5 dicembre 2008

Mattanza di delfini e tonni

I Delfini delle Faroe e i Tonni di Procida
di Roberto Maurizio


La mattanza dei delfini
A tutto c’è un limite. Nelle Isole Faroe, Regione indipendente del Regno di Danimarca, anche se situate tra le isole Shetland e l’Islanda, la caccia o mattanza, come viene definita dagli ambientalisti mobilitati a difesa del globicefalo, conosciuto anche come “calderones” oppure balena pilota, è un’usanza che risale intorno al quindicesimo secolo. Alla specie Globicephala melas (Famiglia Delphinidae) fanno parte questi delfini che sono simili alle balene, comunemente chiamati in italiano globicefali mentre in inglese si chiamano balene pilota e in spagnolo calderones. Si tratta di pacifiche creature che raggiungono la lunghezza di 5-7 metri e con un peso di oltre le 2 tonnellate che vivono in branchi numerosi, composti per lo più da femmine adulte con i propri piccoli, vivono mediamente 50 anni e sono animali molto socievoli. Questi pacifici delfini che vivono in tutti i mari del mondo, eccetto che nelle acque troppo fredde del polo, vengono sottoposti ad una cruenta tradizione vissuta come momento di festa ed aggregazione per l’intero villaggio, coinvolto nelle operazioni di approvvigionamento alimentare per i lunghi e freddi mesi invernali. Ma a tutto c’è un limite. Tutta la comunità ha diritto alla sua parte di bottino gratuito, nulla viene posto in vendita, pertanto è presente e contribuisce al “lavoro” secondo le proprie possibilità fisiche e condizione sociale, compreso le mamme con i loro bambini. Ma a tutto c’è un limite. Un evento decisamente “sanguinario”, non potrebbe essere diversamente quando si “macellano”, come preferiscono definirla gli isolani, centinaia di animali. Ma a tutto c’è un limite. Forse è arrivato il momento di mettere in discussione questa antica pratica di caccia adeguandola ai tempi moderni. Tra l’altro, con i controlli sanitari oggi disponibili è stato accertato che la carne di questi globicefalo è inquinata da mercurio e pesticidi vari, quindi pericolosa per l’alimentazione umana, tanto da essere sconsigliata per l’alimentazione delle donne incinte. Ma a tutto c’è un limite. Purtroppo dobbiamo registrare l’esistenza di altri paesi che mantengono vive tradizioni similari, a volte anche più cruente, su animali a rischio di estinzione, quando la loro uccisione non è indispensabile alla sopravvivenza umana. Troppa violenza e sangue che auspichiamo di non dover più vedere; le foto che pubblichiamo, al solo scopo di ottenere l’attenzione anche dei meno sensibili, sono realisticamente cruente e mostrano quanto l’uomo possa essere sanguinario.

Ecco come ha spiegato il “fattaccio” delle Faroe “Il Corriere della Sera”


"Quando si avvicinano alle coste in cerca di cibo, li si circondano, e inizia così una vera e propria mattanza a colpi di ascia e uncini. E' una tradizione che va avanti, ogni anno, sicuramente dal 1709 anche se le prime testimonianze documentate risalgono alla fine del '500. L'uccisione di questi cetacei avviene in un territorio che si trova sotto la giurisdizione della Danimarca, ma queste isole di fatto godono di ampia autonomia, soprattutto se tratta di questioni legate all'ambiente e alla pesca." Questo territorio e' quello delle Isole Faeroe, per cui la Danimarca "se ne lava le mani".


