2 giugno 2010

La relazione del Governatore esalta l'Italia

Mario Draghi: "considerazioni finali"
di Roberto Maurizio



Considerazioni finali del Palazzo Kock

Il 31 maggio scorso, come è ormai tradizione, si è svolta presso Palazzo Kock, sede storica dal 1893 della Banca d’Italia, l’Assemblea ordinaria dei partecipanti, durante la quale, il Governatore, Mario Draghi, ha letto le sue “Considerazioni finali” contenute in un documento di circa 20 cartelle. Molto spesso, il Governatore ha parlato “a braccio”. La “crisi – secondo il Governatore - ci ha ricordato in forma brutale l'importanza dell'azione comune, della condivisione di obiettivi, politiche, sacrifici. È una lezione che vale per il mondo, per l'Europa, per l'Italia. La riforma delle regole per la finanza trascende i confini nazionali, richiede un consenso fra numerose giurisdizioni. Ma non c'è alternativa: un’industria dei servizi finanziari integrata globalmente richiede una regolamentazione che, almeno nei suoi principi fondamentali, sia universale. La dura esperienza di questi anni non va dimenticata: rischi eccessivi impongono alla collettività prezzi altissimi. Rafforzare le difese del sistema è indispensabile, nei singoli paesi e a livello internazionale (...). (...) Non è la prima volta che l'Italia si trova di fronte a un'ardua sfida collettiva.

Una lotta lunga, ma vinta



“Nei quasi 150 anni della sua vita unitaria ne sono state affrontate, e vinte, diverse. Mi si permettano due esempi. La più grande sfida sul piano delle riforme strutturali fu affrontata quando l'Italia appena unita entrò nel consesso europeo con il 75 per cento di analfabeti (...). Governanti, amministratori, maestri, Nord e Sud, combatterono insieme la battaglia dell'alfabetizzazione. Alla fine ci portammo ai livelli europei. Fu questo uno dei fattori alla base del miracolo economico dell'ultimo dopoguerra. Nel 1992 affrontammo una crisi di bilancio ben più seria di quella che hanno oggi davanti alcuni paesi europei. Il Governo dell'epoca presentò un piano di rientro che, condiviso dal Paese, fu creduto dai mercati, senza alcun aiuto da istituzioni internazionali o da altri paesi. Fu una lotta lunga (...); ma fu vinta, perché i governi che seguirono mantennero la disciplina di bilancio: la stabilità era entrata nella cultura del Paese. Anche la sfida di oggi, coniugare la disciplina di bilancio con il ritorno alla crescita, si combatte facendo appello agli stessi valori che ci hanno permesso insieme di vincere le sfide del passato: capacità di fare, equità; desiderio di sapere, solidarietà. Consapevoli delle debolezze da superare, delle forze, ragguardevoli, che abbiamo, affrontiamola”. (…)

Lehman Brothers



“Un anno e mezzo fa il fallimento di Lehman Brothers apriva scenari gravi per la finanza e l’economia del mondo. L’azione di autorità monetarie e governi arginava il collasso della fiducia di operatori finanziari, risparmiatori, investitori, consumatori. Nell’insieme dei paesi del G7 il sostegno dei bilanci pubblici all’economia superava nel 2009 i 5 punti percentuali del PIL. I tassi reali d’interesse a breve termine divenivano negativi, le banche centrali fornivano liquidità in misura senza precedenti. Il prodotto si riduceva del 2,4 per cento negli Stati Uniti, del 4,1 nell’area dell’euro, del 5,0 in Italia; continuava a espandersi nelle economie emergenti, pur rallentando al 2,4 per cento”. “Per quest’anno le maggiori istituzioni internazionali prevedono una crescita del prodotto mondiale di oltre il 4 per cento. Si tratta però di una media fra tassi molto diversi: alti nelle economie emergenti, in primo luogo in Cina; significativi negli Stati Uniti e in Giappone; deboli in Europa, dove il livello del prodotto resta ancora ampiamente inferiore a quello pre-crisi. Disavanzi e debiti pubblici sono aumentati vistosamente. Al sollievo per la catastrofe evitata è subentrata nei mercati finanziari internazionali l’ansia improvvisa per la sostenibilità di debiti sovrani crescenti. Le vendite colpiscono titoli di Stati che hanno ampi deficit di bilancio o alti livelli di debito pubblico; soprattutto, quelli di paesi dove queste due caratteristiche si combinano con una bassa crescita economica. Quanto più questa è debole, tanto più esigente, pressante, è la richiesta degli investitori internazionali di un rapido rientro dagli squilibri nei conti pubblici.

