11 febbraio 2010

Social Watch 2009

Presentato a Roma il Social Watch 2009
di Roberto Maurizio


Seduti in quel caffè
Questo blog è nato il 29 settembre 2007. Seduti in quel caffè... Il "caffè" è un'area particolare di ritrovo, dove ritrovi solo quelli che sono pronti a ritrovarti. Non bisogna scandalizzarsi se una pubblicazione internazionale viene resa pubblica in un "caffè". I miliardi spesi dalla Fao per ricevimenti faraonici hanno reso molto di meno rispetto al clima accogliente del "Fandango".

Caffè Fandango, Roma (Foto di Roberto Maurizio)

Gabbiani fastidiosi
...
Gabbiani di Roma, antipatici e invasivi

In una Roma, “afflitta”, come sempre, da un clima che più blando di così si muore, “quattro gocce di pioggia e traffico subito bloccato”, arrivo in anticipo alla presentazione del “Rapporto 2009 del Social Watch”. Piazza di Pietra 32/32, martedì 9 febbraio 2010, ore 18.00-20.00, “Caffè Fandango”. Un angusto angolo della vecchia Roma, dove la filosofia, la politica, l’estro, la musica, l’accoglienza si confonde con un mondo in continua caduta libera verso il baratro il cui ritorno in superficie è disegnato solo da una piatta e anonima vita fatta di niente. Ma, è proprio il niente a riempire Piazza di Pietra. Una piazza che è al centro del potere della capitale, dove un tempo, non più di 20 anni fa, alla Borsa Valori di Roma, dalle 10.00 in poi, si alzavano al cielo le mani dei brokers, agenti di cambio, collegati alle loro cabine telefoniche con chilometrici fili di plastica dove partiva il segnale di acquisto o di vendita. Ancora oggi, a Piazza di Pietra, se si fa un po’ di attenzione, si sentono rimbombare, tra gli schiamazzi dei fastidiosi gabbiani che con le loro bianche e inutili ali tingono il cielo notturno di Roma di un tetro presagio: quello di sempre, la fine è vicina, ma non prossima.

Piazza di Pietra, Roma (Foto di Roberto Maurizio)


I brokers all’amatriciana

Agenti di cambio




A Piazza di Pietra, nella Borsa Valori di serie B, si levavano al cielo, tra pochi gabbiani e tanti “avvoltoi”, le voci urlanti dei brokers all’amatriciana, alla pizza Margherita, alla coda alla vaccinara. Mano aperta in avanti rivolta verso il possibile acquirente significava vendo (lettera), dorso della mano rivolta al venditore si traduceva in un acquisto (denaro). La Borsa di Roma, di serie B, era un po’ come il mercato delle vacche, con i suoi recinti, che ripeteva i gesti che risalivano al Medio Evo: denaro, offro soldi e acquisto, lettera, mi impegno a vendere. Tutto ciò avveniva prima della rivoluzione telematica a Piazza di Pietra. Nelle visite d’istruzione di una volta, esisteva un altro “tempio”, via del Burò, entrata secondaria della Borsa valori di Roma e sede della Camera di Commercio. In pochi metri erano concentrati i poteri che solo pochi potevano vedere e approfittare. L’Ufficio dei cambi, un altro mito tramontato si ergeva come un Moloch dietro queste splendide mura ingiallite dal tempo, dalla corruzione e dalla assenza di partecipazione della popolazione. L’italiano, quello vero, doveva risparmiare, non investire e guardare fiducioso sull’inevitabile sua esclusione dal mercato. Tu non sei una cicala, sei una formica e devi fare sacrifici per far arricchire gli altri. Dopo 30 anni, la situazione non è cambiata. L’italiano medio, quello vero, quello che lavora, quello che risparmia, si trova ancora oggi di fronte a questo dilemma: mi godo la vita o faccio sacrifici per me e per i figli?
...


Italiani, un popolo di formiche


Un momento clou, durante la presentazione del Rapporto Social Watch




Su 60 milioni di italiani e più, 2 milioni godono del benessere terrestre che gli sarà levato una volta arrivati per forza all’altra vita (ville, macchine, titoli in borsa, arricchimento facile), altri due milioni appartengono alla Mafia, anch’essi prenotati per l’inferno all’al di là (N’Grangheta, Cosa Nostra, Camorra e Sacra Corona Unita, in ordine decrescente di entrate illecite), 10 milioni non riescono a raggiungere la fine del mese, ma andranno in paradiso, 5 milioni sono gli immigrati che scalfiscono appena la nostra produzione del reddito, ma loro hanno le loro religioni a cui rivolgersi per potersi trovare un posto migliore all’al di là, 25 milioni, invece, vivono nel limbo terrestre e saranno ospitati in quello celeste, mezze calzette, partite Iva, addetti al settore dei quaquaraquà, mezzemaniche, che come formiche risparmiano non si sa perché. Quanti rimangono? 16 milioni sono gli italiani che lavorano veramente. Forse un po’ di più, ma non vanno oltre i 20 milioni.
...

