regionale riproposta, tel quel, dall’Ansa, ha ottenuto un grande successo, meritatissimo per le 42 aziende vinicole del territorio laziale e per quelle oleiche che, per la prima volta, hanno preso parte all'iniziativa romana contribuendo a promuovere la conoscenza delle migliori proposte della gastronomia della nostra terra». Il Lazio sul podio con più riconoscimenti. Il primo, “Rwf Award Imprenditore del Vino del Lazio”, realizzato in collaborazione con l'Arsial e dedicato a premiare una storia imprenditoriale innovativa e di successo, è andato ad Antonio Santarelli di Casale del Giglio; il secondo, “Rwd Award Imprenditore dell'Olio del Lazio”, realizzato sempre in collaborazione con l'Agenzia e voluto per premiare una storia imprenditoriale innovativa e di successo, è stato, invece, assegnato ad Alfredo Cetrone. “Rwf Award per la vitivinicoltura sostenibile”, poi, a Sergio Mottura. Un premio per omaggiare chi ha scelto di coniugare le produzione e l'impresa del vino con una sensibilità di responsabilità e consapevolezza. Rwf Label Award riservato ai produttori presenti alla manifestazione e dedicato a premiare valori, innovazione, originalità di etichette e linea grafica, assegnato, infine, ex aequo con altre aziende, alla Poggio alla Meta, per l'etichetta “Il giovaneilvecchio”. «È la prima volta che da una realtà così prestigiosa come il Gambero Rosso - commenta il Commissario straordinario Arsial, Massimo Pallottini - scaturisce una segnalazione non solo dell'eccellenza dei nostri prodotti, ma della qualità imprenditoriale dell'agricoltura del Lazio. Le mie più vive congratulazioni vanno a Cetrone, Santarelli, Mottura e all'azienda Poggio alla Meta; i loro riconoscimenti rappresentano la testimonianza di quanto siano riusciti a potenziare l'immagine delle nostre produzioni di qualità, diventando davvero dei modelli imprenditoriali».

Marco Oreggia

Un vincitore a se stante, è stato Marco Oreggia, esperto assaggiatore di Oli Vergine ed Extravergine di Oliva e Sommelier, da anni si occupa del mondo dell’enogastronomia e dell’olio extravergine di oliva in particolare. Curatore de “L’extravergine - Guida ai Migliori Oli del Mondo di Qualità Accertata”, un volume giunto quest’anno alla nona edizione. La passione per l’enogastronomia, è nata, tra l’altro, dopo una lunga esperienza nella ristorazione di alto livello, ed è alla base della nascita del suo molto frequentato sito, un punto di riferimento per tutti coloro che sono interessati al mondo dell’olio extravergine di oliva, che vogliono avere le informazioni relative a questo prodotto, troppo spesso sottovalutato e banalizzato nella categoria di semplice grasso. Il “Professor” Oreggia, parla, si muove, spiega, si atteggia come un raffinato Insegnante. Durante la sua “lezione” sbalordisce per le tante cifre che offre in pasto al pubblico e per le cose più semplici e banali che i consumatori “incalliti” e “lampati” non sanno. L’italiano medio è un vero e proprio “ignorante” in materia di olio. Anche se siamo i secondi produttori mondiali di questo autentica bellezza naturale, non sappiamo né comprarlo, né conservarlo, né usarlo, né amarlo. Queste sono le mie considerazioni dopo circa due ore di un’arringa in favore dell’olio extravergine. Oreggia fa toccare con mano, anzi con il palato, le differenze fra sei oli extravergine del Lazio. Prima scoperta: l’olio extravergine contiene in sé tutti i profumi della natura.

Se solo gli italiani riuscissero a distinguere

Assaggiare, uno alla volta, i sei oli laziali è una sensazione irripetibile. Si parte da un gusto “morbido” fino ad arrivare ad uno più “robusto”, senza soluzione di continuità, e con l’accavallarsi di sapori e profumi naturali, il finocchio, il sedano, il melone, il pomodoro, di peperoncino. Seconda scoperta: l’olio va tenuto a temperatura compresa tra 16-18 gradi. In molti, fra cui io, sono quelli che si dicono di essere contenti di vedere l’olio congelare e successivamente fare la posa: questo sono le “stigmate” dell’olio extravergine. Cretinate, di una cultura senza cultura, di un modo di andare avanti così come va avanti il mondo. Eppure nessuno sale in cattedra, ad eccezione di Marco, per dire che è orribilmente stolto utilizzare un olio con più di 12 mesi. Ci fa conoscere verbi sentiti in fanciullezza, come “olio pampante”, di cui io non avevo mai capito il significato. Mia madre diceva quest’olio è “lampante”, io immaginavo la luce e non quella che la produceva, cioè l’olio delle lanterne.

Diamo l’olio lampante agli immigrati?

