Con questa quarta puntata, finalmente entriamo nel merito. Abbiamo visto come è nata la passione per Sosa e Susa, due cornacchie del quartiere Cinecittà Est di Roma. A proposito di nomi non molto belli come “cornacchia”, anche Cinecittà Est non è un gran che, ricorda, vagamente, una certa Berlino e certi paesi di altri tempi. Comunque, l’espressione “geoetnotoponomastica” non fa molto onore al sub quartiere. Ma, Sosa e Susa si trovano bene, come dicevamo nelle precedenti puntate. Si sentono a loro agio. Ormai, abitano lì dal 1980. pressappoco l’anno di costruzione del sub quartiere, e dovrebbero avere circa 26 anni. Tutt’al più, considerando una vita media della cornacchia di un minimo di otto anni, dovrebbero far parte della loro terza/quarta generazione. Andiamo nei particolari. Come è noto (si fa per dire), per capire chi e cosa abbiamo di fronte, se è un albero, un vento, una stella, un fungo, un animale, una montagna, un aereo, la prima cosa da fare è la distinzione fra: essere vivente e materia inorganica. Certo, l’approccio che segue non è sarà molto scientifico. Il vento, un aereo, un sasso non sono organismi esseri viventi. Più difficile è dire se una montagna o una stella siano o materia organica. La nascita e la morte di una stella, di una galassia, di un pianeta sono noti a tutti. Ma non complichiamoci la vita ch’è già di per sé assai intricata, soprattutto quando si parla di una materia così complessa come quella che stiamo per affrontare, la biologia (cioè, lo studio scientifico dei fenomeni vitali e degli organismi viventi), l’etnologia (cioè, la scienza che studia gli animali nel loro ambiente naturale), la tassonomia (dal greco ταξινομία (taxinomia) dalle parole taxis = ordine e nomos = regole) ci si può riferire sia alla classificazione gerarchica di concetti, sia al principio stesso della classificazione. Parliamo, dunque, di cose difficili, che, se trattati male provocano il rigetto da parte dell’utente finale. Per conoscere, apprendere, sapere, comprendere la vita di Sosa e Susa occorre iniziare dalla classificazione degli esseri viventi, che avviene attraverso due discipline (la tassonomia e la sistematica). Queste due branche del sapere umano non sono utilizzate, in questo contesto, solo per la curiosità di conoscere la vita, le abitudini e il modus operandi di due uccelli, ma per stimolare gli ignavi a guardarsi intorno per scoprire la natura “a due passi dal naso”. Certo una duna nel deserto del Sudan, della Libia, della Tunisia, dell’Algeria, vista da vicino, non dà la stessa emozione del volo di una “semplice cornacchia”. Però, se si leggono le pagine che seguono, forse si capirà che trovare certe suggestioni “a due passi dal naso” potrebbe regalare un attimo di felicità. Dobbiamo, allora, sfruttare la scienza per renderci conto del nostro “prossimo”. Partiamo dalla tassonomia e dalla sistematica. La tassonomia costruisce un sistema gerarchico e attribuisce una nomenclatura, cioè assegna un nome a organismi o a gruppi di organismi. La sistematica individua le correlazioni evolutive esistenti tra i diversi gruppo viventi. Riconoscere un oggetto o un animale attribuendogli un nome, molto spesso, può essere di “vitale” importanza, in senso stretto della parola: basti pensare alla classificazione e al riconoscimento di un fungo o di una vipera. Dunque, la tassonomia, che è un sistema di raggruppamento e definizione degli organismi in base a criteri di varia natura, ha lo scopo della “catalogazione” è quello di esporre in maniera ordinata i viventi in modo che tutti gli studiosi si possano comprendere l’uno con l’altro, senza possibilità di errore sull’identità degli organismi che sono oggetto di ricerca. La tassonomia è stata utilizzata anche per la didattica dal grande pedagogista Benjamin Bloom. Sarebbe molto interessante sapere quanti insegnanti italiani conoscono l’esistenza di Benjamin Bloom, quanti hanno letto i suoi lavori e quanti l’hanno messo in pratica (stendiamo un velo pietoso …).
Benjamin Bloom
La tassonomia ci apre la strada verso la conoscenza profonda delle “mie due cornacchie” che vengono scientificamente catalogate. Attraverso il metodo tassonomico, che è un sistema di classificazione frutto del risultato del raggruppamento di vari elementi in classi e della loro gerarchizzazione, compiuto su campi omogenei di abilità o obiettivi cognitivi, affettivi e comportamentali, possiamo poter dare un quadro scientifico a Sosa e a Susa. Partiamo dalla classificazione tassonomica completa, secondo le ultime tendenze degli studiosi, sempre in evoluzione, che è la seguente:
Classificazione tassonomica
Dominio
Regno
Sottoregno
Superphylum
Phylum (o Tipo o Divisione)
Subphylum (o Sottotipo o Sottodivisione)
Infraphylum
Superclasse
Classe
Sottoclasse
Infraclasse
Superordine
Ordine
Sottordine
Infraordine
Superfamiglia
Famiglia
Sottofamiglia
Tribù
Sottotribù
Genere
Sottogenere
Specie
Sottospecie
Razza (zoologia) o Varietà (botanica)
Questa struttura, che va bene per la catalogazione di elementi più complicati, la sostituiamo con una più semplice, rifacendo allo schema in ordine gerarchico di classificazione linneana e troviamo le seguenti categorie tassonomiche:
Regno
Phylum (animali o piante) o Divisione (piante)
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Sottospecie
Per semplicità, adottiamo la seguente tabella dei principali tredici elementi che caratterizzano una classificazione tassonomica “ridotta” per la cornacchia grigia, cioè per Sosa e Susa.
