18 agosto 2009

Pasquale Di Paolo, missionario di un dio minore

Pasquale Di Paolo, missionario “diverso”
di Roberto Maurizio
Agosto 2009, San Martino in Pensilis, il sorriso amaro di uno sguardo senza perché


(foto di Roberto Maurizio)

Le credenze e le tavole imbandite


1939, anno dell’inizio della Seconda Guerra mondiale. 1939, anno di nascita di Pasqualino. Una coltre di odio si stava abbattendo sull’intero genere umano (centinaia di migliaia di morti, più di 150 milioni i bambini, le bambine, gli uomini, le donne, le vecchie, i vecchi troveranno la loro fine in meno di sette anni). La violenza dettata dall’integralismo e dalle ideologie estreme del Secolo breve pervase tutto il mondo come una peste inarrestabile. La peste di questi sette anni mandò in frantumi gli ideali di una Terra abitata da essere civili che abbandonarono la retta via. Ma di retta via non esisteva traccia se non nelle antiche religioni mediterranee e in quelle orientali. Di retta via parlavano anche i Maya e gli aborigini australiani. Ma, di retta via, in quel lontano 1939 non ce n’era nemmeno l’ombra. Si poteva ascoltare però, solo da chi aveva orecchie per intendere, il pianto di una piccola creatura che nasceva in un paesino del “basso” Molise che lanciava un segnale per un possibile cambiamento basato sulla purezza dell’anima e sulla solidarietà in questo mondo. Pasqualino, attraverso il suo pianto e i suoi sorrisi voleva far capire che era giunto il tempo per cambiare le “credenze” e gli interessi delle persone egoiste che si limitavano solo all’arricchimento delle loro “tavole imbandite”.

Pasqualino “Mousciaroscie”

Il sorriso degli occhi di una madrina


Contro queste “tavole imbandite” e contro le false “credenze” si sollevò la voce di Pasquale Di Paolo, nato a San Martino in Pensilis da Giovanni e Lucia D’Orazio (detta “Mousciaroscie”) nel 1939. Pasqualino aveva due sorelle, Anna e Pina, e un fratello, Lello. Una “tipica” famiglia povera di San Martino. Il padre, Giovanni, era un “coltivatore diretto”. Di poche parole e profondamente buono. Il suo viso era scavato dal Sole e dalla “fatica”. Il colore della sua pelle era quello della “sua” terra, marrone scuro. I suoi occhi piccoli e “profondi” incutevano, a volta, anche un reverenziale timore. Oggi, qualcuno gli avrebbe chiesto il “permesso di soggiorno”. La madre, Lucietta, veniva dalla famiglia dei “mousciaroscie” (forse, muso rosso): enormemente devota alla Madonna, raddoppiava la sua fede ogni volta che Pasqualino tornava a casa, a San Martino. La donna più “servizievole” del mondo. Era sempre pronta a portare il suoi aiuto ai vicini. Aveva una voce molto squillante e le piaceva cantare. Molto spesso, nel mio giardino, improvvisavo con lei le vecchie canzoni dialettali. Per Lucietta suo figlio era un santo. Lo ammirava, restava a bocca aperta quando lui le parlava. Pendeva dalle sue labbra. Non era solo l’affetto per il figlio che dominava in lei. Era la convinzione di trovarsi veramente di fronte ad un angelo caduto dal cielo.

L’angelo caduto dal cielo



La storia di Pasquale Di Paolo, missionario, poeta, teologo e filosofo, è raccontata in libro di Peppino Zio, che è stato presentato il 16 agosto a San Martino in Pensilis, nell’ambito del II “Concorso di Poesia” promosso dall’Associazione culturale “Nuova Arcobaleno”. La notizia ha trovato eco sulla stampa locale grazie al grande lavoro di Caterina Sottile che sta svolgendo attraverso un’azione meritoria in favore di un’area che più depressa di così non si può: il Basso Molise. Nomen Omen, più basso di così! Caterina ha pubblicato il suo articolo su “PrimapaginaMolise.it” nel quale risultano evidenti i tratti salienti di un popolo che ha sempre lottato per la sopravvivenza, un popolo, quello del basso Molise, quello di San Martino, che ha sempre dato la propria “anima” agli altri, agli fratelli e alle altre sorelle. Pasqualino, il grande missionario, non è un’eccezione a San Martino: è la regola. Certo, non mancano le persone malvagie, gli affaristi, gli egoisti, i pettegoli (anzi, gli uomini sammartinesi sono i più pettegoli del pianeta, è una vecchia tradizione). Ci sono, ovviamente i politici corrotti accanto a quelli buoni che bisogna scoprirli con il lanternino. Ma una cosa è certa. A San Martino esiste la bontà. Basta guardare i volti della gente che qui di seguito pubblichiamo. Basta guardare le feste che si organizzano. Basta vedere la passione che viene profusa nella corsa dei carri, dove i tre concorrenti fra di loro non sono nemici, ma avversari da battere in una lotta leale che fa emergere sempre il migliore.

