di Roberto Maurizio
Un'immagine di Caffè, pubblicata da "Chi l'ha visto", che non rende grazia al Professore, che, se avesse saputo prima di finire su questo programma televisivo, non avrebbe scelto giammai la strada di farsi ritrovare in Italia
2. Nato a Pescara il 6 gennaio 1914 (non dimostrava affatto l’età che aveva, sembrava molto più giovane) il Prof. Caffè è sempre stato definito “un musone, un solitario con tanti problemi”. Non è affatto vero. Conobbi per la prima volta il Prof. Caffè, nel 1969. Era appena arrivato dall’India a piedi, dopo aver percorso circa 7.000 chilometri, un amico di mio fratello che aveva conosciuto a Nuova Delhi. Il personaggio indiano, Ramsay, era finito sulle prime pagine dei giornali dell’epoca. Veniva a piedi per incontrare il Papa e per proseguire, poi, verso New York, alle Nazioni Unite, per portare il suo messaggio di Pace e Sviluppo. Una pagina dimenticata del tanto bistrattato ’68. Il messaggio era dolce e lineare: non violenza e sviluppo per tutti i popoli del mondo. Non c’era droga, non c’era avversione politica, si predicava solo veramente la pace, intesa come possibilità di realizzare progetti di sviluppo nell’allora India sottosviluppata. Il messaggio non venne raccolto da nessuno, se non dal Prof. Caffè. E questa potrebbe essere una strada da seguire nella sua scomparsa. Un uomo già allora definito tetragono nei suoi sentimenti, accolse a braccia aperte un indiano sconosciuto, presentato da uno studente tra i tanti e gli fece tenere una conferenza presso l’aula magna dell’università da poco inaugurata. Questo suo sentimento non è stato mai messo in risalto dai suoi “allievi” più “stretti” che dovevano per forza far emergere la forza di un marxista a tutti i costi. Dagli atti della Sapienza, Facoltà di Economia e Commercio, dovrebbe risultare la conferenza di Ramsay sponsorizzata dal Prof. Caffè, fatta da lui stesso approvare dal Consiglio di Facoltà, e, mi ricordo, con il voto contrario dall’allora Preside, un professore di Matematica.
3. Dopo questa performance, per alcuni anni non vidi più il Professore, anche perché ero intento a superare gli altri esami. Finalmente, scelsi la tesi. Economia e Commercio è una strana Facoltà, dove convivono due anime: la prima è quella del ragionerie laureato, un commercialista immerso tra le carte e tra i bilanci, una persona con i piedi per terra, che fa di conto per far risparmiare le aziende in tasse, imposte e contributi e dall’altra i “sognatori”, gli amanti della macro economia, della politica economica, del modo in cui risolvere i problemi di miliardi di persone. L’errore fondamentale è che questo iato spacca in due il laureato in Economia e Commercio, due facce della stessa medaglia. Senza la conoscenza della prima non si capisce bene la seconda e viceversa. Il dottore in Economia e Commercio è un laureato azzoppato. Io scelsi la seconda strada, quella della capacità di costruire e ricercare nuovi progetti e idee. Mi avvicinai per la tesi al Prof. Caffè e gli dissi che ero intenzionato a comprendere a fondo il meccanismo che genera l’inflazione e che avevo sentito parlare, da alcuni colleghi - amici latinoamericani, un peruviano e due fidanzatini dell’Ecuador, di una scuola economica dell’università di Santiago del Cile. Era la cosiddetta “Scuola Strutturalista”. Presentai la scaletta della tesi che prevedeva lo studio, oltre quello strettamente di politica economica, anche di filosofia, storia, medicina, matematica. Caffè rimase entusiasmato dall’idea e di diede come “supervisore” il Prof. Ezio Tarantelli, allora “assistente” del Prof. Rei di Economia monetaria. Il Prof. Tarantelli mi diede parecchi input. Ricordo che contattai, tramite Tarantelli, diversi economisti, anche per lettera. I grandi economisti italiani mi snobbarono, mentre ricevetti una lettera manoscritta da un professore che insegnava allora in Brasile, Paul Singer. Gli incontri mensili con il “maestro” riservavano sempre una qualche sorpresa. Il tempo che ti concedeva era centellinato, le spiegazioni veloci e puntuali, il modo con il quale mi parlava sempre attento e professionale. Arrivò poi la laurea. Mi laureai in Politica economica con la tesi “L’inflazione strutturale” l’11 luglio 1973 (108/110, per la cronaca, ma avevo un curriculum abbastanza “travagliato”, e il conseguimento della mia laurea lo debbo decisamente a Caffè e a Vittorio Marrama, ma soprattutto al Prof. Alessandro Costanzo di Statistica I e II). Subito dopo la laurea, invitai