La Corsa dei Carri
di Roberto Maurizio
di Roberto Maurizio
Un'immagine di repertorio della Corsa dei Carri
30 aprile 2008: vincono ancora una volta i "Giovanotti"
La Corsa dei Carri di San Martino in Pensilis di oggi, 30 aprile 2008, è stata vinta dai “Giovanotti”, il carro giallo-rosso, seguito dai “Giovani”, bianco-celeste e dai “Giovanissimi”, giallo-verde. La Corsa dei Carri, da otto secoli, continua a essere sempre la stessa e continua ad appassionare il popolo sammarinese e le migliaia di molisano e turisti che la animano e la vivono. La Corsa dei Carri, o anche detta "La Carrese" è una gara di velocità tra tre Carri trainati da una coppia di buoi. I Carri si distinguono per i colori: bianco e celeste quello dei Giovani, giallo e rosso dei Giovanotti e giallo e verde quello dei Giovanissimi., che partecipa alla competizione dal 2007.
La leggenda
La leggenda è molto contrastante nel decorso degli eventi, ma giunge ad una conclusione comune. Quattro ricchi nobili (tra cui il conte di San Martino, il barone di Chieuti, il duca di Larino ed il marchese di Ramitelli) si incamminarono per un battuta di caccia. Vista però una sorgente d'acqua, ben pensarono di abbeverarsi ad essa. Lasciarono così i loro cavalli legati ad una quercia nelle cui vicinanze era posto un masso di enormi dimensioni, sopra il quale lasciarono i loro archi e le loro frecce. Uno dei loro cavalli, però, spostò il grosso masso ed al loro ritorno i nobili trovarono il corpo di un monaco il quale deteneva un medaglione su cui era impresso Leone (ma non è certo se questo fosse il suo nome).Tale monaco benedettino Leone compiva numerosi miracoli, molto noto nelle zone di Guglionesi, Larino, Chieuti, Ramitelli ed ovviamente San Martino. La regola della sua vita era quella latina dell'"ora et labora". I nobili, visto quanto accaduto, vollero appropriarsi delle reliquie del corpo, ma non giunsero ad una soluzione in quanto ognuno di loro voleva detenere per sé lo stesso corpo. Di qui ebbe inizio una violenta discussione tra i nobili, per stabilire chi dovesse appropriarsi del corpo del monaco: il conte di San Martino, infatti, aveva da parte sua la certezza che dovesse essere lui ad avere il corpo in quanto lo stesso era stato scoperto dal suo cavallo; il duca di Larino, invece, non voleva perder l'occasione di conquistare una vittoria contro gli altri nobili così da guadagnarsi il favore dell'intera classe nobile; il barone di Chieuti pretendeva invece il corpo per dare un tocco di eleganza alla sua proprietà e per venerare lui personalmente il corpo del monaco; infine il marchese di Ramitelli esigeva il corpo in quanto fu trovato sui territori di sua proprietà. La decisione, alla fine della violenta discussione, fu presa: i nobili si accordarono affinché il corpo fosse posizionato all'interno di un carro: lo stesso carro sarebbe stato trainato da due buoi per un tratto e da altri due buoi per un altro tratto, a partire dal luogo del ritrovamento. Si sarebbe accaparrato il corpo del monaco il nobile proprietario del territorio in cui si sarebbe fermato il carro. Così come d'accordo, venne posizionato il corpo sul carro, per poi essere trainato da buoi a partire dal luogo del ritrovamento: così come prevedeva lo stesso accordo, trascorso il tratto prestabilito, venne effettuato il cambio dei buoi. I buoi trainarono così il carro con il corpo del monaco nel territorio di San Martino, proprio nel luogo in cui ora è posta la Chiesa del Paese molisano, luogo in cui ancora oggi sono conservate le reliquie. Il monaco, di cui mai si seppe il nome certo, fu proclamato Santo e canonizzato come San Leo. Con il passare del tempo, si venne a creare un crescere di pellegrinaggi finalizzati alla venerazione del monaco, ora Santo. I pellegrinaggi, rigorosamente realizzati con i carri trainati da buoi, portarono a creare delle piccole corse per chi per primo sarebbe arrivato alla Chiesa in cui era conservato il corpo del Santo. Da qui iniziarono ad organizzarsi vere e proprie corse in partenza dal luogo del ritrovamento ed aventi per traguardo la chiesa stessa in cui è il Santo, percorso ancora oggi valido e che in più prevede il cambio dei buoi, così come avevano previsto i quattro nobili. Ancora oggi, la tradizione continua con lo stesso vigore e la stessa passione dei tempi antichi fino a causare una vera e propria attesa per questa corsa che si svolge ogni anno il 30 aprile, prima della festa del patrono San Leo, che si celebra il 2 maggio. La Carrese ha sempre un fascino particolare e crea un'atmosfera unica nel paese di San Martino in Pensilis, oltre allo spettacolo del cambio dei buoi e durante il percorso: spettacolo generato dal fatto che ci si trovi di fronte a carri trainati da buoi. Per venti minuti, non esistono legami familiari o affettivi, ma conta solo la bandiera dei carri, che oggi sono tre (Carro dei Giovani, Carro dei Giovanotti, Carro dei Giovanissimi). Al termine della corsa il sindaco, proclama il vincitore dal balcone della piazza in cui è situato il municipio cittadino. Vince chi per primo inforca l'arco che conduce al piazzale antistante la Chiesa di San Pietro Apostolo, dove sono conservate le Sante reliquie di Leone, patrono di San Martino. Il carro vincitore ha l'onore di portare durante la processione il busto argenteo di San Leo, patrono di San Martino.
