19 dicembre 2009

Igor Man, l'arabo siciliano

Igor Man. “Vecchio cronista” arabosiculo
di Roberto Maurizio


Con quella faccia da straniero




Un’altra “penna” illustre del giornalismo italiano è venuta meno, il 18 dicembre 2009. Pochi giorni dopo l’abbandono di Gianni Pennacchi, ci ha lasciato Igor Man. Con quella faccia da straniero, non potevi scommettere sulla sua nazionalità. Sono ancora molti a credere che Igor Man non sia italiano. Il nome e il cognome ti facevano dubitare sulla sua provenienza. Un Igor russo accompagnato da un Man inglese, mescolato a un viso decisamente arabo con baffetti da notabile egiziano e con quell’anello mostrato sempre in evidenza a evocare misteriosi geroglifici sottratti alla comprensione comune, con una frezza bianca sui capelli nerissimi, tipo Aldo Moro, con un á plomb inglese nel vestire, con una ricercatezza francese nella scelta dell’eleganza nel parlare e nell’assaporare il gusto della vita ti ingannavano fin quando la sua sicilianità non veniva smascherata da un lontanissimo accento catanese. Un uomo decisamente mediterraneo, con una cultura immensa accumulata non solo sui libri, ma dai tanti suoi viaggi all’estero e dagli incontri con le personalità più importanti della Terra. Il “vecchio cronista” ha intervistato personaggi simbolo del Novecento, come John Fitzgerald Kennedy, Nikita Khrusciov, Che Guevara (Ernesto Guevara de la Serna), Mu’ammar Gheddafi, Khomeini (Ruhollāh Mustafa Mosavi Khomeyni), Yasser Arafat (Muḥammad ʿAbd al-Raḥmān ʿAbd al-Raʾūf al-Qudwa al-Ḥusaynī), e Shimon Peres (Shimon Perski). Igor fu un profondo conoscitore di molte pieghe della nostra storia e di molti giganti, da Padre Pio a Papa Giovanni Paolo II.

Talento della scrittura




Igor Man donò ai suoi lettori tanti reportages di taglio letterario ed anche testi di narrativa di derivazione pirandelliana C'era quasi sempre, nei suoi racconti, l'imprevisto: il momento o il personaggio che d'un colpo si fa perno della narrazione. Se ne andato, quindi, un talento della scrittura.

Il professore e le melanzane




Nato a Catania 87 anni fa, vero nome Igor Manlio Manzella, era figlio del giornalista e scrittore Titomanlio Manzella e di una nobildonna russa. Studioso delle religioni e appassionato in particolare di mondo arabo e Medio Oriente, ha lavorato al quotidiano La Stampa fin dal 1963, quando era direttore Giulio de Benedetti. Le sue opere: “Diario arabo. Tra il serio della guerra e il sacro del Corano” (Bompiani, 2002), “L'Islàm dalla A alla Z. Dizionario di guerra scritto per la pace” (Garzanti, 2001), “Il professore e le melanzane e altri racconti” (Rizzoli, 1996), “Gli ultimi cinque minuti. Cronache con forma di racconto” (Sellerio, 1992). Ha avuto molti riconoscimenti: nel 2000 ha vinto il premio di giornalismo Saint-Vincent alla carriera e nel 2001 è stato insignito del titolo di Grande ufficiale dell'ordine al merito della Repubblica Italiana dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi; quest'anno ha ricevuto il premio America della Fondazione Italia-Usa. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha espresso intensa commozione per la morte di Igor Man, definendolo nel messaggio alla famiglia «giornalista e scrittore di altissimo livello professionale e impegno civile». «Ha fortemente contribuito alla formazione di una ben informata e responsabile opinione pubblica sui grandi temi della politica internazionale e dell'evoluzione mondiale - scrive Napolitano -. Restano incancellabili nella mia memoria le occasioni di incontro che, in modo particolare negli ultimi anni, mi hanno permesso di cogliere la sempre straordinaria vitalità del suo pensiero e di constatare la profondità del nostro comune sentire».

Prima di tutto i fatti




Franco Siddi, presidente della Federazione nazionale della stampa, lo ricorda così: «Era il testimone di un secolo, un giornalista di eccellenza, un grande inviato nella cronaca e nella storia di un mondo vissuto e conosciuto in profondità. I fatti prima di tutto, raccontati con sapienza avendone prima penetrato tutti i risvolti, affinché chiunque potesse avere accesso vero anche alle vicende più complesse di geopolitica, di politica internazionale, di cronaca. Comprendeva subito come anche episodi che per taluni potevano apparire secondari fossero destinati a incidere profondamente nel corso della storia. Eppure è rimasto sempre radicato alle sue terre: la Sicilia di nascita, Torino di adozione, l'Italia. Oggi lo ricordiamo con ammirazione».

