23 febbraio 2010

Voci dal Congo. Hic sunt leones

Voci dal Congo. Hic sunt leones
di Roberto Maurizio
Il grido senza voce di questo bambino congolese armato fino al denti, mentre dietro di lui, imperterrito, scorre lento il Grande Padre Congo, la Grande Madre Zaire, la Superba Puttana di una terra africana abbandonata dalla storia e dalla pietas. Africa, spezza le tue catene, solleva la tua fronte, il buio finirà, percuoti i tuoi tamburi, il vento della gloria s'alzerà


Un seul homme peut declencher une guerre mais il faut être deux pour faire la paix (meglio se in tre, ndr)
(proverbio del Cameroun)


La “Prima” guerra mondiale africana



Nella Repubblica Democratica del Congo si sta consumando una delle più gravi crisi umanitarie al mondo: dal 1998 al 2010, in 12 anni, la “guerra civile” che ha coinvolto paesi limitrofi e grandi potenze, come gli Stati Uniti e la Cina, ha provocato circa 5 milioni di morti, il bilancio più sanguinoso dalla Seconda guerra mondiale. Per questo e non per altro, la trucida lotta intestina all’interno dell’Africa nera è stata ribattezzata come la “Prima guerra mondiale africana”. La quasi totalità delle vittime sono civili, la metà delle quali bambini, che costituiscono oltre il 50% della popolazione congolese: se negli anni molti sono morti a causa dei combattimenti, un numero certamente maggiore è deceduto per fame, malattie, mancanza d'acqua potabile e d'ogni tipo d'assistenza medica e sociale. La storia di questo paese, grande come un quarto dell'Europa, è segnata da numerosi conflitti finalizzati spesso al controllo delle immense risorse naturali di cui dispone: oro, diamanti, uranio, cobalto, rame e coltan (columbite-tantalite, metallo utilizzato nella telefonia cellulare e per le componenti informatiche), legno pregiato e gomma arabica. Sfruttato prima dalla colonizzazione belga, poi dalla trentennale dittatura di Sese Seko Mobutu (1965-1997) quindi, a partire dagli anni '90, invaso dagli eserciti dei paesi vicini e da bande mercenarie che hanno sostenuto e alimentato la guerra civile e gli scontri tra le componenti etniche delle province frontaliere.

Stragi nel Nord Kivu


Nonostante le regioni centrali e occidentali abbiano raggiunto una certa stabilità dopo le elezioni del 2006, il susseguirsi di conflitti localizzati e a intensità variabile - come quello gravissimo ora in atto nel Nord Kivu, nell'Est del paese - insieme allo scoppio ricorrente di epidemie gravissime, alla malnutrizione infantile e ad una generale situazione di povertà ed insicurezza continuano a porre quotidianamente a rischio la vita di centinaia di migliaia di bambini. Negli ultimi 4 mesi del 2009, oltre 252.000 persone sono rimaste sfollate - più di 1,3 milioni dall'inizio della crisi, nel novembre/dicembre 2006, tra le province di Nord Kivu, Sud Kivu e Orientale - a causa del conflitto nell'Est del Congo, che si caratterizza sempre di più come una guerra contro i civili. Decine di migliaia di persone sono state costrette alla fuga in Uganda e Sud Sudan; l'esercito regolare che dovrebbe difenderle si abbandona spesso a razzie e violenze; in tutta la regione nordorientale del Congo migliaia di civili restano intrappolati negli scontri tra ribelli, eserciti e milizie locali. L'arresto in Ruanda dell'ex generale ribelle Laurent Nkunda, lo scorso 22 gennaio, e l'offensiva congiunta lanciata il 20 gennaio da esercito congolese e ruandese contro FDLR e milizie Interhamwe - i ribelli hutu ruandesi entrati in Congo dopo il genocidio del '94 in Ruanda, tra i principali fattori d'instabilità nell'est del Congo - creano nuovi scenari per la crisi umanitaria nel Nord Kivu: se l'arresto di Nkunda potrebbe condurre, nel prossimo futuro, ad una stabilizzazione della regione, nell'immediato l'improvviso dispiegamento di truppe ruandesi presso Goma e nel territorio di Rutshuru, senza coordinamento alcuno con i caschi blu della MONUC, pone nuovi e gravi rischi per la popolazione civile e fa temere nel breve e medio periodo lo sfollamento di oltre 650.000 persone. Parallelamente, la situazione umanitaria si presenta in drammatico deterioramento nella provincia dell'Orientale, nel Nordest del paese, dove i continui attacchi dei ribelli ugandesi dell'LRA hanno fatto nelle ultime settimane più morti che non 6 mesi di guerra nel Nord Kivu: dall'inizio degli attacchi indiscriminati contro villaggi congolesi, a metà settembre, l'LRA ha provocato la morte di oltre 900 persone, 700 delle quali uccise dalla fine di dicembre, spesso in modo brutale. Il 26 gennaio 2009 si aperto alla Corte penale internazionale il primo processo della storia in cui il capo d'accusa è l'arruolamento di bambini sotto i 15 anni, intentato contro Thomas Lubanga, ex capo dei ribelli del FPLC, attivi nei primi anni del 2000 in Ituri, provincia dell'Orientale, nell'Est del Congo. Lubanga è accusato di crimini di guerra per aver arruolato e utilizzato bambini in combattimento tra il 2002 e il 2003.

