di Roberto Maurizio
Giovanni Da Verrazzano
Le origini dell'Istituto
L’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri di Cinecittà, Roma, apre le sue parte agli allievi, ai docenti e ai non docenti il 21 ottobre 1964. Il primo Preside fu Mario Pagella, omen nomen, non tanto Mario quanto il cognome. Pagella era il suono che rimbombava nei corridoi in forma "onomatopeica" in tutti i corridoi a ferro di cavallo dei cinque piani. Faceva paura solo a sentirlo nominare. Appena “in piedi”, l’Istituto non ebbe problemi di iscrizioni. Era l’unica Scuola Superiore di tutto il Quartiere (allora già densamente popolato, 100-120 mila abitanti).
Due problemi
I problemi che attanagliavano i dirigenti del nascente Istituto erano due. Il primo, quello della denominazione, il secondo, il trasporto degli studenti. Quest’ultimo, era un falso problema. Infatti, il Grande Quartiere, composto da Cinecittà, Don Bosco, Cecafumo, Quadraro e Torre Spaccata, era “servito” all’epoca da “ben” quattro linee urbane: il “tranvetto” (deformazione romanesca di tram), il T1, il T2 e il T3 (sembra che la Rai, successivamente, si rifece a questi ultimi tre mezzi di “comunicazione” per assegnare i suoi canali Tg1, Dc, Tg2, Psi,Tg3, Pci).
Il “tranvetto”
Tra i quattro percorsi alternativi, quello più “appetibile” per l’Istituto era il “tranvetto”, aveva la fermata proprio a Piazza Quinto Curzio (una piazza storica a 200 metri dalla scuola, una piazza serbatoio). Ma, perché si chiamava “tranvetto”? Perché era piccolo, scomodo, rumoroso, a volte poco pulito, sempre in ritardo, ma, all’epoca, era bello da vedersi, aspettarlo inutilmente, usarlo per spostamenti “avventurosi”. Il "tranvetto della Stefer" era il massimo che ti consentiva un’azienda di trasporti che ha fatto la storia di Roma. La grande Stefer che, se non ti dava soddisfazioni sui trasferimenti giornalieri in città, aveva, in compenso, una grande squadra calcistica. Il "tranvetto", comunque, ti consentiva un collegamento “veloce” tra te e la scuola, tra te e le tue prossime peripezie. Il “tranvetto” è stato anche oggetto di studio di Federico Felini. Per il grande regista, il “tranvetto della Stefer di via Tuscolana” rappresentava un ricordo della guerra: era il mezzo di locomozione che lo portava dalla sua abitazione a “casa sua”. Il “tranvetto” partiva da Stazione Termini, passava per via Merulana, raggiungeva San Giovanni, faceva una sosta a Piazza Re di Roma, riprendeva per via delle Cave e, dopo un po’, la discesa del Quadraro, dove il “tranvetto della Stefer” raggiungeva la sua massima velocità (60 all’ora!).
Alle 23, l'ultima corsa. Si saliva in silenzio, tra lo sferragliare delle ruote motrici sugli aridi binari anche dopo giorni di pioggia, si mostrava la tessera al "bigliettaro", a tutt'altro affaccendato, si aveva ampia scelta dei posti, anche perché eri l'unico che da Cinecittà a quell'ora andavi verso Roma. Come d'incanto, il "tranvetto" raggiungeva i '90 '100 chilometri all'ora. Sebbene il percorso fosse in salita, la voglia del conducente di andare "al deposito" era strabiliante. Una sera, la salita del Quadraro venne fatta a 120.