Il vecchio cronista




Con uno dei tanti vezzi che amava coltivare, Igor Man aveva scelto «Il vecchio cronista» come titolo della sua ultima rubrica su “La Stampa”. Sapeva bene d’essere un personaggio pubblico, uno di quei nomi di immediata riconoscibilità, figure e caratteri cui una dimensione mitica finisce per attribuire doti, valori, forza morale, che la quotidianità del vissuto privato non sempre è pronta a sostenere; e allora, in quella volontaria riduzione di un ruolo (il Grande Giornalista, invece) conquistato con la sapiente costruzione della propria vita professionale, questo titolo modesto, da leggersi quasi con voce sommessa, piana, finiva per condensare il recupero di un’autenticità difficile da vendere al grande pubblico. Ma era, comunque, un recupero orgogliosamente consapevole che la modestia se la possono concedere soltanto coloro che di aristocratica immodestia possono vivere.

La Terza pagina




Man è stato uno degli ultimi interpreti d’un mondo che era scomparso con il secolo che finiva, il mondo degli “inviati speciali” cui di diritto spettava il grande reportage nella Terza Pagina (anch’essa sparita da tempo, travolta dalla mutazione genetica dell’editoria). Oggi che i giornali sono fatti di notizie rapide, immediate, bruciate nella voracità insaziabile dei bit affastellati freneticamente dentro le modalità hertziane, un mestiere come quello degli inviati è un lusso che nemmeno un museo della comunicazione riuscirebbe più a proporre al consumo del sistema mediale. Era un lavoro affascinante e privilegiato, questo degli inviati, un lavoro nel quale dovevano sapersi fondere qualità di scrittura, capacità investigativa, forte personalità, e un’insaziabile voglia di viaggiare dentro la vita del mondo. E Man queste doti le aveva certamente, forse non tutte di pari forza ma ugualmente le sapeva utilizzare al meglio, costruendo con una meticolosa cura della loro qualità fascinatrice l’identità pubblica del proprio personaggio (a cominciare dalla stessa sua firma: da Manzella a «Man», che ha questo suono netto e forte, di vite misteriose, esotiche, evocatrici di geografie impossibili e di grandi intrighi internazionali).
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I nomi che hanno fatto la storia del giornalismo italiano
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È stato, quel tempo ormai chiuso, il mondo di Luigi Barzini e di Virgilio Lilli, di Paolo Monelli, di Malaparte, di Max David, di Montanelli, dei nomi, insomma, che hanno fatto la storia del giornalismo italiano preso ancora a mezzo tra le radici elitarie delle sue ascendenze letterarie e l’urgenza, sempre più forte, più pressante e angosciosa, del racconto di una realtà che andava sottraendosi alle sue dimensioni mitiche. Di suo, Igor Man aggiungeva due carature che sempre lo hanno accompagnato, e anche distinto, alla fine, dai suoi compagni di storia: la prima era quella intensa visionarietà che stava dentro il suo racconto di cronaca, una dimensione nella quale vita e immaginazione si trasfiguravano a comporre un tessuto espressivo fortemente partecipato, denso di connotazioni emotive, di sentimenti e parole che si rifiutavano al ritegno del pudore e del distanziamento che dovrebbero sostenere il rigore del giornalismo; la seconda era la sua stessa figura, quel volto così nobile e altero, i segni profondi e marcati delle rughe d’una vita vissuta davvero, i baffi scuri e sicilianazzi sotto le ciocche elegantemente bianche.


Il viaggiatore
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Il suo lavoro professionale lo ha portato in ogni angolo del pianeta, viaggiatore nelle guerre dell’Asia e del Levante e osservatore attento e sensibile delle convulsioni che agitavano le mezze democrazie dell’America Latina. Ha raccontato anche storie italiane, storie di un paese che veniva fuori dalle ossessioni amare del dopoguerra, ma la sua attenzione si era concentrata soprattutto sulle latitudini inquiete del pianeta, là dove in un tempo ormai lontano passavano i loro giorni di vita gli inviati di prestigio dei grandi giornali, il “Il Corriere della Sera” e “La Stampa”, e l'amicizia e la solidarietà s’incrociavano spesso con i tranelli professionali, la concorrenza più spietata, anche il furto del lavoro dei colleghi più ingenui (ci sono storie che Fabrizio Del Noce e il povero Egisto Corradi hanno consegnato alla storia del giornalismo).

