17 giugno 2009

Iran e Stampa estera. Quel maledetto imbroglio

Iran e Stampa estera. Un maledetto imbroglio
di Roberto Maurizio

L’umiltà in via dell’Umiltà


Possibile che non si trovi nessuno disposto a scrivere un romanzo sui giornalisti della Stampa estera, non intesa come quella lobby che ha la sua sede centrale a Roma, in via dell’Umiltà (omen nomen?) 83 C, ma come i corrispondenti della “razza” più intelligente del mondo che trovano alimento tra le fogne di vecchie città e borghi di rango? Perché a nessuno interessa il “giornalista estero”? Forse perché ritengono questa “casta” come un’accozzaglia di “penne” immersa in un mondo maledettamente ingarbugliato? Parafrasando Nazim Hikmet, la Stampa estera è una terra a sé stante, dove i giornalisti pensano che “il più bello dei propri articoli è quello mai scritto. La più bella delle loro inchieste, non è ancora avvenuta. I più belli dei loro reportage non li hanno ancora prodotti. E quello che vorrebbero dirci di più bello non ce l’hanno ancora detto”.


Una “razza diversa”

I giornalisti della Stampa estera appartengono ad una “razza diversa”, perché diversa è la loro lingua, diversi i loro costumi, diverso il fusi orari, diversi gli stipendi, diversi i rapporti umani (sempre se fosse possibile abbinare l’aggettivo umano ad una “bestia” di mestiere, un mestiere di bestia. La “superficialità” della Stampa estera, soprattutto in Italia, è un modo di difendersi da questa diversità. Allora, come “tori inferociti” attaccano a testa bassa il paese che momentaneamente li ospita. Serve meno energia, meno fatica, per attaccare questo o quel politico antipatico. Sciacquano nell’acqua benedetta le loro ipotesi, vendono al primo venuto le loro “idee fatiscenti” e non sanno nemmeno da chi sono o saranno pagati. I giornalisti della Stampa estera hanno la verità rivelata. Non hanno bisogno di “lavorare”, di fare il loro mestiere di cronisti. Loro prendono lo stipendio, quindi non hanno bisogno di approfondire, perché è troppo faticoso fare le inchieste, conoscere la verità, soprattutto il Italia dove la verità è sparita dal 1945.

Le “sirene” e le “arpie”

La Stampa estera si comporta come il commentatore di una squallida partita di calcio (soprattutto quelli della Rai, ma anche Sky non scherza con “mandiamo tutti a bere un bel tè caldo” o qualcosa di più “allucinante”) utilizzando aggettivi e avverbi. Il vero giornalista è quello che non usa aggettivi, non utilizza avverbi, racconta, informa. Ma l’informazione in Italia deve ancora essere abbondantemente riformata. Escludete, quindi, dai vostri giornali favoriti di Internet i cronisti che usano aggettivi, che si comportano come pasdaran, integralisti, fondamentalisti; sbattete fuori da un vostro qualsiasi progetto politico i candidati di destra, di sinistra, di centro, quelli che utilizzano aggettivi. L’aggettivo qualificativo è come la musica utilizzata da Santoro o le pause di Fede (meno male che li hanno mandati tutti e due sul satellite). Anche le immagini possono trarre in inganno il telespettatore. La stampa che non rispetta il codice deontologico delle notizie è come un serpente a sonagli, è come una sirena ammaliatrice che richiama i “bollori” di Ulisse e degli Argonauti. La lingua biforcuta delle arpie, lasciatela alle vipere e ai serpenti. Prendete un discorso, un articolo, togliete gli aggettivi e costruite un vostro modo di pensare; apprezzate le frasi costruite senza arzigogoli, votate per i partiti che non usano aggettivazioni. E’ tanto facile eliminare il populismo, il fondamentalismo, il fanatismo.

Portocannone e Bossi

Esistono dei cittadini napoletani che pur vivendo da sempre nella più bella capitale del Mediterraneo non sono riusciti ancora a capire le principali dinamiche della grande metropoli situata ai piedi del Vesuvio. Invece, un peruviano, un filippino, un giapponese, un algerino, un canadese, per non parlare degli spocchiosi inglesi e americani insieme ai canadesi, appena arrivano nei pressi del Vesuvio, o vicino al Colosseo, già sanno tutto, conoscono a mena dito tutti i difetti della città Partenopea e di via Veneto. Sparano a zero, tanto a dir male si fa peccato, ma a volta ci si azzecca. La deontologia professionale vorrebbe giornalisti sempre pronti a imparare una cosa nuova e a raccontarla così come l’hanno vissuta. Il vero giornalista entra nell’ottica della gente con cui sta in contatto; cerca di capire i connotati essenziali. Tutto ciò non può nascere da una bevuta al Vomero o a Piazza di Spagna. Molti corrispondenti della Stampa estera non hanno mai provato ad andare a Tor Bella Monaca, a Canicattì, a Portocannone. Non sanno nemmeno che Parma è avvolta dalla nebbia che rende così prestigioso e prezioso il formaggio locale, e che la nebbia accomuna la Padania e tagliano con l’accetta la Lega Nord definendola semplicemente razzista. Così facendo, poi, non riescono a capire e ad interpretare l’aumento dei voti alle elezioni europee del partito di Bossi.

