9 dicembre 2007

Benedetto XVI, l'Onu e le Oing

Il Papa, l’Onu e le Ong

“Prendere i voti”

Questo blog non si occupa di temi al di sopra delle sue capacità e possibilità. Non vorrebbe, quindi, entrare nella discussione molto accesa fra credenti (cattolici praticanti, cristiani impegnati, politici che “prendono i voti” dai cattolici impegnati e dai cristiani praticanti e, poi, “prendono i voli low cost” in Parlamento, differenti dal loro mandato di rappresentanza) e laici (relativisti, marxisti, gandhiani, abortisti, comunisti, politici che “prendono le parti” dei non credenti e in Parlamento “prendono partito” per la pensione).
Fideisti contro liberisti? Credenti contro atei? Relativisti contro assertori della fede? Abortisti fautori della moratoria della pena di morte e antiabortisti favorevoli alla pena di morte. Troppo complicato.
Ma, nonostante tutto lo stupore dimostrato da una parte avversa, per definizione, alla Santa Sede, l’ultima enciclica di Papa Bendetto XVI non mi ha affatto scandalizzato. In fondo, Ratzinger ha svolto il suo “ministero” ribadendo i concetti basilari del cristianesimo e del cattolicesimo.
Anche la cosiddetta ingerenza indebita della chiesa sulle Nazioni Unite, in effetti, non mi è sembrata così eclatante. Il Papa stava semplicemente dicendo ai seguaci della sua stessa fede che operano presso l’Onu di seguire i dettami della loro religione.
Ma andiamo con ordine.

Senza fede, solo disperazione

Poco prima dell’incontro con le Ong (Organizzazioni non governative) cattoliche in Vaticano, il Papa aveva reso nota la seconda magistrale enciclica, “Spe Salvi”, (“Nella speranza siamo stati salvati”, il testo integrale si può leggere sul sito http://www.vatican.va/holy_father/benedictxvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_2007_1130_spe-salvi_it.html o collegandosi a http://www.robertomaurizionews.blogspot.com/2007/12/spe-salvi.html), 79 pagine suddivise in 50 paragrafi, numerati all’interno di otto capitoli generali, che prendono l’avvio dalle parole di San Paolo ai Romani, «nella speranza siamo fatti salvi». . Dopo l’«introduzione» si apre il capitolo «La fede è speranza», di taglio scritturistico, con spazio anche per una figura quale santa Giuseppina Bakhita, esempio vivente della «speranza» cristiana.


