di Roberto Maurizio
Pasqualino “Mousciaroscie”
Il sorriso degli occhi di una madrina
L’angelo caduto dal cielo
Lo splendore del bianco
Quando, di tanto in tanto, Pasqualino tornava a San Martino, dai suoi genitori, dai suoi cari, dai suoi compaesani, la sua immagine si stagliava di fronte a quelle “abruscate” dal Sole. Era come un “santino”, un’immaginetta, un’icona: somigliava molto a San Domenico Savio. Pasqualino aveva lo stesso splendido “biancore” del Santo piemontese, il più giovane dei santi morto a soli quindici anni; aveva la stessa purezza. Quel volto bianco senza luminosità e senza tinta come doveva apparire agli indigeni dell’Amazzonia, di Porto Velho, se non come quello di un Santo?
La vita
La tubercolosi, contratta da ragazzo, lo porta prima a Pozzuoli e poi al sanatorio di Principe di Piemonte dove trascorre due lunghi anni, che gli permettono però di guarire completamente e di diventare amico di una donna di Napoli, la signora Daniele, che aveva a sua volta un figlio ricoverato. Il figlio della signora Daniele già studiava all'Istituto Salesiano di Torre Annunziata e ciò influenza la scelta di Pasqualino di entrare anch'egli in quell'Istituto nel 1951, a soli tredici anni. Studente intelligentissimo, con voti sempre eccellenti, frequenta l'Istituto Salesiano di Salerno. Il 3 Gennaio del 1968 è ordinato Sacerdote. Ma in lui c'è un richiamo più forte e chiede, in una lettera al Reverendo Don Ricceri, di prestare servizio apostolico come volontario nell'America Latina. In quegli anni, prima ancora di andare in Brasile come missionario, conosce Angela Volpini che a Casanova Staffora, in Provincia di Pavia, fa parte di una comunità religiosa, ancora esistente, la “Nova Cana”. Nel 1968 parte per lo Stato della Rondônia, nell'ovest del Brasile, nella periferia della città di Porto Velho. Nella sua piccola Chiesa del Rosario, che diventa una comunità, attua un’eccezionale opera di riscatto civile. I “suoi” poveri sanno di poter contare su un uomo intelligente per cui la bontà non è solo carità ma concretezza: campi di calcio, laboratori, biblioteche, corsi di dattilografia, di cucito. Aiuta i malati di lebbra e riesce a far arrivare medici ed altri missionari. Convinto che il “bene si dovesse fare bene”, promuove corsi di alfabetizzazione e costruisce palestre perché “annunziare il Vangelo è migliorare le condizioni umane”. Questa concezione di Cristo ispira la poesia della Raccolta “Parola nuda” che è stata messa in musica e cantata nella Comunità di “Nova Cana”. La raccolta, pubblicata nel 1986, rivela il segreto dell'esistenza di Pasquale Di Paolo. Già negli anni precedenti aveva pubblicato, insieme a João de Castro “Moitara Xingu”. Si diletta a scrivere anche poesie in sammartinese ma è soprattutto un uomo d'azione, forte di letture religiose e sociologiche solidissime che vuole mettersi al servizio dell'Amazzonia.
Il grande Maestro Stingone
Il maestro Oberdan Stingone, altro grandissimo intellettuale sammartinese, nel febbraio 1987 scriveva: “Di Paolo non esprime soltanto una realtà esterna, oggettiva, fatta di mille contraddizioni, su cui da sempre l’uomo ha costruito la sua storia; ma anche il suo dramma soggettivo, intrinseco, sofferto, che diviene cosmico in virtù di una parola nuova, fino a aggiungere i vertici del nudo lirismo. Ci sono parole di opposto che appaiono gocce iridescenti che s’inseguono, si rincorrono, s’azzuffano, si fondono: non per smarrirsi nell'immensità dell’oceano ma per librarsi nell’azzurro ricco di luce”.