Uno lavora, tre mangiano (ma tutti votano)


Caffè Fandango, Piazza di Pietra, Roma (foto di Roberto Maurizio)



Dunque, un’Italia di 60 milioni e più che si regge sulle spalle di 20 milioni di persone. E il Governo e l’opposizione? Niente! Tanto ci sono quei 20 milioni di coglioni che mandano avanti l’Italia. E’ meglio interessarsi della crisi attuale, che coinvolge appena (si fa per dire) 200.000 persone. E’ facile salire sui tetti, occupare le autostrade, portare le vacche a Montecitorio, quando quei 20 milioni tirano la carretta, si alzano alle 4 del mattino e tornano a casa alle 10 di sera. Quei sedici milioni che lavorano in tutte le carceri, in alcuni ospedali, in poche scuole, in tante fabbriche, in molti mercati, che costruiscono case, che portano avanti iniziative commerciali e industriali senza contributi statali, tutti i nuovi schiavi senza l’articolo 18, quelli che lavorano la terra senza rubare i contributi dell’Unione Europea. Insomma, chi lavora veramente in Italia sono in pochi. E da questi, collocati soprattutto al Nord d’Italia, si pretende tutto. E’ un sistema che non funziona. Non è tanto il problema dell’invecchiamento della popolazione. E’ un problema fra chi veramente lavora e chi gode dei benefici senza aver versato nulla di suo a questo sistema Italia allo sbando.


People First
...

Mentre assistiamo a questi problemi che affliggono il nostro paese, il Social Watch, ha presentato, il 9 febbraio 2010, il suo Rapporto Annuale “People First” 2009, proprio a Piazza di Pietra, 32-33, Caffè Fandango . L’evento, realizzato dalla Coalizione Italiana Social Watch, è stato dedicato a “Il Ruolo dell’Italia nella governance mondiale: tra delusioni e speranze della società civile”. Da Pittsburgh a Copenhagen, è l’oggetto principale dell’incontro al Caffè Fandango: il bilancio dei risultati dei recenti vertici internazionali. Quale ruolo l’Italia può e deve giocare in vista dei prossimi appuntamenti internazionali del 2010? Non più promesse ma urgenti e concreti impegni è la richiesta unanime della società civile italiana.
...
La mission
...

Foto di Roberto Maurizio


Dopo aver atteso i tempi necessari latinoamericani, non alle 18.00 ma alle 18.30 e oltre, dopo un aperitivo gradito dai pochi ospiti, tutti fra loro uniti da un’unica mission, quella di far breccia sul disinteresse delle autorità e dai pochi superstiti convinti dell’ingiustizia predominante nel mondo che possono catturare solo persone con un grado di civilizzazione arretrata ancorata alle ideologie dell’altro secolo, del Secolo Breve, appaiano i protagonisti: Jason Nardi, Coordinatore della Coalizione Italiana Social Watch (sembrava buttato lì per caso); Emanuele Giordana, Direttore di Lettera 22 e conduttore di Radio3Mondo (un giornalista che ha dedicato la sua vita alla lotta contro le ingiustizie nel mondo, una preparazione di vasto respiro con punte di altissimo livello sull’India, Afghanistan, Medio Oriente, America Latina, Africa, un giornalista a tutto tondo, un vero e proprio professionista che quando parla sa cosa dice); Ministro Plenipotenziario Antonio Bernardini, Consigliere diplomatico del Ministro dell’Ambiente (armato di clava contro il Governo che rappresenta, che attacca a ogni piè sospinto la ministra da cui trova nutrimento); Dott. Luca Alinovi, Senior Economist della Fao (che difende a spada tratta un organismo obsoleto pieno di parole inglese vuote, che scrive in americano e che vuole farci capire la bontà della Fao che invece di dare da mangiare agli affamati dà stipendi d’oro ai suoi funzionari, compreso il Senior Economist).
...
Un’Italia senza politici di spessore
...
Foto di Roberto Maurizio



