Intervista al Presidente Giulio Andreotti
A cura di Roberto Maurizio
Intervistare il Presidente Giulio Andreotti è come trovarsi davanti una torta gigante e non sapere da dove cominciare. La notte prima dell’intervista, rileggi mille volte le domande, le cambi, le risistemi, ma non ti piacciono. Poi parti. Una macchinetta fotografica, un telecamera digitale, un block notes e una penna. Poi, di nuovo, l’ansia: stai interrogando la storia.
L’appuntamento è alle ore 15.00, venerdì 9 giugno 2006, Corso Rinascimento, presso lo studio privato, al Senato. Niente anticamera. Subito al sodo. Gli argomenti, al di sopra delle righe: Mediterraneo, Medio Oriente, Iraq, Iran, Somalia, Darfur, Africa sub sahariana, conflitti religiosi, trialogo tra cristiani, ebrei e musulmani, rifugiati palestinesi. Un po’ troppa carne al fuoco. Quarantatre minuti di intervista, 15 giga byte di filmato, 4.500 parole. Sette giorni per sbobinare, due per capire, un anno e mezzo per una versione decente, ancora non definitiva.
In ogni risposta, scattano i riferimenti storici, vissuti in prima persona. L’ intonazione leggera e cadenzata della voce cambia di intensità solo quando si toccano problemi scottanti, mentre la gesticolazione, studiata nei minimi dettagli, e lo sguardo fisso e intenso restano inalterati, come tante pietre conficcate nella roccia compatta e taciturna. Così, i minuti diventano secondi.
Il tempo passa in fretta , mentre si affrontano le varie tematiche. Un problema viene agganciato ad un altro che si accavalla con un altro ancora che poi si ricongiunge, per allontanarsi di nuovo in un secondo momento. Una continua altalena che si intreccia con situazioni particolari e personaggi che hanno fatto la storia o che continuano ad essere al centro degli interessi internazionali: da Mahmud Ahmadinejad a Hamas, ai rifugiati palestinesi in Libano. Poi, Teodor Hertz e i Congressi sionisti. Dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati palestinesi al Vaticano. Da Mogadiscio a Il Cairo. E poi: Gamal Abdel Nasser, Josip Broz Tito, Yasser Arafat. Un salto in Algeria: il Presidente Abdelaziz Bouteflika e la Signora Boumedienne. Sant’Agostino e Papa Benedetto XVI. La Lega Araba e l’Unione Africana. Gli Orazi e Curiazi di Hafez al-Assad padre, e, infine Guido Carli e Erasmus da Rotterdam. Un bel cast, non c’è che dire. L’intervista, concessa alla rivista “Il Raggio”, viene qui riproposta (riveduta, corretta e corredata da nuove foto) perché piena di significati e riferimenti utili per contribuire a formarsi un’opinione del passato e del presente. Il futuro, secondo Andreotti, è nelle mani delle nuove giovani generazioni che dovranno guidare i cambiamenti e le trasformazioni passo dopo passo, seme dopo seme.
Il Mediterraneo e il Medio Oriente sono da molto tempo aree instabili. Oggi, la situazione di crisi sta allargando se, a queste aree, aggiungiamo l’Iraq, l’Iran, la Somalia e il Darfur. Lei, come profondo conoscitore dell’area, più volte coinvolto in prima persona in situazioni difficili, molto apprezzato in tutte le capitali del Medio Oriente, come vede il futuro di questa cruciale parte del mondo?