Il capo bastone

Mutatis mutandis, quando i nostri giornalisti arrivano in realtà come Iraq, Afghanistan, Stati Uniti, Cina e Giappone, a suon di bigliettoni, la prima cosa che fanno si “aggregano” al “branco”, agli altri colleghi appartenenti alla stessa “casta”. Il loro compito sarebbe quello di dare notizie e fare capire ai lettori o agli spettatori molto lontani cosa sta succedendo in quella realtà nella quale sono stati calati. Ecco che allora, il “branco” prevale. Invece di farci capire qualcosa, sposano la tesi proposta e accettata dal “capo bastone”. Queste “tesi” non sono frutto di un riscontro oggettivo: deve essere così per forza. Esempio: un giornalista venezuelano o colombiano o peruviano sbarca a Roma, in via dell’Umiltà, 83 C (mai una toponomastica è stata così mendace come quella che è capitata alla Stampa estera romana, forse sarebbe stata più appropriata una residenza in “via della Scrofa”) e dovrebbe parlare del Governo attuale. Invece di indagare di persona cosa pensa l’elettorato italiano, esamina le foto Antonello Zappadu vendute a El Pais, conviene, così non c’è bisogno nemmeno della traduzione! Un inviato del Tempo si reca a Città del Messico, in piena crisi sanitaria dell’influenza suina e parla della relazione scabrosa di una deputata dello Yucatan con il barista del bar di fronte alla sua redazione. Con questo non voglio dire che non sono importanti le corna del marito della deputata messicana, ma a Portocannone questa notizia potrebbe non interessare anche perché, da poco, nella bellissima cittadina molisana, il farmacista ha preso a pugni il suo amante: un barbiere che era stato scoperto mentre faceva la barba ad una ragazza fidanzata con la nipote del parroco.

Goracci e Ferrario

Tiziana Ferrario


Passiamo al caso Iran. In questo “tormentato” paese, guidato da un “dittatore farneticante”, Mahumud Ahmadinejad, che vuole cancellare Israele dalla faccia della Terra, si indicono le elezioni, che si svolgono “regolarmente” (tra un sacco di patata e un altro) il 12 giugno scorso. Il responso delle urne, come succede spesso, è contestato dall’avversario, Mir Hossein Mousavi. Obama chiede chiarezza. Anche il Consiglio dei Guardiani iraniano, uno degli organini legislativi più importanti della Repubblica islamica, e l’ayatollah Ali Khamenei, si sono detti pronti a ricontare i voti. Intanto, la violenza si impadronisce della piazza con l’aggressione dei pasdaran e sette morti, secondo alcune fonti. Stiamo ancora attendendo chiarimenti, mentre Ahmadinejad partecipa ad un convegno internazionale in rappresentanza dell’Iran. In questa situazione così ingarbugliata, che fare? Prima di tutto, essere prudenti e raccontare la “verità”. Allora, chi manda in Iran la Rai? Due donne, Lucia Goracci del Tg3 e Tiziana Ferrario del Tg1, ovviamente c’è anche un giornalista del Tg3, come se l’Italia avesse bisogno di “tre verità” (ma non sono tutte e tre le reti “possedute” da Berlusconi?). Le due inviate in questo paese democratico sono costrette a portare il velo. Perché non hanno inviato tre maschi? Forse questi esemplari del sesso forte hanno paura? La Maggioni che interviene prima per ordine di tempo rispetto alla Goracci, cerca ti togliere l’ascolto a quest’ultima, sparando a zero su Ahmadinejad. Allora la Ferrario diventa più sinistra della Botteri, non si sa mai nelle prossime elezioni europee.


Lucia Goracci

Ahmadinejad “distributore di patate”



Ed ecco che arriva il resoconto ad elezioni appena terminate in Iran il 14 giugno. Le due giornaliste italiane fanno a gare per schierarsi in favore del perdente. Le quattro macchine bruciate, i 150 arresti su una popolazione di milioni di persone, la troupe aggredita del Tg3, quella di Lucia Goracci, diventano un momento di attacco frontale delle due giornaliste contro Ahmadinejad, il bandito, come se a combatterlo dall’altra parte ci fosse un vero “difensore della democrazia e dei diritti umani”. Anche Obama sostiene che, in definitiva, tra i due contendenti iraniani non c’è tanta differenza. Insomma, Ahmadinedjad trionfa con un plebiscito, come Mussolini, come Hitler, come tanti migliaia di dittatori che hanno insanguinato il mondo, nell’altro secolo.