In sintesi

1. L'ateismo dell'era moderna ha provocato «le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia»; il marxismo, in particolare, ha lasciato dietro di sè «una distruzione desolante». «Un mondo che si fa giustizia da solo è un mondo senza speranza». «L'errore fondamentale di Marx» è stato di dimenticare l'uomo e la sua libertà». «Credeva che una volta messa a posto l'economia tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo».
2. Il rapporto tra speranza, salvezza e fede; il dialogo fra fede e ragione; la speranza come redenzione dell’uomo contro le ideologie e le rivoluzioni del ’900. Il rapporto tra progresso, scienza, libertà e ragione; l’esempio dei martiri passati e presenti che versano il loro sangue per dare testimonianza della speranza cristiana.
3. Come la prima Enciclica di Papa Ratzinger (’Deus caritas est’), “Spe Salvi” si presenta come un continuum che prende inizio dal concetto di speranza e fede, per passare in rassegna il tema della vita eterna e del rapporto fede-ragione, fino alla trasformazione della fede-speranza cristiana nel tempo moderno. La ’Spe Salvi’ si conclude con una invocazione a Maria, "stella della speranza": "Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino". Firmata a Roma, San Pietro, il 30 novembre, festa di Sant’Andrea apostolo, anno 2007, terzo di pontificato. 4. Sono numerose le citazioni di Benedetto XVI: oltre al Nuovo Testamento (San Paolo ai Romani, Lettere agli ebrei, Prima Lettera di San Pietro, Prima Lettera ai Corinzi), vengono menzionati: Santa Giuseppina Bakhita, suora canossiana, nata in Sudan, che il Pontefice definisce "piccola schiava africana", San Tommaso D’Aquino, San Francesco d’Assisi, Sant’Ambrogio, Bernardo di Chiaravalle. Ed ancora, il Papa cita Lutero, Kant, Marx, Adorno, Henry de Lubac, Francesco Baconi. Già nella sua prima Enciclica, ’Deus caritas est’, il Papa aveva citato Kant, Marx, Madre Teresa di Calcutta e San Francesco di Assisi.
5. "La redenzione, la salvezza, secondo la fede cristiana - spiega il Papa nell’introduzione - non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino". Dunque, l’"elemento distintivo dei cristiani" è "il fatto che essi hanno un futuro". "La loro vita - scrive il Pontefice - non finisce nel vuoto". "Senza Dio, il mondo è buio, davanti a un futuro oscuro". E in tal senso, "giungere a conoscere Dio, il vero Dio, questo significa ricevere speranza".
6. Gesù non fu combattente politico o “rivoluzionario”. Il Papa ricorda che Gesù non ha portato "un messaggio sociale-rivoluzionario" come Spartaco. "Il cristianesimo non aveva portato un messaggio sociale-rivoluzionario come quello con cui Spartaco, in lotta cruenta, aveva fallito. Gesù - prosegue Benedetto XVI - non era un combattente per una liberazione politica, come Barabba o Bar-Kochba". Ha portato "qualcosa di totalmente diverso: l’incontro con il Signore di tutti i Signori".
7. L’errore di Marx, il materialismo. La rivoluzione proletaria ha lasciato "dietro di sé una distruzione desolante". "L’errore fondamentale di Marx" è stato questo: "ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà - scrive Ratzinger -. Credeva che una volta messa a posto l’economia tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo". "Diciamolo ora in modo molto semplice - scrive il Papa - l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza".
8. Progresso ambiguo. Il progresso è ambiguo, sottolinea il Papa: "Offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male, possibilità che prima non esistevano. Sappiamo che il progresso in mani sbagliate - osserva Benedetto XVI - può diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male.
9. Van Yhuan e Le-Bao-Thin. Il Papa ricorda l’esperienza del cardinale vietnamita Van Thuan, per 13 anni in carcere, di cui 9 in isolamento: "In una situazione di disperazione apparentemente totale - scrive Benedetto XVI - l’ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente forza di speranza". Il pontefice cita anche un altro testimone della speranza, il martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin, morto nel 1857.
10. Fede e religione. Il Papa torna a - parlare del legame fra fede e ragione, a lui tanto caro, passo centrale dell’ormai noto discorso di Ratisbona. Benedetto XVI sottolinea che «la ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa. Ragione e fede - prosegue nel documento - hanno bisogno l’uno dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione». Il legame fra ragione e fede si collega anche al concetto di libertà, «il progresso è il superamento di tutte le dipendenze, è progresso verso la libertà perfetta. In ambedue i concetti libertà e ragione - prosegue il Papa - è presente un aspetto politico. Il regno della ragione, infatti, è atteso come la nuova condizione dell’umanità diventata totalmente libera». Sul concetto di libertà il Pontefice torna in un passaggio più avanti dell’Enciclica: «Se la libertà, a causa delle condizioni e delle strutture, fosse tolta agli uomini il mondo, in fin dei conti, non sarebbe buono, perché un mondo senza libertà non è per nulla buono».

Quindi

La mancanza di speranza della nostra società contemporanea è davanti agli occhi di tutti. I problemi sociali che attanagliano intere popolazioni – fame, malattie, diritti umani - continuano a non trovare soluzioni per l’inanità di molti governi e organizzazioni internazionali; perché si preferisce non rischiare il proprio potere e ricchezza; perché si preferisce rafforzare gli eserciti e programmare guerre invece che opere di pace. La conclusione è un’umanità stanca che si trova ogni giorno davanti agli stessi problemi e una gioventù sempre meno interessata al bene comune. Questo vale per l’Asia, dove giovani cinesi e indiani sognano solo carriera e denaro per sé, ma ancora di più nel vecchio occidente. “Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore (cfr Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo” (n. 23).