La reazione dei giornali esteri

Sarà perché è "candidato putativo" alla presidenza della Banca centrale europea (Bce) o perché presiede il Financial Stability Board (Fsb), fatto sta che - secondo Les Echos - Mario Draghi ha preso una posizione “molto internazionale” nel suo discorso annuale. Il quotidiano economico francese mette l'accento sui messaggi di più vasto raggio presenti nella relazione di Draghi e titola: “La Banca d'Italia s'inquieta dei piani d'austerità”, al plurale. Il Governatore ha chiesto “sanzioni, anche politiche” contro i paesi che non rispettano le regole del gioco in Europa: “E’ urgente rafforzare il patto di stabilità e di crescita”. “Facendo implicitamente riferimento alla Grecia, ha chiesto ai Ventisette di garantire l'integrità delle informazioni statistiche specie sulla finanza pubblica”. Ha consigliato di “relativizzare” l'importanza del ruolo delle agenzie di rating nella credibilità degli Stati membri. E ha manifestato preoccupazione per il moltiplicarsi nell'eurozona di piani d'austerità, “percorsi difficili” che, se non coordinati a livello internazionale, “rischiano di spegnere la pur timida ripresa”. L'invito di Draghi alla Bce a cessare “al più presto”, non appena i mercati lo consentiranno, gli acquisti dei titoli del debito pubblico è inserito in un altro articolo di Les Echos («Trichet difende le misure eccezionali della Bce»): il Presidente della Bce Jean-Claude Trichet parla in un’intervista a Le Monde, “di fronte agli attacchi” dei suoi possibili successori, l'italiano Draghi e il tedesco Axel Weber. In chiave Bce anche Le Figaro, ma con una lettura pacificatoria: «I guardiani dell'euro vogliono fare dimenticare le loro divisioni». Sia Weber che Draghi, scrive Richard Heuzé, si sono espressi «a favore di una disciplina di bilancio rafforzata, dotata di sanzioni credibili, nel quadro di un patto di stabilità rinnovato». Trichet, che su Le Monde si dice favorevole a una "federazione budgetaria", secondo Heuzé ha senz'altro fatto piacere al capo della Bundesbank, Weber, il “falco” della Bce che vuole una disciplina di bilancio ferrea. Quanto a Draghi, ha spiegato che la decisione della Bce di acquistare bond «è stata presa perché l'eurozona era in pericolo», precisando che queste misure devono cessare appena possibile. «Candidato alla successione di Jean-Claude Trichet – continua Le Figaro - Draghi si dice favorevole all'austerità, in particolare in Italia, ma insiste sulla necessità di coordinare queste misure di uscita dalla crisi…» Il Financial Times guarda soprattutto ai messaggi di Draghi rivolti all'Italia. «La Banca d'Italia spinge per le riforme» è il titolo del quotidiano britannico. «La crisi greca potrebbe danneggiare le prospettive di crescita dell'Italia», ha detto il governatore, “sollecitando il governo ad attuare riforme strutturali”, si legge sul Ft. Draghi ha ammonito che la crisi rende ancora più urgenti le riforme strutturali. «L'esplosione della crisi greca potrebbe cambiare le previsioni», ha detto, ricordando che all'inizio del 2010 si stimava che l'economia italiana sarebbe tornata a una "modesta crescita" dopo la contrazione del 6,8% nel 2008-2009. Nel pezzo, firmato da Guy Dinmore e Giulia Segreti, il Ft precisa che Draghi non ha fatto nuove previsioni di crescita del Pil. Draghi ha dato «un'insolita attenzione alla corruzione», tema “particolarmente sensibile” per Berlusconi, scrive il quotidiano, ricordando le dimissioni del ministro per lo Sviluppo economico. Il pacchetto di austerità italiano, «descritto a grandi linee ma non ancora reso pubblico» – continua il Ft - «è stato ben accolto dalle istituzioni internazionali, ma con gli avvertimenti elencati da Draghi, in particolare la mancanza di misure strutturali e il rischio che una fragile ripresa sia ulteriormente indebolita». C'è l'appello di Draghi a lottare contro l'evasione fiscale e c'è l'espressione “macelleria sociale” che non era nel testo preparato. Le agenzie di rating, conclude il Ft, la scorsa settimana avevano espresso approvazione per i tagli programmati dall'Italia «e non hanno segnalato alcuna intenzione di declassare il paese nel prossimo futuro». Gli echi della relazione annuale di Draghi arrivano fino in California: il sito del San Francisco Chronicle è come sempre prodigo di lanci dell'agenzia Bloomberg: «Le banche affrontano ‘prolungate' condizioni di anomalia sui mercati». «I tagli italiani al deficit ‘dovevano essere fatti' ». «La Bce deve smettere ‘al più presto' di acquistare bond».