LA CARTA D'IDENTITA' DELLA CORNACCHIA GRIGIA
1. Regno: Animalia o Metazoa
2. Sottoregno: Eumetazoa
3. Superphylum: Deuterostomia
4. Phylum: Chordata
5. Subphylum: Vertebrati
6. Classe: Aves
7. Subclasse: Neornithes
8. Ordine: Passeriformes
9. Sottordine: Oscines
10. Famiglia: Corvidae
11. Genere: Corvus
12. Specie: Coronae
13. Sottospecie: Cornix
Anche se sono consapevoli del loro valore sul campo, le “mie cornacchie”, Sosa, Susa & Sons sarebbero rimaste allibite se avessi elencato loro “per filo e per segno” (per l'appunto, puntualmente) il loro “status” scientifico, la loro “genealogia”, la loro “provenienza”. Già me l’immagino, Sosa e Susa declinare la loro “scheda scientifica” ai piccioni (loro antagonisti territoriali). “Io sono Sosa, appartengo al Sottoregno di Eumetazoa con Superphylum Deuterostomia e Phylum Chordata. Il mio Subphylum fa parte dei valorosi Vertebrati della Classe Aves con Subclasse Neornithes dell’Ordine dei Passeriformes. Il Sottordine che mi spetta di diritto risale agli Oscines della Famiglia Corvidae del Genere Corvus della Specie Coronae. Insomma, sono un Corvus Coronae Cornix, no una semplice Cornacchia"!
Storia evolutiva degli uccelli: l’albero filogenetico, il cladogramma
Prima di analizzare a fondo, in modo, speriamo, non tedioso, i 13 punti fondamentali della tassonomia delle “mie cornacchie”, per flash percorriamo la loro presunta storia evolutiva. Infatti, parlando del passato remoto, non sempre la scienza è capace di affermare certezze inderogabili. La Scienza, quando si definisce tale, va avanti lentamente con cognizione di causa. “Per scienza – leggiamo da Wikipedia – si intende un complesso organico di conoscenze ottenute con un processo sistematico di acquisizione delle stesse allo scopo di giungere ad una descrizione precisa della realtà fattuale delle cose, e in ultima analisi di una verità condivisa”. “Le regole che governano tale processo di acquisizione di conoscenze sono generalmente come metodo scientifico. In ambito moderno, gli elementi chiave del metodo scientifico sono l’osservazione sperimentale di un evento (naturale o sociale), la formulazione di un’ipotesi generale sotto cui questo evento si verifichi, e la possibilità di verifica dell’ipotesi mediante osservazioni successive”. Questa definizione, porta acqua al mio mulino. L’osservazione è un elemento fondamentale nell’approccio scientifico. “Osservare” il passato è un po’ difficile. Però, gli esperti sono generalmente propensi a credere che esista una stretta relazione di parentela degli uccelli con i rettili. Tutto ciò si evince dalla testimonianza fornita da numerosi resti fossili. Fino a poco tempo fa, il più antico uccello conosciuto era Archaeopteyx, un animale delle dimensioni di una cornacchia, del quale sono stati rinvenuti in Germania otto esemplari fossili (sette dei quali completi), tutti risalenti al tardo Giurassico (il periodo compreso tra i 195 e i 136 milioni di anni fa). Il genere unisce caratteristiche tipiche dell’uccello moderno ad altre peculiarità anatomiche dei rettili. Se gli scheletri rinvenuti non avessero mostrato chiaramente impronte di penne identiche a quelle degli uccelli moderni, probabilmente sarebbero stati classificati tra i piccoli dinosauri. In Archaeopterix, infatti, erano ancora presenti i denti, che mancano in tutti gli uccelli moderni, e le vertebre caudali, che non erano fuse come negli attuali uccelli, ma formavano una lunga coda, simile a quella delle lucertole. In un recente studio, tuttavia, un gruppo di ricerca della Oregon State University ha riconsiderato la classificazione di un fossile di rettile rinvenuto nel 1970, Longisquama insignis, e messo in dubbio il titolo di Archaeopterix di più antico uccello conosciuto. Longisquama era un piccolo vertebrato a quattro zampe, vissuto circa 220 milioni di anni fa. Era dotato di insolite appendici caudali che, inizialmente considerate dai paleontologi soltanto lunghissime squame (da cui il nome del genere, Longisquama), sono state ora riconosciute come penne primitive. La presenza di penne è sufficiente per classificare un animale tra gli uccelli e quindi per considerare Longisquama il più antico uccello conosciuto. La derivazione degli uccelli dai dinosauri sarebbe quindi messa in discussione: Longisquama, infatti, visse prima della comparsa di quei dinosauri da cui fino a oggi si riteneva che si fossero evoluti gli uccelli. Sono note diverse forme intermedie fra i primi uccelli fossili e quelli moderni. Nel 1988 sono stati trovati in Spagna resti risalenti al primo Cretaceo di alcuni uccelli muniti di coda e cinto scapolare evoluti, ma di cinto pelvico e arti posteriori primitivi. Altri fossili attendibili risalgono a circa 88 milioni di anni fa: si tratta di autentici uccelli, di poco diversi, dal punto di vista scheletrico, da quelli moderni, salvo per la presenza dei denti e di una lunga coda. La maggior parte di essi risulta adattata all’ambiente acquatico, in larga misura perché i depositi di sabbia o fango presenti nelle acque poco profonde offrono condizioni ottimali per il processo di fossilizzazione. Tra questi, è stato trovato un grosso uccello tuffatore simile alla stralaga (Hesperornis) e un altro, Ichthyornis, probabilmente simile per habitat e abitudini alle sterne attuali. Alcuni volatili fossili risalenti alla fine del Cretaceo, vale a dire all’incirca a 65 milioni di anni fa, ricordano molto da vicino gli uccelli acquatici viventi. La diversificazione degli uccelli, che ha portato all’attuale varietà della classe, ha avuto luogo nel periodo successivo, il Terziario, al termine del quale, un milione e mezzo di anni fa, si erano ormai evoluti tutti i gruppi di volatili oggi viventi e si erano già esaurite alcune linee evolutive. La maggior parte delle attuali specie di uccelli ebbe origine nel corso del Pleistocene. Recentemente, infine, è stato rinvenuto il fossile di una specie prima sconosciuta, che alcuni paleontologi ritengono la chiave per comprendere l’evoluzione degli uccelli. Questo animale, vissuto circa 130 milioni di anni fa nella regione occupata dall’attuale Cina, sarebbe stato lungo 70-80 cm e dotato di piume su tutte e quattro le zampe e sulla coda. Non ancora in grado di compiere un volo sostenuto, Microraptor gui – questo il nome della specie – avrebbe utilizzato le zampe piumate per lanciarsi dagli alberi e realizzare brevi voli planati. Il ritrovamento e la sua interpretazione sembrano quindi mettere in dubbio l’altra ipotesi in auge presso gli studiosi sull’origine del volo: che gli antenati degli uccelli, cioè, possano aver “imparato” a volare accelerando la corsa sul terreno con l’aiuto di ali primitive (tratto da Wikipedia).
