AGGIORNAMENTO SU AUNG SAN SUU KYI
La rivoluzione nel Quarto Potere in Italia
di Roberto Maurizio
La rivoluzione nel Quarto Potere in Italia
di Roberto Maurizio
Il titolo è uno specchietto per le allodole. Il nostro blog non ha, ancora, rilevanza nazionale, anche perché non siamo sponsorizzati da nessuno, come del resto dovrebbe essere per qualsiasi organo di informazione esistente. Si lamentano dei blog cinesi censurati dalle autorità oscurantiste del paese asiatico e poi non si accorgono che in Italia non c'è libertà di informazione, se non quella controllata dai poteri politici e mediatici. Il vero liberalismo e la vera democrazia si basano soprattutto sulla possibilità di fare esprimere tutti i cittadini che abbiano lo stesso share di chi ha più soldi.
“L’Arca dei Giornalisti”
L’astensione uccide la democrazia. Questo blog, invita tutti i cittadini italiani a recarsi alle urne per esercitare il loro sacrosanto diritto. Ma cosa centra la Birmania con le nostre elezioni? Centra. Nonostante l’invito di Walter Veltroni e la reiterata tiritera della Ministra radicale, Emma Bonino, di un “format” della Rai (Tv pubblica, sanguisuga del canone a tradimento) per far parlare di più di Birmania, Myanmar, Aung San Suu Kyi, Darfur, Somalia, Ciad, Costa d’Avorio, Colombia, Ingrid Betancourt, diritti umani e quant’altro, sui giornali italiani non si trova traccia di nessuno di questi problemi, se non per motivi “particolari”, cioè di parte. Il Tibet serve a …; la Cecenia serve a …; la Bosnia serve a …; la Grecia serve a … (a proposito, vetture italiane bruciate i Grecia … tutto in fumo!). Questi problemi vengono già trattati su Rai 3, su Radioradicale, e su tanti altri programmi che raggiungo al massimo uno share di appena l’1%. Perché? Perché: 1. Sono noiosi; 2. Si rivolgono a un’audience già collaudata e ristretta; 3. Sono presentati da cosiddetti giornalisti raccomandati; 4. Gli italiani non sono preparati ad affrontare queste tematiche, perché la scuola addirittura non insegna nemmeno la conoscenza della penisola italica. Il Molise? Dov’è? Figuriamoci quando si chiede: qual è la capitale del Darfur? Stiamo a due giorni dal voto: tutto può cambiare! Questo il bello della democrazia! Il brutto sarebbe se non ci fosse nessun cambiamento e nessun movimento in avanti.
Dal Piano Fanfani al Piano Berlusconi per arrivare all’Arca
Negli anni ’60 e ’70 l’Italia aveva bisogno di case. Ecco il piano Fanfani per le case. Oggi il problema, limitato al 33% della popolazione italiana è ancora sentito. Ecco il Piano Berlusconi. Mai nessuno ha pensato a “copiare” un Piano Fanfani per il giornalismo: costruire, come le case, giornalisti liberi e capaci di rilanciare le problematiche internazionali inerenti i diritti umani, svincolati dai partiti e dalle associazioni di categoria con contratti sindacali. Costruire un’ “Arca dei Giornalisti” in grado di sganciarsi da tutti i lacci e i laccioli del fanatismo, del partitismo, della falce, del martello, dello scudo crociato, della croce uncinata, della fiamma, del Doge, della Trinacria, del fondamentalismo islamico, del fondamentalismo palestinese, del fondamentalismo ebraico, del fondamentalismo cattolico, del fondamentalismo dei neo con, del fondamentalismo ortodosso, del fondamentalismo protestante, del fondamentalismo buddista, del fondamentalismo cinese, del fondamentalismo cubano, del fondamentalismo chavezziano.