Contro la corruzione



Crisi, riforme e crescita. Sono queste le parole d'ordine contenute nelle considerazioni finali di Mario Draghi all'Assemblea annuale della Banca d'Italia. Nel suo discorso, il governatore ha puntato il dito contro la corruzione diffusa nelle amministrazioni pubbliche del nostro Paese che, ha denunciato il numero uno di Palazzo Koch, finisce per frenare lo sviluppo. Non solo: con la crisi «i costi dell'evasione fiscale e della corruzione divengono ancora più insopportabili»: l'evasione «è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga», mentre «relazioni corruttive tra soggetti privati e amministrazioni pubbliche, in alcuni casi favorite dalla criminalità organizzata, sono diffuse». Una situazione davvero allarmante, certificata dalle periodiche graduatorie internazionali che «collocano l'Italia in una posizione sempre più arretrata». La «sfida» dell'Italia per superare la crisi, secondo Draghi, è quella di «coniugare la disciplina di bilancio con il ritorno alla crescita». Con la certezza però che «dall'euro non si torna indietro». Quanto alla manovra varata dal governo, la Banca d'Italia la promuove, apprezzandone i tagli alla spesa. «Agire era inevitabile», ha spiegato Draghi, auspicando allo stesso tempo il completamento delle riforme di pensioni e lavoro, denunciando il disagio dei giovani. La Vigilanza di Bankitalia, ha chiesto infine il Governatore, deve avere più poteri per la rimozione di manager bancari scorretti. La manovra varata dal governo, con l'anticipo delle misure correttive per il 2011 e 2012 e i tagli alla spesa corrente, era «inevitabile», secondo Draghi, date le condizioni dei mercati. «Nelle nuove condizioni di mercato era inevitabile agire, anche se le restrizioni di bilancio incidono sulle prospettive di ripresa a breve dell'economia italiana» ha specificato il governatore, sottolineando la necessità «di un attento scrutinio degli effetti della manovra per garantire il conseguimento degli obiettivi». Per il numero uno di Bankitalia poi è «urgente» rafforzare il Patto di stabilità europeo, introducendo sanzioni anche politiche per i Paesi che non lo rispettano. Il Premier Silvio Berlusconi, attraverso una nota, ha fatto sapere di aver apprezzato «il riconoscimento che Mario Draghi ha dato all'azione di governo in termini di riduzione della spesa e lotta all'evasione fiscale, al fine del contenimento del deficit di bilancio». Quanto alla sfida lanciata dal Draghi di coniugare, attraverso riforme strutturali, risanamento dei conti e ritorno alla crescita, il presidente del Consiglio ha assicurato che si tratta di «un impegno che intendiamo proseguire sostenuti anche dallo stimolo della Banca d'Italia. Concordo con Draghi: il Paese ha forze sane e sufficienti per vincere la sfida». Nel suo discorso, il governatore Draghi ha più volte ribadito la necessità di riforme strutturali, prima fra tutte quella del mercato del lavoro che favorirebbe i giovani. «In molte altre occasioni - ha detto il numero uno di Bankitalia -, abbiamo affrontato il tema delle riforme strutturali. La crisi le rende ancora più urgenti» è il monito del governatore. «La crisi - ha aggiunto - ha acuito il disagio dei giovani nel mercato del lavoro». Per questo la «riforma del mercato del lavoro va completata, superando le segmentazioni e stimolando la partecipazione». «Una ripresa lenta accresce la probabilità di una disoccupazione persistente - è l'avvertimento di Draghi -. Questa condizione, specie se vissuta nelle fasi iniziali della carriera lavorativa, tende ad associarsi a retribuzioni successive permanentemente più basse».

