14 luglio 2008

Salviamo l'Otto di Picche. Tarek Aziz

Salviamo il Soldato Yuhanna. Tarek Aziz
di Roberto Maurizio
Contro la condanna a morte
Dopo 5 anni di detenzione l’ex vice premier di Saddam, Mikhail Yuhanna, meglio conosciuto come Tarek Aziz, sta per essere condannato a morte dai giudici iracheni. E’ stato imputato per l’esecuzione di decine di commercianti nel ‘92. “Stampa, Scuola e Vita” ha lanciato una campagna per la salvezza del Soldato Yuhanna, rivolta soprattutto ai cristiani e ai cattolici. Infatti, Aziz, era l’unico cristiano caldeo nell’entourage del Raìs. L’appello è rivolto, in primo luogo, a Ingrid Betancourt, che ha avuto tanta solidarietà, da parte di tutto il mondo, durante la sua prigionia, compresa quella di “Stampa, Scuola e Vita”.

Salviamo l’Otto di Picche



“L’Otto di Picche” nel mazzo degli iracheni più ricercati dagli Stati Uniti rischia la pena capitale. Aziz, un cristiano in un regime musulmano, deve la sua fama alla sua abilità diplomatica e allo stile “occidentale”.

Giuliana Sgrena e Aziz
Un articolo pubblicato su “il manifesto” il 20 maggio 2008, a firma Giuliana Sgrena, presenta il quadro più esauriente e veritiero mai prima pubblicato sulla vita dell’ “Otto di Picche”. Dato lo spessore e l’interesse dell’articolo lo riproponiamo ai nostri lettori. Sono stati effettuati alcuni cambiamenti “tipografico-editoriali”, del tipo Tarek, invece di Tareq, Papa al posto di papa, e inserito qualche titoletto, tipo “Il figlio di un cameriere”.



Alla sbarra Tarek Aziz, volto credibile di Saddam
L'unica voce cristiana in un regime rigidamente musulmano. Mikhail Yuhanna, nome rifiutato e cambiato in Tarek Aziz da adulto - dopo aver maturato posizioni laiche e socialiste - per evitare di essere troppo identificato con la sua appartenenza religiosa alla chiesa caldea irachena, sarebbe diventato l'otto di picche nel mazzo di carte degli uomini più ricercati dagli americani. Piazzato al numero 43 in una lista di 55 tra i personaggi più ricercati dagli Stati uniti dopo l'occupazione dell'Iraq nell'aprile del 2003, la sua collocazione rispondeva forse più alla scarsa pericolosità dell'uomo che all'importanza di Aziz nella gerarchia del regime che governava l'Iraq. Tarek Aziz è stato sicuramente il volto più presentabile del regime di Saddam Hussein, con uno stile e un comportamento accettabile anche per l'occidente. E' stato il personaggio più presente sulla scena internazionale, soprattutto nei momenti cruciali per la storia recente dell'Iraq, per la sua abilità diplomatica ma anche perché il raìs non si spostava troppo per problemi di sicurezza.


Il figlio di un cameriere
Una figura diversa dagli altri «compagni di Saddam», anche per la sua formazione oltre che per essere l'unico non musulmano e non appartenente al clan dei «tikriti» (Saddam era di Tikrit) a guidare il paese dei due fiumi. Nato nel 1936 a Tel Kaif, vicino a Mosul, dove la presenza caldea è più concentrata, da una famiglia umile - il padre era un cameriere - si era laureato in letteratura inglese all'Accademia delle belle arti di Baghdad, acquisendo una perfetta conoscenza della lingua anglosassone. Ancora giovane, nel 1957, si era iscritto al partito Baath, ai tempi della rivoluzione anti-monarchica quando al potere era re Faisal.