Negli anni ’60 e ’70 l’Italia aveva bisogno di case. Ecco il piano Fanfani per le case. Oggi il problema, limitato al 33% della popolazione italiana è ancora sentito. Ecco il Piano Berlusconi. Mai nessuno ha pensato a “copiare” un Piano Fanfani per il giornalismo: costruire, come le case, giornalisti liberi e capaci di rilanciare le problematiche internazionali inerenti i diritti umani, svincolati dai partiti e dalle associazioni di categoria con contratti sindacali. Costruire un’ “Arca dei Giornalisti” in grado di sganciarsi da tutti i lacci e i laccioli del fanatismo, del partitismo, della falce, del martello, dello scudo crociato, della croce uncinata, della fiamma, del Doge, della Trinacria, del fondamentalismo islamico, del fondamentalismo palestinese, del fondamentalismo ebraico, del fondamentalismo cattolico, del fondamentalismo dei neo con, del fondamentalismo ortodosso, del fondamentalismo protestante, del fondamentalismo buddista, del fondamentalismo cinese, del fondamentalismo cubano, del fondamentalismo chavezziano.
Aspettando un cambiamento
Il giornalismo in Italia continuerà ad essere un corpo amorfo governato e schiacciato dal potere fino a quando non avverrà un cambiamento concreto, una rivoluzione copernicana (sempre se non sarà copiata dalle figurine Panini): la costituzione dell’”Arca dei Giornalisti”. Aspettando il cambiamento, informiamo che a marzo, in Birmania, in Myanmar, sono proseguite le reazioni alla “Road Map to Democracy”: un programma politico della Giunta militare in sette passi che secondo il regime dovrebbero portare a una “democrazia disciplinata” con le elezioni del 2010. La prima di queste sette tappe è l’approvazione di un referendum costituzionale. La costituzione che sarà votata a Maggio è stata scritta unilateralmente dal Governo e nega alla Leader dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi la possibilità di candidarsi alle elezioni in quanto sposata con uno straniero (Michael Aris, un cittadino britannico morto nel ’99). Nei primi giorni del mese l’inviato speciale dell’Onu, Ibrahim Gambari, è tornato in Birmania, Myanmar, con l’intenzione di incontrare Than Shwe, capo del Consiglio di Stato, per proporre un emendamento alla Costituzione e la presenza di osservatori internazionali per garantire la correttezza delle votazioni. A Gambari, tuttavia, non è stato concesso di incontrare il Capo di Governo birmano, ma solo alcuni ministri. Kyaw Hsan, Ministro dell’Informazione, ha negato ogni possibilità di modifica al testo della costituzione, ha rifiutato la presenza di osservatori internazionali e ha accusato l’inviato dell’Onu di essere parziale e di agire al di fuori dei suoi compiti di mediatore per aver rivelato i contenuti di uno scambio epistolare con Aung San Suu Kyi. Il Ministro Kyaw Hsan ha rifiutato inoltre la proposta di assistenza tecnica per il referendum di maggio, sostenendo che “l’esercito ha l’esperienza necessaria per gestire al meglio la situazione” (affermazione infelice, che non può non ricordare come già nelle elezioni del ’90 la giunta ha ignorato la preferenza espressa dall’80% dei Birmani). L’unica nota positiva è che per la prima volta l’azione diplomatica delle Nazioni Unite in Asia non è rimasta isolata: aspre critiche al Governo birmano sono giunte dalle Filippine, dove il Presidente Gloria Macapagal Arroyo ha espresso il suo dissenso per il “no” agli osservatori indipendenti come garanti della democraticità del referendum. Le reazioni dell’opposizione birmana all’indizione del referendum costituzionale non si sono fatte attendere: la All Burma Monks Association (Abma), l’Organizzazione che ha guidato le proteste di settembre represse nel sangue dalla giunta militare, ha invitato tutti gli attivisti, i monaci e la gente comune a manifestare il 26 aprile contro una Costituzione scritta senza confronto e senza considerare le istanze e la volontà della popolazione. A Mae Sot (città Tailandese al confine con la Birmania) il 25 marzo è iniziato un forum di consultazione strategico delle organizzazioni democratiche birmane dal quale è nato un movimento per il “no” al referendum di maggio. Dal forum inoltre sono state lanciate forti denunce contro l’esasperazione della repressione politica (anche il solo parlare di costituzione è diventato un reato punito con il carcere) e contro la piaga sociale dei lavori forzati. La Giunta militare ostenta indifferenza alle pressioni: il 27 marzo, nella nuova capitale Naypyidaw, si è celebrato l’ Armed Forces Day con una fastosa parata dell’esercito e un discorso del Capo delle forze armate che ha invitato i soldati a “unire le mani con la popolazione per schiacciare i sabotaggi interni ed esterni che minacciano la stabilità e il progresso del paese”.