Evasione fiscale: macelleria sociale

Altro argomento caro al governatore della Banca d'Italia la lotta all'evasione. Secondo Draghi, le misure avviate dal governo devono necessariamente «consentire» la riduzione «delle aliquote. Il nesso fra le due azioni va reso visibile ai contribuenti» è l'opinione del governatore. Duro l'attacco agli evasori fiscali: «Macelleria sociale - ha detto Draghi - è una espressione rozza ma efficace: io credo che gli evasori fiscali siano i primi responsabili della macelleria sociale».

Iva

«Se l'Iva fosse stata pagata il nostro rapporto tra il debito e il Pil sarebbe tra i più bassi dell'Unione Europea» ha detto durante il suo intervento all'assemblea di Bankitalia il governatore. Draghi ha spiegato infatti che «tra il 2005 e il 2008 il 30% della base imponibile dell'iva è stato evaso: in termini di gettito sono oltre 30 miliardi l'anno, 2 punti di Pil».

Via i manager scorretti

Dal numero uno di Palazzo Koch, infine, è arrivata una richiesta precisa in merito a banche e manager scorretti. La Banca d'Italia, è l'appello dei governatori, abbiano più poteri per rimuovere dalle banche, come avviene in altri Paesi e come consiglia il Comitato dei supervisori europei (Cebs), «i responsabili di gestioni scorrette o altamente rischiose prima che la situazione sia gravemente deteriorata e si debbano perciò attivare provvedimenti di rigore». Draghi ha sottolineato a tal riguardo l'azione massiccia della Vigilanza: nel 2009 le ispezioni a banche e intermediari sono state più di duecento. Inoltre, in un passaggio aggiunto a braccio alle sue considerazioni finali, Draghi ha parlato del ruolo delle Fondazioni come azionisti delle banche. «Non credo - ha voluto specificare il governatore - che sia interesse di nessuno, nemmeno delle Fondazioni, tornare agli anni '70-'80 quando la maggioranza di turno nominava gli amministratori delle banche e suggeriva anche i clienti privilegiati».

Reazioni dell'opposizione e della Confindustria



Anche il Pd, come governo e maggioranza, plaude all'intervento del governatore Draghi. «Dalla relazione - ha detto Pierluigi Bersani - sono venute parole preoccupate e veritiere sulla situazione italiana. Un intervento che ha parlato di sforzo coerente ed unitario, di crescita, di riforme. È un terreno ben più alto - ha aggiunto però il segretario dei democratici attaccando l'esecutivo - di quello che ci propone la manovra, una manovra che, al di là della sua inevitabilità, emerge dalla relazione come contraria alla ripresa, inconsistente dal lato delle riforme e aleatoria dal punto di vista delle prospettive di controllo della spesa». «Condivido la relazione di Draghi, sono le stesse nostre tesi» ha commentato dal canto suo la leader di Confindustria, Emma Marcegaglia. «Bisogna ridurre la spesa e questa manovra lo fa - ha proseguito - e coniugare questo con la crescita della competitività. L'Italia ha questo problema da anni».