Il "tranvetto", Piazza Cinecittà, Roma
Via Tuscolana. "Il Viale della Speranza"
Riprendiamo il percorso normale del "tranvetto" che, dopo la "frenetica corsa" dall’Arco di Tavertino al Quadraro, non aveva più necessità di accelerare. I tempi erano marcati su una tabella di marcia dove erano impresse le parole “chi va piano e va sano e va lontano”. La velocità si frantumava sulla filosofia che andava di moda all’epoca: “il cestino lo danno a mezzogiorno, che bisogna c'è di accelerare?”! Il "Tram dei Desideri", dunque, rallentava la sua corsa per percorrere la tranquilla pianura che si apriva a ventaglio su un susseguirsi di casermoni disposti "stocasticamente" senza soluzione di continuità da un frenetico piano urbanistico fondato invece, prima si fa e meglio si guadagna. Ecco la “famosa” Tuscolana che dorme sogni beati. Diversamente dalle altre vie adiacenti, come la “nobile” via Appia (“regina viarum”, che arriva fino a Brindisi e oltre) e la “rupestre” Casilina (che congiunge i Ciociari alle “due capitali”, Roma e Napoli, anche si ferma a Capua, Casilium), la Tuscolana unisce la Capitale, a partire da Porta San Giovanni, con l’antica Tusculum, l’odierna Frascati, quella di “portace nartro litro, ehmb’è”. In pratica, 20 chilometri rispetto alle centinaia e centinaia di chilometri delle altre vie consolari. Molti “immigrati” meridionali la chiamavano via “Tusculana”. Per Dino Risi, invece, via Tuscolana era “Il viale della speranza” raggiungibile con il “tranvetto” che conduceva schiere di giovani abbagliati dal miraggio del cinema, come Anna Magnani in “Bellissima”. Il “tranvetto di Cinecittà” divenne il mezzo di trasporto per centinaia di aspiranti attori e per migliaia e migliaia di comparse. Ancora oggi, la via che porta ai Castelli è rimasta la “via dei sogni e delle illusioni”: oggi, è la strada che porta al “Grande Fratello”.
Il "Grande Fratello" 2009, Roma, Cinecittà, senza Fellini e senza "tranvetto"
Verrazzano, si scrive con una zeta o con due?
Giovanni Da Verrazzano, lo scopritore del Nord America
La scuola superiore che stava per nascere, risentiva un po’ delle sue origini “popolari”, rispetto al “Pareto”, a pochi metri dal Colosseo, e all’“Einaudi”, vicino a Piazza Vittorio. Eppure, l’Istituto, in nuce, già conteneva la sua storia. Il nome doveva essere ancora assegnato. Venne chiamato, in modo burocratico, “X Istituto”. Anche questa concomitanza, in definitiva, presagisce la nascita della Decima Circoscrizione o, come viene chiamato oggi, Decimo Municipio. Ma sempre Decimo è. Allora. Non si poteva continuare a chiamare con un numero un’Istituzione scolastica. Fatte le dovute indagini, ecco che spunta fuori un nome rispolverato dalla storia. Cosa devono fare gli alunni del X Istituto? Studiare. Per fare cosa? Per trovare lavoro e per incrementare la ricchezza del nostro paese. Chi gli permette di raggiungere gli obiettivi di lavoro? Lo Stato e le Imprese private. Chi gli darà la pensione e li sostenterà in futuro? Lo Stato. Chi può dare la sicurezza di queste prospettive? Il mare. Chi ha navigato cercando terre sulle quali costruire la democrazia e lo sviluppo? Colombo? No, Cristoforo Colombo è già stato assegnato ad un altro istituto. Vespucci? Già dato. Rimaneva il barbuto e simpatico Giovanni. Fin qui, nulla da eccepire. Ma qual era il cognome? Gli “astuti” professori incaricati di reperire al più presto un nome, si consigliarono, si consultarono, si scambiarono opinioni. Alla fine decisero: Da Verazzano. Da Verrazzano? Ma con quante erre e con quante zeta? Due erre e due zeta. Una erre e due zeta. Due erre e una zeta. Una erre e una zeta. Scartata l’ultima ipotesi improponibile e le altre un po’ provinciali (Verrazzano, con due zeta, un paesino toscano sconosciuto), i “responsabili” decisero di allinearsi alla versione americana: scelsero, allora, di allinearsi al famoso ponte di New York, il “Verrazano-Narrows”, con una zeta. Gli americani, inoltre, affermavano i sostenitori di una sola zeta, chiamavano il nostro famoso navigatore Giovanni Da Verrazzano, Verrazano con una sola zeta. La goccia che fece traboccare il vaso e che diede la stura alla scelta di Verrazzano con una sola zeta è stravolgente. Il nostro Giovanni era analfabeta e quando firmava atti ufficiali scriveva il suo nome con una zeta! Questo accadimento è meglio passarlo sotto silenzio. I detrattori dell’Istituto più antico di Cinecittà potrebbero approfittarsene: “l’avevo detto io che veniva dal Verrazano con una zeta!”. La scelta, alla fine, fu lungimirante. Giovani Da Verrazano, con una zeta, ma con tanta voglia di scoprire altri mondi, altri modi di proporsi. E tutti i diplomati in questo Istituto dal 64 ad oggi sono accumunati da un unico sogno: navigare per scoprire nuovi orizzonti e per trovare terre sulle quali possa prosperare crescita, sviluppo e civiltà.