Come al solito, è assente il convitato di pietra per eccellenza, il Rappresentante del Ministero degli Esteri. Un Ministero di cui possiamo sicuramente fare a meno, inconcludente, inesistente, nemmeno quando si tratta di bere una bella tazza di caffè al Fandango, che per paura o per l’incertezza sulla capacità di reperire voti da una manifestazione, secondo il Mae, “senza capo, né coda”, o, ancora peggio, per l’impossibilità di poter delineare la “strategia” di un Governo allo sbando, che prima fa proposte all’Aquila e poi non le mantiene, decide, come ha fatto da 40 anni a questa parte di non partecipare per la vergogna di non sapere cosa dire in merito.
...
...
L’alito orrendo del disinteresse


Emanuele Giordana, foto di Roberto Maurizio


Al dibattito presso il Caffè Fandango, tra i profumi di una zuppa di pesce e l’alito orrendo del disinteresse del mondo sul suo futuro, sono intervenuti alcuni rappresentanti della Coalizione Italiana Social Watch: Sergio Giovagnoli, Responsabile nazionale welfare Arci, Maria Grazia Midulla, Responsabile Clima e Energia Wwf Italia, Giulio Marcon, Lunaria, Andrea Olivero, Presidente Acli, Francesco Petrelli, Presidente Ucodep, Giulio Sensi, Mani Tese, Sabina Siniscalchi, Senior Advisor Fondazione Culturale Responsabilità Etica, già deputata, Antonio Tricarico, Direttore Campagna per la Riforma della Banca Mondiale.

Il dibattito

Foto di Roberto Maurizio


Emanuela Giordana presenta gli ospiti e dà la parola ai “conferenzieri”. Ognuno di loro mette in guardia la comunità degli operanti per il bene dello sviluppo nel mondo, dell’assurdità di alcuni principi presenti ancora nonostante la collocazione attuale del mondo in un altro millennio. Lamentele, ingiustizie, insipienze, onorificenze ai paesi che dal ‘900 sono sempre stati i primi tra Like Minted (Svezia, Finlandia, Norvegia) e insulti agli ultimi, tra cui spicca l’Italia. Sono passati 40 anni è i problemi sono sempre gli stessi. Da una parte l’Onu, inconcludente, dall’altra le Ong accreditate all’Ecosoc (dell’Onu), sempre in cerca di finanziamenti. Dov’è la novità? Nessuna. Se non quella che dopo 40 anni continuano ad esistere intatti gli organi principali dell’Onu senza nessuna riforma e le Ong (una specie di Sacra corona unita, dove è impossibile entrare senza raccomandazioni, senza nessuna apertura costruttiva verso i giovani, sì quelli che potrebbero frequentare Caffè Fandango non solo per andarsi a “divertire”, ma per portare un loro contributo).

Cosa sostiene il Rapporto? Evviva, Abbasso

Foto di Roberto Maurizio


In questa analisi del Rapporto del Social Watch 2009, metteremo il segno positivo, quando ci sono elementi di speranza o di possibile soluzione nel medio lungo termine e negativo quando c’è una visione pessimistica. Positivo: Evviva; Negativo: Abbasso.