Flavio Tosi



Il richiamo del Governatore della Banca d’Italia a banche, politica e fondazioni, non è piaciuto a Flavio Tosi. Il sindaco leghista di Verona ha interpretato le parole del governatore come un attacco alla Lega ed ha risposto con cannonate degne dei suoi inizi di militante duro. Più che bacchettare la politica, ha detto Tosi, «Draghi pensi al suo stipendio d’oro. E ci dica dov’era la Banca d’Italia quando sono scoppiati certi scandali». Quel passaggio aggiunto a braccio dal Governatore davanti al gotha della finanza e delle istituzioni riunito a Palazzo Koch non è piaciuto alla Lega: «Io non credo sia interesse di nessuno, nemmeno delle fondazioni, tornare agli anni 70-80 quando la maggioranza di turno nominava gli amministratori delle banche e suggeriva anche i clienti privilegiati». Il ruolo delle fondazioni come azionisti degli istituti «non può che essere quello stabilito dalla legge: investitori il cui unico obiettivo sta nel valore economico dell’investimento. Saranno le fondazioni, nella loro autonomia, le prime a tutelare l’indipendenza del management». Draghi ovviamente non ha fatto riferimenti espliciti, ma il pensiero di tutti è corso alle vicende che hanno dominato le cronache finanziarie negli ultimi tempi: l’interventismo del sindaco (Pd) di Torino Sergio Chiamparino sulle nomine per Intesa Sanpaolo e l’attivismo leghista sulla partita Unicredit, soprattutto in terra veneta. Una escalation che va dalle famose dichiarazioni del leader Bossi («Ci prenderemo le banche del Nord») a quelle del governatore Luca Zaia e dello stesso Tosi in occasione del progetto di banca unica Unicredit e sul futuro del suo primo azionista italiano, la Fondazione Cariverona. Il sindaco non ha fatto mistero di voler lavorare per un nuovo presidente a lui (e alla Lega) gradito. Che potrebbe non essere più Paolo Biasi, timoniere da un ventennio. Tosi, dopo aver letto le agenzie che riportano il discorso di Draghi, reagisce male: «In passato - è il suo esordio - abbiamo visto che molti clienti privilegiati sono stati scelti non dalla politica, ma dagli stessi banchieri che si facevano gli affaracci loro. Alle fondazioni, che sono nate perché ci fosse una separazione tra azionisti e banche, è stata attribuita la missione di dare risposte al territorio. Altrimenti che cosa ci stanno a fare gli enti locali dentro i loro organi elettivi? Forse il governatore non conosce queste regole? Draghi o ci è o ci fa. E siccome non ci è, perché è tutto fuorché stupido, allora ci fa». Tanto per non essere equivocato, il leghista ha insistito: «Penso che certe affermazioni siano in malafede. Il governatore dovrebbe piuttosto dirci: dov’era la Banca d’Italia quando sono scoppiati gli scandali finanziari recenti, cos’ha fatto la Vigilanza per evitare che alcuni personaggi saccheggiassero il denaro dei risparmiatori?» Tosi se l’è presa ancora di più con chi ha applaudito convinto il governatore: «Si vergognino i banchieri che gli fanno il coretto. Questi vogliono scippare le fondazioni al territorio ». Quanto al rapporto tra partiti e istituti di credito, «ho sempre la stessa posizione: a me non interessano le nomine, non mi interessa chi sia il banchiere ma cosa faccia al servizio delle città e delle imprese. Perché io, a queste realtà, devo rispondere».

L’analisi sui Bric (Brasile, Russia, India e Cina)



La monumentale Relazione annuale della Banca d’Italia, tra le tantissime altre cose, tra centinaia e centinaia di grafici e tabelle, si sofferma sui movimenti che hanno caratterizzato le economie di recente sviluppo, i cosiddetti Bric e prende in esame, in ordine, le performances della Cina, dell’India, del Brasile e della Russia.