Silenzio assoluto in Italia: mai oltre Castel Gandolfo




Mentre Di Pietro e la Magistratura cercano di fare arrestare il Bokassa italiano, Silvio Berlusconi, colluso con la Mafia e anche un po’ cannibale, mentre Bersani, con l’appoggio de La Repubblica, di Santoro, di Floris, di Totti e consorte con le Iene, della Litizzetto con Fazio e l’Annunziata, chiedono gli arresti domiciliari di tutti i farabutti del Pdl, compresa la Polverini, in Africa, a meno di 8 ore di volo, si sta producendo un massacro che non sfiora nemmeno il Papa. Il motto di questi italioti è: mai oltre Castel Gandolfo. Se si esclude un’interrogazione parlamentare dell’On. Leoluca Orlando e qualche Organizzazione non governativa umanitaria, e tante parrocchie dove il senso della cristianità e ancora vivo e presente, in Italia, come al solito, si abbatte il silenzio sul dramma che si sta verificando nel Congo, nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare nella regione del Kivu. "Siamo in presenza di un intreccio drammatico tra una gravissima emergenza umanitaria, in un paese ricchissimo di beni naturali, e livelli di corruzione riconosciuto da triste primato mondiale" ha dichiarato il 16 febbraio scorso Leoluca Orlando, portavoce nazionale di Italia dei Valori e primo firmatario della mozione Idv alla quale si sono unite le mozioni di tutti gli altri gruppi parlamentari. "Il nostro Paese – ha aggiunto - deve assumere un ruolo forte in sede europea e Onu, con maggiore incisività e senza tentennamenti, al fine di garantire più efficacemente la sicurezza della popolazione congolese e favorire ogni sforzo diplomatico indispensabile per far cessare le inaccettabili violazioni dei diritti umani in quell'area". Subito dopo, tra la schifezza di San Remo e gli scandali della Protezione Civile, di Kivu nemmeno l’ombra. Un’Italia provinciale, un’Italia al confine della realtà e fuori dalla globalizzazione e dentro la sua spazzatura interna.

Un paese “abbracciato” dal “Grande Fiume”