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Ritengo che i vari argomenti di contrasto vadano affrontati separatamente. Prendiamone uno tra i più acuti: i rifugiati palestinesi in Libano. Da più di mezzo secolo, uomini, donne e bambini, non amati dai libanesi, aspettano una risposta alle loro richieste di poter vivere dignitosamente. Cosa fare? In primo luogo, non si può risolvere il problema di questi rifugiati facendo ricorso alla soluzione avanzata all’inizio della storia del movimento sionista da Teodor Herzl, cioè quella di creare un insediamento ebraico in Uganda. Questa ipotesi di Hertz sottoposta al Sesto Congresso sionista venne accantonata e respinta, solo dopo la sua morte, dal Settimo Congresso. Forse, li ci fu la spinta degli inglesi che non volevano perdere la loro presenza in Palestina. Comunque, morto Herzl, non se n'è più parlato. Iniziarono a prevalere gli interessi verso la Palestina: acquisto di terreni, espatri clandestini, ecc.. Quindi, non si può indicare sulla cartina geografica un posto al mondo, come l'Oceania o l'Africa, e spedirci tutti i rifugiati palestinesi.
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Credo che la risposta giusta debba provenire da un forte intervento da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite attraverso la sua Agenzia specializzata per i Rifugiati Palestinesi in Medio Oriente (Unrwa). Un organismo specializzato dell’Onu non può limitarsi ad offrire solo sussidi alimentari.
Per quanto riguarda l’altra parte della domanda in cui è stato sollevato il caso della Somalia, uno tra i paesi più complicati del mondo, desidero solo ricordare: i legami che storicamente ci uniscono a questo paese del Corno d’Africa; l’errore dell’unificazione tra la Somalia inglese e la Somalia italiana; l’analisi americana non approfondita sulle differenze tra Somalia e Etiopia; e, infine, il grande lavoro svolto dalla nostra cooperazione a favore di Mogadiscio in campo giuridico e soprattutto con l’istituzione dell’università che funzionava veramente bene. Adesso le ultimissime battute non le conosco, ma il disordine esistente, non può far altro che rammaricarmi.
Guerra in Somalia
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L’”equivicinanza” con gli arabi, Le ha permesso di conoscere personalmente molti leader di quest’area. Con chi si è sentito più in sintonia?
Gamal Abdel Nasser
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Josip Broz Tito
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Certo il Presidente Bouteflika è un interlocutore valido anche perché ha avuto un'esperienza personale di Nazione Unite che gli ha dato un metodo d'approccio che gli ha permesso di raggiungere risultati positivi in campo politico. L'Algeria prima era al centro della cronaca quotidiana per tutto quello che accadeva. Oggi, grazie a Bouteflika, una parte notevole questa situazione è stata superata. Il Presidente algerino è sicuramente un interlocutore affidabile per l'Italia e per l'Unione Europea (Ue). Ma anche per l’Unione Africana (Ua). Su questa terra non c'è mai il Paradiso terrestre, ma penso che qualche passo avanti si potrà realizzare sfruttando il potenziale che potrebbe essere aggiunto da un'Unione Africana ben funzionante. L'Unione africana nacque con un dichiarato modello di rifarsi all'Ue.
La bandiera dell’Unione Africana
La bandiera dell’Unione Europea
L'unico paese non africano che partecipò alla nascita dell’Unione Africana, a Sirte (1999), fu l'Italia. Intervenne un nostro Sottosegretario al Ministro degli Affari Esteri. L’Unione Africana ha un disegno enorme, molto più complicato rispetto all'Unione Europea: non è una realtà omogenea. Però, le riunioni a livello di Capi di Stato vegano svolte regolarmente, la struttura di segreteria generale esiste. Ma la stampa internazionale non se ne occupa pochissimo.
MENO FANTASIA, PIU’ CONSISTENZA
Il referendum lo citò, una volta, anche Arafat. Forse era una giustificazione abile, ma quando Arafat si trovò dinanzi a Clinton, quando c'erano prospettive molte positive, disse: "non vorrei che io mi esponga e dica di sì e poi ci sia un referendum".
Questa è storia passata. Quello che conta adesso è di non dimenticare che alcuni problemi di questi permangono. Come il Golan di cui non se ne parla mai.
In sintesi: non c’è una soluzione per ogni questione, ma i problemi devono essere affrontati e risolti simultaneamente.
