Roma Wine Festival 2009”. Like Ofiuco
di Roberto Maurizio
di Roberto Maurizio
La mamma del vino è l’aceto. L’aceto è quell’elemento che destabilizza il gusto, ma serve per togliere tutte le impurità e i parassiti che si depositano su un alimento crudo. L’alimento crudo è la gente, le impurità e i parassiti sono quelli che campano sulle disgrazie della gente. Cruda è stata la realtà con la quale, in modo accidioso, ho fermato le lancette della libertà il 10 maggio. Ecco la continuazione, ecco il numero due di Capitan Miky, di Italioti. Ecco la storia di Ofiuco, di colui che tiene il serpente: cioè la volontà di non fare in Italia l’educazione all’alimentazione. Il Roma Wine Festival 2009 poteva fare di più in questo senso, ma non era la sua mission. Speriamo che attraverso Rwf si possano raggiungere perlomeno due soli obiettivi: portare nelle scuole italiane l’educazione all’alimentazione; far fare un salto di qualità alla stampa italiana, ai media. Due obiettivi in partenza persi: la scuola e la stampa. Ci resta la vita. “Stampa, Scuola e Vita” si batterà fino in fondo per portare l’Italia vicino ai quei paesi che ormai, come gusto e qualità della vita, ci hanno abbondantemente superati.
La “filiera” del buon gusto
Un calendario fitto quello del “Roma Wine Festival 2009” (Rwf2009) organizzato dall’Arsial (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura nel Lazio), che quest’anno ha visto il Gambero Rosso nelle vesti di promotore dell’evento al fianco di Publica: conferenza stampa il 5 maggio e un lungo weekend all’insegna del buon gusto, il 9 e il 10 dello stesso mese. Degustazioni, incontri con protagonisti, produttori, esperti, assaggiatori, giornalisti specializzati nell’arte del vino e dell’olio: il “Custoza”, con Giuseppe Carrus, il “Syrah” del Nord Rodano, di Paolo Zaccaria, il “Grenache” e/o “Cannonau” e il “Chablis” di Dario Cappelloni, i bianchi autoctoni del Lazio, di Giuseppe Carrus, e, last but non least, i grandi extra vergine del Lazio, di Marco Oreggia. “Stampa, Scuola e Vita” ha seguito tutto, o quasi tutto, l’incontro.
Il bilancio
Quali sono le nostre considerazioni finali che, ovviamente, valgono poco, in quanto neofiti di un mondo, quello del vino e dell’olio, in cui non ci può improvvisare. Cuochi non si nasce, imprenditori di vino non si diventa senza passione, spirito di sacrificio, intuizione e professionalità, assaggiatori non ci si “laurea” dopo un corso di quattro settimane. In ogni caso la nostra “impressione” è la seguente: 1. la manifestazione Rwf2009 si è conclusa con esiti positivi dal punto di vista della partecipazione dei produttori e dei visitatori; 2. l’evento che sarebbe dovuto essere “storico” meritava una maggiore presenza dei media, alquanto carente, non per colpa degli organizzatori; 3. di solito, un avvenimento inizia in sordina e cresce durante lo svolgimento e diventa apoteosi finale nelle conclusioni, Rwf2009 è iniziato bene ed è finito male in quanto i vincitori degli attesi “Awards” sono stati comunicati alla stampa solo il giorno dopo; 4. molti elementi buoni sono emersi dalla “filiera” del buon gusto: qualcuno un po’ scontato, altri di notevole interesse (come quello di una vera e propria “lezione cattedratica” tenuta da uno dei più grandi esperti mondiali dell’olio, Marco Oreggia) ; 5. Roma, con le sue pseudo strutture, non può garantire la perfetta riuscita di avvenimenti di portata internazionale (traffico sempre impazzito, dalle 5 della mattina alle 5 della mattina successiva; parcheggi inesistenti a qualsiasi ora; trasporti urbani al collasso, quelli extraurbani collegati bene solo da Zagarolo a Formello, tanto non li prende nessuno); 6. la struttura edilizia avveniristica del Gambero Rosso – Città del Gusto, bella da fotografare, da guardare, non risponde bene agli spostamenti che in questi casi sarebbero più convenienti orizzontali e non verticali; 7. la gentilezza non è mai troppa, e le guardie del “corpo”, immedesimati nel loro ruolo di duri, non sempre sono stati capaci di dire “bon jour Monsieur”; 8. la matematica, a volte, è un’opinione, per cui il terzo piano in effetti sta al secondo, il primo al secondo, il quarto è il quinto e nei negozi del terzo che è il secondo non puoi fotografare, perché tra il primo e il secondo c’è di mezzo il terzo uomo; 9. come abbiamo avuto modo di dire in precedenza, sono state soprattutto le ragazze (tranne, in verità, quelle meno carine, sempre lo stesso problema di “Phisic du Rôle” dei loro coetanei e maleducati gendarmi in borghese) del team della réception della stampa ad essere le più ospitali e le più gradevoli di tutto il Festival.
