9 novembre 2007

Giornalisti per la cooperazione

COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO



Sono trascorsi più di 17 anni dalla pubblicazione dell'intervista che vi riproponiamo qui di seguito e le cose sono rimaste inalterate. Un gruppo di giornalisti italiani e stranieri aveva appena lanciato un'associazione di specializzazione all'interno della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi). L'Associazione di giornalisti per lo sviluppo internazionale (Agsi), sorta il 17 novembre 1988, era costituita da circa 100 giornalisti, di cui una sessantina regolarmente iscritti. I giornalisti coinvolti dall'Associazione erano peruviani, senegalesi, algerini, pakistani, egiziani, spagnoli, francesi, inglesi, italiani, ivoriani, marocchini e di altre nazionalità. L'idea principale era quella di far costituire in tutti i giornali una redazione "cooperazione allo sviluppo". L'Agsi visse fino al 1994-95. Poi, si dissolse, anche se resta ancora in piedi sulla carta. Tangentopoli "buttò via l'acqua sporca con il bambino". La cecità della classe politica spazzò via un'idea che poteva essere vincente: unire i giornalisti europei agli arabi, i latinoamericani agli asiatici, gli africani agli americani e così via.
A 17 anni di distanza, i problemi della stampa italiana restano ancora quelli di sempre.

11-10-1990 Avanti!


L’Invitato



Roberto Maurizio


QUEL GIORNALISMO CHE SI OCCUPA DI COOPERAZIONE


Attualmente sono 25 le Associazioni di giornalisti riconosciuti formalmente dall'Ordine nazionale (ong). Fra que­ste: l'Agsi (Associazione di giornalisti per lo svi­luppo intemazionale), che ha come scopo prio­ritario lo sviluppo del Terzo Mondo.
Dell'Associazione fanno parte circa 60 gior­nalisti italiani e stranieri. Abbiamo rivolto al­cune domande al segretario generale, 43 anni, giornalista pubblicista, professore di tecnica bancaria, vincitore del premio giornalistico San Francesco di Sales 1990, redattore della rivista Cooperazione del ministero degli Affari Esteri, da più di 15 anni impegnato sul fronte della lot­ta al sottosviluppo.

Ci vuole spiegare perché proprio in questo pe­riodo avete sentito l'esigenza di fondare una così impegnativa associazione?

In realtà, da tempo in Italia si avvertiva la necessità di creare una struttura organica con il compito di coagulare le forze, poche ma buone, impegnate nella diffusione delle notizie relative allo sviluppo dei paesi più poveri del mondo. Noi siamo nati proprio nel periodo (ottobre 1989) in cui a Bellino Craxi veniva attribuite l'alta carica di Rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite nella soluzione del debito dei paesi in via di sviluppo. Un ricono­scimento, questo, che fa onore al nostro Parla­mento e al nostro governo, che dal 1980 in poi hanno aumentato considerevolmente l'aiuto verso il Terzo Mondo. Al notevole incremento dei fondi pubblici per i paesi poveri, non è se­guito però, in proporzione, l'impegno da parte dei mass media italiana verso questo tema. Un diffuso provincialismo ha regnato nella stampa italiana. Abbiamo assistito, in un primo mo­mento, a un certo risveglio dei sensi da parte di qualche giornalista riciclato per l'occasione. Poi, il silenzio, che continua ancora. Basta sfo­gliare qualsiasi quotidiano, con qualche ecce­zione, e sentire, a caso, un telegiornale o un giornale radio, per accorgerci della distanza abissale esistente tra noi e la Francia, tra noi e il Regno Unito... solo per parlare dell'Europa. Lei mi chiedeva: perché proprio ora? Perché è ora di smetterla. Il nostro provincialismo molto spesso viene giustificato dalla constatazione che l’Italia non è mai stata una potenza coloniale. Ma non lo sono stati neanche il Canada, la Norvegia, la Svezia, e così via. Perché proprio ora? Perché stiamo a due passi da un'Europa unita nella quale non saranno ammessi ritardi di nessun genere. Dobbiamo dimostrare ai nostri partner l'esistenza di una stampa italiana nella quale la visione internazionale predomina sulle meschinità interne.