La strada giusta, in ogni caso, è quella di lanciare programmi di cooperazione su tutti i fronti. Immigrazione e status degli immigrati sono due facce della stessa medaglia. Penso che l'Ue abbia un ruolo importante, come quello che ebbe negli anni '80, quando la Dichiarazione Ghencher e Colombo a Venezia fu l'inizio del dialogo che sembrava un tabù. Si pensava a qualcosa di fantastico. Ma al dialogo si è arrivati seppure lentamente. Il punto di partenza deve essere riportato al 1948 quando l'Onu aveva creato lo Stato d'Israele e lo Stato arabo. Solo che uno c'è e l'altro non c'è. Non bisogna dimenticarlo. Altrimenti si lavora solo di fantasia.
Non tutti conoscono le cifre sui rifugiati palestinesi ed ebrei. Dal 1949 al 1967, più di seicentomila palestinesi hanno lasciato la loro terra e più di un milione di ebrei hanno dovuto abbandonare i paesi arabi dove vivevano. La comunità internazionale ha cercato di aiutare i rifugiati come poteva. Finché, nel 2003 è nato un progetto veramente valido ed ambizioso, "Al Sharkia", che ha come obiettivo di dare una casa a tutti i rifugiati entro il 2010. Lei crede che questo traguardo potrà realizzarsi?
Bambini palestinesi in Libano
Una foto del sito ufficiale dell’Unrwa
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In che modo il Pontefice, Papa Benedetto XVI, può contribuire al raggiungimento della pace in Medio Oriente e a sostenere il trialogo monoteistico?
Il trialogo monoteistico fra cattolicesimo, islamismo e ebraismo, che è una tradizione non nuova, verrà sicuramente appoggiata dal Pontefice. Il ruolo di Benedetto XVI, che è un grande teologo, nel dialogo per la pace in Medio Oriente, può essere decisivo solo se si riscontrerà la buona volontà di ascolto fra tutte le parti in causa.
A questo proposito, mi ricordo che durante un tentativo di lanciare il trialogo monoteistico, qualche decennio fa, durante un incontro promosso dall'Associazione Manzù, un rappresentante chiese la parola per fare una dichiarazione preliminare: "lo Stato d'Israele non ha diritto di esistere". Quest'atteggiamento fa cadere le braccia. Benedetto XVI può sicuramente contribuire ad aiutare un certo recupero di dialogo culturale. Abbiamo la stessa origine in Abramo, che non è solo un modo di dire. Il trialogo serve per non irrigidirsi solo su un problema strettamente politico, strettamente geografico, ma intende creare una base culturale, concettuale e anche spirituale, direi, per potere dire cerchiamo insieme le soluzioni.
Una sorta di trialogo particolare è stato cercato anche attraverso un'altra forma mettendo insieme gli ex combattenti Giordani, Palestinesi e Israeliani. Per ben due volte il tentativo riuscì. Alla terza i Palestinesi cominciarono a discutere con gli Israeliani. Durante altri incontri, a cui ho partecipato per gestire il trialogo e il dialogo israeliano-palestinese, ricordo che c'era anche la Signora Boumedienne, si alzò una giovane donna che, rivolgendosi ad una sostenitrice della causa palestinese, disse "lei parla bene, ma se avesse come me due bambini che devono andare a scuola su due diversi autobus per paura di perderli tutti e due insieme", uno suda freddo, sentendo frasi di questo genere. Cionostante, quello che contava realmente in quella riunione è che si discuteva realmente. La diffidenza è un'altra arma contro il dialogo. Gli stessi giornalisti vengono visti male se hanno dei rapporti con l'altra parte. I problemi quotidiani israeliano palestinese, qualche volta sembrano meno acuti, perché vengono oscurati dalla crisi iraniana, dall'Iraq. Tutto ciò, invece, in quell'area, non fa altro che sommarsi agli altri problemi già esistenti.
CONTINUITA’ NELLA POLITICA ESTERA ITALIANA
In Italia, il passaggio dal un Governo ad un altro avrà delle ripercussioni a livello di politica internazionale? Lei prevede dei cambiamenti nella politica estera italiana verso i paesi arabi? Quale sarà il ruolo dei senatori a vita nelle scelte decisive di politica estera, come ad esempio il ritiro dall'Iraq?