Situata nel cuore dell’Africa Centrale, la Repubblica Democratica del Congo confina a Nord con Camerun e Sudan, a Sud con Angola e Zambia, a Est con Uganda, Ruanda, Burundi e Tanzania e a Ovest ancora con l’Angola e con il Congo-Brazzaville, Repubblica Popolare del Congo. Inoltre una breve striscia di terra che parte dalla capitale Kinshasa verso ovest arriva fino all’Oceano Atlantico, dividendo l’Angola dalla regione della Cabinda. Il paese è dominato dal bacino del fiume Congo, che ospita la seconda foresta pluviale più grande del mondo dopo quella amazzonica e copre quasi la metà del territorio congolese. La Repubblica Democratica del Congo, che occupa la maggior parte del bacino del fiume Congo, è attraversato dall’equatore e ha caratteristiche geografiche molto differenti: montagne e foreste nel Nord e verso Ovest, vulcani e laghi nella regione di Kivu, vaste foreste pluviali sul confine occidentale con il Congo. Un’alta pianura si estende nella parte orientale, intorno ai laghi Tanganica, Kivu, Edward, Albert e Bukavu. Nel Sud-Est si eleva un altopiano che a Shaba raggiunge i 1.000 metri di altitudine. Nel Sud, coperto da savane, vive la maggior parte della popolazione. La foresta pluviale ricopre gran parte del bassopiano della Repubblica Democratica del Congo e contiene una grande varietà di specie alcune della quali rare ed endemiche, fra queste lo scimpanzé, il bonobo, il gorilla di montagna, l'okapi e il rinoceronte bianco. Cinque dei parchi nazionali del paese sono compresi nel patrimonio dell'umanità dell'Unesco: Garamba National Park, Kahuzi-Biega National Park, Salonga National Park, Virunga National Park, Okapi Wildlife Reserve. Il clima è, ovviamente, diversificato, vista l’estensione del paese: si va dal clima equatoriale, molto umido e piovoso, presso il bacino del fiume al clima tropicale nella savana, gradualmente mitigato dall’altitudine nei pressi dei rilievi orientali.

Una Babele nera



Ordinamento politico è quello di una Repubblica presieduta dal 26 gennaio 2001 da Joseph Kabila in seguito all’assassinio del padre Laurent Kabila. Primo ministro e Adolphe Muzito. Su una superficie totale di 2.344.860 chilometri quadrati vivono 52.800.000 abitanti, con una densità di 21,8 abitanti per Kmq; la capitale è Kinshasa (fino al 1966 Léopoldville o Leopoldstad) che è anche la maggiore città (7.500.000 abitanti, stime 2005) del paese. È la terza grande area metropolitana dell'Africa dopo Il Cairo e Lagos. Nell'ordinamento amministrativo del paese, Kinshasa è sia una città che una provincia (in modo analogo a Parigi nell'ordinamento francese, che è sia una città che un dipartimento). Da sempre, la lingua ufficiale dell’ex Congo Belga è il Francese. Essa è usata come lingua etnicamente neutrale e come lingua franca di comunicazione tra i differenti gruppi etnici del paese. Sono state stimate 242 lingue parlate nel paese dove coesistono altrettanti gruppi etnici africani, in maggioranza bantù, quattro tribù principali (Mongo, Luba, Kongo e Mangbetu-Azande) costituiscono il 45% della popolazione. Di queste lingue, soltanto quattro hanno lo status di idiomi nazionali sin dai tempi dello Stato Libero: Kikongo, Lingala, Tshiluba e Swahili. Il Lingala, é stata fatta lingua ufficiale dell'esercito sotto Mobutu, ma dalle ribellioni dell'esercito nell'Ovest si usa anche lo Swahili.
...
Tra i dieci paesi più arretrati del mondo