Susa nasconde il cibo all'interno di un cipresso
© roberto maurizio
Cerchiamo di seguire “passo passo” le “vicissitudini della specie” di Sosa e Susa. Parliamo del primo punto. Sosa e Susa sono degli “animali” (Animalia o Metazoa).
Il primo sistema tassonomico, sviluppato da Aristotele nel IV secolo a.C. e utilizzato fino a non molto tempo fa, riconosceva solo due grandi divisioni di organismi viventi: il regno animale e il regno vegetale. Nel primo venivano compresi tutti gli organismi eterotrofi (cioè, che si nutrono di materiale organico presente nell’ambiente), dotati di movimento, mentre nel secondo si trovavano tutti gli organismi autotrofi (che sintetizzano le sostanze alimentari organiche a partire da materiale inorganico), sessili, cioè fissi al terreno, in grado di compiere fotosintesi. Nel 1735, il famoso naturalista svedese Carl von Linné (italianizzato in Linneo) con la pubblicazione di “Systema naturae”, manteneva la struttura a due Regni e proponeva una suddivisione in categorie. Carl Nilsson Linnaeus, divenuto Carl von Linné in seguito all'acquisizione di un titolo nobiliare e noto ai più semplicemente come Linneo (dalla forma latinizzata del nome Carolus Linnaeus) (Rashult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778) è stato un biologo e scrittore, considerato il padre della moderna classificazione scientifica. La lettera L., posta spesso a seguire delle indicazioni di nomenclatura binomiale nei cataloghi di specie, identifica il cognome dello scienziato. Linneo definisce Animali (o Metazoi) tutti gli organismi eucarioti, con differenziazione cellulare,eterotrofi e mobili durante almeno uno stadio della loro vita. Il Regno animale (Animalia o Metazoa) è costituito da circa 1,5 milioni di specie viventi (ma si pensa che ve ne siano ancora molte da scoprire), raggruppate in particolari categorie tassonomiche definite dal sistema di classificazione scientifica. Dunque, Sosa e Susa appartengono al Regno di Animalia.
2. Sottoregno: Eumetazoa
Le nove struttura di becco degli uccelli
Gli Eumetazoi rappresentano un Sottoregno a cui appartengono la stragrande maggioranza degli organismi animali. In essi, la notevole differenziazione istologica in veri e propri tessuti ne ha da sempre suggerito una posizione filogenetica al di sopra dei precedenti gruppi, come i poriferi o i mesazoi. Rispetto a questi, svilupparono fin dalle origini apertura buccale definita ed organi ben delineati, il che ne fa un raggruppamento di verosimile origine monofiletica. Distinguiamo gli eumetazoi più primitivi a simmetria originariamente raggiata o secondariamente biradiale (radiati) e la linea monofiletica dei bilaterali a simmetria bilaterale.
3. Superphylium: Deustrostomia
I Deuterostomi (dal greco: bocca secondaria) rappresentano un gruppo di animali celomati caratterizzati da uno sviluppo embrionale, durante il quale l'ano si origina dal blastoporo (o nelle sue vicinanze), mentre la bocca si forma all'estremità opposta. Sono anche notoneurali in quanto il cordone nervoso è posto dorsalmente rispetto all'intestino . La circolazione del sangue che procede in senso caudo-cefalico nei vasi ventrali e cefalo-caudale nei vasi dorsali. È presente un cuore ventrale a vari livelli di sviluppo a seconda dei gruppi. Phyla tipici è più importanti sono: Echonodermi, Emicordati e Cordati. Dunque, Sosa e Susa sono deuterostomi e cordati.
4. Phylum: Chordata o Cordata
Il Phylum (plurale Phyla) è il gruppo tassonomico gerarchicamente inferiore al regno e superiore alla classe. Il termine tipo è più usato in zoologia e divisione in botanica e nelle scienze di altri regni (protisti, monere e così via). Questa strana differenziazione si perpetua ancor oggi: invece di scegliere una volta per tutte un termine tra “tipo” e “divisione” si fa ricorso al greco-latinismo phylum (dal greco φυλόν, “nazione”, “tribù”, “gente”) che “dovrebbe” andar bene per tutti i Regni. Comunque, in spagnolo e portoghese si usa correntemente l'adattamento filo. Gli organismi dello stesso phylum hanno un piano strutturale comune, non necessariamente evidente dalla morfologia esterna. Il Phylium più rappresentativo è, senza dubbio, quello degli Antropodi che conta circa 1 milione di specie, di cui 750.000 appartenenti alla Classe degli Insetti. La disciplina biologica che studia gli animali viene detta Zoologia. Il Phylum di Sosa e Susa sono i Cordati, cioè tutte quelle specie che presentano un organo di sostegno interno detto corda. Il nome cordati significa possessori di corda, mentre vertebrati significa dotati di vertebre. La corda, un organo sottile e allungato che corre lungo l’asse dorsale del corpo, è costituita da tessuto rigido ed elastico che consente la flessione. Potrebbe essere paragonato ad un tubo di gomma pieno. Sulla corda possono attaccarsi i muscoli del corpi che consentono il movimento dell’animale. Tutti i cordati possiedono la corda almeno per un certo periodo della loro vita. Mentre nei più semplici, l’anfiosso e le ascidie, animali marini, la corda non viene sostituita da altre strutture, negli altri cordati, che sono appunto i vertebrati, la corda esiste soltanto durane lo sviluppo embrionale, e viene poi sostituita da una serie concatenata di vertebre, che nel loro insieme costituiscono la ben nota colonna vertebrale. A questo Phylum appartengono gli ordini dei: Urocordati, Cefalocordati, Vertebrati. In ultima analisi, il Phylum di Sosa e Susa è quello dei cordati.