il Professore a partecipare a due “uscite particolari” insieme ad altri tre altri novelli laureati che Caffè aveva seguito con particolare cura. Ero fiero di appartenere a quel “drappello”, formato da due 110 e lode che sarebbero poi andati a lavorare in Banca d’Italia e un 100, un simpatico studente con qualche “difetto” di troppo, come di troppo era la sua voglia di vivere e di sognare. Nessuno ci crederà. La prima uscita “fuori le mura universitarie” del manipolo di studenti e il Professore fu in occasione della visione di un film che allora veniva definito quasi hard. La protagonista era Laura Antonelli e il film era appena uscito e si chiamava “Malizia”. Il Professore aveva una particolare ammirazione per l’Antonelli. Dunque, l’esimio Professore, non rifiutò l’invito per andare al cinema e accettò ben volentieri di vedere un film “poco impegnato”. Non sarà stato questo il vero carattere del Professore che nessuno vuole vedere? Lo stesso atteggiamento “scansonato” lo ebbe anche in occasione della cena in viale Paroli, sempre con la stessa squadra, in un noto ristorante. Era completamente diverso da quanto voleva fare apparire quando “riceveva” gli studenti nella sua stanza al settimo piano di via Del Castro Laurenziano, 9. La sua “segretaria” di quegli anni, una “romanaccia” simpatica sapeva benissimo che si trattava di un uomo stravagante, ma allo stesso tempo “normale”, come tutti. «Da qualche tempo, mi disse la “segretaria” sempre pronta a parlare, si fa a piedi sette piani. Ed ha ragione. Tre volte sono rimasta rinchiusa dentro quella trappola”. La “segretaria bionda” sdrammatizzava tutto e riduceva qualsiasi evento in momenti per sorridere. Caffè, pur con la sua “prosopopea”, era molto legato alla “sua segretaria bionda”. Ma andava più d’accordo con l’altra, quella bruna, molto più professionale e con molti problemi familiari. «E’ sempre presente, mi diceva, sembra che come un operaio voglia timbrare il cartellino». Insomma, il Professore, aveva due vite, una ufficiale e composta e l’altra più “smoderata” e con tanta voglia di divertirsi. Ecco perché sostengo che non è possibile che il Professore abbia deciso di suicidarsi, non avrebbe avuto la forza e non avrebbe avuto la motivazione, almeno fino al 1981.
4. Dunque, il Professore, il 15 aprile 1987, si presume che esca in punta di piedi dalla sua casa romana di via Cadiolo 42, a Monte Mario, indossi pantaloni grigi, giacca scura e leggero soprabito blu, tipico di certe nottate primaverili romane rinfrescate dal venticello, lasci sul tavolo, in bella vista, orologio, passaporto, libretto degli assegni, portafoglio e chiavi di casa, chiuda alle spalle la porta di quella stanzetta ammobiliata dell'indispensabile, senza alcun cenno di civetteria, senza neppure quadri o arazzi alle pareti, al di fuori della riproduzione di un crocefisso di Giotto, scivoli all'esterno come un'ombra, senza che nessuno lo possa notare e faccia perdere ogni traccia. Aveva 73 anni. Solo intorno alle sette, il fratello Alfonso nota il letto vuoto. I due fratelli abruzzesi, sin da giovani avevano deciso di non sposarsi, vivendo sotto lo stesso tetto e dividendo per decenni, abitudini, discussioni, progetti. Una sorella che viveva a Pescara, e i loro nipoti più volte, negli ultimi anni di vita accertata dello zio, avevano insistito affinché zio Federico e zio Alfonso si trasferissero sull'Adriatico. D'altronde, il primo non aveva più i suoi impegni fissi all'Università. E anche Alfonso Caffè aveva lasciato l' Istituto "Massimo" dei gesuiti dov'era stato professore di lettere. Insieme avevano visto morire l'ormai anzianissima madre. Insieme avevano accompagnato all'ultima dimora anche la tenera tata Giulia, che da lungo tempo aveva consolidato il suo ruolo di fiduciaria di famiglia. Ad aggravare certi suoi stati d'animo la tragica perdita in un paio d'anni di tre discepoli-Doc. Non c'era conoscente il quale non sapesse sino a che punto Federico Caffè avesse sofferto e pianto nel 1985 davanti alla bara di Ezio Tarantelli, massacrato dalle Brigate Rosse. E non c'era amico il quale non avesse raccolto la sua angoscia davanti al destino che aveva troncato la vita di Fausto Vicarelli in un incidente stradale e di Franco Franciosi in un lettino d'ospedale, ucciso dal cancro.
5. A Torino, quattro giorni prima della scomparsa del Professore, muore Primo Levi: Caffè ne rimane sconvolto, ma critica il modo, plateale e straziante, in cui lo scrittore si è tolto la vita.