La religione è prevalentemente cattolica, con presenza di protestanti (insieme circa il 70%, animisti (20%) e musulmani (10%). La crescita demografica annua si attesta sul 3%, la popolazione urbana ammonta al 31,2% del totale. Il tasso di alfabetizzazione si ferma al 62,7% (74,2% maschi, 51,8% femmine); la mortalità infantile arriva quasi al 13%, mentre l’aspettativa di vita alla nascita è di appena 45 anni. Il tasso Hiv/Aids è del 4,2%. L’indice di sviluppo umano calcolato, secondo i calcoli del 2008 dell’Undp (United Nations Development Programme) raggiunge appena 0,365 punti e colloca il paese al 168° posto si 177 Stati. Il Pil, sempre nel 2008, toccava i 5.600 milioni di dollari Usa, la sua ripartizione privilegiava l’agricoltura (58,7%), seguita dal terziario (28,8%) e dall’industria (12,5%). la moneta usata è il Franco congolese. La crescita economica viaggiava intorno al 6,3% annuo nel 2004 e 2005; il reddito nazionale lordo per abitante, sempre nello stesso periodo in considerazione era di 110 dollari Usa per abitante, l’inflazione toccava il 14%. Le esportazioni congolesi di 1.242 milioni di dollari Usa erano inferiori alle importazioni del paese che, sempre nel 2004-2005 erano di 1,379 milioni di Usd. Il Congo è uno dei paesi più ricchi di risorse naturali di tutto il continente africano: oltre che su un enorme bacino idrico e su terreni fertili, il paese può contare sui numerosi giacimenti di diamanti, oro, coltan, rame e altri minerali preziosi, che potrebbero garantire senza problemi lo sviluppo del paese. Sfortunatamente però finora le ricchezze congolesi hanno solo attirato gli appetiti di dittatori corrotti e di paesi stranieri, rivelandosi essere la causa di tutte le recenti disgrazie del paese. Lo sfruttamento dei giacimenti diamantiferi è cresciuto del 37% l’anno scorso, mentre l’estrazione di rame e coltan ha subito una battuta d’arresto anche a causa dei debiti in cui naviga la compagnia mineraria statale Gécamines. L’economia del paese è comunque in costante crescita da 3 anni, e nel 2004 ha fatto registrare un più che confortante progresso del 6,3%. Sarà importante rimettere in sesto le infrastrutture e in maniera particolare le reti di trasporto. I fondi necessari dovrebbero essere garantiti nei primi anni dai paesi donatori. Sarà importante anche riavviare lo sviluppo agricolo, dal quale dipende ancora buona parte della forza-lavoro. Per il resto, le note più positive arrivano dall’industria di lavorazione del legname e dalle compagnie di telecomunicazione, mentre il settore tessile è in crisi a causa della concorrenza dei capi di vestiario cinesi a basso costo. Il settore bancario è da ricostruire completamente. Le principali risorse economiche della Rdc sono, quindi, il rame, i diamanti e l’oro. L’economia di basa sull’agricoltura, caffè e zucchero, sulle foreste, legname pregiato, risorse minerarie (diamante, zinco e rame), sui prodotti tessili, alimentari e sulla pesca. Le spese militari pari a 93,5 milioni di Usd rappresentano l’1,66% del Pil. I parner principali sono: Belgio, Stati Uniti, Finlandia, Sudafrica, Germania, Kenya, Nigeria e Francia.