Testo della carrese di S. Martino in Pensilis
Me vuoglie fa la Croce, Patr’e Figlie,
La leggenda
La leggenda è molto contrastante nel decorso degli eventi, ma giunge ad una conclusione comune. Quattro ricchi nobili (tra cui il conte di San Martino, il barone di Chieuti, il duca di Larino ed il marchese di Ramitelli) si incamminarono per un battuta di caccia. Vista però una sorgente d'acqua, ben pensarono di abbeverarsi ad essa. Lasciarono così i loro cavalli legati ad una quercia nelle cui vicinanze era posto un masso di enormi dimensioni, sopra il quale lasciarono i loro archi e le loro frecce. Uno dei loro cavalli, però, spostò il grosso masso ed al loro ritorno i nobili trovarono il corpo di un monaco il quale deteneva un medaglione su cui era impresso Leone (ma non è certo se questo fosse il suo nome).Tale monaco benedettino Leone compiva numerosi miracoli, molto noto nelle zone di Guglionesi, Larino, Chieuti, Ramitelli ed ovviamente San Martino. La regola della sua vita era quella latina dell'"ora et labora". I nobili, visto quanto accaduto, vollero appropriarsi delle reliquie del corpo, ma non giunsero ad una soluzione in quanto ognuno di loro voleva detenere per sé lo stesso corpo. Di qui ebbe inizio una violenta discussione tra i nobili, per stabilire chi dovesse appropriarsi del corpo del monaco: il conte di San Martino, infatti, aveva da parte sua la certezza che dovesse essere lui ad avere il corpo in quanto lo stesso era stato scoperto dal suo cavallo; il duca di Larino, invece, non voleva perder l'occasione di conquistare una vittoria contro gli altri nobili così da guadagnarsi il favore dell'intera classe nobile; il barone di Chieuti pretendeva invece il corpo per dare un tocco di eleganza alla sua proprietà e per venerare lui personalmente il corpo del monaco; infine il marchese di Ramitelli esigeva il corpo in quanto fu trovato sui territori di sua proprietà. La decisione, alla fine della violenta discussione, fu presa: i nobili si accordarono affinché il corpo fosse posizionato all'interno di un carro: lo stesso carro sarebbe stato trainato da due buoi per un tratto e da altri due buoi per un altro tratto, a partire dal luogo del ritrovamento. Si sarebbe accaparrato il corpo del monaco il nobile proprietario del territorio in cui si sarebbe fermato il carro. Così come d'accordo, venne posizionato il corpo sul carro, per poi essere trainato da buoi a partire dal luogo del ritrovamento: così come prevedeva lo stesso accordo, trascorso il tratto prestabilito, venne effettuato il cambio dei buoi. I buoi trainarono così il carro con il corpo del monaco nel territorio di San Martino, proprio nel luogo in cui ora è posta la Chiesa del Paese molisano, luogo in cui ancora oggi sono conservate le reliquie. Il monaco, di cui mai si seppe il nome certo, fu proclamato Santo e canonizzato come San Leo. Con il passare del tempo, si venne a creare un crescere di pellegrinaggi finalizzati alla venerazione del monaco, ora Santo. I pellegrinaggi, rigorosamente realizzati con i carri trainati da buoi, portarono a creare delle piccole corse per chi per primo sarebbe arrivato alla Chiesa in cui era conservato il corpo del Santo. Da qui iniziarono ad organizzarsi vere e proprie corse in partenza dal luogo del ritrovamento ed aventi per traguardo la chiesa stessa in cui è il Santo, percorso ancora oggi valido e che in più prevede il cambio dei buoi, così come avevano previsto i quattro nobili. Ancora oggi, la tradizione continua con lo stesso vigore e la stessa passione dei tempi antichi fino a causare una vera e propria attesa per questa corsa che si svolge ogni anno il 30 aprile, prima della festa del patrono San Leo, che si celebra il 2 maggio. La Carrese ha sempre un fascino particolare e crea un'atmosfera unica nel paese di San Martino in Pensilis, oltre allo spettacolo del cambio dei buoi e durante il percorso: spettacolo generato dal fatto che ci si trovi di fronte a carri trainati da buoi. Per venti minuti, non esistono legami familiari o affettivi, ma conta solo la bandiera dei carri, che oggi sono tre (Carro dei Giovani, Carro dei Giovanotti, Carro dei Giovanissimi). Al termine della corsa il sindaco, proclama il vincitore dal balcone della piazza in cui è situato il municipio cittadino. Vince chi per primo inforca l'arco che conduce al piazzale antistante la Chiesa di San Pietro Apostolo, dove sono conservate le Sante reliquie di Leone, patrono di San Martino. Il carro vincitore ha l'onore di portare durante la processione il busto argenteo di San Leo, patrono di San Martino.
