di Roberto Maurizio
Meno lavoro per i boia
Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International, ha reso noto ieri, 24 marzo 2009, i dati della “Relazione sullo stato della pena nel mondo 2008”. “C'é sempre meno lavoro per i boia della maggior parte del mondo, ma ancora troppo, concentrato in un piccola parte di esso”, così ha commentato Irene Khan la nuova edizione dello studio di Amnesty: una relazione con luci ed ombre. “La buona notizia – ha affermato la Khan - è che la maggior parte dei Paesi al mondo si sta avvicinando all’abolizione della pena capitale (solo 25 dei 59 Paesi che la mantengono hanno eseguito condanne nel 2008), quella cattiva è che centinaia di persone continuano a essere condannate e giustiziate”: la Cina conquista il primato di “Paese boia”, avendo da sola messo a morte più persone che il resto del mondo nel suo complesso. Nemmeno l’Europa risulta “zona libera”, visto che la Bielorussia ricorre ancora, seppur in grande segretezza, alla pena capitale. Dopo l’adozione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di due risoluzioni (2007 e 2008) per una moratoria della pena capitale - fortemente volute e promosse dalla diplomazia italiana – “il mondo si è ancora più avvicinato al traguardo dell’abolizione”.
Condanne e segreti
Ma i numeri non possono certo essere definiti incoraggianti: tra gennaio e dicembre dello scorso anno sono state giustiziate almeno 2.390 persone in 25 paesi e sono state emesse circa 8.864 condanne alla pena capitale in 52 paesi. Il maggior numero di esecuzioni nel 2008 è stato riscontrato in Asia, dove undici paesi continuano a ricorrere alla pena capitale: Afghanistan, Bangladesh, Cina, Corea del Nord, Giappone, Indonesia, Malaysia, Mongolia, Pakistan, Singapore e Vietnam. Solo in Cina hanno avuto luogo quasi tre quarti delle esecuzioni su scala mondiale, 1.718 su 2.390, dati che potrebbero essere ancora più elevati perché le informazioni sulle condanne a morte e le esecuzioni restano un segreto di Stato.
Impiccagioni e lapidazioni
Il secondo maggior numero di esecuzioni, 508, è stato registrato nella regione Africa del Nord - Medio Oriente. In Iran sono state messe a morte almeno 346 persone, tra cui otto minorenni al momento del reato, con metodi che comprendono l’impiccagione e la lapidazione. In Arabia Saudita, le esecuzioni sono state almeno 102, solitamente tramite decapitazione pubblica.
Il Texas e Sain Christopher e Nevis
Nel continente americano solo gli Stati Uniti d’America hanno continuato a ricorrere con regolarità alla pena di morte, con 37 esecuzioni portate a termine l’anno scorso, la maggior parte delle quali in Texas. L’unico altro stato delle Americhe in cui sono state eseguite condanne a morte è stato Saint Christopher e Nevis, il primo dell’area caraibica ad aver ripreso le esecuzioni dal 2003.
Bielorussia, pecora nera europea
Quanto alla “pecora nera europea”, la Bielorussia, l’anno passato ha eseguito quattro esecuzioni. Le condanne, spiega Amnesty, vengono eseguite con un colpo di pistola alla nuca e non vengono fornite informazioni sulla data dell’esecuzione né sul luogo di sepoltura. In occasione della pubblicazione del rapporto, l’organizzazione per i diritti umani lancia, a questo proposito, lo studio ’Ending executions in Europe: Towards abolition of the death penalty in Belarus’ e un’azione online per fermare le esecuzioni nell’ex Repubblica sovietica.
Punizione crudele, inumana e degradante
Nell’Africa sub-sahariana, secondo dati ufficiali, sono state portate a termine solo due esecuzioni ma le condanne a morte sono state almeno 362. In quest’area, oltretutto, c’è stato un passo indietro con la reintroduzione della pena di morte in Liberia per i reati di rapina, terrorismo e dirottamento. Le risoluzioni Onu, insomma, sono stati strumenti importanti per incoraggiare gli Stati che mantengono la pena capitale a rivederne l’uso e ad abolirla. Ma per il momento non sufficienti. “La pena di morte è la punizione estrema: è crudele, inumana e degradante - ha commentato Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International - Nel XXI secolo non dovrebbe esserci più posto per decapitazioni, sedie elettriche, impiccagioni, iniezioni letali, fucilazioni e lapidazioni”.