Lampante, significa che serve per alimentare le lampade. Un olio che, in Italia 60 anni fa, è stato inserito nella dieta dei poveri, di quelli che abitavano nelle “casette”, nelle aeree depresse del Sud e del Nord Est. Quello che vogliono persone come Furio Colombo è ricostruire le casette con il 110 per mille di mortalità infantile e con l’olio lampante.

Basta con l’olio lampante

Noi vogliamo gli immigrati con il nostro stesso tasso di mortalità infantile, con i nostri gusti olfattivi e gustativi. Non vogliamo che muoiono nelle loro “casette” con l’olio lampante. Nella loro Madre Patria, perlomeno, vedono sorgere il loro Sole, non quello dell’avvenire “lampante”.

Ci uccidono ogni giorno

Nessuno ci dice di stare attenti a consumare qualcosa che potrebbe essere dannoso per la tua salute. Più chiaramente. Ci uccidono, giorno per giorno, e nessuno (ad eccezione di Marco) fa nulla. L’educazione alimentare viene prima della Costituzione. Se ti ammazzano prima non puoi rifare la Costituzione. “Striscia la notizia” fa il verso e prende per il culo gli italiani. Proprio stasera, manco a farla a posta, parla di frodi alimentari. Ma il loro obiettivo non è Berlusconi che li comanda, ma l’audience. Loro, “Striscia la notizia”, le “Iene”, “Roberto Saviano”, sono blindati, sono protetti a spese nostre (mi dispiace per Saviano, ma non quegli altri imbecilli che giocano a fare i giornalisti con il portafoglio gonfio). Giocano come me. Ma nella cultura anglosassone il gioco ha una sua rilevanza. Esiste il gioco a somma Zero, come Annozero, non ci rimetti nulla, anzi ci guadagni; un gioco a perdere, ed è quello che sta facendo il Governo che non sa più in quale parte del tavolo verde scommettere, ha vinto da per tutto e i vincenti per definizione in Italia non vanno bene; un gioco a vincere (ovviamente, le definizioni non sono quelle esatte) in cui l’unico a vincere è il destino.
Sono fatalista


Marco, dopo la sua splendida lezione, mi concede un minuto e più. E’ affabile, molto più “umano”. Il suo accento romanesco si amplifica sempre di più. Mentre durante la sua “Lectio Magistalis” si sentiva solo un accenno ad un’inflessione “meridionale” (come direbbe Bossi), a tu per tu, mi dice in autentico linguaggio trasteverino, che non ha paura di niente, perché accanto a lui ci sono milioni di persone interessate non solo per la loro sopravvivenza, ma convinte che prima di tutto esiste un porsi di fronte a se stesso. Ho percorso le strade dell’Andalusia, ho visto la Pampa argentina, le indicazioni dei Quechua, che sono identiche alle nostre: amare la natura e fare in modo che la natura attraverso l’olio, il vino, il grano, le piante ami incontrovertibilmente noi.

Globalizzazione nascosta
Vedere l’olio “fiorire” in tutto il mondo è una soddisfazione senza precedenti. Quello che era solo nel nostro cuore mediterraneo, l’ulivo adesso è di tutti. Questa è la globalizzazione nascosta. Quando rispondo al telefono devo capire chi è l’interlocutore. La mia unica risposta è che io lavoro per l’Italia, ma sono come Dante, rifiutato dai fiorentini, e lavoro con gli stranieri solo per proteggere i prodotti italiani Doc (di origine controllata. Da chi)? Quello che è stato fin qui espresso non è altro che una confusione di quello che un giornalista può ricevere da tanti stimoli. Una cosa seria, invece, occorre mettere in risalto. Il Italia (spalancando una porta aperta) non c’è assolutamente l’educazione alimentare.

Blowing in the wind

Mentre hanno speso miliardi per far capire alle maestre dell’asilo cose false sull’ecologia, non hanno dato una lira o un euro per l’educazione alimentare, per l’educazione del gusto. Il ’68 non voleva buttare al vento o nascondere (Blowing in the wind) la qualità della vita. Voleva solo mettere in discussione proprio l’ignoranza, l’indigenza, la povertà di idee. Vivere in un mondo migliore, non riservato solo ai pochi eletti (eletti da chi?) è la cosa più bella sulla quale costruire un Partito. Il Partito della povera gente che per 80 anni e più possa vivere decentemente. Per decenza, io intendo, il rispetto del “bon ton”.

Il leverage di Marchionne
Non servono miliardi di euro, fatti di debiti prelevati tramite l’effetto leva, il leverage, come quelli di Sergio Marchionne che sta preparando la sua strategia per foraggiare la Fiat e se stesso, di cui beneficeranno gli operai che intanto guardano in cagnesco chi gli sta salvando il culo, o come quelli che stanno tracimando sull’Abruzzo. Basterebbe solo un gesto: dateci l’olio buono!
Le foto sono di Roberto Maurizio, citare la fonte