Van Thuan

Se n’è accorto il governo vietnamita che dopo anni di ideologia materialista si rende conto di aver creato solo una classe corrotta di politici e una gioventù disperata che affoga nel sesso e nella droga e non si preoccupa dei suoi anziani. E per cercare di salvare il Paese ora il governo chiede alla Chiesa cattolica di istruire i giovani, di innervare la società con valori che essi hanno perduto. È quasi una specie di rivincita per il defunto card. Van Thuan (citatissimo nell’enciclica), che ha passato 13 anni di prigionia e di isolamento mentre nel suo Paese dominava l’ubriacatura violenta e ideologica dei vietcong. Il Papa chiede ai cristiani di pensare alla speranza non solo in termini individuali, ma anche sociali e per questo addita come modelli i martiri (“persone [che] si sono opposte allo strapotere dell'ideologia e dei suoi organi politici, e, mediante la loro morte, hanno rinnovato il mondo”, n. 8) e le persone consacrate, i vergini, che “per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l'amore di Cristo, per aiutare le persone sofferenti nel corpo e nell'anima” (n. 8).

Hypostole

Per rendere fruttuosa la testimonianza cristiana, il pontefice suggerisce la preghiera, la compassione e la consolazione verso chi soffre, ma anche l’accettare di soffrire per la verità: “La verità e la giustizia devono stare al di sopra della mia comodità ed incolumità fisica, altrimenti la mia stessa vita diventa menzogna” (n. 38). E ancora, in un altro passo, parlando della “hypostole”, cioè “il sottrarsi di chi non osa dire apertamente e con franchezza la verità forse pericolosa”, aggiunge: “Questo nascondersi davanti agli uomini per spirito di timore nei loro confronti conduce alla « perdizione » (Eb 10,39)” (cfr. n. 9). Che il cristiano debba essere fonte di speranza per il mondo lo dicevano anche diversi studiosi e teologi del secolo scorso (J.B. Metz, E. Bloch). Ma la loro conclusione era che i cristiani dovevano alla fine sostenere la speranza marxista in una società buona del futuro. Benedetto XVI chiede invece ai cristiani di fondare la loro speranza in Gesù Cristo “filosofo” e “pastore” dell’umanità, la cui presenza nella nostra vita crea la speranza “che non delude”. Anzi, Benedetto XVI fa di più: suggerisce al mondo stesso, di scoprire la speranza che è Gesù Cristo, a partire da una “autocritica dell’era moderna” (n. 22) che abbia il coraggio di andare a fondo sui fallimenti dei progetti sociali del XIX e XX secolo e sulle ambiguità del progresso scientifico. Così, mentre egli chiede ai cristiani di impegnarsi con più radicalità nel mondo, chiede alla ragione scientifica e atea di aprirsi a una ragione “veramente umana”, aperta alla fede: “la ragione del potere e del fare deve …. essere integrata mediante l'apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male. Solo così diventa una ragione veramente umana” (n. 23). In tal modo il papa rende “comprensibile” al mondo secolare termini che sembravano “di sacrestia”: l’inferno, come la situazione irrimediabile di persone “in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l'odio e hanno calpestato in se stesse l'amore” (n. 45); il purgatorio, come la situazione in cui il nostro compromesso col male viene purificato e la nostra “sporcizia…bruciata nella Passione di Cristo” (n. 47); il giudizio finale, che afferma l’esistenza di una giustizia definitiva: “la fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto speranza – quella speranza, la cui necessità si è resa evidente proprio negli sconvolgimenti degli ultimi secoli. Io sono convinto che la questione della giustizia costituisce l'argomento essenziale, in ogni caso l'argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna” (n. 43).