Porto Velho
La gente di Porto Velho è gli ha dedicato una strada con il suo nome. Alla fine del 1974 torna in Italia, probabilmente messo alla prova nel suo ruolo di missionario e sacerdote, e per alcuni mesi rimane in famiglia dove matura la scelta della laicizzazione e la chiederà al Papa con una lettera. Forse le forti avversioni da parte dell'allora Dittatura militare brasiliana o perché sentiva l'inadeguatezza e le connivenze di una certa Chiesa conforme al potere, incarnata dal Vescovo Sarto, che tollera poco l'azione di questi preti che non solo davano da mangiare ai poveri, ma, chiedendosi perché non mangiavano, instillavano del popolo il bisogno di riscattarsi. Teme per la sua incolumità fisica tanto da affidare un plico chiuso con dei documenti al fratello Raffaele da aprirsi se fosse successo qualcosa di irreparabile. Si salva perché è in seguito tenuto nascosto e protetto dal Vescovo Don Tomas Balduino, Presidente della Commissione Pastorale dei vescovi del Brasile, Vescovo Emerito di Goias di Bahia e amico di un altro importante Vescovo, ucciso sull‘altare a San Salvador, Monsignor Oscar Romero.
Povertà e ingiustizia
Peppino Zio riannoda il filo di questa storia bellissima cercando i suoi amici, i suoi affetti. Fra loro, Don Angelo Castelli, che gli è rimasto amico fino alla sua morte. Dice di lui: “Ebbe una crisi profonda tra il modo di vivere la fede e ciò che sperimentava e capiva: che c'era un forte nesso tra la povertà e l'ingiustizia”. Nel Gennaio del 1975, non più da prete, riparte per il Brasile, terra che gli aveva preso l'anima, per continuare la battaglia di emancipazione dalla povertà di quel popolo. Nel 1977 é ammesso come professore associato da Ufpa, nella cattedra di Scienze politiche. E, già nell'agosto del 1978, grazie ad un concorso, diventa professore effettivo di questa stessa Università. Nel frattempo, dal 1976 è anche impegnato, durante i periodi di vacanza, nel corso Post laurea, che si conclude nel settembre 1978, alla facoltà di Sociologia Politica di San Paolo. In seguito entra a far parte dell'Associazione dei sociologi Brasiliani e successivamente viene assunto in qualità di ricercatore dell'Università del Pará (Ufpa), seguendo la strada della carriera di professore e ricercatore ma tenendo ferma la rotta del sociale come principale strada. Nel 1980, insieme a Darcy, diventata sua moglie, fonda il “Centro Studi e Ricerche delle questioni sociali” (Cepas), “Il Piccolo Generatore”. Non vuole portare la sola parola del Vangelo ma anche attuarla trasformando la società e gli uomini. Professore di sociologia e politica nell'Università Federale del Parà e nelle Facoltà integrate “Moderno” e supervisore del Campus avanzato di Istruzione e di Educazione permanente (Caipp). Collabora con il Giornale “O Liberal” e scrive diversi libri su questioni sociali, politiche e sulla storia regionale e nazionale brasiliana. Nel 1987 pubblica “Mediazione Politica e Integrazione Umana: un studio sociologico del potere”. Dopo due anni di sofferenze il 19 agosto 1987 muore a Pavia, lasciando la moglie e i figli Italo, di 6 anni, Angela di 4 anni e Luciano di due. Angela Volpini, che ancora oggi ha rapporti con la famiglia Di Paolo in Brasile, e con il fratello e le sorelle in Italia, racconta che è morto da santo tra le sue braccia “avendo una visione verso la quale il suo corpo morente fece un salto estremamente vitale, esclamando: Eccomi”!
Il coraggio di “fare”
“O Liberal”, scriverà: “Ha espresso il suo desiderio di essere sepolto a Belém, in Brasile, dove probabilmente il suo cuore aveva cominciato a pulsare di passioni e di desiderio di servire l'uomo”. L'Associazione Nuova Arcobaleno, nell'ambito del concorso di Poesia, ha voluto tributare a questo poeta ispirato da Dio il riconoscimento della comunità di San Martino. Peppino Zio ne ha ricostruito la storia ed abbiamo scoperto un gigante passato sulla terra arsa dei poveri. A loro ha lasciato la speranza della vita. A noi, lo schiaffo benefico del coraggio di “fare”.
Tutte le foto (ad eccezione di quella di San Domenico Savio) sono si Roberto Maurizio, si prega di citare la fonte.
Sono figlio di Pasqualino, vivo a Belem, in Brasile, e la nostra famiglia è molto felice con questo bellissimo omaggio! Peccato che oggi non abbiamo potuto stare presenti, ma seguiamo molto da vicino.
RispondiEliminaGrazie per la condivisione di questi ricordi che per noi è sempre stato vivo!
Italo Di Paolo