22 dicembre 2007

Simón Bolìvar

Simón Bolìvar. El Libertador

di Roberto Maurizio


A Caracas, l’episodio del Monte Sacro del 1805 è conosciuto

unanimemente come “El juramento” e a tutti gli alunni venezuelani

viene chiesto di imparare a memoria la frase che pronunciò il Libertador.


Correva l’anno 494 a.C.: i plebei in rivolta

Correva l’anno 494 a. C.. I plebei in rivolta si erano rifugiati su un monte fuori dalla cinta muraria, a metà strada fra l’Urbe e il borghetto di Ficulea, lungo il percorso della via Nomentana, che conduceva a Nomentum. Su questo monte, a cui in seguito sarà attribuito la qualifica di Sacro, la plebe romana, capeggiata da Caio Sicinio Belluto, si ribellò a causa dell’acuirsi del conflitto che la opponeva al ceto dominante dei patrizi in ogni campo della convivenza civile (vedere voce sul blog), compresa l’intollerabile usura (foeneratores, usurai).

Sicinio e la secessione

Sicinio, «il più strenuo avversario dell’aristocrazia… di infima nascita, educato poveramente» così lo descrive Dionigi di Alicarnasso (VII, 33), fu il capo della secessione (ribellione). Le fonti antiche presentano un uomo che emergeva dalla massa; egli affrontò con forza i patrizi: «Con quale animo, patrizi, ora richiamate indietro coloro che avete condotto fuori dalla patria e trasformato da liberi in schiavi?» (Dionigi, VI.45). In questa situazione di stallo, senza apparenti vie d'uscita, emerse la figura di Menenio Agrippa, un uomo di origine plebee che era arrivato alcuni anni prima alla carica di console (oppure, qualcuno pensa, un personaggio di fantasia partorito dallo storico Tito Livio).


Menenio Agrippa, il mediatore

Menenio Agrippa con un discorso molto intenso e pieno di buon senso convinse i senatori ad affidargli l'incarico di trattare con i ribelli al fine di trovare un accordo che permettesse di ritrovare l'unita del popolo quirito contro i nuovi nemici. Nel suo discorso, oltre a perorare le ragioni del compromesso, Menenio, riconosceva la validità delle rivendicazioni della plebe e della loro scarsa fiducia nei confronti dei patrizi.Arrivato al campo dei ribelli, alla testa della delegazione incaricata di portare avanti le trattativa, Menenio Agrippa cercò subito di convincere i secessionisti della concretezza del suo tentativo, invitandoli a formalizzare le loro richieste e garantendo che le stesse sarebbero state accettate dal Senato.I secessionisti rimasero colpiti dalle affermazioni perentorie di questo nuovo mediatore, ma la diffidenza accumulata in tanti anni di promesse e vessazioni continuava a prevalere. Nessuno diceva niente e qualcuno della delegazione cominciava a temere il peggio.

L’apologo

Fu proprio in quel frangente che Menenio Agrippa dimostrò tutta la sua arguzia, raccontando una storia (simile a quelle di Fedro). Disse cosi: "Una volta le braccia, le gambe, la bocca e i denti decisero di non lavorare più per lo stomaco, che si nutriva e restava in ozio. Smisero di lavorare; così lo stomaco restò vuoto. Dopo alcuni giorni, le gambe e le braccia si accorsero che non potevano più muoversi, tanto erano diventate fiacche. Allora compresero che anche lo stomaco lavorava ed era proprio lui a dar loro forza e vita, restituendo, in forma di sangue, quel cibo che essi gli avevano con fatica procurato''. Dunque, le varie parti del corpo umano avevano deciso di ribellarsi allo stomaco perché non trovavano giusto che lui sfruttasse tutto il loro lavoro e che per tutto il giorno non facesse altro che aspettare il cibo che loro procuravano. E così si organizzarono e decisero di non mangiare più: con questo gesto volevano costringere lo stomaco a lavorare per procurarsi il cibo. Ma, dopo alcuni giorni, il corpo, rimasto senza cibo, cominciò a indebolirsi e quando fu sul punto di morire, tutte le membra si resero conto che anche lo stomaco svolgeva una funzione vitale. Questa parodia voleva metteva in evidenza come nello Stato, alla stessa tregua del corpo umano, ognuno svolge una funzione importante e vitale e questo vale anche per i patrizi. La secessione o ribellione di una parte dello Stato rischiava di portare alla morte dello Stato e quindi anche delle sue componenti sociali. Questa parodia convinse i ribelli ad accettare il compromesso che gli veniva offerto dal Senato Romano e insieme a Menenio Agrippa formalizzarono le loro richieste.Correva l’anno 494: una data leggendaria
Correva l’anno 494 a.c., un anno che entrò di diritto nella storia leggendaria di questa città attraverso una riforma che condizionò fortemente lo sviluppo degli avvenimenti di lì in avanti. Un anno che giustamente il popolo romano considerò sacro, come sacra era considerata la vita dei tribuni della plebe. E anche quella anonima collina al di là dell'Aniene, diventò il Monte Sacro, un nome che verrà rimandato ai posteri, fino ai nostri giorni, dove uno dei più importanti e popolosi quartieri di Roma continua a portare il nome di quel colle sul quale si era sviluppato.Su quel monte venne costruito un importante tempio dedicato a Giove, che diventò oggetto di culto per tutti i plebei. I primi tribuni della plebe furono Caio Licinio e Lucio Albinio che, in questo modo, entrarono a far parte della storia di Roma.

