5 luglio 2010

La morte dal cielo. Da Guernica ai Droni

Da Guernica, passando per Hiroschima, fino ai Droni
di Roberto Maurizio

La Luna, uno specchio retrovisore


Se la trincea fu il simbolo della Prima Guerra Mondiale, l’aereo, suo malgrado, è stata l’icona della Seconda. La baionetta, nel 15-18 e gli apparecchi americani, nel 40-45. Questi elementi mi sono rimasti impressi come sintesi di due guerre mondiali che hanno trasformato il nostro paese. L’impugnatura della baionetta di mio nonno, cieco della Prima Guerra Mondiale, troneggia sulla mia libreria. E, tra i ricordi della mia infanzia, un’enorme quantità di bombe inesplose proprio vicino al mio giardino, situato di fronte a Guglionesi, paese molisano bombardato dagli “apparecchi americani”. Tutti i bambini, negli anni ’50, guardando Guglionesi, ad ogni passaggio di aerei nel cielo, intonavano il ritornello: “L’apparecchio americano, lancia la bomba e se ne va”. La guerra è una strada obbligata per affermare l’egemonia del mondo dei paesi più potenti. Hanno solo un difetto: producono milioni di morti. Alle ore 16.15 circa, del 7 ottobre 2001, le forze aeree americane e britanniche iniziarono un bombardamento aereo sull’Afghanistan, con l’obiettivo di colpire le forze talebane e di Al Qaeda. Tornando a casa con la mia autovettura, quattro o cinque ore più tardi, alzai gli occhi al cielo e vidi la luna posizionata proprio in direzione dell’Afghanistan. Pensai, immediatamente, a Guglionesi, a Foggia, a San Lorenzo e alla baionetta di mio nonno. A poche migliaia di chilometri e solamente dopo pochi decenni, su una popolazione venivano lanciate bombe che oltre a gettare la morte delle persone, colpivano la terra, il terreno, le pianure, le montagne, le colline. Il nostro amato pianeta venne colpito nel giro di poche ore da circa 50 missili cruise di tipo Tomahawk da parte di sottomarini e bombardieri, tra cui alcuni B-1 Lancer, B-2 Spiriti, B-52 Stratofortetress e F-16 Fighting Falcon. Due trasporti aerei C-17 Globemaster lanciarono 37.500 bombe sulla popolazione afghana. In Occidente, il 7 ottobre 2001 era un giorno come un altro. Tutti avevano nella mente e nel cuore il “Jingle”: “siamo tutti americani”. Io, invece, guardando la Luna come ad uno specchio retrovisore, vedevo ancora lacrime e sangue spargersi inutilmente su questa povera e maltrattata Terra, proveniente dal cielo. Gli aerei, quelli che dovrebbero far conoscere il mondo e le persone, vengono utilizzati come arma per annientare il “nemico”.

Una nuova forma di guerra



Oggi, quindi, la principale arma utilizzata nella “guerra moderna” e l’aereo. In meno di cento anni, l’impiego di questa incantevole invenzione dell’uomo, in campo militare ha fatto “passi da gigante”. La possibilità di librarsi in volo sopra lo schieramento nemico aveva già spinto numerosi teorici e visionari a cavallo tra il XIX e il XX secolo a immaginare una nuova forma di guerra in cui il dominio dell'aria avrebbe costituito il fattore decisivo. L'invenzione dei fratelli Wright interessò subito lo Stato Maggiore militare statunitense, ma i contatti furono difficili. Il 23 dicembre 1907, tuttavia, il Signal Corps (l'equivalente Usa del Genio militare), responsabile degli sviluppi militari della neonata disciplina aerea (aerostati, mongolfiere, dirigibili) codificò la prima specifica per un velivolo: la n. 486. Per essere accettato dal Signal Corps un aereo doveva volare a una velocità di 40 miglia orarie (circa 65 km/h), avere un'autonomia di 2 ore, portare due persone a bordo e carburante per 125 miglia (200 km). Inoltre, l'aereo doveva essere smontato, trasportato su carri trainati da cavalli e rimontato entro un'ora. Le prove per il Signal Corps iniziarono il 3 settembre 1908 a Fort Myer, Virginia. Sei giorni dopo il Flyer aveva già superato le specifiche richieste restando in aria per più di un'ora. Ma il 17 settembre avvenne il primo incidente: Orville si ferì seriamente mentre il tenente Thomas Selfridge perse la vita. Fu la prima vittima nella storia dell'aviazione a motore. Il progresso compì miracoli nel settore aeronautico e già l'anno dopo, il 31 dicembre 1908, in Francia si arrivò a un record: un velivolo restò in aria per 2 ore e 18 secondi coprendo una distanza di 123 km. Oramai la strada per il volo umano era divenuta una realtà.