Di Evviva, nemmeno l’ombra



Foto di Roberto Maurizio



La crisi economica allontana gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e aumenta la disuguaglianza (Abbasso). Lo tsunami della crisi economica si sta abbattendo sui paesi che meno hanno contribuito a scatenarla. A questo ritmo, l'obiettivo di sradicare la fame e la povertà entro il 2015 rischia di rimanere un miraggio per la maggior parte dei paesi nel mondo (Abbasso). “Studiando l'impatto sociale della crisi a livello internazionale, emerge che a pagarne le conseguenze più dure sono i paesi impoveriti e le persone più vulnerabili, molte delle quali sono nuovi poveri (Abbasso)”, ha affermato Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia. “Fra le prime vittime del crollo dei mercati finanziari vi sono i più poveri che, spendendo dal 50 all’80% del loro reddito in beni alimentari, risentono maggiormente dell'aumento del costo delle derrate agricole (Abbasso). Ma anche le donne, spesso impiegate in lavori precari o a cottimo, con minori salari e più bassi livelli di tutela sociale (Abbasso)”. Tramite l’Indice delle Capacità di Base (Bci), il Rapporto analizza lo stato di salute e il livello dell’istruzione elementare di ciascun paese. I risultati sono preoccupanti: al 2009, quasi la metà dei paesi analizzati (42,1%) ha un valore dell'Indice Bci basso, molto basso o critico. La maggioranza della popolazione mondiale vive in paesi in cui i principali indicatori sociali sono immobili o progrediscono troppo lentamente per raggiungere un livello di vita accettabile nel prossimo decennio. “Le cifre rivelano una situazione di disuguaglianza drammatica (Abbasso) in tutto il mondo, sebbene i dati elaborati si riferiscano a un periodo in cui la crisi economica doveva ancora produrre i suoi effetti più profondi”, afferma Jason Nardi. “La crisi finanziaria offre un'opportunità storica per ripensare i processi decisionali in politica economica attraverso un approccio basato sui diritti umani (qualche spiraglio)”. Il Bci è un indice alternativo che definisce la povertà non in termini di reddito, ma in base alla possibilità di godere di alcuni diritti fondamentali. In particolare, l’indice è costruito attraverso l'analisi di alcuni fattori determinanti per lo sviluppo di un paese: la percentuale di bambini che arriva alla quinta elementare, la sopravvivenza fino ai cinque anni di età e la percentuale di nascite assistite da personale qualificato. A livello mondiale, emerge che nel 18% dei paesi è in atto una regressione in alcuni casi accelerata (Abbasso). Tra questi, il 41% fa parte dell’Africa subsahariana. Un dato preoccupante per una regione che già in precedenza registrava i valori più bassi. L'Asia meridionale sta invece progredendo rapidamente (Evviva), pur partendo da valori molto bassi (Abbasso, Abbasso che elimina Evviva), mentre in America Latina e nei Caraibi non si registrano miglioramenti (Abbasso). Al ritmo di sviluppo attuale, solo Europa e Nord America potrebbero raggiungere entro il 2015 valori accettabili dell'indice (Evviva, anche se in Italia c’è chi non raggiunge la quarta settimana, ndr). Ciò significa che, in mancanza di cambiamenti sostanziali, per tale data gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio concordati a livello internazionale non verranno raggiunti (Abbasso). Lo scenario desta ancor più preoccupazione se si considera che solo Danimarca, Norvegia, Svezia, Olanda e Lussemburgo hanno rispettato gli obiettivi delle Nazioni Unite, destinando almeno lo 0,7% del Pil all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps) (Evviva, ma lo sapevamo e le famiglie dove il Sole fa fatica ad emergere dall’orizzonte raggiungono bene anche la prima settimana, hanno amanti, benessere, servizi di prima necessità, forse proprio perché il Sole non li bacia in fronte, Ndr). Nonostante le ripetute promesse del nostro governo, si prevede che l'Aiuto Pubblico allo Sviluppo in Italia subirà un drammatico taglio, scendendo dallo 0,2% del PIL a meno dello 0,17% (Abbasso). Al pari della Grecia e di poco al di sopra della Repubblica Ceca, l'Italia si ritrova così agli ultimi posti tra i paesi industrializzati. Ndr.


La terza settima

Foto di Roberto Maurizio


Ma come si pretende che l’Italia possa di nuovo rientrare tra i Like Minted come la Svezia se ad ogni piè sospinto, da Prodi in poi, si afferma che la famiglia italiana non riesce a raggiungere la terza, quarta settimana? Negli anni ’80, l’Italia raggiunse lo 0,43% dell’Aps sul Pnl e fu travolta da Mani Pulite. Vennero buttati cumoli di fango verso la Cooperazione italiana che stava facendo un buon lavoro in Africa, dove era ammirata da tutti.

Ilaria Alpi



Poi, la parola fine venne decretata da Ilaria Alpi. Che la cooperazione italiana fosse infetta da interessi privati era arcinota. Gli interessi delle grandi imprese legate al raggiungimento del profitto immediato, cozzavano con una politica estera italiana di grosso respiro. Non c’erano più le dighe da fare, non c’erano grandi progetti infrastrutturali da portare avanti. C’era il bisogno di fare della cooperazione italiana il fiore all’occhiello della politica estera in Africa, nel Mediterraneo, in Asia e in America Latina.