5. Subphylum: Vertebrati
La cornacchia grigia, dunque, appartiene come Phylum, ai Cordati, ovviamente, come Subphylum sono dei Vertebrati. Questo Subphylum è caratterizzato dal possedere una struttura scheletrica ossea e/o di cartilagine. La caratteristica fondamentale è la presenza, interno al corpo, di uno scheletro interno, detto endoscheletro (dal greco èndon, cioè dentro) sostenuta da una colonna vertebrale. La colonna vertebrale, formata da vertebre, che sostengono uno scheletro, permette il movimento, proteggere gli organi interni, confluisce robustezza all'animale. I vertebrati per quanto riguarda la riproduzione sono tutti sessi separati.
6. Classe: Aves, Uccelli
Ovviamente, i nostri protagonisti non potevano essere altro che Uccelli, degli Aves, cioè una classe di vertebrati particolarmente adatti al volo. Questi animali sono omeotermi, cioè con temperatura corporea costante, generalmente intorno ai 40 gradi centigradi.Caratteristica esclusiva è di essere rivestiti da penne. Il corpo ha la caratteristica forma aerodinamica, con il torace carenato per meglio fendere l'aria durante il volo; le ali sono provviste di penne, collegate al torace da robusti muscoli pettorali; le loro ossa sono cave, cioè vuote internamente, e dette pneumatiche, per rendere minimo il peso dello scheletro; hanno dei sacchi, detti sacchi aerei, sparsi in tutto il corpo, che alleggeriscono ulteriormente il loro peso; hanno il becco, che sostituisce i denti e assume forme diverse in relazione al tipo di alimentazione. Gli uccelli sono ovipari, con fecondazione interna.
7. Subclasse: Neornithes
Ovviamente, Sosa e Susa non sono “dinosauri”. E’ proprio per questo che è stata introdotta questa sub categoria di neo (nuovo) ornithe (uccello), proprio per distinguerli dagli uccelli antidiluviani.
8. Ordine: Passeriformes
9. Sottordine: Oscines
Il Sottordine degli Oscini (Oscines o Passeri), con circa 4.000 specie, costituisce una delle due maggiori suddivisioni dell'ordine dei passeriformi. Gli oscini sono uccelli canori riconoscibili in quanto hanno una siringe più complessa, un Dna caratteristico, una specifica forma dell'osso mediano dell'orecchio, e generalmente devono apprendere le vocalizzazioni più complesse del loro repertorio. Le espressioni canore di questi uccelli sono essenzialmente territoriali in quanto comunicano l'identità e la posizione di un individuo ad altri uccelli segnalandone inoltre le intenzioni sessuali. Non devono essere confusi con altre espressioni sonore di uccelli che hanno scopo di allarme o contatto e sono particolarmente importanti negli uccelli che si nutrono o migrano in stormi. Altri uccelli hanno richiami sonori per attirare la compagna o per marcare il territorio, ma sono usualmente semplici e ripetitivi, mancando della varietà di molte vocalizzazioni degli oscini. (Fonte: Wikipedia)
10. Famiglia: Corvidae
Famiglia di uccelli dell’ordine dei passeriformi, onnivori e pressoché cosmopoliti, comprendente corvi, cornacchie, ghiandaie, gazze, gracchi, nocciolaie e taccole. Se ne contano in tutto un centinaio di specie, diffuse pressoché ovunque tranne che nelle regioni polari e in alcune zone dell’Oceania. Le dimensioni dei corvidi sono comprese tra i 25 e i 65 cm circa. La colorazione del piumaggio varia da specie a specie, ma è generalmente identica nel maschio e nella femmina. Il becco è particolarmente robusto, adatto ad afferrare e rompere il rivestimento coriaceo di semi e frutti secchi, che rappresentano una componente importante della loro ricca dieta. Le narici sono ricoperte di sottili piume, dette vibrisse, che contribuiscono a svolgere la funzione olfattiva. I corvidi sono considerati uccelli estremamente intelligenti e adattabili. Vivono spesso in prossimità di insediamenti umani. Sebbene nella stagione riproduttiva manifestino un comportamento territoriale, negli altri periodi dell'anno sono generalmente gregari, formando talvolta stormi di migliaia di individui. Alcune specie, come il corvo comune europeo, compiono brevi migrazioni stagionali. I nidi sono generalmente ampi, costruiti sugli alberi più alti, con ramoscelli e materiali più morbidi e sottili. Le uova, da tre a otto, hanno una colorazione intensa, generalmente verde-azzurra, screziata di marrone. Il maschio e la femmina collaborano alla costruzione del nido, ma la cova delle uova, che dura da 16 a 21 giorni, è compito esclusivo della femmina; i piccoli, invece, vengono accuditi da entrambi i genitori. I richiami sono forti e caratteristici di ciascuna specie. Le loro voci roche e sgraziate, il colore tetro e le abitudini necrofaghe di alcune specie hanno impresso nell’immaginario collettivo delle persone l’idea del “corvo” come un animale da temere e disprezzare, simbolo di morte e portatore di sventure. Nella realtà questi uccelli, assieme agli altri appartenenti al gruppo dei corvidi, non fanno nulla di diverso da qualsiasi altra creatura del pianeta: cercano di perpetuare la specie come meglio sanno fare! Essendo animali particolarmente “intelligenti” ed adattabili alle diverse situazioni ambientali, si fanno talvolta mal volere sfruttando quelle risorse che gli “umani” reputano di esclusiva proprietà. Onnivori e opportunisti appunto, quasi tutte le specie della famiglia utilizzano, quando possono, le risorse alimentari dell’agricoltura e, dotati di una certa capacità predatoria, non esitano a cibarsi di uova e nidiacei danneggiando il patrimonio faunistico. I danni arrecati, si badi bene, possono diventare ingenti e realmente “intollerabili” solo quando le popolazioni sono costituite da un gran numero di animali. Tale situazione può riguardare soprattutto il corvo (ma solo nel Nord e Centro-Europa essendo in