Un professore salvato dalla cattedra
La sua formazione l'aveva portato a dedicarsi al giornalismo per poi diventare l'editore del quotidiano del partito Baath, al Jumuriya prima e al Thawra poi. Una scelta che favorirà l'inizio della sua carriera politica quando, negli anni 70, diventerà ministro dell'informazione, un ruolo particolarmente delicato nei regimi in cui i media devono essere supercontrollati. Nel 1977 Tareq Aziz, unico non musulmano, entra a far parte del Consiglio del comando della rivoluzione, l'organismo alla guida del paese formato dagli esponenti del partito Baath più alti in grado e fedeli al raìs. Tareq Aziz è sopravvissuto alle alterne fortune - e alle feroci purghe - che hanno coivolto il regime ed eliminato altri esponenti del partito e soprattutto ex fedeli di Saddam. Le sue posizioni laiche e la sua foggia occidentale, i suoi sigari cubani, ne fanno un personaggio particolarmente inviso ai musulmani integralisti. Che attraverso membri del partito (religioso, sciita) Dawa attentano alla sua vita nel 1980 mentre si trovava all'università Mustansiriya di Baghdad. Il vice primo ministro si salva miracolosamente buttandosi sotto una cattedra. Il clima era teso: la deportazione in Iran di esponenti kurdi fayli (sciiti) aveva esacerbato la situazione alimentando la repressione del regime contro gli sciiti. In seguito all'attentato contro Tareq Aziz veniva varata una risoluzione che prevedeva la pena di morte per gli appartenenti al partito Dawa, il principale partito religioso sciita dell'epoca (fondato nel 1956 per contrastare il forte Partito comunista). Lo scontro con gli sciiti sarebbe esploso, nel settembre dello stesso anno, con la guerra per il controllo dello Shatt el Arab contro l'Iran.


Tra Mosca e Washington


E' questa l'occasione per manifestare le grandi capacità diplomatiche di Tareq Aziz: dopo aver stabilito forti relazioni economiche con l'Unione sovietica, nel 1984, nella veste di ministro degli esteri, viene ricevuto alla Casa bianca dall'allora presidente statunitense Ronald Reagan, un incontro che porterà alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra Washington e Baghdad e a un appoggio Usa nella guerra contro l'Iran. Finita la guerra con l'Iran nel 1988 la pace sarebbe durata poco. E il compito di Tareq Aziz si sarebbe presentato sempre più difficile. L'occupazione del Kuwait, nel 1990, impone al diplomatico iracheno un tour delle capitali straniere per cercare supporto all'Iraq contro l'embargo e l'ultimatum imposto dagli Stati uniti. Inutilmente. Alla vigilia dello scoppio della guerra, il 9 gennaio 1991, sotto i riflettori dei media di tutto il mondo, Tareq Aziz incontra a Ginevra il segretario di stato Usa, James Baker, che chiede il ritiro unilaterale dell'Iraq dal Kuwait. Il colloquio si sarebbe rivelato un dialogo tra sordi senza possibilità di intesa. La lettera di Bush che poneva le condizioni (il ritiro incondizionato dell'Iraq dal Kuwait) veniva rifiutata da Tareq Aziz, nonostante le minacce degli americani. La situazione precipitava: il 17 gennaio 1991 iniziava la prima guerra del Golfo. Quaranta giorni di bombardamenti fino al ritiro di Saddam dal Kuwait. Cessava il fuoco ma non l'embargo che colpiva soprattutto la popolazione civile. Il ruolo di Tareq Aziz rimaneva fondamentale: a lui si rivolgevano le forze internazionali sensibili ai problemi umanitari che affliggevano la popolazione irachena. Ed era sempre lui, ancora al suo posto, a ricevere delegazioni internazionali che giungevano a Baghdad alla vigilia della seconda guerra del Golfo per cercare di sventare il conflitto.


Dal Papa per evitare la guerra

Nonostante le difficoltà, le preoccupazioni, forse la consapevolezza che nulla avrebbe potuto evitare quella guerra, Tarek Aziz si mostrava ancora una volta fermo sulle sue posizioni, senza cedimenti, con una grande dignità che rasentava l'arroganza. Una sicurezza che quando l'avevamo incontrato, a pochi giorni dall'inizio del conflitto, non riuscivo a capire se nascondeva un asso nella manica per poter uscire dall'impasse oppure era consapevole dell'inevitabilità della guerra. Nemmeno con l'intervento del Papa, Giovanni Paolo II, che Tarek Aziz aveva incontrato per mezz'ora in Vaticano il 14 febbraio 2003, prima di essere ricevuto dai frati francescani ad Assisi e di una breve visita al Ministro degli Esteri Frattini. Più calorosa l'accoglienza del Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, vecchia conoscenza di Tarek Aziz, che avrebbe anche inviato una delegazione della regione a Baghdad proprio nell'imminenza della guerra.