Via Salvatore Contarini

I pregiudizi erano ancora tanti. Il primo giorno del mio “lavoro” presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, 1977, ebbi modo di parlare con il “custode” di via Salvatore Contarini, una sgangherata struttura edilizia che al confronto con quella del Liceo Darwin di Rivoli (Torino) era una spazzatura. Il povero “guardiano” di via Contarini somigliava molto al bidello della mia Facoltà di Economia e Commercio di Roma degli anni ’70, “Fontanella Borghese”, che per cinque mila lire, ti faceva interrogare dall’assistente più sfigato per prendere un 18 a stento. Ricordo perfettamente la frase che soleva ripetere in continuazione il “custode” di via Contarini: “siamo in una stalla dove si munge e si mangia”. Come faceva un povero “bidello”, “custode”, ad affermare simili frasi, mentre io credevo nella bontà della cooperazione allo sviluppo? Quali erano i dati in suo possesso? Solo la sua sensazione indelebile che si era fatta di vedere in quella catapecchia misera e malmessa un via vai di uomini con le borse vuote che uscivano con valige piene o era solo frutto della sua immaginazione, dettata solo dalla propaganda e di un’equazione sempre valida? “Dove ci sono i soldi, c’è corruzione”?


Guido Bertolaso e la Cooperazione italiana





Sono passati anni da quella situazione che poteva essere una soluzione vincente, con Paolo Basurto e Massimo D’Angelo, per un’Italia che sgomitava per avere una sua collocazione all’interno dei paesi che contavano nel mondo. Poi, ci fu, il dramma della corruzione comprovata dei cosiddetti manager che non valevano un fico secco. Poi, ci fu la sepoltura della cooperazione italiana allo sviluppo. In quei tempi, era presente una figura di grande spessore: Guido Bertolaso, ammirato da tutti. Sempre il primo fra tutti ad intervenire. Sempre buoni i risultati. Noi della cooperazione (cioè io) avevamo un’ammirazione sconsiderata per il lavoro di Guido Bertolaso. Ma di lui, niente di compromittente, dopo che fu accoppata la cooperazione italiana con l’uccisione di Ilaria Alpi.


Allora, si spara sul divario

Foto di Roberto Maurizio


Come se fosse una novità, il Rapporto del Social Watch 2009 si polarizza sul divario tra uomo e donna. Senza specificare perché, il Rapporto sbatte l'Italia dal 70° al 72° posto. Le differenze tra uomo e donna, secondo il Rapporto non si riducono, mentre cresce la distanza tra i paesi più virtuosi e quelli in cui la discriminazione è maggiore. Questo dato viene messo in luce dall’indice di Parità di Genere (Gei), sviluppato e calcolato per il 2009 dal Social Watch, network presente in oltre 60 nazioni. Il Gei analizza la disparità tra i sessi, classificando 157 paesi in una scala in cui 100 indica la completa uguaglianza tra donne e uomini. I valori più alti nell'Indice di Parità di Genere sono attribuiti alla Svezia (88 punti). Seguono Finlandia e Ruanda - entrambi con 84 punti nonostante l'enorme differenza in termini di ricchezza tra i due paesi. Poco al di sotto si classificano Norvegia (83), Bahamas (79), Danimarca (79) e Germania (78). L’indice dimostra quindi che un alto livello di reddito non è sinonimo di maggiore uguaglianza e che anche i paesi poveri possono raggiungere livelli di parità molto elevati, sebbene uomini e donne vivano in condizioni non facili. In questa speciale classifica, l’Italia scende rispetto al 2008 dal 70° al 72° posto, con un valore di 64 punti, collocandosi subito dopo paesi come Grecia, Slovenia, Cipro e Repubblica Dominicana (66). Confrontando il dato dell’Italia con la media europea (72), emerge il ritardo del nostro paese nel raggiungere un’effettiva uguaglianza di genere. “L’indice della parità di genere rivela se una società sta evolvendo verso una maggiore equità di genere o rimane ferma. La mancata riduzione del divario nei diritti tra uomo e donna conferma la miopia dei governi. La distinzione tra paesi del cosiddetto Sud del mondo e quelli del Nord sviluppato è sempre più sfumata”, afferma Jason Nardi, portavoce del Social Watch Italia. “La promozione della parità tra i sessi è uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: i nostri dati dimostrano che quell’obiettivo invece di avvicinarsi si sta allontanando”. Nelle prime 50 posizioni dell’indice sono compresi i due terzi dei paesi dell’Unione Europea, ad esclusione di paesi come Irlanda, Slovacchia, Repubblica Ceca, Grecia e Italia. Tra i primi 50, c’è inoltre una significativa rappresentanza di paesi in via di sviluppo, tra i quali Filippine, Colombia, Tanzania e Thailandia. L’insufficiente progresso nella riduzione della disparità di genere ha portato, in molte realtà, a una crescente polarizzazione: mentre nei paesi dove l'uguaglianza è maggiore si registra una tendenza verso il miglioramento, gli Stati con livelli di discriminazione più elevati evolvono in modo negativo. É il caso dell'America Latina e dei Caraibi, da una parte, e dell'Asia Orientale e del Pacifico, dall'altra.