Italia solo svernante in poche località della pianura padana) e, in misura minore, la cornacchia. I benefici derivanti dall’intensa attività di predazione su innumerevoli specie di invertebrati, bruchi e larve di insetti “dannosi” alle coltivazioni e alla selvicoltura ricompensano ampiamente, d’altra parte, i potenziali danni arrecabili. I corvidi sono senza dubbio uccelli molto interessanti. Dotati di spiccate abilità imitative sia dei suoni (tanto da poter imitare molto bene le parole umane) sia dei comportamenti di altri uccelli (copiano ad esempio le tecniche di pesca dei gabbiani e degli aironi), mostrano una elevata capacità di apprendimento ed una notevole plasticità comportamentale. Molto sviluppato ed utilissimo per la trasmissione delle acquisizioni culturali è il sistema di comunicazione interindividuale: all’interno della complessa struttura sociale in cui sono organizzate le popolazioni dei corvidi, gli individui “scambiano informazioni” tra loro attraverso un vasto repertorio di emissioni vocali ed atteggiamenti posturali caratteristici. I corvidi sono noti anche per la loro monogamia, anche se la “fedeltà coniugale” non sembra essere assoluta; le coppie delle diverse specie passano la vita insieme prodigandosi nelle cure parentali (sono genitori attenti e premurosi) e difendendo il proprio territorio. Ad esclusione delle popolazioni del Nord-Europa infatti, tutte le specie sono sedentarie ed occupano lo stesso territorio durante l’intero anno (non sono comunque rari i casi di erratismo occasionale con movimenti anche di una certa entità). Un’altra particolarità (non comune nel mondo animale) molto interessante e meno conosciuta di questi uccelli è quella di utilizzare strumenti per risolvere problemi in situazioni diverse. Sono stati osservati in più occasioni corvi, cornacchie e ghiandaie gettare piccole pietre e rametti contro i loro aggressori per allontanarli, oppure usare bastoncini per raggiungere il cibo e fessure nei tronchi o grosse radici a mo’ di morsa ed incudine per frantumare più agevolmente i grossi semi. La ghiandaia e la nocciolaia inoltre, grazie all’innata abitudine di nascondere pinoli, nocciole e ghiande sottoterra per poter contare su una dispensa alimentare nei periodi di scarsità di cibo (hanno una straordinaria memoria visiva e ritrovano i semi anche sotto la neve), rappresentano un particolare caso di coevoluzione fra animali e piante: i semi in eccesso o dimenticati concorrono infatti alla dispersione e alla diffusione delle piante nel bosco con evidente vantaggio anche per gli uccelli che da esse traggono sostentamento.
Le specie italiane appartenenti alla famiglia dei Corvidi sono nove: il corvo (Corvus frugilegus), completamente nero e spiccatamente coloniale, presente solo come svernante in pianura padana; la cornacchia (Corvus corone), la cui sottospecie grigia è diffusa ovunque mentre quella nera è limitata alle Alpi; il corvo imperiale (Corvus corax), nero e di grosse dimensioni, legato in prevalenza alle zone montane ed alle coste con ripide pareti rocciose; la taccola (Corvus monedula), nera con la nuca grigia, gregaria, legata alle pareti rocciose e agli edifici storici ricchi di buchi e fessure ove nidifica; il gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus), nero con becco e zampe giallo-arancio, gregario, tipico abitatore delle alte cime alpine; il gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), nero con lungo becco ricurvo rosso lucente, localizzato in diverse parti dell’Appennino centro-meridionale e nelle Alpi occidentali; la gazza (Pica pica), dalla tipica colorazione bianca e nera e la lunga coda, frequente soprattutto nelle aree rurali; la nocciolaia (Nucifraga caryocatactes), dal piumaggio bruno macchiettato di bianco, diffusa nelle foreste di conifere alpine, specializzata nel cibarsi dei semi del pino cembro e, in minor misura, delle nocciole; la ghiandaia (Garrulus glandarius), dal piumaggio variopinto di bruno-rosato, bianco, nero ed azzurro, legata ai boschi decidui con dominanza di querce dei cui semi prevalentemente si nutre. (Fonte: Wikipedia e Centro naturalistico Sanmarinese – www.apasrsm.org)
11. Genere: Corvus
Il genere Corvus ha una distribuzione molto ampia, pressoché ubiquitaria, sebbene non vanti rappresentanti in nessuna parte del Sud America. Ne fa parte la taccola (Corvus monedola), un tempo abbondante in Italia, oggi in diminuzione. Il corvo nero (Corvus frugilegus), lungo fino a 45 cm, è amante dei campi e dell'aperta campagna; forma colonie e stormi misti insieme a taccole, cornacchie e storni e in Italia compare quasi esclusivamente durante l’inverno. La cornacchia (Corvus corone) è presente in Italia con due sottospecie: quella nera e quella grigia (Corvus corone cornix). Il corvo imperiale (Corvus corax), a differenza della maggior parte degli altri corvidi, è anche un predatore attivo. È diffuso in gran parte dell'emisfero settentrionale, dalle isole artiche ai deserti nordafricani. Raggiunge la lunghezza di circa 60 cm, ha una coda a forma di cuneo e presenta una colorazione nera e lucida, con riflessi blu metallici; il becco è lungo, potente e leggermente adunco e le zampe sono munite di forti artigli. Tra le specie nordamericane incluse nel genere Corvus, la più nota è Corvus brachyrhynchos. Inoltre, Corvus caurinus è confinato alla costa del Pacifico e Corvus ossifragus abita le coste dell'Atlantico settentrionale e alcune zone dell'entroterra. Altri uccelli della famiglia dei corvidi sono le gazze, classificate in generi diversi tra cui Pica e Cyanopica; le nocciolaie (Nucifraga), presenti in Italia lungo l’arco alpino; le ghiandaie (Podoces, Garrulus, Perisoreus) e i gracchi (Pyrrocorax).