Stanley e Leopoldo: una storia di guerra e di sangue


Nel XV secolo i primi esploratori che arrivano sulla costa entrano in contatto con il vasto impero del Kongo, che al massimo splendore si estenderà dalle coste dell’attuale Angola fino a quelle del Gabon. L’impero sfrutta soprattutto il commercio di avorio, prodotti di rame e schiavi che arrivano nel bacino del fiume da tutta l’Africa centrale, e che permetteranno la sopravvivenza della formazione politica fino all’800. Nell’Est del paese invece il commercio degli schiavi viene organizzato dai mercanti arabi di Zanzibar. La difficoltà di penetrare nella fitta foresta pluviale fa sì che solo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 si esplori l’interno del paese. L’esploratore britannico Henry Morton Stanley risale così lungo il corso del fiume Congo verso il 1870, per conto del re del Belgio Leopoldo II che vede premiati i suoi sforzi al Congresso di Berlino del 1878. Il Congo infatti viene affidato al sovrano come possedimento personale, nonostante venga proclamato stato libero. Il dominio belga si rivela essere uno dei peggiori regimi colonialisti, tanto che all’inizio del secolo successivo saranno già 10 milioni i Congolesi morti a causa della feroce repressione delle forze di sicurezza, impegnate a organizzare al meglio la produzione della gomma. Le vibrate proteste internazionali costringono il Belgio a annettere il Congo come colonia nel 1908, ma senza che le condizioni della popolazione migliorino. Il paese si ritroverà a essere suo malgrado protagonista anche durante la seconda guerra mondiale, visto che l’uranio impiegato per la fabbricazione delle atomiche americane verrà proprio dai giacimenti congolesi.
Kasavubu, Lumumba, Tshombe (Ciombè). I Tutsi gli Hutu (come Soru) e i Watussi
Dopo 10 anni di mobilitazione, finalmente il paese riesce a proclamarsi indipendente nel giugno 1960. Immediatamente scoppia una rivolta in seno alle Forze Armate, dove sono impiegati elementi belgi soprattutto tra gli ufficiali. La gravità della situazione spinge i due leader congolesi, il presidente Joseph Kasavubu e il premier Patrice Lumumba, a rivolgersi all’Onu e a “epurare” l’esercito dagli elementi europei. Migliaia di bianchi abbandonano il paese e soprattutto l’amministrazione, lasciando il Congo nel caos. Giunge intanto un contingente Onu, che si trova subito a dover affrontare la delicata questione della secessione del Katanga, regione ricca di minerali preziosi spinta a intraprendere la lotta armata da alcune compagnie minerarie europee che non vogliono perdere i privilegi acquisiti nella zona. A capo della rivolta si trova Moise Tshombe. Lumumba chiede inizialmente aiuto ai caschi blu per riportare l’ordine nel paese, ma l’Onu si rifiuta di intervenire nella guerra contro i secessionisti in quanto forza neutra. Per tutta risposta il premier decide di affidarsi all’aiuto dell’Urss, scatenando così la rappresaglia di Belgio e Usa: dopo un fallito attentato ai suoi danni, Lumumba viene destituito da Kasavubu e, a fine anno, posto agli arresti domiciliari dal Capo di Stato Maggiore Joseph Mobutu. Un tentativo di fuga di Lumumba, che avrebbe dovuto raggiungere i suoi fedelissimi a Stanleyville (ora Kisangani) fallisce, e l’ex-premier nuovamente catturato viene consegnato ai ribelli di Tshombe, che nel gennaio del 1961 lo uccidono. La notizia viene diffusa solamente il mese successivo, provocando manifestazioni e scontri in tutto il paese. La situazione militare migliora solamente nel 1963, quando grazie all’aiuto dell’Onu l’esercito riesce a avere ragione dei secessionisti katanghesi. Tshombe fugge all’estero, ma viene richiamato da Kasavubu e messo a capo del governo per sancire la riconciliazione nazionale.


Africanizzazione



La difficile situazione economica e l’instabilità interna però spingono gli alleati occidentali a appoggiare un uomo forte, che governi con pugno di ferro il paese. La scelta cade su Mobutu, che nel 1965 rovescia con un colpo di stato Kasavubu e si autoproclama presidente, sciogliendo i partiti e il Parlamento. Comincia così il regno del dittatore, che regnerà sul paese fino al 1997. Il dominio di Mobutu si caratterizza subito come estremamente duro, con una sistematica violazione dei diritti umani (specie nei confronti degli oppositori politici) e una corruzione dilagante, tanto che nel 1984 i fondi esteri intestati al presidente ammonteranno a 4 miliardi di dollari. Mobutu si impegna dalla metà degli anni ’60 in una politica di africanizzazione, che porta a cambiare il nome di numerose città: la capitale Leopoldville diventa Kinshasa, lo stesso presidente cambia nome in Mobutu Sese Seko e il paese nel 1971 viene rinominato Zaire. Il dominio del signore e padrone del Congo comincia a vacillare solo all’inizio degli anni ’90, quando il crollo dell’Urss fa perdere a Mobutu molta importanza. Da allora in poi si moltiplicheranno le richieste per una liberalizzazione della vita politica.