Il Lazio sul podio
Il Lazio è salito sul podio. Ma l’informazione sugli Awards stenta a decollare. Un solo e vago annuncio dell’Ansa, spiega, si fa per dire, i premi assegnati. «La “kermesse” capitolina, secondo una nota della Arsial, l’Agenzia regionale riproposta, tel quel, dall’Ansa, ha ottenuto un grande successo, meritatissimo per le 42 aziende vinicole del territorio laziale e per quelle oleiche che, per la prima volta, hanno preso parte all'iniziativa romana contribuendo a promuovere la conoscenza delle migliori proposte della gastronomia della nostra terra». Il Lazio sul podio con più riconoscimenti. Il primo, “Rwf Award Imprenditore del Vino del Lazio”, realizzato in collaborazione con l'Arsial e dedicato a premiare una storia imprenditoriale innovativa e di successo, è andato ad Antonio Santarelli di Casale del Giglio; il secondo, “Rwd Award Imprenditore dell'Olio del Lazio”, realizzato sempre in collaborazione con l'Agenzia e voluto per premiare una storia imprenditoriale innovativa e di successo, è stato, invece, assegnato ad Alfredo Cetrone. “Rwf Award per la vitivinicoltura sostenibile”, poi, a Sergio Mottura. Un premio per omaggiare chi ha scelto di coniugare le produzione e l'impresa del vino con una sensibilità di responsabilità e consapevolezza. Rwf Label Award riservato ai produttori presenti alla manifestazione e dedicato a premiare valori, innovazione, originalità di etichette e linea grafica, assegnato, infine, ex aequo con altre aziende, alla Poggio alla Meta, per l'etichetta “Il giovaneilvecchio”. «È la prima volta che da una realtà così prestigiosa come il Gambero Rosso - commenta il Commissario straordinario Arsial, Massimo Pallottini - scaturisce una segnalazione non solo dell'eccellenza dei nostri prodotti, ma della qualità imprenditoriale dell'agricoltura del Lazio. Le mie più vive congratulazioni vanno a Cetrone, Santarelli, Mottura e all'azienda Poggio alla Meta; i loro riconoscimenti rappresentano la testimonianza di quanto siano riusciti a potenziare l'immagine delle nostre produzioni di qualità, diventando davvero dei modelli imprenditoriali».
Marco Oreggia
Un vincitore a se stante, è stato Marco Oreggia, esperto assaggiatore di Oli Vergine ed Extravergine di Oliva e Sommelier, da anni si occupa del mondo dell’enogastronomia e dell’olio extravergine di oliva in particolare. Curatore de “L’extravergine - Guida ai Migliori Oli del Mondo di Qualità Accertata”, un volume giunto quest’anno alla nona edizione. La passione per l’enogastronomia, è nata, tra l’altro, dopo una lunga esperienza nella ristorazione di alto livello, ed è alla base della nascita del suo molto frequentato sito, un punto di riferimento per tutti coloro che sono interessati al mondo dell’olio extravergine di oliva, che vogliono avere le informazioni relative a questo prodotto, troppo spesso sottovalutato e banalizzato nella categoria di semplice grasso. Il “Professor” Oreggia, parla, si muove, spiega, si atteggia come un raffinato Insegnante. Durante la sua “lezione” sbalordisce per le tante cifre che offre in pasto al pubblico e per le cose più semplici e banali che i consumatori “incalliti” e “lampati” non sanno. L’italiano medio è un vero e proprio “ignorante” in materia di olio. Anche se siamo i secondi produttori mondiali di questo autentica bellezza naturale, non sappiamo né comprarlo, né conservarlo, né usarlo, né amarlo. Queste sono le mie considerazioni dopo circa due ore di un’arringa in favore dell’olio extravergine. Oreggia fa toccare con mano, anzi con il palato, le differenze fra sei oli extravergine del Lazio. Prima scoperta: l’olio extravergine contiene in sé tutti i profumi della natura.
Se solo gli italiani riuscissero a distinguere
Assaggiare, uno alla volta, i sei oli laziali è una sensazione irripetibile. Si parte da un gusto “morbido” fino ad arrivare ad uno più “robusto”, senza soluzione di continuità, e con l’accavallarsi di sapori e profumi naturali, il finocchio, il sedano, il melone, il pomodoro, di peperoncino. Seconda scoperta: l’olio va tenuto a temperatura compresa tra 16-18 gradi. In molti, fra cui io, sono quelli che si dicono di essere contenti di vedere l’olio congelare e successivamente fare la posa: questo sono le “stigmate” dell’olio extravergine. Cretinate, di una cultura senza cultura, di un modo di andare avanti così come va avanti il mondo. Eppure nessuno sale in cattedra, ad eccezione di Marco, per dire che è orribilmente stolto utilizzare un olio con più di 12 mesi. Ci fa conoscere verbi sentiti in fanciullezza, come “olio pampante”, di cui io non avevo mai capito il significato. Mia madre diceva quest’olio è “lampante”, io immaginavo la luce e non quella che la produceva, cioè l’olio delle lanterne.