12. Specie: Coronae
Il genere Corvus si divide in due specie: Coronae Coronae (Cornacchia nera) e Corona Cornix (Cornacchia grigia).Le due specie si differenziano solamente per il colore delle piume. Negli ultimi anni, nel Nord Italia si sta verificando un curioso fenomeno. La Cornacchia grigia, mescolandosi con quella nera, sta facendo nascere una “nuova” sottospecie: la Corvus Coronae Cornix Cornix.
13. Sottospecie: Cornix
E siamo arrivati, finalmente a Sosa e Susa. La Cornacchia grigia ha dimensioni medio-grandi, becco grosso e ali piuttosto lunghe e larghe. In entrambi i sessi il piumaggio grigio sul dorso del collo, mentre le restanti parti, compreso il becco e le zampe, sono nere. Le cornacchie grigie sono uccelli gregari (di gruppo). Il loro comportamento sociale, selezionato nel corso dell'evoluzione della specie, offre evidenti benefici come la possibilità di avvertire in tempo la presenza di nemici. Una tecnica di difesa di questi uccelli consiste nell'innalzarsi in volo dell' intero stormo allo scopo di disorientare i predatori. Nel gruppo esiste comunque una gerarchia ben definita, evidenziata da frequenti atteggiamenti di dominanza e sottomissione. La cornacchia grigia ha una dieta onnivora e può mangiare di tutto: piccoli animali, rifiuti, carogne , frutti, germogli e semi. Il suo canto è costituito da un caratteristico e aspro gracchiante, mentre il volo è diritto con battiti d'ala ritmati ma abbastanza lenti. La cornacchia grigia può essere talvolta confusa da lontano con qualche rapace, anche se il suo modo di planare è più insicuro. La cornacchia grigia vive ovunque e si trova quindi anche nelle aree urbane e in quelle coltivate. È un uccello molto adattabile e intelligente. La Cornacchia grigia ha dimensioni medio-grandi, becco grosso, massiccio e curvo all'apice, coda mediamente arrotondata, ali piuttosto lunghe e larghe, zampe robuste. In entrambi i sessi il piumaggio è grigio sul dorso del collo, scapolari, dorso, groppone, petto, ventre, sottocoda e ascellari, mentre le restanti parti, compreso il becco e le zampe, sono nere. In volo si distingue dalla Cornacchia nera per la colorazione grigia, che contrasta nettamente con le parti nere. Lunghezza cm 46, peso gr 430-580.
Pur trattandosi di una specie decisamente sociale, vive in coppie o in gruppetti di qualche decina di individui; è comunque più gregaria della Cornacchia nera. Di indole accorta e sospettosa, si alimenta soprattutto sul terreno. Possiede un volo diritto a lenti battiti d'ala e in genere non si porta a grandi altezze; di rado veleggia ad ali ferme per guadagnare quota.
Si ciba di insetti (soprattutto coleotteri e ortotteri), molluschi, anellidi ed altri invertebrati, anfibi, piccoli uccelli e loro uova, piccoli mammiferi, animali feriti e malati di media e piccola mole, carogne, semi (specialmente di cereali germinati), frutta, bacche, ortaggi, qualsiasi resto di origine naturale e di rifiuto di origine umana.
Verso la fine dell'inverno si osserva un rafforzamento del legame tra i membri della coppia e in marzo inizia la costruzione del nido ad opera soprattutto della femmina. Il nido è costruito sopra il ramo robusto e biforcuto di un albero ad una quindicina (anche meno) di metri d'altezza o, più di rado, su pareti rocciose o sul terreno. Alla fine di marzo vengono deposte 4-5 uova, che sono covate per 18-20 giorni dalla sola femmina, mentre il maschio provvede a procurarle il cibo. I giovani sono accuditi da entrambi i genitori fino all'età di circa un mese. Depone una volta all'anno. Frequenta zone coltivate purché disseminate di alberi, siepi e boschetti, pascoli, brughiere, rive di fiumi e laghi, coste marine, regioni disabitate e villaggi. Specie ampiamente distribuita come nidificante dall'Europa all'Asia grosso modo tra i fiumi Elba e Jenissey; erratica, individui delle popolazioni settentrionali raggiungono in inverno regioni più meridionali. In Italia è stazionaria e nidificante in tutta la penisola e in Sicilia.
La Cornacchia romana
Riportiamo, qui di seguito, un interessante articolo scritto dall'Ufficio Diritti Animali
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La cornacchia è un passeriforme, ed è, quindi una stretta parente dei passeri, degli storni, dei merli, dei pettirossi e di molti altri piccoli uccelli canori. Certo, il suo aspetto è un po’ diverso, ma quello che cambia sono solo le dimensioni. Le cornacchie che vivono nel nord Italia e in molte altre zone europee sono completamente nere e non presentano il mantello grigio tipico dei nostri esemplari. Ma pur se così differenti, queste due cornacchie, la grigia e la nera, come abbiamo visto, appartengono alla stessa specie, sono solo due sottospecie del Corvus Coronae. In Italia esistono altre sette specie di corvidi, la famiglia appunto a cui appartiene la cornacchia. Tra questi, c’è la gazza dal caratteristico piumaggio bianco e nero che, sebbene assente a Roma, frequenta i centri abitati di alcune aree della regione Lazio.