Benedetto XVI e l’Onu

Nella stessa direzione dell’enciclica “Spe Salvi”, si è mosso Benedetto XVI incontrando le Organizzazioni non governative (Ong) cattoliche (Caritas Internationalis, New Humanity, l'Umofc/Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche, Imcs-Pax Romana/Movimento internazionale degli intellettuali e degli studenti cattolici) il 1° dicembre 2007, in Vaticano, denunciando la logica del «relativismo morale» che segna spesso il dibattito nell'Onu e negli organismi internazionali. Il Papa ha affermato le regole internazionali troppo spesso si basano solo su una ragione politica e non etica, e ciò porta ad «amari frutti», come quello di considerare i diritti umani sulla base di stili di vita egoistici. Per questo, ha affermato, occorre battersi affinché i principi etici non siano «negoziabili», né al Palazzo di Vetro di New York, né altrove. «Occorre uno spirito di solidarietà che conduca a promuovere uniti quei principi etici non negoziabili per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale» , ha spiegato Benedetto XVI, ringraziando le Ong per il contributo che possono offrire, «in stretta collaborazione con la Santa Sede, alla soluzione delle tante problematiche e sfide che affronta la molteplice attività delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni internazionali e regionali». Pur lodando i progressi fatti in materia di diritti umani dalla comunità mondiale, Papa Ratzinger ha osservato che «spesso il dibattito internazionale appare segnato da una logica relativistica che pare ritenere, come unica garanzia di una convivenza pacifica tra i popoli, il negare cittadinanza alla verità sull'uomo e sulla sua dignità nonché alla possibilità di un agire etico fondato sul riconoscimento della legge morale naturale». «Viene così di fatto ad imporsi una concezione del diritto e della politica, il cui consenso tra gli Stati, ottenuto talvolta in funzione di interessi di corto respiro o manipolato da pressioni ideologiche, risulterebbe essere la sola ed ultima fonte delle norme internazionali», ha aggiunto.
«I frutti amari di tale logica relativistica nella vita internazionale - ha detto - sono purtroppo evidenti: si pensi ad esempio al tentativo di considerare come diritti dell'uomo le conseguenze di certi stili egoistici di vita; oppure al disinteresse per le necessità economiche e sociali dei popoli più deboli, o al disprezzo per il diritto umanitario, e ad una difesa selettiva dei diritti umani».
La tesi del papa è che «viene così di fatto a imporsi una concezione del diritto e della politica in cui il consenso tra gli Stati, ottenuto talvolta in funzione di interessi di corto respiro o manipolato da pressioni ideologiche, risulterebbe essere la sola e ultima fonte delle norme internazionali». In questo modo, la Chiesa ripropone una sua posizione tradizionale, come già aveva fatto quando aveva difeso l'obiezione di coscienza dei farmacisti cattolici e la necessità - oltre che il diritto - per i cristiani di non abdicare di fronte ai propri valori. L'insegnamento è importante per tutti: quale sia la professione di fede.
Mentre l'umanitarismo dominante vorrebbe imporre una visione omogenea di ciò che è giusto e merita rispetto (trasferendo in norme legali i dettami della cultura progressista), la Chiesa ricorda al mondo la pretesa dei cristiani ad essere un'altra cosa e loro aspirazione ad essere irriducibili al potere, alle leggi, alle istituzioni.