Lo splendore del bianco



Quando, di tanto in tanto, Pasqualino tornava a San Martino, dai suoi genitori, dai suoi cari, dai suoi compaesani, la sua immagine si stagliava di fronte a quelle “abruscate” dal Sole. Era come un “santino”, un’immaginetta, un’icona: somigliava molto a San Domenico Savio. Pasqualino aveva lo stesso splendido “biancore” del Santo piemontese, il più giovane dei santi morto a soli quindici anni; aveva la stessa purezza. Quel volto bianco senza luminosità e senza tinta come doveva apparire agli indigeni dell’Amazzonia, di Porto Velho, se non come quello di un Santo?

La vita

La tubercolosi, contratta da ragazzo, lo porta prima a Pozzuoli e poi al sanatorio di Principe di Piemonte dove trascorre due lunghi anni, che gli permettono però di guarire completamente e di diventare amico di una donna di Napoli, la signora Daniele, che aveva a sua volta un figlio ricoverato. Il figlio della signora Daniele già studiava all'Istituto Salesiano di Torre Annunziata e ciò influenza la scelta di Pasqualino di entrare anch'egli in quell'Istituto nel 1951, a soli tredici anni. Studente intelligentissimo, con voti sempre eccellenti, frequenta l'Istituto Salesiano di Salerno. Il 3 Gennaio del 1968 è ordinato Sacerdote. Ma in lui c'è un richiamo più forte e chiede, in una lettera al Reverendo Don Ricceri, di prestare servizio apostolico come volontario nell'America Latina. In quegli anni, prima ancora di andare in Brasile come missionario, conosce Angela Volpini che a Casanova Staffora, in Provincia di Pavia, fa parte di una comunità religiosa, ancora esistente, la “Nova Cana”. Nel 1968 parte per lo Stato della Rondônia, nell'ovest del Brasile, nella periferia della città di Porto Velho. Nella sua piccola Chiesa del Rosario, che diventa una comunità, attua un’eccezionale opera di riscatto civile. I “suoi” poveri sanno di poter contare su un uomo intelligente per cui la bontà non è solo carità ma concretezza: campi di calcio, laboratori, biblioteche, corsi di dattilografia, di cucito. Aiuta i malati di lebbra e riesce a far arrivare medici ed altri missionari. Convinto che il “bene si dovesse fare bene”, promuove corsi di alfabetizzazione e costruisce palestre perché “annunziare il Vangelo è migliorare le condizioni umane”. Questa concezione di Cristo ispira la poesia della Raccolta “Parola nuda” che è stata messa in musica e cantata nella Comunità di “Nova Cana”. La raccolta, pubblicata nel 1986, rivela il segreto dell'esistenza di Pasquale Di Paolo. Già negli anni precedenti aveva pubblicato, insieme a João de Castro “Moitara Xingu”. Si diletta a scrivere anche poesie in sammartinese ma è soprattutto un uomo d'azione, forte di letture religiose e sociologiche solidissime che vuole mettersi al servizio dell'Amazzonia.

Il grande Maestro Stingone

Il maestro Oberdan Stingone, altro grandissimo intellettuale sammartinese, nel febbraio 1987 scriveva: “Di Paolo non esprime soltanto una realtà esterna, oggettiva, fatta di mille contraddizioni, su cui da sempre l’uomo ha costruito la sua storia; ma anche il suo dramma soggettivo, intrinseco, sofferto, che diviene cosmico in virtù di una parola nuova, fino a aggiungere i vertici del nudo lirismo. Ci sono parole di opposto che appaiono gocce iridescenti che s’inseguono, si rincorrono, s’azzuffano, si fondono: non per smarrirsi nell'immensità dell’oceano ma per librarsi nell’azzurro ricco di luce”.