La profezia «Nessuno ha mai potuto controllare l'Iraq. Se attaccato il popolo iracheno si difenderà con ogni mezzo... Qualcuno proprio non capisce che noi siamo patrioti. Noi siamo nati in Iraq e in Iraq moriremo». Una profezia che si è avverata: dopo cinque anni di occupazione gli americani non hanno nessun controllo sull'Iraq. Si è già avverata per Saddam e probabilmente si avvererà anche per Tarek Aziz la morte sul suolo iracheno, anche se forse quest'ultimo non dovrà nemmeno superare la prova della condanna a morte.

La salute
Il suo stato di salute, già molto precario, è profondamente degenerato dopo cinque anni di detenzione in condizioni che non sono certamente quelle previste dal diritto internazionale per i prigionieri di guerra. Lo stesso arresto o consegna di Tarek Aziz agli americani, il 24 aprile 2003, è ancora circondato dal mistero. Una possibilità, quella dell'arresto, che Aziz aveva escluso per il timore di finire a Guantanamo, ma poi forse qualche mediazione (ecclesiastica?) o garanzia avevano permesso l'arresto. O forse le stesse condizioni di vita non hanno lasciato altra scelta a Tarek Aziz. Dopo l'arresto, la sua splendida villa sulla riva del Tigri era stata requisita e sarebbe diventata la residenza dell'ayatollah al Aziz al Hakim, leader del partito sciita Sciri, una delle componenti del governo di Nouri al Maliki.


Cinque anni di isolamento
Ripetutamente è stata sollevata la questione delle condizioni di detenzione di Tarek Aziz, dell'isolamento in cui è stato tenuto. Il 29 maggio 2005 il britannico The Observer aveva pubblicato le lettere scritte dall'ex ministro degli esteri iracheno (a nome anche degli altri detenuti) all'opinione pubblica internazionale. «... Speriamo che ci vogliate aiutare. Siamo in prigione da molto tempo e siamo stati isolati dalle nostre famiglie. Nessun contatto, nessuna telefonata, nessuna lettera. Anche i pacchi che ci mandano le nostre famiglie non ci vengono consegnati. Noi chiediamo un trattamento decente, una inchiesta equa e un equo processo».


Rinchiuso a Camp Cropper
Finalmente nell'agosto 2005 alla famiglia Aziz viene concesso di visitare Tareq in carcere. I familiari vengono trasportati su un pulmino con le finestre oscurate per non permettere di riconoscere il luogo di detenzione di uno dei personaggi più in vista del regime di Saddam. Per «ragioni di sicurezza» successivamente sarebbe poi stato rinchiuso a Camp Cropper dentro la base Usa dell'aeroporto di Baghdad.


Indebolito e traballante
Dopo cinque anni, il 29 aprile 2008, per la prima volta Tarek Aziz è stato portato davanti al tribunale, indebolito e traballante. Su quanto si possa parlare di inchiesta e giudizio equo i precedenti processi ad altri esponenti del regime di Saddam Hussein non lasciano certo ben sperare. Tarek Aziz è accusato dell'esecuzione, nel 1992, di 42 commercianti colpevoli di aver speculato sui prezzi dei generi alimentari mentre il paese era sottoposto a embargo. In occasione del processo Tarek Aziz ha ancora una volta avuto il sostegno della chiesa caldea irachena e in particolare del vescovo di Kirkuk, Louis Sako. «Giustizia, ma nel rispetto dei diritti umani e della dignità della persona, contro ogni condanna capitale», è stato l'appello lanciato dal monsignore in occasione dell'apertura del processo. A far aprire un processo che per gli americani è senza dubbio imbarazzante, come del resto i cinque anni di detenzione di un uomo come Tareq Aziz, è stata soprattutto la pressione internazionale. Che forse non si fermerà davanti al verdetto.


Giuliana Sgrena
Fonte:/www.ilmanifesto.it

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