La replica dell’Onu
Le Nazioni Unite nascono «da un accordo tra Stati» e «si fondano sui diritti dell'uomo»: per le Nazioni Unite «una delle pietre miliari della sua storia è la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo». In questi termini il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq, ha replicato al Papa Benedetto XVI, secondo il quale l'Onu e altri fori internazionali sono segnati da una logica di «relativismo morale». Il portavoce ha spiegato che il fine dell'Onu è quello di mediare tra le diverse posizioni, ma avendo sempre presente che «i diritti dell'uomo sono il suo valore fondante». Secondo il portavoce delle Nazioni Unite, il documento firmato a Parigi quasi sessant'anni fa, il 10 dicembre 1948, ha «innestato nel dna» dell'Onu quegli stessi principi etici di cui parla il Papa, e che secondo Benedetto XVI «non sono negoziabili per loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale». Haq ha sottolineato che le Nazioni Unite, pur essendo una organizzazione dove gli Stati sono i principali protagonisti «ascoltano anche i popoli, le ong, gli attivisti per i diritti umani e i singoli parlamentari. Dobbiamo fare di più ma l'Onu cerca sempre di includere il maggior numero possibile di interlocutori». Padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ha comunque cercato di stemperare le polemiche. E ha definito «forzate» le interpretazioni, secondo cui il Papa avrebbe denunciato un «dominio» del relativismo morale sull'Onu e su altre organizzazioni internazionali. In realtà, spiega padre Lombardi, Benedetto XVI ha testualmente detto «che spesso il dibattito internazionale appare segnato da una logica relativistica».

Distinguere il grano dal loglio

In mezzo a questo grosso dibattito, sono piazzate le Ong. Una particolare categoria di queste organizzazioni sono le Oing (Organizzazione internazionale non governativa) che sono veri e propri Enti internazionali sorti in base ad accordi tra privati e dotati di finalità che possono essere realizzate influendo sull'azione dei governi. Le Oing si sono diffuse dalla metà del XIX secolo con iniziative internazionali di lotta contro lo schiavismo. Oggi sono attive nei campi più diversi, dagli scambi scientifici, alla religione, ai soccorsi umanitari. Le Oing beneficiano dell'appoggio dellOnu, dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) e dell'Unione Europea. Le Oing fanno parte del Consiglio economico e sociale dell'Onu (Ecososc) che le sceglie, le gestiste e le finanzia e intrattiene con esse regolari consultazioni. Le Oing dovrebbero, sulla carta, essere dirette, efficaci e suffragate da un ampio sostegno dell'opinione pubblica e facilitare gli scambi di contatti e informazioni senza coinvolgimento ufficiale degli stati e dovrebbero svolgere un ruolo importante nelle relazioni internazionali. Tra le più importanti, oltre a quelle cattoliche già viste, citiamo le Conferenze di Pugwash sulla scienza e gli affari internazionali, il Movimento internazionale dei Boys Scout, la Croce rossa internazionale, la Lega islamica e Amnesty International. Nel 1909 le Oing registrate erano duecento, verso la metà degli anni Novanta erano diventate più di duemila.
Per semplificare, dividiamo le Oing in due categorie: quelle “confessionali” e quelle “laiche”. Mentre quelle confessionali, ad esempio le cattoliche seguono gli indirizzi del Papa, della Santa Sede, le altre come e da chi vengono gestite? L’Onu è un insieme di Stati più o meno democraticamente eletti che rappresentano gli interessi dei paesi di provenienza. L’Onu è un’istituzione di Diritto pubblico internazionale. I membri delle Nazioni Unite rappresentano popoli e nazioni indipendenti, nel bene e nel male. Ma rappresentano qualcosa. Anche se in seguito a un golpe si è installato un governo, questo governo viene riconosciuto dalle Nazioni Unite. L’Urss faceva parte delle Nazioni Unite, Cuba fa parte delle Nazioni Unite, il Cile di Pinochet faceva parte delle Nazioni Unite, l’Italia di Craxi faceva parte delle Nazioni Unite, l’Arabia Saudita fa parte delle Nazioni Unite, e così la Siria, il Venezuela, l’Australia, San Marino. In qualche modo, i governi rappresentano il popolo. Ma queste Oing chi rappresentano se non se stesse e quali sono gli interessi che li sorreggono? Chi li ha votati? Già l’Onu viene sovente criticata perché platealmente accusata di non saper raggiungere gli obiettivi statutari, figuriamoci la pletorica sfilza di iniziative di tipo privatistico se sia in grado di avvicinarsi anche lontanamente a uno dei traguardi statutari. Mentre sul primo raggruppamento, per ovvie ragioni (sono tutti gli Stati a pagare per la sua sopravvivenza) gli occhi sono ben spalancati (anche per fini politici e geopolitici), per i secondi esiste una specie di non curanza in quanto o sono veramente bravi, come la Croce rossa e Boys Scout, o sono trappole per incamerare soldi e distribuirli senza nessun controllo. Qualche esempio: io so (dice la Ong) che la chiesa è contro l’aborto, il preservativo, l’eutanasia, so anche che la chiesa ha i soldi. Allora, attraverso l’Unfpa (United Nations found population) e le sue lobbies, mi faccio finanziare; so che lo sviluppo dipende dalla possibilità di rendere produttivi aree aggiuntive per la coltivazione (l’Europa e l’Italia, in particolare, hanno distrutto letteralmente la loro vegetazione – durante il suo “Viaggio in Italia” Goethe raccontava di un immenso bosco che solcava tutto lo stivale. Che fine ha fatto? Le Oing europee e generalmente del Nord del mondo, dopo aver visto la distruzione ambientale procurata dallo sviluppo economico e sociale dei loro territori, oggi negano questa possibilità di crescita ai paesi che stanno per abbandonare la povertà e la miseria.
E’ giusto difendere le foreste, è giusto preoccuparsi del futuro ambientale del Pianeta Terra, ma non è giusto che queste prediche vengano fatte proprio dai paesi che hanno contribuito alla distruzione di una parte del globo. Mettiamoci nei panni di un brasiliano, un indonesiano, un africano in generale. Non è giusto che si facciano questa domanda? Ma come, dopo che tu hai distrutto il tuo territorio (che apparteneva anche a me), tu venga a dirmi che non posso svilupparmi perché ti sei accorto adesso di aver fatto male? Tutto ciò, inoltre, sarebbe vero se fosse giusta l’analisi degli ecologisti. Basta guardare la Svezia, la Finlandia e la Norvegia e tutto ciò che stanno facendo per il benessere ambientale non solo egoistico dei loro popoli, ma per tutto il resto del mondo. Negli anni ’70 e ’80 le Oing si sono foraggiate con il terrore della mancanza di energia nel futuro. Allora, vogliamo fare chiarezza sulle Oing e distinguere veramente il grano dal loglio?