Un sibilo di bombe



La prima missione aerea di ricognizione in guerra della storia spetta agli italiani: nel pomeriggio del 23 ottobre 1911, durante la guerra contro l'Impero ottomano, l'aereo pilotato dal capitano Carlo Maria Piazza compì un volo di ricognizione su Tripoli, in Libia. Anche la paternità del primo bombardamento con un aereo spetta agli italiani: il 1° novembre 1911, il tenente Giulio Gavotti, con il suo Taube, lanciò una granata da due chilogrammi sul campo ottomano di Ain Zara, in Libia. In quello stesso volo furono lanciate altre granate su tre oasi di Tagiura. L'impresa del 1911 di Gavotti fu celebrata da Gabriele D'Annunzio in “Canzone della Diana”: «S’ode in cielo un sibilo di bombe passa nel cielo un pallido avvoltoio Giulio Gavotti porta le sue bombe [.]». Anche se l'azione del tenente Gavotti non provocò in effetti vittime, e i danni furono piuttosto lievi, fu comunque la dimostrazione che gli aeroplani potevano essere utilizzati per combattere, e, purtroppo, per portare la morte anche ben oltre la linea del fronte. La guerra si appropriò di un ulteriore elemento, l'aria, annullando definitivamente l'idea cavalleresca del combattimento e il rapporto che sino ad allora aveva collegato il combattimento al soldato: il bombardamento aereo, ha scritto Carl Schmitt nel Nomos della terra (Adelphi, Milano 1991) ha «il significato e il fine esclusivo dell'annientamento». Fonte: "Aerostoria.blogspot.com". Parallelamente allo sviluppo degli aerei in Europa si sviluppò la realizzazione di grandi dirigibili: in Germania erano famosi gli Zeppelin, con i quali all'inizio della Prima Guerra Mondiale furono bombardate Parigi e Londra. Nato il bombardamento strategico, ovviamente si affacciò anche l'idea di combattere in cielo. Il primo episodio di caccia aerea, vale a dire di velivolo abbattuto da un altro velivolo, si deve al pilota russo Piotr Nicolajevic Nesterov, che il 26 Agosto 1914 si avventò col suo Morane Saulnier disarmato contro l'Albatros B. III austriaco del barone Von Rosenthal, speronandolo e abbattendolo. Le operazioni belliche della Prima Guerra Mondiale furono poi teatro delle imprese di assi come il tedesco Manfred von Richthofen (il famoso Barone rosso), del britannico Albert Ball, dei francesi Georges Guynemer e Charles Nungesser, del canadese William Bishop, dello statunitense Eddie Rickenbacker e dell'italiano Francesco Baracca.

Dall’aria, l’annientamento



La guerra, dunque, si appropriò di un ulteriore elemento, l'aria, annullando definitivamente l'idea cavalleresca del combattimento e il rapporto che sino ad allora aveva collegato il combattimento al soldato: il bombardamento aereo, ha scritto Carl Schmitt nel Nomos della terra (Adelphi, Milano 1991) ha «il significato e il fine esclusivo dell'annientamento».

Guernica. Prima strage degli innocenti del ‘900



La prima città a sperimentare i drammatici effetti di un bombardamento aereo indiscriminato fu nel 1937 Guernica, cittadina spagnola di circa 10.000 abitanti nella provincia di Biscaglia. a 30 chilometri da Bilbao, tradizionalmente considerata patria delle libertà basche e simbolo nazionale da quella indomita popolazione anticamente insediatasi ai piedi dei Pirenei. Si vuole che sotto le fronde di una quercia secolare piantata in una sua piazza i maggiorenti baschi fossero tenuti a giurare il rispetto delle libertà. Nel pomeriggio del 26 aprile 1937 Guernica venne bombardata e totalmente distrutta da stormi di aerei tedeschi della Legione Condor (Heinkel 111 e Junker 52) decollati da Vitoria spalleggiati da alcune squadriglie italiane. Le incursioni sulla città si susseguirono in massicce ondate con bombe esplosive e incendiarie di alto potenziale distruttivo. I morti ammontarono a circa 1.600 e i feriti a quasi mille. Il palazzo del Parlamento basco (Casa de Juntas) e la famosa quercia rimasero tuttavia prodigiosamente illesi. Per anni Franco continuò a sostenere la tesi che a distruggere la città fossero stati i repubblicani. Si trattò in realtà di una autentica "prova generale": l'aviazione nazista sperimentò su Guernica la tecnica dell'attacco terroristico contro una città inerme, priva di particolare significato strategico ai fini della conduzione del conflitto, per piegare la resistenza del nemico. "La prima strage degli innocenti del nostro tempo", scrisse il Times di Londra. La distruzione della città è il soggetto del capolavoro di Pablo Picasso, una delle icone più conosciute del pacifismo internazionale.