6. Che fine ha fatto, dunque, Federico Caffè? Secondo me e vivo e ci ascolta. Un uomo “grande” come lui, non poteva accettare l’idea della morte senza sepoltura. Credo che non stia in Italia, tantomeno, in un convento. La sua fuga non è stata organizzata da nessuno. L’ha pensata e l’ha studiata lui, ne aveva le possibilità. Io l’immagino camminare sull’Himalaya, al di sopra delle nuvole e al di sopra di ogni sospetto. E’ difficile credere che a nessuno più interessi la sua fine, dopo tutto quel grande bene e amore che ha dato all’Italia. Il distacco non è stato suo, ma gli altri si sono distaccati da lui. Abbandonato a se stesso, preferisce oggi a 94 anni, aspettare la morte fuori dall’Italia, che non ha saputo ricompensare i suoi sacrifici. Dovunque sia, adesso, ha la possibilità di vedere questo mio articolo sul mio blog, e sono convinto che prima o poi si farà vivo.
7. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 30 ottobre 1998, ha dichiarato la morte presunta di Federico Caffè.
Note biografiche
Federico Caffè, nato a Pescara il 6.1.1914, si è laureato con lode in Scienze Economiche e Commerciali presso l'Università di Roma nel 1936.Assistente volontario alla cattedra di Politica economica e finanziaria dal 1939, nell'anno accademico 1946/47 ha vinto una borsa di studio per un soggiorno presso la London School of Economics.Libero docente di politica economica e finanziaria nel 1949 nello stesso anno è stato nominato assistente incaricato alla cattedra di Scienza delle Finanze di cui era titolare G. Del Vecchio.Vincitore nel 1954 del primo concorso a cattedra di Politica economica e finanziaria tenutosi dopo la fine della guerra, è stato professore straordinario della stessa disciplina a Messina passando poi all'insegnamento di Economia politica a Bologna ed infine è stato chiamato a Roma nel 1959 come professore ordinario di Politica economica e finanziaria presso la facoltà di Economia e Commercio.Nel 1984 gli è stato conferito il diploma di prima classe, con medaglia d'oro, per i benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte.Dal 1970 è stato socio corrispondente dell'Accademia nazionale dei Lincei ed è divenuto socio nazionale nel 1986.Alla sua lunga e intensa carriera universitaria si è affiancata un'altrettanto lunga e prestigiosa carriera pubblica che lo vide per un breve periodo capo di gabinetto del Ministro della Ricostruzione Meuccio Ruini nel Governo Parri. Non meno rilevanti sono stati gli incarichi che gli vennero affidati come funzionario del Servizio Studi della Banca d'Italia dove venne assunto nel 1937. Nel 1954, con la sua nomina a professore straordinario, si concluse il rapporto di lavoro e venne nominato consulente del Governatore della Banca d'Italia, incarico che mantenne sino al 1969. Inoltre dalla data della sua istituzione nel 1965 e sino al 1975 ha diretto l'Ente Einaudi per gli studi monetari bancari e finanziari.Ha curato con grande erudizione e gusto filologico la raccolta di opere di F. Ferrara, di F. S. Nitti e di L. Einaudi nonché significative raccolte di saggi di autori italiani e stranieri. La sua dedizione all'Università e gli incarichi ricevuti non lo hanno mai allontanato da un impegno civile che lo ha visto antifascista negli anni della guerra, a contatto con le forze democratico-liberali e azioniste nel dopoguerra, vicino al riformismo cattolico di Cronache Sociali di Dossetti all'inizio degli anni '50 e infine vigile e critico consigliere del sindacato unitario.Era piccolo di statura, riservato, mite ma capace di terribili sfuriate, lettore instancabile, amante della musica, erudito, storico del pensiero economico italiano.
Intervento del Presidente Ciampi in occasione della commemorazione del Prof. Federico Caffè all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, il 24 maggio del 2001
"Federico Caffè era uomo di straordinarie qualità, di indole solitaria ma estremamente disponibile al dialogo, accoppiava orgoglio e modestia. In lui dominava il rigore morale che esercitava in primo luogo verso se stesso e che si manifestava nel rispetto profondo, sostanziale e formale, nei confronti del prossimo, soprattutto il prossimo minore, materialmente o intellettualmente bisognoso".
"Persona generosa, animato da un profondo anelito sociale, spendeva se stesso senza limiti, salvo poi a ritrarsi con subitanea freddezza se avvertiva nel suo interlocutore insincerità d'accento".
"Privilegiava il rapporto con i giovani, i quali, pur sapendolo insegnante severo, ne subivano il fascino. Apprezzavano in lui il grande economista; sentivano in lui lo spessore umano, che ne faceva uno straordinario educatore".
"Se, come è vero, educare significa trasmettere la propria persona, chiunque, coetaneo o più giovane, abbia avuto con Federico Caffè occasione di dialogo, sente che qualcosa di lui oggi è parte viva di se stesso".
Carlo Azeglio Ciampi
Leggere l'articolo "inedito" di Federico Caffè pubblicato nel 1981 sulla rivista "Cooperazione": "Un richiamo al realismo" e l'intervento del Prof. Guido Rey su "Federico Caffè: profilo di un maestro". I due articoli sono pubblicati su "Articoli di Stampa, Scuola e Vita".
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