Corruzione dilagante: l’Africa senza Bertolaso e senza Veltroni



Nel 1994 l’Est del paese viene investito dall’ondata di profughi provenienti dai vicini Ruanda e Burundi, che complicano il quadro politico. Nel 1996 proprio la persecuzione dei profughi Tutsi orchestrata dal governo di Mobutu fornirà il pretesto ai ribelli capeggiati da Laurent Kabila, e armati da Uganda e Ruanda, per cominciare la lotta armata contro il dittatore. Lo sfacelo delle Forze Armate congolesi è evidente, tanto che l’esercito si sfalda non opponendo alcuna resistenza al manipolo di ribelli, che anzi durante la loro avanzata accrescono i propri effettivi arruolando i tanti oppositori del regime. Nel 1997 Mobutu fugge, lasciando il paese nel caos e in mano a Kabila. Il nuovo governo congolese non si differenzia molto dal primo: corruzione dilagante e nessuna attenzione verso le condizioni della popolazione. Ben presto i paesi vicini, delusi dall’uomo che avevano contribuito a portare al potere, decidono di rovesciarlo finanziando una serie di gruppi ribelli che operano sempre nell’Est del paese.

I portoghesi sempre senza biglietti





Comincia la guerra civile, che vede impegnate anche le truppe di Ruanda, Burundi e Uganda a sostegno dei ribelli, e quelle di Zimbabwe, Namibia e Angola a fianco del presidente. Una vera e propria guerra mondiale africana, come la definirà Madeleine Allbright, che si rivelerà essere il conflitto più sanguinoso dalla seconda guerra mondiale: ben 3.500.000 morti, la maggior parte dei quali civili. Una guerra che non si conclude neanche con l’assassinio di Kabila, avvenuto per mano di una sua guardia del corpo nel gennaio 2001. Al potere sale il figlio Joseph Kabila, che intavola subito trattative per arrivare alla firma degli accordi di pace. Il nuovo governo di transizione che segna però la fine delle ostilità viene inaugurato solo nell’estate del 2003. La guerra nell’Est del paese non si è ancora conclusa: numerosi gruppi armati non hanno aderito al programma di disarmo e continuano a lanciare saltuariamente attacchi contro l’esercito, i civili o la Monuc, la missione Onu nel paese.

Le parti in conflitto e le armi


1997-2002: guerriglieri Tutsi del Raggruppamento Congolese per la Democrazia (Rcd), appoggiati dal Ruanda, e del Movimento di Liberazione del Congo (Mlc), sostenuto dall'Uganda, contro il governo di Laurent Kabila (dal 2001 di suo figlio Joseph), appoggiato dagli eserciti di Angola, Namibia e Zimbabwe, nonché da varie milizie filo-governative (Mayi-Mayi e Hutu Interahamwe). 1999-2003: scontri tra le fazioni rivali in cui si è diviso nel 1999 l'RCD, ovvero l'RCD-Goma (sostenuto dal Ruanda) e l'RCD-Kisangani ("ammutinati" sostenuti dall'Uganda). 1999-2005: milizie degli Hema dell’Unione dei Patrioti Congolesi (Upc) contro milizie Lendu del Fronte Nazionalista Integrazionista (Fni) nella regione nord-orientale dell'Ituri. Il governo ha ricevuto armi da Stati Uniti, Francia, Cina, Corea del Nord, Georgia, Polonia, altri Paesi dell'Europa dell'ex blocco sovietico (oltre che il diretto sostegno militare di Angola, Namibia e Zimbabwe); i guerriglieri dell'Rcd dal Ruanda, quelli dell'Mlc dall'Uganda.

