di Roberto Maurizio
Un "gorgo" del Tevere
Secondo la leggenda, che anche Ovidio riporta nelle Metamorfosi, per sconfiggere la peste che si era abbattuta su Roma intorno al 294 a.C., gli indovini stabilirono che si sarebbe dovuta trasportare da Epidauro fino in città l'effigie del dio della medicina, Esculapio. Agli ambasciatori recatisi in Grecia, tuttavia, si presentò il dio stesso sotto forma di grande serpente che, salito autonomamente sulle imbarcazioni e ricondottele con venti propizi fino alla foce del Tevere, scelse di prender terra direttamente sull'Isola Tiberina.
L'immagine del "fotografo" nel Tevere
Un'altra leggenda racconta di una nave che, nel 291 a.C., essendo scoppiata a Roma una grave epidemia, salpò verso Epidauro, città sacra ad Esculapio, il più importante dio guaritore della Grecia, con una commissione di dotti romani per chiedere al nume della medicina il suo soccorso. Ma, mentre si svolgevano i riti propiziatori, un serpente enorme uscì dal tempio e andò a rifugiarsi sulla nave romana. Certi che Esculapio si fosse trasformato in serpente, la nave si affrettò a ritornare a Roma. Quando la nave giunse presso l'isola, il serpente scese nel fiume e nuotò fino all'Isola Tiberina, dove scomparve, indicando, in tal modo, la località dove avrebbe dovuto sorgere il tempio. La costruzione, iniziata subito dopo, venne inaugurata nel 289.
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Fatebenefratelli
La tradizione dell'isola come luogo di cura, però, non si interruppe con la fine del tempio di Esculapio: nel Cinquecento vi sorse un ospedale gestito dalla Congregazione di S.Giovanni di Dio, i "Fatebenefratelli", perché così esortavano gli uomini mentre chiedevano la carità. Nel Settecento l'ospedale fu ampliato e nel Novecento ristrutturato dall'architetto Cesare Bazzani. L'ospedale inoltre vantava, dal 1599, una buona tradizione dentistica, tantochè nel 1868, alla vigilia dei grandi rivolgimenti di Roma capitale, un frate proveniente dall'ospedale di Firenze, aprì qui il suo Gabinetto dentistico, situato tra la spalletta di ponte Fabricio e l'ingresso della chiesa di S.Giovanni Calibita. In breve fra Giovanni Battista Orsenigo (questo era il suo nome), nato a Pusiano, un paese a cavallo tra Como e Lecco, acquistò una fama che travalicò le mura della città, anche perché riusciva ad estrarre i denti senza l'uso delle tenaglie. Li toglieva con le sue mani forti (si racconta che ogni mattina si esercitasse con una mazza ferrata pesante vari chili), mentre palpava le gengive dolenti, eliminando così paura (per le tenaglie) e soprattutto dolore. I denti estratti dal frate furono rinvenuti nel 1903, alla vigilia della sua morte avvenuta l'anno dopo a Nettuno, all'interno di tre casse custodite nel retro del piccolo ambulatorio in cui operava: il frutto di oltre 30 anni di attività diede il totale incredibile di 2.000.744 denti.
San Giovanni Calibita
Fra Orsenigo si batté fin da subito perché il servizio fosse gratuito per i poveri e aperto tutto il giorno: di qui passarono le mandibole dolenti dei pazienti di ogni rango e condizione, dal popolino ai nomi celebri dell'epoca, come Giosuè Carducci, la regina madre Margherita di Savoia, Menotti (primogenito di Garibaldi), Quintino Sella e tanti altri. Nella Roma dei primi del '900 correva anche voce che nei vialetti dell'isola Tiberina finissero come "brecciolino" proprio i denti cavati dal frate: i denti c'erano davvero ma non erano quelli estratti da fra Orsenigo, che dopo essere stati contati furono scaricati nel Tevere, ma quelli cavati da un suo collega, fra Pasquale Mariani, che dal 1888 al 1925 operò a Perugia. Il complesso ospedaliero è detto anche di San Giovanni Calibita, dalla chiesa annessa all'ospedale, che presenta un vecchio chiostro con lunette dipinte nel Settecento. La chiesa sorge sul luogo ove si trovava un altro santuario, il sacello di Iuppiter Iurarius, "Giove garante del giuramento", dal mosaico con il nome della divinità ritrovato durante alcuni scavi avvenuti sotto la chiesa. La chiesa è antichissima, anche se quella pervenuta fino a noi risulta essere stata rifatta completamente nel 1584 e nel 1640.