Cina



Nel 2009, in Cina, l’attività economica ha continuato a espandersi a ritmi assai robusti (8,7 per cento), sebbene inferiori a quelli medi del decennio (10,3). Dopo il rallentamento registrato sul finire del 2008, già a partire dalla primavera l’economia ha ripreso vigore grazie al forte impulso fiscale e monetario. Nella media dell’anno il contributo dell’interscambio commerciale è risultato negativo per la prima volta dal 1995 (-4,1 punti percentuali di Pil). Gli investimenti, invece, hanno continuato a fornire il principale sostegno alla crescita (8,2 punti), anche per effetto del piano pubblico di grandi opere infrastrutturali. I consumi sono cresciuti del 9,3 per cento, un tasso superiore alla media del decennio, sostenuti dagli incentivi pubblici all’acquisto di beni durevoli, nonché da misure di sostegno al reddito. Particolare impulso hanno avuto le vendite di automobili, cresciute del 60 per cento (25 nel 2008). La rapida espansione dell’economia cinese nell’ultimo decennio ha tratto alimento soprattutto dall’accumulazione di capitale e dalle esportazioni. Nel 2008 la quota dei consumi in rapporto al PIL superava di poco il 35 per cento, circa 10 punti percentuali in meno rispetto al 2000. Questa tendenza deriva, da un lato, dal peso decrescente del reddito disponibile delle famiglie sul prodotto (sceso al 59 per cento nel 2007, dal 64 nel 2000) e, dall’altro, dal valore elevato e crescente del loro risparmio (salito al 22,2 per cento del PIL, dal 17,5 nel 2000). Secondo l’indagine sulle famiglie condotta annualmente dall’Istituto di Statistica cinese, nell’ultimo decennio, a fronte di una stabilizzazione della propensione al risparmio nelle aree rurali (attorno al 23 per cento in rapporto al reddito disponibile), quella delle famiglie urbane (che rappresentano attualmente il 46 per cento della popolazione, dal 36 nel 2000) è salita di 10 punti percentuali (al 28 per cento nel 2008). L’ulteriore aumento del saggio di risparmio delle famiglie, che nell’indagine risulta anche sottostimato rispetto ai dati di contabilità nazionale, trae origine da diversi fattori. Nelle aree urbane il reddito disponibile in termini reali è raddoppiato nell’arco del decennio, consentendo l’accantonamento di maggiori risorse, soprattutto nelle fasce più ricche della popolazione. È cresciuta, inoltre, la quota di popolazione in età da lavoro (73 per cento nel 2008, dal 70 nel 2000). In prospettiva, a meno di interventi correttivi da parte delle autorità di governo, la carenza di servizi pubblici e di una rete di protezione sociale adeguata tenderà a mantenere elevato il saggio di risparmio delle famiglie. Le famiglie urbane, il cui numero continuerà ad aumentare, si trovano infatti nella condizione di dover accantonare fondi in previsione dei costi crescenti per l’abitazione, l’istruzione, l’assicurazione sanitaria e la copertura pensionistica. Solo una più incisiva politica di spesa sociale (attualmente appena il 5 per cento del PIL) e lo sviluppo di mercati finanziari e assicurativi potranno creare le condizioni per un calo del saggio di risparmio. L’andamento dei prezzi al consumo ha riflesso l’evoluzione dei corsi internazionali delle materie prime energetiche e alimentari. Nella media dell’anno, la flessione è stata dello 0,7 per cento rispetto all’anno precedente, quando erano saliti del 5,9. La ripresa
dei prezzi nella parte finale del 2009 e nei primi mesi di quest’anno è stata dovuta soprattutto ai rincari dei prodotti alimentari. L’inflazione di fondo è tornata positiva (0,7 per cento in aprile). Il credito, diversamente da quanto è avvenuto negli altri paesi emergenti (cfr. il capitolo 2: I mercati finanziari e valutari), ha registrato una netta accelerazione. Le grandi banche, ancora sottoposte al controllo statale, sono state chiamate a espandere il credito per finanziare gli investimenti infrastrutturali previsti dal piano di stimolo fiscale. Nel 2009 l’ammontare di prestiti concessi dalle banche è salito del 31,7 per cento, portando
lo stock totale al 127 per cento del PIL. La disponibilità di fondi a basso costo si è riversata in larga misura anche sul mercato immobiliare, alimentando un forte rialzo dei prezzi delle abitazioni. I prezzi degli immobili residenziali privati hanno subito un’impennata del 23 per cento rispetto all’anno precedente (media delle principali città); a Shanghai l’aumento ha superato il 50 per cento. Il forte rialzo ha destato preoccupazione nelle autorità, che dalla scorsa estate hanno introdotto una serie di misure, tra cui l’eliminazione di alcune agevolazioni fiscali sulle transazioni e l’imposizione di limiti più stringenti per la concessione di prestiti al settore. Un brusco ribasso dei valori immobiliari avrebbe effetti negativi sia sui bilanci delle banche, fortemente esposte verso questo segmento, sia su quelli delle amministrazioni locali, per le quali i ricavi dalle vendite di aree edificabili costituiscono la principale fonte di finanziamento. Dalla scorsa estate la Banca centrale cinese ha abbandonato l’orientamento espansivo della politica monetaria, dapprima imponendo linee guida più stringenti per la concessione dei prestiti da parte degli istituti di credito, poi intensificando l’azione di sterilizzazione delle riserve valutarie e, quindi, all’inizio dell’anno in corso, innalzando ripetutamente il coefficiente di riserva obbligatoria sui depositi bancari, per un totale di 1,5 punti percentuali, fino al 16,5 per cento per le grandi banche. Lo scorso anno il deficit del settore pubblico allargato si è collocato al 3,0 per cento del PIL, a fronte di un sostanziale pareggio negli anni passati. In base al piano di bilancio recentemente approvato, che prevede un riequilibrio della spesa pubblica a favore di un maggior sostegno ai consumi e al reddito delle famiglie, il disavanzo dovrebbe mantenersi attorno al 3,0 per cento anche nell’anno in corso. Nel primo trimestre 2010 la crescita del PIL è salita all’11,9 per cento, rispetto allo stesso periodo del 2009, tornando sui ritmi del 2007. Il contributo fornito dai consumi è stato assai rilevante (6,2 punti percentuali), anche se ancora leggermente inferiore a quello degli investimenti (6,9 punti). Si è ridotto il contributo negativo del settore estero (-1,2 punti), grazie al graduale recupero delle esportazioni.