La protesta e i rimedi suggeriti per le Faroe


A tutto c’è un limite. Quindi nasce spontanea la protesta contro questo crimine che esiste da troppi anni. I promotori della protesta invitano a scrivere all'Ambasciatore di Danimarca in Italia: romamb@um.dk un’email personale contro questa mattanza, a firmare petizioni come questa: http://www.thepetitionsite.com/1/end-whale-dolphin-slaughter-in -the-faroe-islands. Infine, c'è una protesta da mandare via email alle Autorità e agli Uffici turistici delle Isole Faeroe: http://legalaction4animalrights.net/2008/11/04/end-whale-bloodbath-in-danish-%20faeroe-islands/. Da questo sito si può fare copia-incolla di tutti gli indirizzi email consigliati (sembrano quasi tutti funzionanti) e del messaggio-tipo in inglese, il quale in sostanza descrive quel che viene fatto agli animali.


I militanti animalisti contro Greenpeace



A tutto c’è un limite. Quindi intervengono i militanti animalisti-ambientalisti in difesa dei “diritti” dei delfini delle Faroe, secondo i quali ogni anno presso le Isole Faroe della Danimarca si ripete un massacro abominevole ai danni di creature marine intelligentissime e socievoli, le balene pilota (dette anche delfini globicefali). Si tratta, secondo questi militanti, di pacifiche creature che raggiungono la lunghezza di 5-7 m e con un peso di oltre le 2t che vivono in branchi numerosi, composti per lo più da femmine adulte con i propri piccoli, vivono mediamente 50 anni e sono animali molto socievoli. La balena pilota o globicefalo, viene massacrata ogni anno ininterrottamente nelle isole Feroe dal 1709 con la cattura e l'uccisione di centinaia di delfini all'anno con variazioni cicliche a seconda dell'andamento climatico. L'orribile macellazione annuale di migliaia di balene pilota indifese ogni anno nelle isole Feroe, in lingua danese Isole Fær Øer, è altrettanto crudele come la macellazione del delfino effettuata dai giapponesi nelle Taiji. Una testimonianza terrificante, quella di una militante animalista: “Ho visto le baie delle isole Færøer tinte di rosso dal sangue e ho sentito le urla delle balene pilota ferite mortalmente che urlavano per la propria vita mentre bagnavano i volti avinazzati dei loro massacratori con il loro sangue caldo, ridendo mentre le stupravano con le loro lame”. “E' uno spettacolo mostruoso ed è una oscenità abbracciata completamente dal governo danese e da molta gente danese. La Danimarca non sostiene apertamente la caccia commerciale delle balene, anche se sostiene la loro caccia nelle isole Feroe e nella Groenlandia, sostenendo che parte del Regno danese non fa parte dell'Unione europea”. “Un diplomatico danese – continua la testimonianza - membro della IWC (commissione baleniera internazionale) e che come tale dovrebbe battersi per la protezione dei mammiferi marini, nel corso di una assemblea ha detto "E imperialismo culturale cercare di decidere a nome di queste persone che non sono nella Comunità europea". “Di fatto la posizione di chi dovrebbe proteggere i mammiferi marini giustifica questo scempio come una tradizione culturale legittima di questi paesi, senza curarsi se queste specie sono in via di estinzione e il loro massacro è qualcosa di assolutamente inaudito in termini di crudeltà e spietatezza”. “Diffondete questo messaggio – scrive l’animalista - e iscrivetevi a questo gruppo numerosi facendone propaganda ai vostri amici, di modo che quello che sta succedendo in Danimarca non passi inosservato e suscitando l'indignazione dell'opinione pubblica smuova gli enti e le associazioni internazionali a fare qualcosa. “Io medesima ho scritto a Greenpeace, ma mi è stato risposto quanto segue: "Greenpeace continua a lavorare per la creazione di riserve marine ampie (no take/no dump areas) e per rafforzare il bando sancito dalla Commissione Baleniera Internazionale (IWC) sulla caccia baleniera commerciale. Purtroppo, l’uccisione delle balene pilota nelle Isole Faroe non è sotto il controllo dell’IWC”. “Greenpeace non ha una campagna specifica sulle balene pilota: da molti anni abbiamo dato la priorità al contrasto della caccia baleniera in acque internazionali (in particolare nel Santuario delle Balene dell’Oceano Antartico)”. “Questa scelta è dovuta al fatto che Greenpeace, che non accetta fondi da imprese e enti pubblici, non ha risorse sufficienti per intervenire su tutte le minacce che mettono in pericolo le balene, i cetacei e la vita marina”. “Tuttavia, Greenpeace lavora su tutti i possibili fronti per far si che l’IWC in futuro possa proteggere tutti i cetacei, compresi i piccoli cetacei, i delfini, le focene e quindi anche le balene pilota. “Sensibilizziamo quindi quante più persone possibile e firmate la petizione”!