Gli umori dell’appiattimento

Chi ha deciso di schierarsi a favore di Mir Hossein Mousavi? La realpolitik? No! La Stampa estera di Teheran. Così le nostre inviate pur di non perdere il prossimo caffè all’iraniana fra un paio di giorni fra i “citrulloni” della Stampa estera, sparano a zero su Mahmoud Ahmadinejad e si imbarcano sulla nave del perdente, solo perché questi aveva a suo favore le belle ragazze di stile occidentale pronti ad imbarcarsi su un primo traghetto per la discoteca? E dei milioni di elettori iraniani? Nulla. Sono dei retrogradi, dei “mangia patate”. Non amano la discoteca, i Beatleas e i Rolling Stones. Non amano le calze di nailon che hanno distrutto l’impero Sovietico. Ecco che appaiate sotto il velo, le corrispondenze delle due belle giornaliste non fanno altro che riportare gli umori della “Stampa estera”, e basta.

Vincitori e vinti

Mahmoud Ahmadinejad certo non è un fiore di loto, né tantomeno una persona democraticamente da apprezzare. Ma, questo esula dalla valutazione di un fatto giornalistico. Le elezioni in Iran, in definitiva, chi li ha vinte? Quali sono i risvolti nella politica internazionale? Se le due belle teste velate continuano a comportarsi secondo i canoni della “Stampa estera di Teheran”, alla fine potrebbero dare ragione al presidente iraniano che accusa i “media stranieri” di aver lanciato “una guerra psicologica” contro l’Iran. Se l’84% non è un voto democratico, allora dite voi che cos’è la democrazia, ha detto il Presidente Ahmadinejad che ha dichiarato anche che il “dossier nucleare iraniano appartiene al passato”. Questa è una “bella notizia”, questa era la notizia da sottolineare che le due “signore” non hanno preso nella dovuta considerazione.

Il manipolo

Quello che questa nota vuole contestare è la sudditanza della “Stampa estera” ad un manipolo di “ben pensanti”, quelli che detengono la “verità” rilevata, che non produce documenti originali, ma si allinea a ciò che il “potere mediatico” (che non corrisponde sempre a quello politico, per esempio in Italia, dove Berlusconi viene preso per il culo dalle sue stesse testate, dove si fa carriera solo se insulti l’onnipotente che ti dà da mangiare, come i porci che si avventano sul trogolo azzannando il “dispensatore” solo per avere altra grana da aggiungere ai loro 4 milioni di euro di ricompensa). Ed ecco le “meretrici” con il colpo velato che “ti fanno il servizio in diretta”. Come la Giovanna Botteri che adesso, dopo l’Iraq, ci parla dagli Usa: usa e getta. Il popolo americano, chiamiamolo così se si può definire questo popolo o questa accozzaglia di razze, odiata dai comunisti di tutto il mondo, un popolo guerrafondaio, secondo la sinistra, che si fa prendere a calci nel sedere dalle giornaliste di sinistra e poi, visto che deve vedere le partite di Football e mangiare gli hotdogs, quest’accozzaglia dimentica tutto. Nella vita politica, come in quella “normale”, un po’ di rabbia non fa male. Mors tua, vita mea. Così come mi tratti, ti tratto. Occhio per occhio, dente per dente.

Non perdere la testa

Ahmadinejad non ha nemmeno una Noemi, ma ha i missili a testata nucleare da inviare direttamente sul nemico principale: dei musulmani, degli arabi, dei fondamentalisti, di Bin Laden, dei cristiani, dei nazisti, dei cispadani, dei fascisti, dei velocisti, dei buddisti, degli animalisti, degli ambientalisti, dei comunisti, dei miscredenti, dei pluscredenti, dei Gandhi, dei San Francesco, dei Gheddafi, delle commesse, degli iraniani, degli afghani, degli indostani, degli iracheni, dei frascatani. Invece, le nostre belle inviate della Rai, si comportano come “suore carmelitane” con il velo sulla testa, per non perderla in pochi secondi, e poi si schierano, con il nominativo fornito dal “capo bastone”. Per loro, la scelta è obbligata: parlar male del leader iraniano e basta.


Who, What, When, Where & Why




La “Stampa estera”, in tutti i paesi del mondo è sempre la stessa. E’ una “peripatetica” di alto livello che suona in chiave di basso e in chiave di violino sempre la stessa nota. Un giornalista, invece, sarebbe da considerarsi tale solo se non si fa condizionare da nessuno, nemmeno se scendesse dio in Terra! E poi, l’Iran (forse dopo l’Italia) è il paese più difficile da decifrare: donne che giocano a bigliardo, accanto a file di “velate” che vanno a votare; bambine che non possono giocare con la Barbie, accanto a giovani ragazzi impiccati in pubblica piazza; mujahedin del popolo iraniano, cioè la resistenza “democratica” all’estero, paragonata a bande di terroristi dall’Unione Europea; un popolo molto religioso che si rivolge a Dio e poi vuole l’eliminazione di un altro popolo con un “altro” Dio. La situazione è difficile, per cui non va presa sotto gamba, non basta un reportage di tre minuti della Goracci e della Ferrario a far capire la complessità della materia. Quindi, non resta che fare il proprio mestiere: descrivere gli avvenimenti secondo i “sacri” canoni del giornalismo Who, What, When, Where & Why.

Nessun commento:

Posta un commento