Per chi non legge La Stampa
di Roberto Maurizio
Sant'Agostino d'Ippona
Ferdinand de Saussure
“Il cimitero di Praga” è il nuovo romanzo del semiologo scrittore, Umberto Eco, che uscirà a ottobre, come sempre per Bompiani. La semiotica o semiologia (dal termine greco σημεῖον semeion, che significa "segno") è la disciplina che studia i segni. Considerato che il segno è in generale "qualcosa che rinvia a qualcos'altro" (per i filosofi medievali "aliquid stat pro aliquo") possiamo dire che la semiotica è la disciplina che studia i fenomeni di significazione e di comunicazione. Per significazione, infatti, si intende ogni relazione che lega qualcosa di materialmente presente a qualcos'altro di assente (la luce rossa del semaforo significa, o sta per, "stop"). Ogni volta che si mette in pratica o si usa una relazione di significazione, si attiva un processo di comunicazione (il semaforo è rosso e quindi arresto l'auto). Le relazioni di significazione definiscono il sistema che viene ad essere presupposto dai concreti processi di comunicazione. Umberto Eco occupa una posizione estremamente rilevante all’interno del gotha di questa “disciplina dei segni”, insieme, per “ordine di apparizione”, a: Platone, Aristotele, Sant’Agostino d’Ippona, Francis Bacon, John Locke, René Descartes, Gottfried Wilhelm Leibniz, Charles Sanders Peirce, Ferdinand de Saussure, Roland Barthes, Claude Levi-Strauss, Jacques Lacan, Sanders Peirce, John Locke, Karl Popper, Louis Trolle Hjelmslev, Algirdas Julien Greimas, Antonio Pagliaro, Tullio De Mauro, Charles William Morris, Thomas Albert Sebeok, Patrizia Violi, Algirdas Julien Greimas, Vladimir Jakovlevic Propp, Eric Landwski, Juri Lotman, Jean Marie Floch. “Stampa, Scuola e Vita” si rivolge soprattutto, in questo contesto, a chi non legge “La Stampa”, il giornale torinese che oggi dava la notizia di quest’importante avvenimento culturale italiano e mondiale al tempo stesso.
Il cimitero di Praga
Ecco, come Mario Baudino, presenta oggi su “La Stampa” il nuovo capolavoro di Umberto Eco destinato ad un indiscutibile successo.
Eco, un falsario s'aggira nell'Europa dell'Ottocento
Umberto Eco
di MARIO BAUDINO
Un falsario si aggira per l’Europa. Quale sia il suo campo d’azione preferito ancora non sappiamo, ma è probabile che si tratti di documenti, lettere, scritti e bolli di cancellerie: perché governanti, servizi segreti, ministri e poliziotti del continente - siamo nella seconda metà dell’Ottocento - hanno per lui un interesse assai vivo. Tra cospirazioni e rivolte, attraverso questo misterioso personaggio Umberto Eco ci racconta il nascere delle nazioni, la nuova scacchiera che si disegna in quel periodo cruciale sul Vecchio Continente.
Lo leggeremo a ottobre, come sempre per Bompiani, a trent’anni dal Nome della rosa, il romanzo che lanciò il filosofo nel cielo dei narratori popolari: e avrà per titolo Il cimitero di Praga. Lo scarno - e crudelissimo - comunicato con cui la casa editrice dà l’annuncio dell’evento editoriale non dice una parola di più, anche se a scavare tra le righe (vergate a quanto pare con delicatezza da orologiaio da Mario Andreose, da sempre il referente di Eco nella Bompiani) si può seguire, almeno, qualche filo. Cimitero di Praga intanto: non c’è dubbio che sia l’antico cimitero ebraico, quello con le lapidi assiepate, accavallate, stratificate, e il grande orologio che gira in senso antiorario.
Praga, per il semiologo Eco, vuol dire anche la scuola di Roman Jakobson, quella dei cosiddetti «formalisti», anch’essa molto cara al cuore del professore. Può darsi che non c’entri nulla, ma andiamo avanti: la «città magica» (copyright Angelo Maria Ripellino) è proprio quella dove, nel prologo del Nome della rosa, Umberto Eco afferma con un tipico espediente romanzesco di aver ricevuto, mentre era «in attesa di una persona cara», il manoscritto di certo abate Vallet con il resoconto di Adso da Melk: proprio sei giorni prima dell’invasione sovietica.
Ce n’è abbastanza per fantasticare sul nuovo libro, in attesa di poterlo leggere. Sarà al solito un volume corposo (sulle 500 pagine), in cui per la prima volta la cavalcata storico-letteraria di Umberto Eco tocca l’Ottocento, secolo barbuto, romantico, idealista; non sappiamo se gli sia congeniale per uno di questi aggettivi, ma c’è senza dubbio un altro elemento decisivo per capire come ci si trovi perfettamente a proprio agio: nell’Ottocento nasce il grande romanzo popolare, genere molto caro allo scrittore alessandrino.
È il secolo di Dumas, di Eugène Sue, dei Tre moschettieri, del Conte di Montecristo che Eco - come scrisse in un articolo - fu tentato di tradurre, anche se rinunciò dopo cento pagine; e naturalmente dei Misteri di Parigi, a proposito del quale ha osservato in un saggio che portata possa avere la parola trionfo. Dopo l’uscita del libro, nel ’42, Parigi è infatti in ginocchio davanti allo scrittore, con «deliranti manifestazioni di successo»; e Sue «tocca il vertice sognato da ogni romanziere, realizza di fatto quello che Pirandello potrà soltanto immaginare: riceve dal pubblico del denaro per soccorrere la famiglia Morel», ovvero i suoi protagonisti immaginari.
Insieme con il Medioevo, l’Ottocento è particolarmente congeniale a Umberto Eco. E qualche amico fidato assicura che questo è senz’altro, di tutti i suoi romanzi, il più vicino al Nome della rosa, almeno per quanto riguarda il contesto storico che funziona anche da specchio per la realtà presente: dove non è difficile immaginare che un falsario possa diventare un personaggio centrale di ogni vicenda. Non è comunque il primo: c’era già stato Baudolino, nell’omonimo romanzo del 2000, avventuriero e impudicissimo falsificatore che inventava lettere e documenti, viaggiava, intrigava, costruiva quasi per diletto la vicenda del favoloso Prete Gianni e delle sue missive, destinate a diventare uno dei pretesti per l’espansione verso Est con le crociate. Ma questa è già storia. Resta una domanda, con risposta a ottobre: che il nuovo-antico falsario a spasso per l’Europa, dove le nuove-antiche nazionalità si alzano come fiamme, ne sia un remoto discendente? Tutto può darsi, in letteratura. Si è sempre discendenti di qualcuno: e predecessori di molti altri.
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