Stuka e Fortezze volanti



Dopo la Prima Guerra Mondiale la tecnologia portò grosse innovazioni nel campo aeronautico, dilatando al massimo l'importanza del "potere dell'aereo", in altre parole della possibilità di usare il cielo per scopi bellici. Così la maggior parte dei Paesi che non l'avevano fatto prima, costituirono una propria forza aerea indipendente, alla pari con Esercito e Marina. Con la Seconda Guerra Mondiale si ebbe un ulteriore straordinario progresso tecnologico. Basti paragonare gli esili biplani di soli venti anni prima ai caccia Hawker Hurricane, Supermarine Spitfire e Messerschmitt Bf 109. Contemporanei sono anche il bombardiere in picchiata Junkers Ju 87, meglio conosciuto come Stuka, e i bimotori da bombardamento Bristol Blenheim, Dornier Do 17 e Heinkel He 111. Lo sviluppo di bombardieri veloci culminò verso la fine degli anni Trenta con il quadrimotore statunitense a grande autonomia della Boeing, il B-17 Flying Fortress ("fortezza volante"). Da questo momento all'arma aerea venne definitivamente assegnato un ruolo fondamentale, poiché essa si mostrava lo strumento più efficace per realizzare l'attacco diretto al cuore della popolazione, nei centri abitati. E non solo con le tradizionali bombe, ma anche con nuove e più potenti armi, quali quelle chimiche (e poi biologiche).

Uso terroristico dei bombardamenti aerei



Scoppiata la guerra, l'aeronautica si affermò come sistema integrato in cui avevano grande importanza i radar e la cooperazione fra ricognitori e bombardieri. Durante il conflitto, le aviazioni dei diversi Paesi operarono su tutti i fronti e spesso in stretto contatto con le forze di terra e di mare. Il futuro della guerra aerea era appena cominciato e l'uso terroristico dei bombardamenti aerei si acutizzò. I Tedeschi realizzarono i missili V-1 e V-2. Il primo era un missile da crociera in grado di trasportare una testata bellica fino a 850 kg, mentre il secondo era un missile balistico con testata da 910 kg. Sempre i Tedeschi, nell'autunno del 1944, schierarono anche i primi caccia a reazione, i Messerschmitt Me 262 Schwalbe, che diedero ottimi risultati contro le formazioni dei bombardieri alleati, senza tuttavia incidere sulle sorti del conflitto. I centotrenta bombardamenti eseguiti dagli Stati Uniti sulla città di Tokyo (tra il novembre 1944 e l'estate 1945), assieme agli attacchi nucleari portati a termine nell'agosto 1945 sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, segnarono il culmine dell'uso terroristico della guerra aerea. Infatti, pur confermando il peso decisivo della guerra aerea nei moderni conflitti, tali bombardamenti affermarono lo scopo terroristico anche quando era chiaro - come lo era per il Giappone, ormai alla disfatta totale - che essi non avevano affatto carattere risolutivo. In realtà le bombe atomiche concessero agli Usa di concludere il conflitto con il Giappone senza ricorrere a una potenza militare esterna, come l'Unione Sovietica. Ciò consentì agli Stati Uniti di dare un'impressionante dimostrazione della propria potenza e, al contempo, di occupare da soli il Giappone, mantenendo un proprio plenipotenziario, Mac Arthur, fino al 1952.