Porto Velho



La gente di Porto Velho è gli ha dedicato una strada con il suo nome. Alla fine del 1974 torna in Italia, probabilmente messo alla prova nel suo ruolo di missionario e sacerdote, e per alcuni mesi rimane in famiglia dove matura la scelta della laicizzazione e la chiederà al Papa con una lettera. Forse le forti avversioni da parte dell'allora Dittatura militare brasiliana o perché sentiva l'inadeguatezza e le connivenze di una certa Chiesa conforme al potere, incarnata dal Vescovo Sarto, che tollera poco l'azione di questi preti che non solo davano da mangiare ai poveri, ma, chiedendosi perché non mangiavano, instillavano del popolo il bisogno di riscattarsi. Teme per la sua incolumità fisica tanto da affidare un plico chiuso con dei documenti al fratello Raffaele da aprirsi se fosse successo qualcosa di irreparabile. Si salva perché è in seguito tenuto nascosto e protetto dal Vescovo Don Tomas Balduino, Presidente della Commissione Pastorale dei vescovi del Brasile, Vescovo Emerito di Goias di Bahia e amico di un altro importante Vescovo, ucciso sull‘altare a San Salvador, Monsignor Oscar Romero.

Povertà e ingiustizia


Peppino Zio riannoda il filo di questa storia bellissima cercando i suoi amici, i suoi affetti. Fra loro, Don Angelo Castelli, che gli è rimasto amico fino alla sua morte. Dice di lui: “Ebbe una crisi profonda tra il modo di vivere la fede e ciò che sperimentava e capiva: che c'era un forte nesso tra la povertà e l'ingiustizia”. Nel Gennaio del 1975, non più da prete, riparte per il Brasile, terra che gli aveva preso l'anima, per continuare la battaglia di emancipazione dalla povertà di quel popolo. Nel 1977 é ammesso come professore associato da Ufpa, nella cattedra di Scienze politiche. E, già nell'agosto del 1978, grazie ad un concorso, diventa professore effettivo di questa stessa Università. Nel frattempo, dal 1976 è anche impegnato, durante i periodi di vacanza, nel corso Post laurea, che si conclude nel settembre 1978, alla facoltà di Sociologia Politica di San Paolo. In seguito entra a far parte dell'Associazione dei sociologi Brasiliani e successivamente viene assunto in qualità di ricercatore dell'Università del Pará (Ufpa), seguendo la strada della carriera di professore e ricercatore ma tenendo ferma la rotta del sociale come principale strada. Nel 1980, insieme a Darcy, diventata sua moglie, fonda il “Centro Studi e Ricerche delle questioni sociali” (Cepas), “Il Piccolo Generatore”. Non vuole portare la sola parola del Vangelo ma anche attuarla trasformando la società e gli uomini. Professore di sociologia e politica nell'Università Federale del Parà e nelle Facoltà integrate “Moderno” e supervisore del Campus avanzato di Istruzione e di Educazione permanente (Caipp). Collabora con il Giornale “O Liberal” e scrive diversi libri su questioni sociali, politiche e sulla storia regionale e nazionale brasiliana. Nel 1987 pubblica “Mediazione Politica e Integrazione Umana: un studio sociologico del potere”. Dopo due anni di sofferenze il 19 agosto 1987 muore a Pavia, lasciando la moglie e i figli Italo, di 6 anni, Angela di 4 anni e Luciano di due. Angela Volpini, che ancora oggi ha rapporti con la famiglia Di Paolo in Brasile, e con il fratello e le sorelle in Italia, racconta che è morto da santo tra le sue braccia “avendo una visione verso la quale il suo corpo morente fece un salto estremamente vitale, esclamando: Eccomi”!

Il coraggio di “fare”


“O Liberal”, scriverà: “Ha espresso il suo desiderio di essere sepolto a Belém, in Brasile, dove probabilmente il suo cuore aveva cominciato a pulsare di passioni e di desiderio di servire l'uomo”. L'Associazione Nuova Arcobaleno, nell'ambito del concorso di Poesia, ha voluto tributare a questo poeta ispirato da Dio il riconoscimento della comunità di San Martino. Peppino Zio ne ha ricostruito la storia ed abbiamo scoperto un gigante passato sulla terra arsa dei poveri. A loro ha lasciato la speranza della vita. A noi, lo schiaffo benefico del coraggio di “fare”.


Tutte le foto (ad eccezione di quella di San Domenico Savio) sono si Roberto Maurizio, si prega di citare la fonte.

1 commento:

  1. Sono figlio di Pasqualino, vivo a Belem, in Brasile, e la nostra famiglia è molto felice con questo bellissimo omaggio! Peccato che oggi non abbiamo potuto stare presenti, ma seguiamo molto da vicino.
    Grazie per la condivisione di questi ricordi che per noi è sempre stato vivo!
    Italo Di Paolo

    RispondiElimina