Roberto Maurizio, durante l’intervista
Io penso che il passaggio da un Governo ad un altro non inciderà sulla politica estera italiana che si fonda su cinquant'anni di esperienza. Le scelte di politica estera prescindono dalle formule di Governo, per cui credo che tutto rimarrà inalterato. Forse in alcune aree mediorientali potranno migliorare i rapporti tra i paesi, soprattutto là dove questi rapporti erano un po' tesi, come con la Libia. Cambieranno soprattutto I contatti su un piano personale. Il resto dovrebbe rimanere stabile, come, ad esempio, sul ritiro dall'Iraq. Tra maggioranza e opposizione attuali si è abbastanza concordi. Si era detto il ritiro entro il 2006. E così dovrà essere. Anche il passato Governo aveva parlato di ritiro entro quella data. Nessuno può pensare però che entro il 31 dicembre 2006 si raggiunga una specie di Paradiso terrestre tra sciiti, sunniti e curdi. Se questo deve essere fatto facciamolo, però, il più presto possibile, perché i nostri soldati sono esposti ogni giorno a reazioni anche violente. Il problema di fondo, però, va ricercato a monte. Perché è iniziata questa guerra? Questo ce lo spiegheranno gli storici, forse fra 50 anni. Ma adesso, per quello che riguarda l'Italia, credo che le cose dovrebbero seguire il loro corso naturale, anche sentendo le dichiarazioni del Ministro D'Alema che ha fatto recentemente, d'intesa con lo stesso Governo iracheno è convinto del ritiro italiano. Per quanto riguarda il ruolo dei senatori a vita non credo che influenzerà molto sulla scelta del ritiro dall'Iraq, essendoci una vasta maggioranza del Parlamento a favore, su altri argomenti, c'è da discutere.L'accordo di associazione fra Unione maghrebina e Unione Europea persegue obiettivi ambiziosi. Sono state, previste anche tappe molto rigide come quella del 2009. Lei, che di scadenze se ne intende, perché è riuscito ad indovinare non solo l'anno, ma anche il mese e il giorno dell'ingresso dell’euro sulla scena monetaria europea, è in grado adesso di fare lo stesso con quest’altra scadenza?
Si riparte dal Processo di Barcellona, che era stato però reso anche un po' sterile, perché inizialmente non c'era la Libia. Uno dei punti essenziali del Processo, a mio avviso, è quello che prevede di regolare l'immigrazione e lo status degli immigrati. Anche qui, troviamo, come al solito, posizioni molto nette: da una parte, quelli che a tutti i costi vogliono chiudere le frontiere e, dall'altra, quelli che vogliono lasciare l'ingresso senza controllo. Invece, la strada giusta è quella di lanciare programmi di cooperazione su questa materia. Immigrazione e status degli immigrati sono due facce della stessa medaglia. Chiudere il processo di immigrazione e le frontiere, significherebbe colpire l'economia di molte zone economiche italiane, non solo quelle agricole, ma anche delle piccole e medie imprese. In molti settori anche ad alto livello tecnologico, c'è bisogno di costruire insieme un modello di questa convivenza. D'altra parte, il problema non è solo nostro, ma anche della stessa Inghilterra e della Francia. A Londra come a Parigi, il problema dell'immigrazione esiste e va affrontato. Nel 2015 la percentuale di islamici in questi paesi sarà molto forte. Penso che anche in vista di questo, bisogna trovare dei modi di convivenza pacifica. Uno dei temi connesso all’immigrazione è quello dell'insegnamento religioso. Nel nostro paese, ad esempio a Mazara del Vallo, circa un quarto della popolazione è costituita da tunisini e algerini istruzione religiosa anche per loro. Se chiudere le frontiere non va bene, anche la libera circolazione da sola non diventa automaticamente la panacea di tutti i problemi.