Una sicilianità mediorientale
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Del sua carattere profondamente umano, della sua sicilianità, Man aveva fatto anche una chiave di comprensione e di interpretazione di quella parte del mondo che più lo ha reso noto al grande pubblico: il Medio Oriente, tagliato dentro dal drammatico conflitto tra mondo arabo e Israele e segnato dalla complessa trama religiosa e politica dei popoli della Mezza Luna. Come siciliano, come figlio di una storia che ha intrecciato culture e memorie calate lungo i secoli di vicende e di contaminazioni mai sedimentate fino alla loro ultima acquisizione, Man avvertiva con particolare sensibilità le tensioni di questa lotta nella quale si scontravano, e ancora si misurano, i destini non soltanto di due popoli ma della stessa umanità del nostro tempo, per ciò che ha di comune questo tempo con i principi conflittuali della intolleranza e della integrazione, della identità segregazionista e del riscatto culturale, della spiritualità della fede e della capacità manipolatrice della religione. Il suo “Diario arabo”, quelle notazioni quotidiane che sulle pagine de “La Stampa” hanno accompagnato e spiegato le complesse filiere nelle quali s'andava dipanando la preparazione - fino a poi lo scontro sul terreno - della guerra del Golfo tra Saddam Hussein e il resto del mondo guidato dai marines di Schwarzkopf, quel diario giornaliero su “La Stampa” gli aveva dato alla fine la popolarità che solo il giornalismo televisivo riesce altrimenti ad attribuire; e il merito, com’egli stesso ha riconosciuto, stava nell’aver saputo legare la cronaca quotidiana di un’inquietante confronto politico con le motivazioni culturali e religiose che inevitabilmente stavano ripiegate dietro l'apparenza del conflitto geostrategico. Prendendo a spunto i versetti del Corano, e leggendone con cura e rispetto il senso profondo, Man offriva ogni giorno al lettore strumenti nuovi e «altri» per la comprensione di fatti e di personaggi che si mostravano inaccettabili nella semplificazione mistificatrice di tipizzazioni di comodo. E da questa vicinanza all'Islam come religione (ma anche come struttura identitaria, sempre riproposta e offerta all'attenzione del lettore) Man era passato progressivamente a vivere con una partecipazione intensa la dimensione cattolica della sua propria storia privata; è stata però, la sua, una religiosità laica, mai perduta dentro le anse difficili del fideismo, ma ugualmente intensa, verrebbe da dire pubblicamente intensa, in quello spazio nel quale un personaggio popolare finisce per essere obbligato a consumare anche i momenti più intimi del proprio vissuto quotidiano. E il racconto dei suoi incontri privati con gli ultimi due Pontefici lo coinvolgeva e lo emozionava anche al di là dei doveri che il cronista deve sapersi dare. In questo, come in tutti gli aspetti della sua biografia, Man mostrava alla fine quale sia stata la sua scelta di vita: un’integrazione - voluta e ricercata con costanza - tra dimensione pubblica e orizzonti privati, un terreno nel quale il racconto della storia del mondo non poteva mai prescindere dagli occhi, e verrebbe da dire dal cuore, di chi quel racconto lo sta facendo, e lo sta vivendo, non solo pestando la tastiera della macchina per scrivere o, poi, con il computer, ma anche mettendoci la propria pelle, la carne, le emozioni, la sensibilità fino alle lacrime.

Testimone di un secolo




«Con Igor Man è scomparso il testimone di un secolo, un giornalista di eccellenza, un grande inviato nella cronaca e nella storia di un mondo vissuto e conosciuto in profondità -dichiara Franco Siddi, segretario nazionale della Fnsi-. I fatti prima di tutto, raccontati con sapienza avendone prima penetrato tutti i risvolti, affinché chiunque, leggendo sul giornale, potesse avere accesso vero anche alle vicende più complesse di geopolitica, di politica internazionale, di cronaca».

Fini. Un gelido messaggio di condoglianze





La terza carico dello Stato, il Presidente della Camera, Giancarlo Fini, si è fatto scrivere, speriamo, dai suoi “sherpa” un messaggio di condoglianze per Igor Man che più burocratico di così si muore. Poteva mettere qualche parola in più. In definitiva, con Man, scompare una parte rilevante della Stampa Italiana dell’ultima parte del “Secolo breve”. Forse i politici hanno nel cassetto delle formule già ben confezionate di messaggi da inviare in caso non remoto di scomparsa di una persona. Basta cambiare alcune frasi, andare su Google, prendere l’attualità del personaggio scomparso e infilare tutto dentro un messaggio di quattro righe: «Sin dai suoi esordi al quotidiano La Stampa, ha dimostrato una grande professionalità ed una rara capacità di compiere analisi lucide, intelligenti e non convenzionali sui grandi fatti ed i grandi personaggi che hanno attraversato la storia mondiale della seconda metà del Novecento. Le sue interviste e le sue cronache - scrive Fini - con un tratto insieme garbato ed acuto, resteranno ad esempio di un giornalismo brillante ed attento alla realtà dei fatti». Garbato, acuto? Brillante e attento? Ma che significa? Fini ha mai letto “Diario arabo. Tra il serio della guerra e il sacro del Corano” e “L'Islàm dalla A alla Z. Dizionario di guerra scritto per la pace”? Possibile che non abbia carpito nulla del messaggio di Igor Man sulla necessità di una pace perenne in Medio Oriente, in Israele, in Palestina? Ma, non si è messo il Kippah a Gerusalemme il Presidente della Camera? Non vuole dare il voto agli extra comunitari, molti dei quali sono musulmani? Possibile che non gli è venuto in mente a lui o ai suoi “sherpa” di aggiungere una parola di riconoscenza ad una vita, quello dell’arabo siciliano, tutta dedicata veramente al raggiungimento della pace nel mondo?

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P.S. Agli inizi degli anni '90, Igor Man è stato membro e Presidente per pochi giorni dell'Associazione dei giornalisti per lo sviluppo internazionale (Agsi)

Le foto sono de "La Stampa". Svp, citare la fonte

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