Il "tranvetto" a Porta Furba: "Vecchia Roma"
La fine del Verrazzano
Tra il 1526 ed il 1527 Verrazzano guidò una spedizione verso il Brasile, sempre alla ricerca del famoso passaggio ad Oriente. Nel marzo 1528, mossa dal medesimo scopo, ebbe luogo l'ultima partenza del navigatore dal porto di Dieppe. La spedizione, a cui partecipava anche il fratello Girolamo, cartografo, costeggiò la Florida per poi entrare nel mar delle Antille. Dirigendosi verso il golfo di Darien, l'equipaggio avvistò un'isola coperta di rigogliosa vegetazione ed apparentemente deserta. Il Verrazzano e sei marinai scesero a terra per esplorarla. Assaliti all'improvviso da una torma di indigeni, furono massacrati, fatti a pezzi e divorati sotto gli occhi atterriti del fratello, impotente a recar loro aiuto. Questo racconto venne fatto dal fratello Girolamo a Paolo Giovio e al suo nipote e coadiutore Giulio, che lo mise in ottave nell'ambito di un poemetto epico sugli esploratori e colonizzatori d'America:
"Da gente cruda fur a un tratto presi / Ch'a l'improvviso gli saltorno addosso. / Occisi fur et per terra distesi / Fatti in più pezzi sino al minimo osso / Da quelli fur mangiato. E in quei paesi / Gli fu il fratel del Verezan che rosso / Vede il terren del sangue del fratello / Né puote in barca stando aggiutar quello. / Costui il tutto vide e in Roma poi / Venuto essendo un giorno, lacrimando / Racontò questo fatto acerbo a noi." Questa fu la tragica fine del navigatore Giovanni da Verrazzano, ad opera del quale la costa atlantica dell'America settentrionale venne portata a conoscenza dell'uomo e rappresentata in forma essenziale dalla cartografia cinquecentesca.
La fine del Verrazano
La stessa fine del grande navigatore e scopritore dell'America del Nord, là dove ora governa Obama, mutata mutandis, sta attanagliando un Istituto storico di Cinecittà di Roma, stretto tra la morsa dell'indifferenza delle istituzioni e il martello della grande crisi che sta colpendo i suoi diplomati, lavoratori, che ogni giorno in più di questo 2009, lamentano la loro inequitudine inutilmente. Come Giovanni Da Verrazzano i nostri alunni avranno sempre il sostegno dei loro professori: l'"America del Nord", intesa come terra di ricerca e di conquiste, è la nostra bussola. L'"America del Nord", quella che abbiamo scoperto con Giovanni, sarà la nostra salvezza. L'"America del Nord" è la Stella Polare che ci invita a ricercare, studiare, incamminarci sulla strada della rinascita dello sviluppo e della civiltà.
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