Mazara del Vallo: la Kasba
http://www.mazara.com/
Uno dei primi punti da affrontare è il riconoscimento reciproco. Un altro è quello relativo al reciproco riconoscimento dei quadri. Per cui, agli immigrati che vivono da diversi anni in Italia deve essere riconosciuto il diritto attivo e passivo di voto perlomeno nelle elezioni amministrative. Il mondo va verso l'integrazione e il nostro paese deve cercare di allinearsi con i tempi nel rispetto delle nostre tradizioni.
Per quanto riguarda la data dell' entrata in vigore dell'euro, debbo dire che il merito non è tutto mio. Mi sono avvalso del suggerimento dell'allora Ministro del Tesoro, Guido Carli, che saggiamente disse “o si prende un impegno preciso per l'euro, altrimenti, se è solo un indirizzo, sarà come un calice levato in alto alla fine di un pranzo”.
Guido Carli
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Gli Stati Maghrebini hanno raggiunto un grado di stabilità al loro interno, in quanto gli interlocutori sono gli stessi da parecchi anni. Bisogna guardarli, però, uno ad uno. Alcuni hanno delle caratteristiche più aperte, come la Tunisia, dove esiste un'ampia apertura interreligiosa. Ricordo che quando ci fu il passaggio dall'Algeria francese all'Algeria algerina c'erano alcune personalità, anche cattoliche, come l'arcivescovo francese d'Algeria, che era diventato algerino, che, pensavano come ad una sconfitta la perdita delle colonie. Per me, invece, è stato un bene. La politica anticoloniale ha permesso di far arrivare la Libia all'indipendenza senza lacrime e sangue. A volte, bisogna avere la capacità di guardare lontano. C'era anche un po' di ipocrisia, perché c'era questo spirito anticoloniale, ma soltanto per le colonie nostre. In certi momenti, quando la Cirenaica era in procinto di rimanere italiana, i francesi si opposero.
Ci sono due aspetti. Il primo è inerente al bisogno di cercare di avere rapporti intensi con i vicini. Le due sponde del Mediterraneo, quella Sud e quella Nord, devono intensificare la cooperazione tra di loro. L'Italia, in particolare, deve dare la massima priorità a questi rapporti. Senza mancare di riguardo a nessuno Stato sovrano del mondo, ma io penso che intensificare le relazioni con la Nuova Caledonia non sia la stessa cosa che sviluppare la cooperazione con i paesi dell'Africa del Nord e del Medio Oriente. L'altro aspetto da tenere in considerazione è quello di rifiutare la tesi che terrorismo voglia dire Islam. Molto giustamente, il Presidente George W. Bush , lo stesso giorno dell' 11 settembre, disse: Osama Bin Laden è un traditore della propria religione. Una frase molto espressiva che cerca di fare chiarezza ed eliminare la confusione. Ci sono fondamentali islamici e fondamentalismi non islamici. Occorre, a mio avviso recuperare tutto ciò che può si unire, far dialogare dialoga partendo anche dalle cose più semplici, dai giovani, dallo sport campi di avvicinamento popolare che superano le barriere rigide.
Quale sarà il ruolo di Andreotti nei prossimi anni?
Io debbo pensare più all'altra vita che a questa. Ho 87 anni. Io non ho nessun ruolo, se non nel Senato e presso l'opinione pubblica. Questo tipo di discorso lo faccio sempre. Anche ai giovani. Ad esempio, alcuni giorni fa, presso l'Università di Padova, che è una città molto vivace, su un tema specifico come quello dei 60 anni della nostra Repubblica e della nostra Costituzione, ho visto che con i giovani si colloquia bene se si toccano questioni concrete. L'Europa è un tema reale, che interessa le giovani generazioni. Un certo cammino comune si sta facendo, basti pensare al progetto Erasmus. Le vere trasformazioni non si fanno da un momento all'altro. E i giovani sono concreti, si interessano di progetti tangibili. Sono piccole gocce d'acqua che creano un oceano. Ma, le vere trasformazioni non si fanno in modo sbrigativo . Sono convinto che, per raggiungere le mete prefissate, si debba seminare nel verso giusto, mettendo i semi uno dietro l'altro.
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