13 giugno 2009

Sì, buana

Sì, buana
di Roberto Maurizio

Fantozzi ex ante, Fantozzi inserito in una “commedia italiana”di Bolognini, Salce e Sordi, “Dove vai in vacanza”, che crede di essere “à la page”, un film nel quale montava la sinistra sessuofobica e cattocomunista, che cercava di darsi un’aria di “avanguardia” in una società arretrata e corrotta, mettendola sul podio.

Paolo Vilaggio

La tecnica non eccellente in tutto il film, con un grigiore assoluto nel primo episodio, quello di Tognazzi (che va avanti solo per sconcerie, lazzi e scazzi), con una pochezza estrema del secondo (quello dello scemo del “Villaggio”), con un pizzico di fantasia nel terzo, quello di Sordi, dove trionfano gli spaghetti e la coda alla vaccinara, “Dove vai in vacanza” ha messo in evidenza solo sederi al vento, culi ingialliti, mari lontani, sigarette sponsorizzate, whisky in primo piano, amore lesbico in piscina, corna al marito, divorzi.


Così il cinema correva avanti e dava le indicazioni ad una società retrograda e corrotta come quella italiana che cercava nel lusso e nel sesso la propria gratitudine. Oggi, che la stessa cosa, fatta meglio e meno oscena dalla destra, viene attaccata da questi seminaristi e sacrestani della pseudo sinistra. La allora piccola provinciale italietta, lautamente si ingrassava con i soldi dello Stato, dei cittadini, del debito pubblico, mentre si arrovellava tra brigate rosse, brigate nere, brigate bianche e brigate d’oro, cercava uno sbocco alla miseria della cultura.


“Sì, buana” ("bwana" è l'appellativo che veniva rivolto ai bianchi in Siswati, è un sostantivo che significa "signore") diventa così il “capolavoro” di Paolo Villaggio che utilizza gli stessi “stilemi” e gli stessi attori che poi avrebbe “sfruttato” nei film di Fantozzi. Un Filini (Gigi Reder), capo di un’agenzia turistica con occhiali e viso da imbecille, ma non troppo, quindi inattendibile, un dio, con i capelli bianchi, che fa l’assicuratore dei Lloyd di Londra. Un “negro” romano de’ Trastevere che senza permesso di soggiorno vuole tornare nella “sua madre patria”, a Roma.
Questa la cultura di sinistra che ha infestato il nostro cinema, che lo ha reso uguale alle fiction arabe, tunisine, algerine, marocchine, o, peggio ancora, a quelle latinoamericane dove non esiste nessuna forma di arte se non quella dell’accaparramento di milioni di dollari. Ecco, come la cultura pseudo di sinistra ha fatto i soldi e i Sordi. Sull’incompetenza, sulla voglia di scrivere libri su libri solo per il dio denaro.
La Divina Commedia, Giulietta e Romeo, la Bibbia, il Vangelo, il Corano, sono dei “capolavori” che resteranno per sempre nella storia dell’umanità. I film di Totò, tanto bistrattati dalla sinistra intelligente, restano ancora sulla scena e accumulano audience all’infinito. I film del “Principe De Curtis” sono come l’alba e il tramonto, sono dei “capolavori” che non potranno mai essere distrutti se non dalla fine dell’umanità e della Terra. Invece, queste povere mosche “pseudo culturali di vetero sinistra” continuano a prendere il nutrimento dalla merda.

La trama di “Sì, Buana”

Arturo (Paolo Villaggio), un imbalsamatore di animali fallito, si fa assumere come animatore in Kenya, spacciandosi per una espertissima guida del luogo. Al soldo di un tirannico organizzatore (Gigi Reder) di Safari per uomini facoltosi e le loro amichette, per sbarcare il lunario Arturo dovrà farsi passare dai turisti come il “Professional Wilson”, profondo conoscitore delle tradizioni africane. Ma Margherita (Annamaria Rizzoli), una procace ospite del safari, lo coinvolge, con la promessa di un'eccitante avventura erotica, nell'omicidio del "cumenda" suo protettore, di cui vuole intascare l'eredità.

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