Il giornalismo in Italia continuerà ad essere un corpo amorfo governato e schiacciato dal potere fino a quando non avverrà un cambiamento concreto, una rivoluzione copernicana (sempre se non sarà copiata dalle figurine Panini): la costituzione dell’”Arca dei Giornalisti”. Aspettando il cambiamento, informiamo che a marzo, in Birmania, in Myanmar, sono proseguite le reazioni alla “Road Map to Democracy”: un programma politico della Giunta militare in sette passi che secondo il regime dovrebbero portare a una “democrazia disciplinata” con le elezioni del 2010. La prima di queste sette tappe è l’approvazione di un referendum costituzionale. La costituzione che sarà votata a Maggio è stata scritta unilateralmente dal Governo e nega alla Leader dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi la possibilità di candidarsi alle elezioni in quanto sposata con uno straniero (Michael Aris, un cittadino britannico morto nel ’99). Nei primi giorni del mese l’inviato speciale dell’Onu, Ibrahim Gambari, è tornato in Birmania, Myanmar, con l’intenzione di incontrare Than Shwe, capo del Consiglio di Stato, per proporre un emendamento alla Costituzione e la presenza di osservatori internazionali per garantire la correttezza delle votazioni. A Gambari, tuttavia, non è stato concesso di incontrare il Capo di Governo birmano, ma solo alcuni ministri. Kyaw Hsan, Ministro dell’Informazione, ha negato ogni possibilità di modifica al testo della costituzione, ha rifiutato la presenza di osservatori internazionali e ha accusato l’inviato dell’Onu di essere parziale e di agire al di fuori dei suoi compiti di mediatore per aver rivelato i contenuti di uno scambio epistolare con Aung San Suu Kyi. Il Ministro Kyaw Hsan ha rifiutato inoltre la proposta di assistenza tecnica per il referendum di maggio, sostenendo che “l’esercito ha l’esperienza necessaria per gestire al meglio la situazione” (affermazione infelice, che non può non ricordare come già nelle elezioni del ’90 la giunta ha ignorato la preferenza espressa dall’80% dei Birmani). L’unica nota positiva è che per la prima volta l’azione diplomatica delle Nazioni Unite in Asia non è rimasta isolata: aspre critiche al Governo birmano sono giunte dalle Filippine, dove il Presidente Gloria Macapagal Arroyo ha espresso il suo dissenso per il “no” agli osservatori indipendenti come garanti della democraticità del referendum. Le reazioni dell’opposizione birmana all’indizione del referendum costituzionale non si sono fatte attendere: la All Burma Monks Association (Abma), l’Organizzazione che ha guidato le proteste di settembre represse nel sangue dalla giunta militare, ha invitato tutti gli attivisti, i monaci e la gente comune a manifestare il 26 aprile contro una Costituzione scritta senza confronto e senza considerare le istanze e la volontà della popolazione. A Mae Sot (città Tailandese al confine con la Birmania) il 25 marzo è iniziato un forum di consultazione strategico delle organizzazioni democratiche birmane dal quale è nato un movimento per il “no” al referendum di maggio. Dal forum inoltre sono state lanciate forti denunce contro l’esasperazione della repressione politica (anche il solo parlare di costituzione è diventato un reato punito con il carcere) e contro la piaga sociale dei lavori forzati. La Giunta militare ostenta indifferenza alle pressioni: il 27 marzo, nella nuova capitale Naypyidaw, si è celebrato l’ Armed Forces Day con una fastosa parata dell’esercito e un discorso del Capo delle forze armate che ha invitato i soldati a “unire le mani con la popolazione per schiacciare i sabotaggi interni ed esterni che minacciano la stabilità e il progresso del paese”.
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