“Leone”, il cane del Sole
di Roberto Maurizio
di Roberto Maurizio
Un giorno mi ritrovai, non ai confini dell’Afghanistan, ma in un paese immerso in un clima torrido dove ogni filo d’erba sembrava appartenere all’Africa e ogni “bella di notte” annunciava un nuovo giorno radioso. Ignoranza e superstizione facevano pendant con l’avvento di una nuova vita basata sullo sviluppo tecnologico e con il primato della crescita economica sulla povertà, sulla miseria, sui catini di urina che venivano buttati dal balcone. I cani randagi, oggi come allora, pullulavano sul territorio. Uno di questi, un “volpino”, con il naso all’insù, con una coda meravigliosa che cambiava colore al mutare delle stagioni e delle fasi lunari, vagava senza meta. I suoi occhi si confondevano con il giallo e con l’oro del Sole. Durante la notte di San Lorenzo, le sue pupille ridisegnavano le scie delle “stelle cadenti” e mi avvisavano delle successive “cadute” in anticipo. Non era un cane qualsiasi. Era il mio cane. Era irascibile, correva dietro le macchine, abbaiava contro gli uomini che gli avevano fatto un torto. Era un "selvaggio". Decisi di chiamarlo “Leone”, come il Sol Leone, in virtù della sua piccola criniera che non aveva nulla a che fare con il “re della foresta”. Ma la sua grinta, la sua “passione per la vita” erano visibilmente riscontrabili a centinaia di metri di distanza. Un brutto giorno, sempre per la sua “arroganza” contro le autovetture, venne investito da un camion. Tutti credettero che era morto. Andai in suo soccorso, lo presi tra le mani, lo portai sul marciapiede, lo guardai negli occhi. Tutti dissero che era morto. Non poteva essere così, anche se il suo corpo era stato quasi del tutto maciullato dal camion. Lo curai, lo accarezzai, lo abbraccia per mesi e mesi. Leone continuò a vivere e continuò ad abbaiare alle macchine. Anche i cani hanno diritto alla vita.
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