La moratoria
Il 18 dicembre 2008, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 63/168 (2008) “Moratoria sull'uso della pena di morte”. La risoluzione 63/168 si basa sulla risoluzione del 2007 che esprime preoccupazione sull'applicazione della pena di morte e richiama gli Stati che ancora la mantengono a - inter alia - rispettare le salvaguardie internazionali che tutelano i diritti dei condannati a morte, ridurre il numero dei reati per i quali la pena di morte possa essere imposta e stabilire una moratoria sulle esecuzioni in vista dell'abolizione della pena capitale. La risoluzione del 2008 chiede al Segretario generale di fornire un rapporto sui progressi compiuti nell'implementazione delle risoluzioni 62/149 e 63/168 da sottoporre alla 65esima Assemblea generale del 2010 e agli Stati membri di fornire al Segretario generale le informazioni necessarie. L'adozione di una seconda risoluzione sulla moratoria, da parte di un organismo composto da tutti gli Stati membri, è una riaffermazione potente e opportuna degli impegni assunti dalle Nazioni Unite a lavorare verso l'abolizione della pena di morte. La risoluzione del 2008, cosponsorizzata da 89 stati, ha ottenuto 108 voti a favore, 46 contrari e 34 astensioni. Il risultato rappresenta un miglioramento significativo rispetto al voto espresso nel 2007. È altrettanto importante sottolineare che otto membri della Lega degli Stati arabi si sono astenuti.
Algeria contro la pena di morte
L'Algeria ha cosponsorizzato la risoluzione che ha ottenuto voto favorevole anche dalla Somalia. Tutti gli emendamenti proposti allo scopo di indebolire la risoluzione sono stati battuti. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite discuterà una nuova risoluzione nell'ottobre del 2010, dopo aver esaminato il rapporto del Segretario generale. Le due risoluzioni rappresentano strumenti importanti che possono essere usati per incoraggiare gli Stati che mantengono la pena capitale a rivederne l'uso e ad abolirla per tutti i reati. In occasione dello svolgimento del dibattito sulla pena di morte presso la Terza commissione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2007, Amnesty International organizzò una tavola rotonda alla presenza di giudici e pubblici ministeri provenienti dal Giappone, dalla Giordania e dagli Usa. I partecipanti spiegarono ai delegati delle Nazioni Unite i motivi per cui i sistemi giuridici, anche quelli più sofisticati, falliscono nel prevenire errori irreversibili nei casi di pena di morte e le ragioni per le quali si oppongono ad essa.
L’Africa nera
Nel novembre 2008 la Commissione africana dei diritti umani e dei popoli ha adottato una risoluzione che richiama gli Stati parte della Carta africana dei diritti umani e dei popoli ad osservare una moratoria in vista dell'abolizione della pena di morte. La risoluzione esprime preoccupazione rispetto al fallimento da parte di alcuni Stati africani nell'applicare quanto previsto dalle risoluzioni delle Nazioni Unite e dalla stessa risoluzione della Commissione africana. La risoluzione, inoltre, esprime preoccupazione sull'uso della pena di morte quando non siano rispettati il diritto a ricevere un processo equo e altri diritti umani. Con la sua adozione, la Commissione africana si è allineata al trend globale che va verso l'abolizione della pena di morte. Rappresentanti della società civile araba, la Lega degli Stati arabi, l'Ufficio dell'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e organizzazioni internazionali non governative (inclusa Amnesty International) si sono incontrate a maggio 2008, in Egitto, per discutere l'implementazione della risoluzione 62/149 del 2007.
La Dichiarazione di Alessandria
Al termine dell'incontro i presenti hanno emesso una dichiarazione congiunta “richiamando gli Stati arabi ad implementare la risoluzione 62/149 sull'applicazione di una moratoria sulla pena di morte” (Dichiarazione di Alessandria). La Dichiarazione richiama i governi arabi a intraprendere passi concreti per l'abolizione progressiva della pena di morte e a considerare l'emendamento dell'articolo sette della Carta araba sui diritti umani, per assicurare che la pena capitale non sia comminata a coloro che hanno meno di 18 anni all'epoca del reato.
47, morto che parla
I dati annuali di Amnesty International sulle condanne a morte e sulle esecuzioni sono valori minimi. Nel compilarli viene utilizzato il dato più alto ricavato dalle informazioni di cui Amnesty International è a conoscenza: se almeno 3 condanne a morte sono state eseguite, il dato indicato sarà 3; se vi sono state esecuzioni ma non esistono informazioni sul numero, allora il dato sarà semplicemente indicato con un “+”. Mentre il “+” dopo un numero indica che il dato è quello minimo registrato. Ad esempio “47+” indica almeno 47 esecuzioni nel corso dell’anno.
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