La mattanza dei tonni rossi in Italia

Ma a tutto c’è un limite. Mentre viaggia su Facebook e sugli altri media internet la “mattanza” delle Faroe, ci si dimentica di ciò che avviene a casa nostra. A tutto c’è un limite. La mattanza dei tonni rossi nella baia del Caraugno di Procida è iniziata il 17 novembre. Dopo le denunce presentate dalla Lav (Lega anti vivisezione), la società turca Akua Italia, che gestisce l’impianto, è stata costretta a spostare gli impianti fuori dall’area marina protetta. “Con rammarico dobbiamo dire che avevamo ragione: l’uso di armi all’interno dell’area marina protetta costituisce reato” - dichiara Ciro Troiano, Responsabile tutela ambiente LAV, - "aspettiamo in ogni caso gli sviluppi della denuncia che abbiamo presentato e siamo fiduciosi che la Procura di Napoli faccia il suo lavoro. Al di là di tutto resta l’amarezza per la sorte dei tonni, che sono le uniche vittime di interessi economici di portata internazionale”. La Lav, oltre a presentare quest'estate una denuncia in merito alla liceità della concessione del Nulla Osta da parte dell’Ente gestore dell’Area Marina Protetta e a impugnare al TAR il provvedimento, ha anche presentato denuncia per impedire l’uso di armi da fuoco per uccidere i tonni. La legge sulle aree protette, infatti, vieta l’introduzione di armi e munizioni all’interno di parchi e riserve. A seguito della denuncia LAV, gli impianti sono stati spostati fuori dall’area protetta. “Purtroppo non potevamo salvare i tonni – conclude Troiano - ma sicuramente abbiamo impedito la mattanza all’interno di una zona protetta. Siamo anche fiduciosi del fatto che, a seguito del nostro intervento, in futuro non saranno rilasciate autorizzazioni simili dall’Ente di gestione dell’AMP”.

Una morte cruenta


A tutto c’è un limite. Un video violento sul massacro dei tonni a Procida è stato censurato da Youtube, ma è stato trasmesso addirittura dal Tg1 (vedere filmato).
http://www.youtube.com/watch?v=_bA-QCzBAa0




















Nel filmato si vedono i cosiddetti pescatori-macellai che inseriscono con decisione un cavo d’acciaio nella testa dei tonni che si agitano violentemente, coperti dal proprio sangue, fino alla morte. Questo lo spettacolo cruento che si può vedere su Ischia Blog nel filmato che denuncia “l’uccisione dei tonni rossi con metodi cruenti per servire sushi giapponese”. Tali modalità di abbattimento, come detto nel filmato, sarebbero volute dai giapponesi per rendere il tonno “buono per il sushi”. “Per mesi hanno tentato di farci credere che gli animali venissero uccisi con tecniche incruente o con pesca e morte per asfissia, mentre ora si vede nella sua drammatica realtà il vero volto della mattanza - dichiara Ciro Troiano, responsabile Tutela Ambiente della LAV. Addirittura hanno tentato di addossarci la responsabilità della morte lenta degli animali a causa del sequestro dei fucili subacquei muniti di cartucce, asserendo che l’unica alternativa ai fucili fosse la morte per asfissia, ora vengono fuori i veri metodi che definirli crudeli è poco. Metodi utilizzati già prima del sequestro delle armi, come questo filmato e altri dimostrano. Per quel che ci riguarda – conclude Troiano- ora si aprono nuovi scenari giudiziari perché invieremo un esposto alla Procura affinché siano valutate eventuali ipotesi di maltrattamento di animali”.