All’interno di Roma è invece presente la taccola, più piccola della cornacchia, completamente nera con una sfumatura grigio argentato sulla nuca (una specie di corona). Questa specie ha abitudini molto più sociali della cornacchia e vive tutto l’anno in stormi formati da alcune decine di individui con gerarchie molto complesse. La taccola è stata studiata molto attentamente dal premio nobel Konrad Lorenz che ne descrisse i comportamenti nel suo famoso libro “L’anello di Re Salomone”. La cornacchia è una specie principalmente sedentaria, che vive per tutto il corso dell’anno nella stessa zona. Questa regola è valida, però, solo in quelle zone dove il clima è temperato, come appunto l’Italia. Nel nord Europa al contrario, si può assistere a veri e propri voli di migrazione che in autunno portano le cornacchie, che vivono in zone con inverni troppo freddi, a raggiungere aree dove il clima è più dolce. Comunque, in questi ultimi anni, il fenomeno è notevolmente diminuito di intensità, forse a causa dei cambiamenti del clima o per il fatto che anche nelle zone molto fredde la disponibilità di cibo non diminuisce durante l’inverno, grazie alla grande abbondanza di rifiuti prodotti dall’uomo.
Nel nostro Paese, le cornacchie compiono degli spostamenti che non sono migrazioni vere e proprie, ma piuttosto dei voli di dispersione. Questi sono più frequenti tra i giovani che, spinti da una curiosità e da uno spirito di esplorazione maggiore degli adulti, si allontanano dalle zone dove sono nati per cercare altre aree da colonizzare. Di solito questi spostamenti avvengono dalle aree definite “zone sorgente”, in cui il numero dei pulcini nati durante la primavera è superiore a quello degli individui che sono morti per vecchiaia, per malattia, per predazione o per scarsità di cibo. La destinazione delle cornacchie che si spostano dalle aree sorgente sono le zone dove invece il fenomeno è opposto e in cui il numero dei nuovi nati è minore di quello degli individui deceduti. Queste zone vengono chiamate “zone di calo”. Questo meccanismo serve per bilanciare il numero delle cornacchie sul territorio e probabilmente Roma si sta trasformando proprio in questi anni da “zona di calo” a “zona sorgente”. La cornacchia grigia è una specie monogama, vale a dire che le coppie restano unite per tutta la vita. Se uno dei componenti della coppia muore viene comunque sostituito in pochi giorni. Questo significa che c’è un gran numero non solo di maschi scapoli, ma anche di femmine nubili e che quello che condiziona la possibilità di mettere su famiglia è principalmente la disponibilità di territori liberi. Già a metà marzo le cornacchie cominciano a costruire i loro voluminosi nidi che, nella nostra città, sono generalmente posti tra i rami di un grande albero, soprattutto pini domestici e platani. Il culmine della nidificazione va però da metà aprile a metà maggio. Quando in inverno i platani perdono le foglie è facile, ad esempio sui Lungotevere, osservare l’intrico di rametti che forma la coppa del nido. I vecchi nidi non vengono però riutilizzati e ogni anno vengono ricostruiti. La femmina depone da tre a sei uova di colore bianco che vengono covate, senza l’aiuto del maschio, per circa 18 giorni. I pulcini resteranno nel nido per circa un mese. Anche il maschio partecipa al loro allevamento, ma la fatica maggiore spetta alla femmina. Nella cornacchia non si può certo parlare di un vero e proprio canto, almeno come lo intendiamo generalmente noi. I suoi versi non sono certamente gradevoli come il canto delle altre specie di passeriformi ma, nonostante questo, anche le cornacchie utilizzano la voce per comunicare con i loro simili. ll canto serve per affermare la presa di possesso della zona dove verrà costruito il nido.