Se le cose stanno così come lei le ha disegnate, che cosa può fare l'Agsi concretamente?

La nostra Associazione, come recita lo statu­to, si propone di promuovere e diffondere la cultura
dello sviluppo nel rispetto dell'uomo e della natura, di promuovere e diffondere una maggiore e più corretta informazione sulla real­tà dei. paesi del Terzo Mondo e sui temi del rapporto Nord-Sud. Praticamente, dovrebbe es­sere un foro permanente di dibattito ad alto li­vello sui principali problemi riguardanti il Ter­zo Mondo e dovrebbe funzionare come stru­mento per diffondere una coscienza sempre più ampia sulla necessità di dialogo con i paesi e le popolazioni più povere del pianeta. Per realizzare questi scopi l'Agsi si preoccupa di far per­venire a tutti i soci le necessarie fonti di infor­mazione che riguardano lo sviluppo, la cooperazione e la politica internazionale. L'Agsi or­ganizza seminali, convegni, corsi di aggiorna­mento.

In che modo crede che l'Associazione potrebbe essere utile alla stampa italiana?

Il giornalismo può essere inteso come casta, corporazione, mestiere, oppure come strumento per informare. Chi informa, automaticamente, non è giornalista. Se si chiede a un vigile il per­corso per raggiungere una strada, ovviamente, quest'ultimo non sta facendo giornalismo, anche se svolge una funzione meritoria.
Ma se l'obiettivo prioritario del giornalista è quello di informare, la prima cosa che si richie­de a chi deve esercitare questa attività è di esse­re informalo, di sapere, di conoscere. Allora è chiaro che il giornalista non può avere il dono divino della onniscienza (anche se qualche nostro collega vuoi fare credere il conlrario. E’ talmente vero questo che i giornali sono divisi in redazioni: gli interni, lo sport, cronaca, pagi­ne economiche, ecc., al cui interno lavorano dei veri e propri professionisti. Ciò non significa che chi nasce «economico» un giorno non possa diventare della «cronaca», o che dagli «interni» non possa passare agli «esteri» (una brutte espressione quest’ultima che però rappresenta un lapsus freudiano, in quanto - da sempre - in Italia si è inteso distinguernei giornali italiani la denominazione di «politica internazionale» - cioè ciò che accade in altra parte del mondo -, si trova, invece, «esteri», cioè qualcosa che attiene alla politica estera del nostro governo). In ogni caso, il giornalista che per anni ha seguito un settore specifico diventa per forza di cose un esperto di quel campo. Ecco, personalmente, penso che i principali problemi inerenti la di­sinformazione verrebbero superati il giorno in cui in Italia esisterà una redazione «sviluppo», o «cooperazione», o un'espressione simile. L'o­pinione pubblica si addolora una volta all'anno, in occasione della presentazione di qualche rapporto delle agenzie dell'Onu. E' invece ne­cessario ricordarglielo ogni giorno: lo sviluppo del Terzo Mondo è indispensabile al nostro svi­luppo, se non proprio in termini economici per­lomeno in quelli morali e umani.

Quali sono i vostri principali problemi?

In primo luogo sono quelli finanziari. Un'As­sociazione che riceve finanziamenti da altre istituzioni non è libera, ma un'Associazione sen­za finanziamenti non è un'Associazione. Noi aspiriamo a diventare un'organizzazione non governativa internazionale riconosciute dalle Nazioni Unite e ricevere quindi fondi dalla più alla e neutrale istituzione mondiale. Il rapporto con l'Ordine dei giornalisti è mollo complesso e farraginoso. Buoni sono, invece, i contatti con il nostro ministero degli Affari Esteri. Un altro problema è quello della collocazione giuridica dei giornalisti stranieri che sono nostri soci.

(intervista a cura di Tiziana Ficacci)

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