La tradizione e la sinistra progressista: il tonno


Il delfino delle Faroe "cugino" dei tonni di Procida

A tutto c’è un limite. Ma è difficile capire dove veramente si pone. Prendiamo, ad esempio la pesca del tonno, (toro del mare). Questa “attività” avviene in primavera presso l'isola di Favignana durante il periodo di migrazione di questi pesci. La tonnara è formata da più reti nelle acque antistanti il porto, stese dalla superficie al fondo marino e disposte in modo da “convogliare” i tonni verso una rete chiusa sul fondo, detta "camera della morte". Quando i tonni restano intrappolati, le barche dei pescatori si accerchiano alla "camera della morte"; al comando del rais (il capo dei pescatori), i "tonnaroti" incominciano a sollevare la rete che costituisce la base della camera costringendo i tonni ad affiorare in superficie. A quel punto i tonnaroti, con dei lunghi e robusti uncini di ferro (arpioni), li trafiggono e li tirano a bordo delle loro barche; quindi li porteranno a terra per essere venduti ai giapponesi, un tempo a Favignana per la lavorazione al vecchio ormai abbandonato "Stabilimento Florio". Nel complesso la mattanza (la corrida del mare) è uno spettacolo molto crudele ma particolarmente affascinante per via del colore rosso di cui si dipinge l'acqua, per via del ribollire di quest'ultima e per via dei pericolosi colpi di coda che danno i tonni mentre arpionati vengono caricati sulle barche. Fino a una quarantina d'anni fa la mattanza dei tonni era uno spettacolo tradizionale lungo le coste siciliane, oggi invece sopravvive in pochissimi luoghi. Favignana è tra questi. La mattanza (dallo spagnolo matar, uccidere) riassume storicamente nella mente delle genti di Sicilia il valore simbolico dell'eterna lotta tra l'uomo e la natura, qui in forma di animale (ci viene in mente la corrida spagnola o la lotta titanica tra il marinaio e il marlin ne "Il vecchio e il mare" di Hemingway): rituale popolare, tradizione corale, cerimonia intensa e crudele, intrisa di forti significati culturali. I branchi di tonni spinti dalle correnti orientali del mediterraneo si ritrovano ogni anno a primavera nelle calde acque del Canale di Sicilia per l'accoppiamento, ed è qui che i pescatori organizzano il sofisticato metodo di cattura, secondo una tecnica antica e rigidamente codificata. Gli animali vengono dapprima guidati all'interno di un sistema di reti e ancore galleggianti che li incanala verso la "camera della morte"; a questo punto le imbarcazioni chiudono da ogni lato il quadrilatero e i tonnaroti issano la rete dove i tonni soffocano, storditi per la mancanza di spazio e di acqua.

La tradizione e la sinistra progressista: “u pisci spata”



A tutto c’è un limite. Anche il pesce spada (in siciliano “u pisci spata”) è sottoposto a violenze inaudite che vengono edulcorate dalla tradizione e dai quadri di Guttuso. Vediamo come, da un racconto . Al mercato troneggia elegante sul banco di marmo del pescivendolo: il pesce spada, il nobile dei pesci. Così, Quarti di esso, tagliati a trance, giacciono tra le teste esposte come trofei, incoronate da un’arma ormai inutile. Nello stretto lo chiamano il pesce cavaliere, per il rango nobiliare che gli conferisce la luminosa spada e, ancora di più, per il coraggio e la fierezza nella lotta e la fedeltà alla sposa, prima di cadere, nobile combattente, vinto dal ferro dell’uomo. Il nostro pesce spada (quello siciliano, ndr) appartiene alla famiglia degli "Xifidi". Il suo nome scientifico è “Xiphies gladius”, dal greco xiphies=spada e dal termine latino "gladius", aggiunto da Linneo per indicare la specie. E' pescato nei nostri mari caldi in cui è parecchio diffuso. Velocista e di carattere molto combattente in senso assoluto; molte le affermazioni che lo confermano. Tra queste, l'attacco ad un sommergibile oceanografico, a 610 m. di profondità, restando incastrato con la spada in una giuntura dello scafo. Nel periodo della riproduzione, in primavera-estate, si avvicina alle coste. Può raggiungere la lunghezza di quattro-cinque metri e superare i 300 Kg. di peso.