Un pezzo di Italia nel Congo



L’Italia ricorda ancora i suoi tredici aviatori massacrati dalla furia omicida dei congolesi. L'eccidio di Kindu (o massacro di Kindu) avvenne tra l’11 e il 12 novembre 1961 a Kindu. I nostri soldati facevano parte del contingente dell'Operazione delle Nazioni Unite in Congo inviato a ristabilire l'ordine nel paese sconvolto dalla guerra civile. I tredici militari italiani formavano gli equipaggi di due C-119, bimotori da trasporto conosciuti come i vagoni volanti, della 46° Aerobrigata di stanza a Pisa. I due equipaggi italiani operavano da un anno e mezzo nel Congo ed il 23 novembre del 1961 dovranno rientrare in Italia. La mattina di sabato 11 novembre 1961 i due aerei decollano dalla capitale Leopoldville per portare rifornimento alla piccola guarnigione malese dell'Onu che controlla l'aeroporto poco lontano da Kindu, ai margini della foresta equatoriale. Era una regione dove i bianchi non stavano volentieri e che da mesi era sconvolta dal passaggio delle truppe di Gizenga provenienti da Stanleyville e diretti nel Katanga. Nessuno era in grado di controllare questi soldati: si ubriacavano; erano ossessionati dal terrore dei parà di Ciombè; privi di disciplina, compivano misfatti, ruberie, soprusi; terrorizzavano non solo gli europei di Kindu, ma la stessa popolazione indigena. Gli aerei italiani però non si dovevano fermare, dovevano subito rientrare alla base nella stessa giornata, solo il tempo di scaricare e, per gli equipaggi, di mangiare qualcosa. “I due C-119 compaiono nel cielo di Kindu poco dopo le 2 del pomeriggio, fanno alcuni giri sopra l'abitato, poi atterrano”. Così si legge nei libri di storia. “Da vari giorni in città c'è un'agitazione maggiore del solito. Fra i duemila soldati congolesi di Kindu si è sparsa la voce che è imminente un lancio di paracadutisti mercenari di Ciombe; da tempo le truppe di Gizenga che operano nel nord del Katanga, 500 chilometri più a sud, sono bombardati dagli aerei katanghesi. Quando, il sabato, vedono volteggiare in cielo i due aerei, la paura dei congolesi aumenta; il sospetto diventa certezza: sono i parà. Il terrore e il furore s'impossessano dei soldati, che saltono sui camion e vanno all'aeroporto e poi alla mensa dell'ONU, una villetta distante un chilometro, dove il maggiore Parmeggiani e gli altri italiani si sono recati in compagnia del maggiore Maud, comandante del presidio malese. All'arrivo dei congolesi, sempre più numerosi e minacciosi, gli italiani che sono disarmati, cercano di barricarsi all'interno dell'edificio ma vengono catturati. I pochi malesi di guardia vengono disarmati e malmenati. Il primo a morire è il tenente medico Remotti che tenta di fuggire. I dodici italiani superstiti vengono assaliti; poi pesti e sanguinanti, con il cadavere di Remotti, vengono caricati su due camion, portati in città, e scaricati dove termina la via principale, L'Avenue Lumumba Liberateur, davanti alla prigione, una costruzione bassa di mattoni rossi circondata da una muraglia”. “Alle prime luci della sera i militari italiani vengono finiti con due raffiche di mitra. Poi una folla inferocita si scaglia sui corpi martoriati e ne fa scempio a colpi di machete. Nel 1994 è stata riconosciuta alla loro memoria la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Ecco i nomi: Onorio De Luca, pilota, 25 anni; Filippo Di Giovanni, motorista, 42 anni; Armando Fabi, elettromeccanico di bordo, 30 anni; Giulio Garbati, pilota, 22 anni; Giorgio Gonelli, pilota, 31 anni, vicecomandante; Antonio Mamone, marconista, 28 anni; Martano Marcacci, elettromeccanico di bordo, 27 anni; Nazzareno Quadrumani, motorista (nato a Montefalco-Perugia), 42 anni; Francesco Paga, marconista, 31 anni; Amedeo Parmeggiani, pilota, 43 anni, comandante dei due equipaggi; Silvestro Possenti, montatore, 40 anni; Francesco Paolo Remotti, medico, 29 anni; Nicola Stigliani, montatore, 30 anni. Solo nel 2007, i parenti delle vittime hanno ottenuto una legge sul risarcimento. Un monumento ai caduti di Kindu si trova all'ingresso dell'aeroporto internazionale Leonardo Da Vinci, a Fiumicno; un altro è stato eretto a Pisa. Un altro italiano venne ucciso alcuni giorni prima, sempre in Congo, durante un'imboscata da parte di alcune truppe rivoluzionare. Si trattava del volontario Raffaele Soru, anch'egli decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Nessun commento:

Posta un commento