Il classico ”cra-cra” è invece un verso di avvertimento che può avere vari significati in rapporto al tono con cui viene emesso: “sono qui”, “mi sto innervosendo”, “sono pronto alla lite”, ecc. Un verso forte e gracchiante, come un ”krrr” ripetuto, viene emesso quando le cornacchie scorgono un potenziale pericolo nel loro territorio. Un rapace, un gatto, un cane ma anche un uomo, se identificato come un pericolo, vengono apostrofati in questo modo. Tutte le cornacchie della zona accorreranno, anche loro emettendo lo stesso verso e in breve tempo un rumorosissimo stormo di uccelli sorvolerà l’intruso. In alcuni casi si può addirittura arrivare al contatto fisico. Le cornacchie più coraggiose si getteranno in picchiata sull’invasore che ha avuto l’ardire di violare i loro invisibili confini. Questo comportamento, che viene chiamato mobbing, ha lo scopo di allontanare un possibile pericolo aiutandosi l’un l’altra. Alcune volte, però, le cornacchie non utilizzano la voce ma fanno schioccare nervosamente il becco per comunicare la loro aggressività nei confronti di un altro individuo. Un linguaggio complicato quello delle cornacchie che presenta, inoltre, molti dialetti. Non è detto che, se una cornacchia sarda o friulana potesse arrivare a Roma riuscirebbe a comunicare con quelle trasteverine o dei Parioli. La società delle cornacchie è regolata da gerarchie molto precise. Durante l’inverno, quando abbandonati i territori di nidificazione le cornacchie divengono degli animali sociali, i maschi adulti di grandi dimensioni divengono i “capi”. Essere un capo significa principalmente essere il primo a mangiare e a scegliere il posatoio migliore. Questa gerarchia è definita dal sesso (i maschi sono dominanti sulle femmine), dall’età (gli adulti sono dominanti sui giovani) e dalle dimensioni (gli individui più grandi dominano sui più piccoli). Durante la cattiva stagione le cornacchie hanno l’abitudine di formare grandi addensamenti serali per andare a dormire tutte insieme sullo stesso gruppo di alberi. Questo luogo viene chiamato in termini tecnici “roost”. Prima di radunarsi in questi siti hanno anche l’abitudine di darsi appuntamento tutte le sere in zone che potrebbero essere chiamate “pre-roost”. Richiami emessi continuamente fanno quasi pensare che facciano l’appello per vedere che tutti siano arrivati e poi, spesso quando è già buio, vanno a dormire nello stesso luogo. Non è ancora chiaro il significato di questo comportamento ma si pensa che più individui insieme riescano a scorgere meglio l’arrivo di un eventuale predatore anche di notte, che i roost siano luoghi dove incontrarsi e “fidanzarsi”, ma c’è anche chi pensa che siano dei luoghi dove scambiare esperienze culturali. Ad esempio, se una cornacchia trova una fonte di cibo abbondante, la mattina seguente si dirigerà con decisione in quella direzione, informando involontariamente quei compagni che il giorno prima hanno avuto problemi per alimentarsi. In questi dormitori sono stati osservati anche più di 800 individui insieme. A Roma ne esistono diversi: i più grandi sono quelli di Villa Doria Pamphili e di Villa Ada. Ma la vita sociale delle cornacchie non si ferma certamente solo a questi aspetti. Molti comportamenti sono stati studiati solo recentemente e meriterebbero sicuramente approfondimenti. Ad esempio, durante lo svezzamento dei piccoli ci sono gli “aiutanti”, Sembrerebbe che siano i figli degli anni precedenti della stessa coppia che, non essendo ancora in grado di mettere su famiglia, aiutano nell’allevamento dei fratelli minori. Questo comportamento presuppone un fortissimo legame familiare e meccanismi di riconoscimento individuale di cui ancora non si conosce quasi nulla. La cornacchia mangia di tutto! Questo fa capire perché è possibile trovare questa specie in tutti gli ambienti. Le cornacchie sono in grado di digerire sostanze animali e vegetali, preferendo le prime in primavera-estate e le seconde in autunno inverno. Le cornacchie sono in grado di comportarsi da predatori catturando piccole prede (insetti, piccoli uccelli, topi, lucertole, rane e addirittura pesci) o da “avvoltoi”, mangiando animali morti. Anche se può sembrare crudele, durante lo svezzamento dei piccoli al nido, i genitori usano portare pulcini di cornacchia rapiti dai nidi dei vicini. Uno sbrigativo meccanismo di controllo delle nascite! La città offre alla cornacchia una miriade di possibilità di alimentazione, come ad esempio i sacchetti dei rifiuti che vengono aperti a colpi di becco, il cibo lasciato per i gatti, le uova dei piccioni urbani o i frutti degli alberi nei giardini. Come in altre città le cornacchie romane hanno imparato a rompere le noci, non solo quelle dell’albero europeo, ma anche quelle molto più dure del noce americano, una specie ornamentale presente ad esempio a Villa Borghese. Tenendo il frutto stretto nel becco si alzano in volo e lo fanno cadere sull’asfalto di strade poco frequentate. La caduta della noce è seguita in picchiata per evitare che qualche altro individuo rubi il ricco boccone, poiché anche l’abitudine di rubare cibo ad altri animali è molto frequente. Infatti, è spesso possibile osservare cornacchie che inseguono in volo altre cornacchie, gabbiani o addirittura i gheppi, un piccolo falco, per fargli cadere la preda e impossessarsene. Mentre, un’abitudine riscontrata solamente a Roma è quella di aprire i frutti del pino domestico, i pinoli, incastrandoli nelle crepe di un masso, di un muro o di una radice, per tenerli fermi e aprirli a colpi di becco. Negli ultimi anni il numero di cornacchie grigie a Roma è aumentato notevolmente, portando molti di noi ad accorgersi della loro presenza. Ma perché la cornacchia ha colonizzato Roma? Quali sono i motivi che spingono tanti uccelli (pensiamo, oltre alla cornacchia, anche a piccioni e storni) a vivere in città? Tutto dipende dai vantaggi che la città stessa offre al di là dei disturbi (ad esempio inquinamento e rumore) e dei pericoli (ad esempio traffico e gatti) che la caratterizzano. Il primo di questi vantaggi è, senza dubbio, la maggiore sicurezza di cui la cornacchia può godere in città: infatti all’interno dei confini cittadini non si caccia per ovvi motivi, e quindi le cornacchie che, fuori dalla città, spesso vengono abbattute per le loro incursioni nei coltivi, qui trovano scampo. Altro vantaggio è il cibo. In città la cornacchia può facilmente trovare fonti di alimentazione e i rifiuti che noi produciamo rappresentano la prima di queste fonti. Non è raro, infatti, vedere una cornacchia rovistare tra i cesti dell’immondizia che si trovano nelle nostre strade. Un ultimo vantaggio è la temperatura. A Roma, a causa dei motori delle automobili, della dispersione di calore del riscaldamento dalle abitazioni e dell’inquinamento atmosferico la temperatura è decisamente più alta che nelle zone vicine e questo rende la città più ospitale per le cornacchie durante l’inverno. Tutto ciò ci fa capire come, per la cornacchia, l’ambiente urbano appaia come un’oasi da colonizzare e ci fa anche comprendere il perché essa lo faccia anche se si trova a dover “convivere” con un coinquilino così egocentrico e diffidente come l’uomo. In conclusione, se potessimo chiedere alla cornacchia: “Cosa pensi di noi?” la risposta sarebbe: “Mi siete molto utili!”
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Fine quarta puntata
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