Papa Giovanni Paolo II e Roberto Maurizio


L’attualità di Goethe

Basta leggere queste poesie di Goete per rendersi conto come non è cambiata l’Italia.

Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn,
Im dunklen Laub die Goldorangen glühn,
Ein sanfter Wind vom blauen Himmel weht,
Die Myrte still und hoch der Lorbeer steht,
Kennst du es wohl?
Dahin! DahinMöcht ich mit dir, o mein Geliebter, ziehn!
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Nel verde fogliame splendono arance d'oro
Un vento lieve spira dal cielo azzurro
Tranquillo è il mirto, sereno l'alloro
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
Vorrei con te, o mio amato, andare!

Lo stesso Goethe, durante il suo secondo viaggio, scrisse invece:

Noch ist Italien, wie ichs verließ, noch stäuben die Wege,
Noch ist der Fremde geprellt, stell er sich, wie er auch will.
Deutsche Rechtlichkeit suchst du in allen Winkeln vergebens,
Leben und Weben ist hier, aber nicht Ordnung und Zucht;
Jeder sorgt nur für sich, ist eitel, misstrauet dem andern,
Und die meister des Staats sorgen nur wieder für sich.
Schön ist das Land! doch ach! Faustinen find ich nicht wieder.
Das ist Italien nicht mehr, das ich mit Schmerzen verließ.
L'Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade,
ancora truffe al forestiero, si presenti come vuole.
Onestà tedesca ovunque cercherai invano,
c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina;
ognuno pensa per sé, è vano, dell'altro diffida,
e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé.
Bello è il paese! Ma Faustina, ahimè, più non ritrovo.
Non è più questa l'Italia che lasciai con dolore.

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