Testo della carrese di S. Martino in Pensilis
Me vuoglie fa la Croce, Patr’e Figlie,
Percuò che lamia ménte nen ze sbaglie.
A Ppremmavére ce rennov’u munne,
A Ppremmavére ce rennov’u munne,
De sciure ce revèste la cambagne;
L’àrbere ce recrop’’a stéssa fronne,
L’àrbere ce recrop’’a stéssa fronne,
L’avecièlle tra lor gran fèsta fanne!
Cchiès’adorat’ e scala triumbante
Cchiès’adorat’ e scala triumbante
D’avolie sonne fatte li tò mure;
Nguésta Cchièse ce stà ‘nu Corpe Sante
Nguésta Cchièse ce stà ‘nu Corpe Sante
E pe nnome ce chiame Sante Lione!
Anne, Madonna mi’ de lu Saccione,
Anne, Madonna mi’ de lu Saccione,
E Sande Léie de Sande Martine,
E Sant’Adame ch’è lu cumpagnone
E Sant’Adame ch’è lu cumpagnone
E sande Vàsel’ accant’ a la Marine!
Me vuoglie fa’ ‘na vèsta pellegrine
Me vuoglie fa’ ‘na vèsta pellegrine
E vuoglie ì addo’ sponte lu sole;
A llà ce staie ‘na conca marine
A llà ce staie ‘na conca marine
Addò ce battezzaie nostro Segnore,
E la Madonne lu tenéve nzine
E la Madonne lu tenéve nzine
E San Geuanne che lu battezzave!
E nu’ laudam’ a tté, Matra Mariie
E nu’ laudam’ a tté, Matra Mariie
Tu sol’ a pù pertà ‘a palm’ a mmane;
E nuie Lu pregame tutte quante
E nuie Lu pregame tutte quante
Ddì ce ne scambe da tembèst e llampe;
E nuie Lu pregame ndenucchiune
E nuie Lu pregame ndenucchiune
Scàmbece da tembèste e terramute;
E nuie Lu pregame e nzéme dégne
E nuie Lu pregame e nzéme dégne
Purta’ la palm e la ndurata nzégne!
A ndò ce v’ a scarcà lui vérde làure?
A ndò ce v’ a scarcà lui vérde làure?
A Ssante Piètre le Cchièse de Rome!
Nu’ veléme laudà quistu gran Sante
Nu’ veléme laudà quistu gran Sante
Fa menì ‘n zalvamènt’ a tutte quante!
Tòcca, carrier’ e ttòcche’ssu temone
Tòcca, carrier’ e ttòcche’ssu temone
Tocca lu carre de Sande Lione
Il mio cane: Leone
Da piccolo, quando vivevo ancora a San Martino in Pensilis, avevo “adottato” un cane randagio, che non condivideva molto la “civiltà automobilistica”. Era un “bastardo”, un “incrocio” tra un cane volpino e un “segugio”. Volpino, perché assomigliava ad una volpe e segugio perché rincorreva le automobili e soprattutto le motociclette e le vespe. Un giorno finì sotto un camion. Fu salvato solo dal mio potente amore. Lo curai per giorni e giorni, finché non riprese tutte le sue forze. Poco dopo, venne investito da una vespa e rimase con la zampa sinistra offesa. Non era un cane. Era una persona. Capiva tutto e amava la libertà, dormiva nel mio giardino e non amava molto i gatti. Il suo nome era LEONE.
Da piccolo, quando vivevo ancora a San Martino in Pensilis, avevo “adottato” un cane randagio, che non condivideva molto la “civiltà automobilistica”. Era un “bastardo”, un “incrocio” tra un cane volpino e un “segugio”. Volpino, perché assomigliava ad una volpe e segugio perché rincorreva le automobili e soprattutto le motociclette e le vespe. Un giorno finì sotto un camion. Fu salvato solo dal mio potente amore. Lo curai per giorni e giorni, finché non riprese tutte le sue forze. Poco dopo, venne investito da una vespa e rimase con la zampa sinistra offesa. Non era un cane. Era una persona. Capiva tutto e amava la libertà, dormiva nel mio giardino e non amava molto i gatti. Il suo nome era LEONE.
Chi ama i cani ama la gente. Chi ama Leone ama la vita.
RispondiEliminaLeone rappresenta la bontà nel mondo che va al di là del bene e del male.
RispondiElimina