Hiroschima e Nagasaki. Passaggio epocale



Le atomiche di Hiroshima e Nagasaki segnarono un passaggio epocale. Non già per il rapporto quantità di vittime-tempo impiegato, ma perché rappresentarono l'attuazione di una specie di celebrazione dell'onnipotenza di una scienza criminale che si prese la sua rivincita sul disegno della creazione divina. La logica dei bombardamenti aerei proseguì anche durante la Guerra fredda, che poi tanto fredda non lo fu davvero: nella Guerra di Corea (1950-1953), nella Guerra dei Sei Giorni (1967), nella Guerra del Vietnam (1964-1975). Proprio la guerra in Vietnam, accanto all'utilizzo di sofisticati aerei da guerra (i caccia supersonici MiG-17 e MiG-21 sovietici contro gli F-105 Thunderchief e F-4 Phantom statunitensi), vide per la prima volta l'impiego massiccio di elicotteri da combattimento. Col passare del tempo il progresso militare non si è arrestato e ha partorito nuovi e sconvolgenti armi, questa volta più "intelligenti" delle precedenti. Il ruolo dell'aeronautica militare nei moderni conflitti è stato ancora una volta drammaticamente posto in rilievo nel gennaio del 1991 durante la prima guerra del Golfo e nelle guerre della ex Jugoslavia. L'Iraq, ad esempio, fu sistematicamente attaccata dal cielo dietro le linee del fronte e privato di grandi centri di comando e controllo, linee di comunicazione e depositi. Negli attacchi iniziali dell'operazione "Desert Storm" furono impiegati i missili da crociera Tomahawk, lanciati da unità navali dislocate nel golfo Persico e nel Mar Rosso, gli F-117A Nighthawk, bombardieri Stealth armati di bombe "intelligenti" a guida laser e gli F-4G Wild Weasel, dotati di missili antiradar HARM. La ridotta difesa aerea irachena favorì anche l'azione degli aerei d'attacco, come gli F-15E Strike Eagle, gli F-111 Aardvark, gli F/A-18 Hornet, gli A-6E Intruder, i Tornado e i Jaguar. Per contrastare le forze irachene furono massicciamente impiegati, oltre all'aereo anticarro A-10 Thunderbolt II, anche gli elicotteri da combattimento AH-64 Apache e AH-1 Cobra con missili Hellfire e Tow. Nelle due guerre che hanno inaugurato il nuovo secolo, la guerra in Afghanistan e la seconda guerra del Golfo (2003), l'utilizzo dell'arma aerea non ha avuto eguali nella storia militare. Purtroppo, ancora una volta, la popolazione civile è quella che più ha lamentato perdite di vite umane. Anzi, la strategia militare statunitense ha esplicitamente ammesso che i bombardamenti strategici sull'Iraq avevano il preciso scopo di spargere il terrore tra le forze nemiche. Shock and awe ("colpisci e terrorizza") è questo il nome che è stato dato a questa strategia che, per quanto rivolta ai combattenti, ha causato vittime anche tra la popolazione civile. L'ultima guerra in Iraq ha realizzato nell'immaginario collettivo l'idea di una "guerra pulita", una guerra che, grazie ai missili intelligenti (ossia missili aria-aria con guida laser, che centrano al millesimo il bersaglio prescelto), ha diminuito il pericolo di un bombardamento incontrollato, colpendo marginalmente la popolazione civile. Sappiamo però che proprio così non è andata, poiché ci hanno fatto vedere solo le immagini che hanno voluto che noi vedessimo. L'inganno è sempre in agguato quando si parla di guerra. Peccato che queste nuove armi "intelligenti" non hanno anche un'anima.

