24 giugno 2009

Taràttàttà

Taràttàttà
di Roberto Maurizio
L’erba e il mitra
Nei “favolosi anni ‘60”, l’Italia, negletta, arrancava tra la ripresa economica e la nostalgia del passato. Da una parte i “vecchi” divisi in due categorie distinte, i comunisti e i fascisti, i sanremisti e claudiovillisti, gli sfigati e gli arrivati, dall’altra i “giovani”, capelloni e fricchettoni, drogati e tutta casa e chiesa, studenti e operai, ma su tutti emergevano due grandi “figure”: Celentano e Gianni Morandi. Il primo, con l’erba, il secondo, con il mitra. Il falso ecologismo di Celentano ha fatto scomparire dall’Italia i Verdi. La mitraglia del Gianni, che una volta suonava la fisarmonica, la bella e favolosa “Soprani”, ci ha fatto importare “ciavatte” dal Vietnam di “Soprani Uomo”, 50 euro e passa la paura.



Il Maestro di Vigevano

Mentre, una volta, l’Italia era il primo paese al mondo nel settore della produzione artigianale e di prestigio di scarpe, ora è costretta a “reimportare” calzature prodotte in Asia. Lontani appaiono i tempi descritti dal film di Elio Petri nel 1963, “Il Maestro di Vigevano”, tratto dall’omonimo romanzo di Lucio Mastronardi. Vigevano era la “capitale della scarpa del mondo” ed assistette inerte al dramma dell’insegnante, insoddisfatto del suo lavoro principale, che aprì una piccola fabbrica di scarpe, per far fronte alle continue richieste di soldi da parte della moglie. Il Maestro, non essendo “tagliato” nell’arte del calzaturificio e del contrabbando, fu costretto a tornare sui banchi di scuola. Quell’Italia, oggi, non c’è più. Nulla da eccepire contro la globalizzazione, se i prodotti sono all’altezza del prezzo.


Ai posteri

Nulla da eccepire su Gianni Morandi e sulla guerra del Vietnam, dal quale, oggi, importiamo beni di “prima deambulazione”. Nulla da eccepire contro quella mitraglia che ha fatto guadagnare milioni di euro ai discografici italoamericani, credo, di Gianni e che hanno preso in giro un’intera generazione. Speriamo solo che le prossime non si facciano prendere per il culo dal TaràttàttàtaraTaràttàttàtara.

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