Altri nomi
L'Isola ebbe anche altri nomi: "insula Lycaonia", sia perché in questa provincia dell'Asia Minore esisteva un tempio di Esculapio, sia perché, secondo alcuni, sul ponte Cestio vi era posta una statua rappresentante questa regione; "isola sacra" per la presenza del tempio; "isola d'Esculapio" e anche "isola di S.Bartolomeo" per la chiesa costruita sull'area dell'antico tempio. Una torre (nella foto a destra) fa da testata a ponte Fabricio: è quanto rimane di un complesso di edifici costruiti nell'arco di quattro secoli a ridosso del primo elemento architettonico che è appunto la torre eretta dai Pierleoni nel X secolo.
La Torre della pulzella
La torre è nota come "torre della pulzella", per la piccola testa marmorea raffigurante una giovinetta inserita nel paramento di mattoni. Il palazzo fu residenza della famiglia Pierleoni fino al XII secolo, quando passò ai Caetani che ne fecero la loro residenza dopo averci costruito intorno diversi palazzetti e aver inglobato nel complesso anche la chiesa di S.Bartolomeo. La famiglia risiedette qui fino al 1470, sottoponendo tutti gli edifici a frequenti restauri, ma il complesso era continuamente eroso dalle intemperie e dalle piene del Tevere. La situazione del complesso precipitò con la terribile piena del 1557, che travolse la torre e le annesse costruzioni, nonché la parte destra della chiesa. Degna di menzione la presenza nell'edificio di Matilde di Canossa e papa Vittore III, quando qui si nascosero per sfuggire alle insidie dell'esercito dell'antipapa Clemente II: la torre funse pertanto da sede pontificia, anche se soltanto per pochi mesi. Nel 1639 l'edificio fu rilevato dal cardinale Barberini che, dopo averlo restaurato, lo donò al convento dei frati minori francescani, i quali lo destinarono principalmente all'assistenza dei malati, tanto che negli anni successivi al 1656, dopo la tremenda pestilenza abbattutasi su Roma, l'edificio era comunemente conosciuto con il nome di Lazzaretto Brutto.
Ponte Fabricio, diamoci un bacio
Ponte Fabricio
Nella seconda metà del XVIII secolo, al pianterreno si insediò l'Oratorio dei Devoti di Gesù al Calvario o Sacconi Rossi, confraternita la cui attività consisteva principalmente nel dare degna sepoltura a quanti erano annegati nel Tevere. Dopo il 1870 il palazzo fu suddiviso: i primi due piani e la torre divennero proprietà dello Stato Italiano che lo cedette al Comune di Roma, mentre il piano terra ed il mezzanino divennero proprietà private. Nel 1891 il Comune di Roma affittò la propria parte alle Opere Pie Ricovero Israeliti Vecchi e Invalidi, ospedale presente nel palazzo fino agli anni '60. Dal 1986, a seguito di una delibera comunale, il palazzo è stato designato sede del Museo Storico dell'Isola Tiberina. Per secoli e fino alla costruzione dei muraglioni e degli argini del Tevere, avvenuta alla fine del XIX secolo per proteggere la città dalle inondazioni, ai due lati dell'isola vi erano mulini installati su zattere. Vecchie litografie mostrano le piccole costruzioni galleggianti che quotidianamente macinavano la farina per il pane dei romani sfruttando la corrente, la quale, però, a volte diventava troppo impetuosa e se le portava via. Il progetto dell'ing. Canevari per la costruzione dei muraglioni conteneva anche un'altra proposta che per la reazione degli archeologi e dei tradizionalisti fortunatamente non trovò approvazione: si voleva sopprimere il ramo del Tevere alla sinistra dell'isola, in modo da unire quest'ultima alla riva. L'isola è "ancorata" alla terraferma tramite due ponti: a sinistra, il ponte più antico, il Fabricio, detto anche Quattro Capi, e a destra il Cestio.
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