Diamo l’olio lampante agli immigrati?
Lampante, significa che serve per alimentare le lampade. Un olio che, in Italia 60 anni fa, è stato inserito nella dieta dei poveri, di quelli che abitavano nelle “casette”, nelle aeree depresse del Sud e del Nord Est. Quello che vogliono persone come Furio Colombo è ricostruire le casette con il 110 per mille di mortalità infantile e con l’olio lampante.
Basta con l’olio lampante
Noi vogliamo gli immigrati con il nostro stesso tasso di mortalità infantile, con i nostri gusti olfattivi e gustativi. Non vogliamo che muoiono nelle loro “casette” con l’olio lampante. Nella loro Madre Patria, perlomeno, vedono sorgere il loro Sole, non quello dell’avvenire “lampante”.
Ci uccidono ogni giorno
Nessuno ci dice di stare attenti a consumare qualcosa che potrebbe essere dannoso per la tua salute. Più chiaramente. Ci uccidono, giorno per giorno, e nessuno (ad eccezione di Marco) fa nulla. L’educazione alimentare viene prima della Costituzione. Se ti ammazzano prima non puoi rifare la Costituzione. “Striscia la notizia” fa il verso e prende per il culo gli italiani. Proprio stasera, manco a farla a posta, parla di frodi alimentari. Ma il loro obiettivo non è Berlusconi che li comanda, ma l’audience. Loro, “Striscia la notizia”, le “Iene”, “Roberto Saviano”, sono blindati, sono protetti a spese nostre (mi dispiace per Saviano, ma non quegli altri imbecilli che giocano a fare i giornalisti con il portafoglio gonfio). Giocano come me. Ma nella cultura anglosassone il gioco ha una sua rilevanza. Esiste il gioco a somma Zero, come Annozero, non ci rimetti nulla, anzi ci guadagni; un gioco a perdere, ed è quello che sta facendo il Governo che non sa più in quale parte del tavolo verde scommettere, ha vinto da per tutto e i vincenti per definizione in Italia non vanno bene; un gioco a vincere (ovviamente, le definizioni non sono quelle esatte) in cui l’unico a vincere è il destino.
Sono fatalista
Marco, dopo la sua splendida lezione, mi concede un minuto e più. E’ affabile, molto più “umano”. Il suo accento romanesco si amplifica sempre di più. Mentre durante la sua “Lectio Magistalis” si sentiva solo un accenno ad un’inflessione “meridionale” (come direbbe Bossi), a tu per tu, mi dice in autentico linguaggio trasteverino, che non ha paura di niente, perché accanto a lui ci sono milioni di persone interessate non solo per la loro sopravvivenza, ma convinte che prima di tutto esiste un porsi di fronte a se stesso. Ho percorso le strade dell’Andalusia, ho visto la Pampa argentina, le indicazioni dei Quechua, che sono identiche alle nostre: amare la natura e fare in modo che la natura attraverso l’olio, il vino, il grano, le piante ami incontrovertibilmente noi.
Globalizzazione nascosta
Vedere l’olio “fiorire” in tutto il mondo è una soddisfazione senza precedenti. Quello che era solo nel nostro cuore mediterraneo, l’ulivo adesso è di tutti. Questa è la globalizzazione nascosta. Quando rispondo al telefono devo capire chi è l’interlocutore. La mia unica risposta è che io lavoro per l’Italia, ma sono come Dante, rifiutato dai fiorentini, e lavoro con gli stranieri solo per proteggere i prodotti italiani Doc (di origine controllata. Da chi)? Quello che è stato fin qui espresso non è altro che una confusione di quello che un giornalista può ricevere da tanti stimoli. Una cosa seria, invece, occorre mettere in risalto. Il Italia (spalancando una porta aperta) non c’è assolutamente l’educazione alimentare.
Blowing in the wind
Mentre hanno speso miliardi per far capire alle maestre dell’asilo cose false sull’ecologia, non hanno dato una lira o un euro per l’educazione alimentare, per l’educazione del gusto. Il ’68 non voleva buttare al vento o nascondere (Blowing in the wind) la qualità della vita. Voleva solo mettere in discussione proprio l’ignoranza, l’indigenza, la povertà di idee. Vivere in un mondo migliore, non riservato solo ai pochi eletti (eletti da chi?) è la cosa più bella sulla quale costruire un Partito. Il Partito della povera gente che per 80 anni e più possa vivere decentemente. Per decenza, io intendo, il rispetto del “bon ton”.
Il leverage di Marchionne
Non servono miliardi di euro, fatti di debiti prelevati tramite l’effetto leva, il leverage, come quelli di Sergio Marchionne che sta preparando la sua strategia per foraggiare la Fiat e se stesso, di cui beneficeranno gli operai che intanto guardano in cagnesco chi gli sta salvando il culo, o come quelli che stanno tracimando sull’Abruzzo. Basterebbe solo un gesto: dateci l’olio buono!
Le foto sono di Roberto Maurizio, citare la fonte
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