"La Vucciria", di Guttuso: in bella mostra il pesce spada!


Una proprietà morfologica peculiare rappresentata dall’eccessivo sviluppo della mascella superiore, che si prolunga in una spada "rostro", tagliente ed acuminata, il corpo affusolato e cilindrico e di colore grigio blu scuro sul dorso, mentre la parte ventrale è biancastra. Spesso, nelle reti, si catturano i piccoli, che in dialetto si chiamano "puddicineddi", equivalente di pulcinella, per il semplice ma grottesco fatto di assomigliare in tutto e per tutto al pesce adulto. Diversamente dal tonno, il pesce spada non ha avuto la stessa diffusione commerciale: niente scatole né barattoli; solo in tempi recenti i mercati si sono arricchiti di alcuni prodotti privilegiati, come i tranci di pesce spada affumicati o congelati o le uova preparate in "bottarga" (dall’arabo batarikh) che si presentano, pressate e salate, in "sasizzuni" o "carrubbeddi", data la somiglianza con le salsicce o con le carrube. La pesca del pesce spada era una volta privilegio esclusivo della città dello stretto e fu lungamente praticata da popoli come fenici, romani e greci. Utilizzando antichi metodi, riti e tradizioni, al pari della mattanza, i pescatori cantano le loro cantilene in greco; cantano per superstizione, credendo che il pesce potrebbe sfuggire alla cattura qualora i versi fossero cantati in altra lingua. Si racconta che i pescatori siciliani, per catturare il pesce spada, "gli sussurravano una filastrocca grecale, e in questo modo il pesce rimaneva fermo ed incantato, divenendo facile preda da catturare". Durante la dominazione araba furono affinate le tecniche di cattura, adottate per molto tempo, sino ai giorni nostri: si svolgeva con un rituale assai complicato, basato sulla prontezza dei pescatori che utilizzavano un metodo semplice e arcaico: l’arpione, una piccola fiocina a due punte, detta "draffinera", legata ad una lunghissima sagola, lanciata da una passerella montata a prua di un’agile barchetta da inseguimento denominata "luntri", dalla forma esile e veloce, dava al pesce infilzato la possibilità di nuotare fino a quando, stremato, si lasciava tirare a bordo. Da quando è catturato in mare aperto la sua pesca si è estesa anche nel golfo di Palermo, con il sistema più ingegnoso della pesca artigianale: il "palangaro" di superficie. Ciò ha permesso ai pescatori di modificare i loro armamentari. Grosse imbarcazioni sono predisposte in primavera e la pesca si protrae fino a luglio inoltrato. Talvolta si spinge sino alla fine d’agosto. Il "palangaro" è un attrezzo costituito da una lenza madre di nylon di sufficiente spessore, lunga da 7 a 8 miglia marine, alla quale sono fissati alcune centinaia di braccioli, ciascuno dei quali, in prossimità della superficie, viene sostenuto da particolari galleggianti, "bacaredde", di sughero o da contenitori di plastica. Alla estremità di ogni bracciolo è fissato un amo a cui viene attaccata l’esca per la cattura del pesce spada; di solito sono dei pesci di cui è ghiotto: totani, alici e sgombri. Per riconoscere l’attrezzatura nell’orizzonte marino, si pongono aste galleggianti o canne sulle quali vengono attaccati dei drappi neri svolazzanti come bandiere.

1 commento:

  1. nn ho parole è la cosa piu prutta uccidere dei esseri iventi per proprio uso personale (mangiare)

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