India



Nel 2009, in India, il Pil è cresciuto del 6,4 per cento, un punto in meno rispetto al 2008. Il rallentamento si è concentrato nel primo trimestre e ha riguardato in modo particolare il settore manifatturiero e quello dei servizi legati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, più esposti all’andamento della domanda estera. Dal secondo trimestre dello scorso anno l’economia ha nettamente accelerato, trainata dal piano governativo di espansione delle infrastrutture. La spesa delle famiglie e gli investimenti delle imprese sono tornati a rafforzarsi, segnando, rispettivamente, un aumento del 3,9 e del 5,8 per cento nel complesso del 2009. L’inflazione al consumo è salita al 10,9 per cento nella media del 2009 (dall’8,4 nell’anno precedente); nel gennaio di quest’anno ha raggiunto un picco del 16,1 per cento, in parte dovuto al forte rincaro dei prodotti alimentari. Sebbene l’agricoltura in India rappresenti solo il 17 per cento del valore aggiunto, più di metà della popolazione è occupata in questo settore. Nel 2009 la grave siccità che ha colpito larga parte degli Stati indiani ha determinato un’accentuata riduzione della produzione agricola, in particolare quella di cereali, innescando sensibili aumenti delle quotazioni di questi prodotti. Ne ha risentito il reddito reale disponibile delle famiglie, sia per la contrazione dei salari agricoli, sia per i marcati rincari dei generi alimentari. Dal quarto trimestre 2009, la Banca centrale ha modificato l’intonazione espansiva della politica monetaria. Sono stati dapprima resi più stringenti i vincoli di portafoglio gravanti sulle banche e poi, nei primi mesi del 2010, sono stati ripetutamente aumentati i tassi ufficiali (per complessivi 50 punti base) e il coefficiente di riserva obbligatoria (per 100 punti base). Nel 2009 la politica fiscale è stata improntata al sostegno della domanda, attraverso l’aumento della spesa in infrastrutture, la riduzione delle imposte indirette e altre misure di supporto alle fasce più disagiate della popolazione residenti nelle aree rurali. Il disavanzo consolidato del settore pubblico si è così ampliato, al 10,5 per cento del PIL dal 7,9 nell’anno precedente; il debito pubblico ha raggiunto il 73,2 per cento del PIL, un valore elevato nel confronto con gli altri principali paesi emergenti. Il National Rural Employment Guarantee Act, adottato nel 2005, prevede il diritto a un’occupazione garantita per i lavoratori delle aree rurali, per almeno cento giorni l’anno allocati per ciascuna famiglia, a un salario prestabilito (di circa un euro al giorno), per lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, stabiliti dalle amministrazioni locali. Nell’esercizio conclusosi lo scorso marzo vi hanno aderito oltre 40 milioni di famiglie, per uno stanziamento statale complessivo pari allo 0,6 per cento del PIL.