Oggi, in Afghanistan i Droni



“Top Gun”: chi è stato giovane negli anni Ottanta ricorda inevitabilmente con un certo affetto quel puerile ma irresistibile cult-movie, in cui Tony Scott romanzava come in un fumetto le spericolate gesta dei piloti militari della californiana United States Navy Fighter Weapons School (meglio nota come Top Gun, per l’appunto). Quella scuola è realmente esistita: era il più importante dei Replacement Air Group, i centri di perfezionamento creati dal Pentagono nei primi anni Settanta, alla luce delle disavventure del Vietnam, in cui i piloti più esperti addestravano i novellini. Oggi quel film, che nel 1986 fece la fortuna di Tom Cruise, si avvia a divenire una sorta di documento di un’era passata. La base “Top Gun”, che negli anni Novanta è stata trasferita dalla California nel vicino Nevada, si sta trasformando in qualcosa di molto diverso da quello che Hollywood mostrò al mondo un quarto di secolo fa. L’aviazione e la marina stanno investendo sempre più nell’impiego dei cosiddetti droni, gli aerei da guerra senza esseri umani a bordo, pilotati via satellite da terra. Ovvio: se si vuole mettere il meno possibile a repentaglio la incolumità di un pilota, farlo addestrare da veterani sopravvissuti all’esperienza del combattimento reale è utile, ma tenerlo al sicuro a terra, davanti ad un computer con in mano un joystick, magari dall’altra parte del mondo rispetto alla zona bombardata, è infinitamente meglio. Ma la sicurezza del pilota non è tutto. Secondo i fautori di questo nuovo sistema, l’impiego dei droni porta anche a ridurre il numero di vittime civili, poiché, a differenza del tradizionale caccia che doveva bombardare con “toccata e fuga” per sottrarre il prima possibile il pilota ai colpi dell’artiglieria contraerea, il Drone può permettersi di volare sopra il bersaglio per prendere bene la mira con tutta calma, per ore e ore, anche per un’intera giornata. Questo argomento non convince i sostenitori della cosiddetta counterinsurgency, ossia la tecnica adottata dal generale David Petraeus con il surge che nel 2007 ha recuperato l’Iraq dall’orlo dell’abisso, e che attualmente il generale Stanley McChristal vorrebbe tentare anche in Afghanistan.

Guerre asimettriche

Costoro sostengono che nel combattere guerre asimmetriche, cioè nell’usare un esercito regolare contro terroristi e guerriglieri, è decisivo porre la popolazione civile sotto la protezione delle proprie truppe, anziché renderla vittima accidentale delle proprie bombe, poiché nel primo caso è incoraggiata a divenire preziosa alleata, e nel secondo caso è di fatto spinta ad appoggiare il nemico. Ovviamente secondo questa visione è bene puntare il più possibile sulle truppe di terra, e il meno possibile sui bombardamenti aerei, droni o non droni. Ma i bombardamenti con i Droni hanno finalmente decapitato i vertici di Al Qaeda, per cui a Washington vengono visti sempre più come una soluzione vincente, oltre che poco rischiosa. E tanto basta per investirvi sempre più risorse. Inizialmente, a pilotare i Droni erano i normali piloti di caccia, dislocati solo temporaneamente nella base in Nevada; di recente, però, si è passati a destinare là stabilmente i piloti migliori. Il 25 settembre 2009 sono entrati in servizio i primi otto piloti addestrati esclusivamente per questa speciale mansione: "un nuovo tipo di Top Gun per un nuovo tipo di guerra", come titolava un reportage di Time. Il Colonnello Eric Mathewson, che dirige la scuola di addestramento, intervistato sulla rivista delle forze armate “Stars and Stripes” proclamava orgoglioso: “siamo alle prese con una transizione culturale, paragonabile a quella dalla cavalleria ai carri armati”. Solo che in questa occasione si tratta di rinunciare all’ebbrezza del volo, per cui nessuno si offre volontario. E così, d’ora innanzi, ogni anno il Pentagono pescherà d’autorità cento tra le reclute più meritevoli dalle ordinarie accademie dell’aviazione, e le dirotterà, loro malgrado, in questo corso per piloti virtuali.

Buschiani e obamiani

Ad ogni modo, bushiani od obamiani che siano, questi bombardamenti di nuova generazione sono una tattica, non una strategia. Il che non può essere una critica nei confronti della CIA, alla quale adiopiacendo non compete elaborare tattiche. Quello, semmai, è il mestiere del presidente. I droni sono uno strumento come un altro per fare la guerra: consentono di farla in circostanze in cui in passato sarebbe stato impossibile o troppo rischioso, ma non risolvono né consentono di eludere nessuno dei quesiti di fondo che ancora attendono risposta per poter definire quale sia, in sostanza, la “Dottrina Obama”. In quali casi si interviene con la forza, e in quali no? E con quali alleati? E soprattutto, con quali fini? Antiterrorismo o promozione della democrazia? Interesse nazionale o diritti umani universali? Egemonia o sopravvivenza? E questo è, forse, il punto cruciale: ancora una volta, l’attuale presidenza appare incentrata sulla tattica, ma priva di una vera strategia. Naviga a vista. A lungo andare, potrebbe costarle molto caro.

2 commenti:

  1. Forse un attimo di ricerca in più le avrebbe fatto compiere qualche errore in meno. Almeno per quanto riguarda Giulio Gavotti.
    vingolsudest@gmail.com

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  2. i commenti ci sarebbero ma vengonoancellati perché leggermente critici.
    Vingolsudest@gmail.com

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