L’altura solenne del Monte Sacro

Sembra quasi impossibile che un gruppo sociale “in sedizione” abbia prodotto “di getto” una tale costruzione religiosa, politica, giuridica; al contempo così innovativa, complessa e poderosa: una magistratura contro-magistratura (dotata di un potere contro-potere) la quale diviene il perno di una costruzione unica nella storia, la respublica del popolo romano. La respublica è caratterizzata dal potere ‘laico’ e ‘sovrano’ del popolo, cioè degli universi cives, il quale entra in relazione di comando-obbedienza con sé medesimo (populus in sua potestate) attraverso il potere di governo dei magistrati patrizi, i quali – a loro volta – traducono (con un margine necessario di discrezionalità) gli iussa generalia “di tutto il popolo a tutto il popolo” (Rousseau) in comandi specifici rivolti ai singoli. Questa relazione vitale, centrale, biunivoca tra popolo dei cittadini e magistrati patrizi, nella quale ciascun cittadino deve sapere e potere – a tempo debito – comandare e obbedire, si avvale di un meccanismo di cui sono parte i sacerdotes publici; ma essa è soprattutto garantita dal tribunato della plebe. La sacrosancta potestas dei tribuni plebis è garante della libertà dei singoli cives dinnanzi al potere di governo dei magistrati patrizi e, al contempo e indissolubilmente, è garante della obbedienza dei magistrati patrizi alla volontà del popolo (leges publicae).

Correva l’anno 493 a.C.: il giuramento della plebe

Correva l’anno 493 a.C. e la plebe romana rientra a Roma, convinta da Menenio Agrippa della necessità della collaborazione tra i diversi ceti sociali, ma soltanto dopo avere creato una magistratura nuova, un “magistrato plebeo”, dotato di una protezione nuova (la sacratio capitis di chiunque lo offenda) e di un potere altrettanto nuovo: per la sua configurazione generale (la potestas sacrosancta), per il suo fondamento (il iusiurandum collettivo plebeo, integrato – quindi – con un foedus patrizio-plebeo), per il suo contenuto (lo ius intercessionis contro le magistrature patrizie / di governo e lo ius agendi cum plebe). Dal “giuramento plebeo” nasce il tribunato della plebe, vennero istituiti i tribuni della plebe, il cui scopo era quello di proteggere i plebei dagli abusi del potere. I tribuni erano due e venivano eletti esclusivamente dalla plebe e restavano in carica un anno. La loro forza si basava su due principi essenziali: la loro inviolabilità e il popolo aveva il diritto di uccidere chiunque attentasse alla loro vita, e il diritto di veto che consentiva loro di invalidare qualsiasi provvedimento del Senato che andasse contro i diritti di quella parte maggioritaria di cui loro divenivano i legittimi rappresentanti. Le loro case dovevano restare aperte notte e giorno perché in ogni momento si potessero far valere i diritti violati di un plebeo.

Sicinio primo tribuno in Sacro monte

Sicinio fece parte del primo tribunato della plebe («primus tribunus plebis … in Sacro monte»: Livio 3.54.12) e fu rieletto due volte per il grande prestigio personale e non per meriti familiari. Il suo ruolo nella storia della repubblica romana è paragonabile a quello del primo console: ponendo argine alla prepotenza dei patrizi e degli usurai, il tribunato rese perfetta la costituzione repubblicana (secondo l’opinione che manifesteranno poi, tra gli altri, Cicerone, Machiavelli, Rousseau, Gracchus Babeuf). A ragione Simón Bolívar ricorderà Sicinio (v. infra, III, 3).

Correva l’anno 1805: il giuramento di Bolìvar

Correva l’anno 1805. Proprio per rendere omaggio al “giuramento della plebe”, Simòn Bolìvar si reca il 15 agosto 1805, a Monte Sacro, 202 anni or sono, insieme al suo amico e maestro Simón Rodriguez. El Libertador giurò, sul colle romano, di liberare l’America del Sud. “Per il Dio dei miei genitori, giuro per loro; giuro per il mio onore e giuro per la patria, che non darò pace al mio braccio, né riposo alla mia anima, finché non avrò spezzato le catene che ci opprimono!”. L’allora ventidueenne, quindi, giurò di liberare il suo paese dal dominio spagnolo, e maturò il progetto di una confederazione delle repubbliche liberate dell'America latina.

Un legame indissolubile: Sicinio e Simón

El Libertador scelse la piccola collina al di fuori delle Mura aureliane perché lì ebbe inizio la rivolta della plebe romana (agricoltori, artigiani, commercianti), oppressa dai tributi di guerra e dagli arruolamenti forzati, capeggiata da Sicinio.

Per maggiori informazioni, collegarsi a www.willydanilo.blogspot.com


(continua)

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