Brasile



Dopo cinque anni di crescita sostenuta, l’economia brasiliana ha subito una recessione, che tuttavia è stata breve e poco profonda. Nel 2009 il PIL è diminuito dello 0,2 per cento; mentre gli investimenti sono scesi del 10 per cento in risposta al calo della domanda internazionale e al temporaneo deflusso di capitali esteri, i consumi hanno continuato a crescere (4 per cento) sospinti dalle misure di sostegno pubblico. Nel primo trimestre 2010 la crescita del PIL è salita all’11,9 per cento, rispetto allo stesso periodo del 2009, tornando sui ritmi del 2007. Il contributo fornito dai consumi è stato assai rilevante (6,2 punti percentuali), anche se ancora leggermente inferiore a quello degli investimenti (6,9 punti). Si è ridotto il contributo negativo del settore estero (-1,2 punti), grazie al graduale recupero delle esportazioni. Il Brasile è caratterizzato da un tasso di crescita potenziale assai contenuto, pari ad appena il 4,5 per cento secondo le stime dell’OCSE, un valore significativamente inferiore a quello di altre importanti economie emergenti, soprattutto asiatiche, e da un basso livello di risparmio privato (18 per cento del PIL nella media dell’ultimo quinquennio, a fronte del 34 in India e del 43 in Cina). Mentre nella prima parte del 2009 la Banca centrale aveva rapidamente ridotto il tasso di riferimento della politica monetaria, per complessivi 5 punti percentuali fino all’8,75 per cento in luglio (il livello più basso dal 1996), successivamente la politica monetaria ha cambiato intonazione. All’inizio del 2010 il coefficiente di riserva obbligatoria è stato innalzato, come pure, alla fine di aprile, il tasso di interesse di riferimento (0,75 punti percentuali).

Russia



L’economia russa è stata duramente colpita dalla crisi globale. Nel 2009 il PIL si è contratto del 7,9 per cento, contro una crescita media del 7 nel quinquennio precedente. Il crollo dei ricavi dalle esportazioni petrolifere nella fase più acuta della crisi ha bruscamente ridotto la principale fonte di introiti per il settore pubblico. L’arresto del finanziamento estero al settore bancario privato ha contribuito alla rapida contrazione del credito e degli investimenti delle imprese. Gli investimenti sono diminuiti del 18,2 per cento e i consumi privati del 5,4, risentendo del forte deterioramento del mercato del lavoro, che ha visto il tasso di disoccupazione salire all’8,5 per cento (dal 6,4 nel 2008). Le pressioni inflazionistiche si sono ridotte: l’aumento dei prezzi al consumo è sceso fino al 6,4 per cento lo scorso marzo, da quasi il 14 all’inizio del 2009. Timidi segnali di ripresa dell’attività economica sono emersi solo nello scorcio dell’anno, in risposta al rafforzamento delle quotazioni energetiche e al miglioramento delle condizioni finanziarie. La grave crisi di liquidità innescata dal brusco deflusso di capitali, tra ottobre 2008 e febbraio 2009, ha indotto la Banca centrale a iniettare ingenti quantità di moneta nel sistema. In presenza di una domanda che permaneva debole e di una chiara riduzione delle pressioni inflazionistiche, il tasso di interesse di riferimento è stato ridotto dal 13 fino all’8 per cento nei dodici mesi terminanti lo scorso aprile. Il crollo delle entrate tributarie e le misure di stimolo della domanda hanno dato luogo a un disavanzo pubblico pari al 6,2 per cento del PIL, dopo i cospicui avanzi registrati negli anni precedenti.

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