Crisi economica: donne più vulnerabili


Foto di Roberto Maurizio


La situazione di estrema disuguaglianza tra uomo e donna è stata aggravata dall'attuale crisi economica. Le donne, infatti, sono più esposte alla recessione globale perché hanno minore controllo della proprietà e delle risorse, sono più numerose nei lavori precari o a cottimo, percepiscono minori salari e godono di livelli di tutela sociale più bassi. L'Onu riferisce che il tasso globale di disoccupazione femminile potrebbe arrivare al 7,4%, contro il 7,0% di quella maschile. Ciononostante, il Social Watch ricorda che la crisi non presenta soltanto sfide, ma anche l’opportunità di cambiare l'architettura finanziaria globale e definire politiche innovative, basate sull’equità e sul rispetto dei diritti.

Più istruzione, meno lavoro


Foto di Roberto Maurizio


L'indice Gei è composto da una serie di indicatori della disparità di genere che coprono tre dimensioni: l'istruzione, la partecipazione all'attività economica e l'empowerment (concessione di pieni poteri alle donne). L'analisi del divario nei tassi di alfabetizzazione e di iscrizione a scuola dei diversi paesi mostra che i progressi registrati nella sfera dell'istruzione sono di gran lunga maggiori rispetto a quelli registrati nelle altre dimensioni della parità di genere. Nell'accesso agli spazi decisionali e nell'esercizio del potere, invece, la disuguaglianza tra uomini e donne è più evidente: non c'è un solo paese dove le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini di partecipare ai processi economici o socio-decisionali. I progressi nella partecipazione all'attività economica registrati nel 2008, infine, sono stati completamente azzerati nel 2009. In particolare nella regione dell'Africa subsahariana.

Applausi

E’ facile salire la scala dell’orgoglio dell’applauso a tutti i costi. Basta andare in una piazza addestrata come quella che si vede durante le trasmissioni di Rai 2 e Rai 3. Dire che tutto va male è facile. Formulare progetti e programmi per il cambiamento è leggermente più difficile. L’Onu, l’Undp, la Banca mondiale, il Fmi, l’Ue, il Dac, l’Ocse forniscono strumenti di altissimo livello che restano nel cassetto che non arrivano alla pubblica opinione italiana. Forse, è giunta l’ora che Emanuele Giordana, un grande giornalista, possa mettere in risalto in questa valle di lacrime della stampa italiana lastricata solo di ideologie retrograde che non fanno altro che colpire alle spalle un’Italia dalla quale la classe dei giornalisti trova soltanto miele per potersi autoriprodursi. Vogliamo fonti nuove e non vogliamo giovani imbavagliati con la bocca piena di ostriche e champagne.
...
Agsi: largo ai giovani giornalisti


Foto di Roberto Maurizio

Vogliamo, come sostiene l’Agsi (Associazione dei giornalisti per lo sviluppo internazionale), in ogni redazione di giornali, di testate un esperto di politica internazionale, di cooperazione allo sviluppo. Il nostro provincialismo ci condurrà ad essere ancora più emarginati nel mondo della globalizzazione e della governance mondiale. L’Italia ha molto da dire agli altri popoli del mondo. L’Italia deve cominciare a crescere attraverso i nuovi giornalisti che usciranno finalmente dal loro guscio di una penisola fatta di Roma e Milano. Basta con i giornalisti venduti al sindacato della stampa che li fa crescere. Basta con la Stampa estera che spara a zero sull’Italia per partito preso. Costruiamo, insieme, un mondo mediatico più vicino alle nostre “problematiche” che sono sempre più vicine a quelle del Darfur. Fintanto che la nostra televisione pubblica, la Rai (Mardock, Sky, Berlusconi, Fininvest, la Sette, Telecom, sono esclusi perché perseguono solo i loro beceri e profitti di breve termine) non dedicherà servizi di conoscenza e di approfondimenti sui paesi relativamente a noi lontani, come sta facendo attualmente solo tramite Emanuele Giordana e qualche sindaco che aderisce a Zapping contro le ingiustizie della Cecenia, saremo destinati ad essere gli ultimi e a sorbirci programmi di gossip, sempre più squallidi e volgari.

Nessun commento:

Posta un commento