9 ottobre 2007

Fedro




La Cornacchia
di Roberto Maurizio




SESTA PUNTATA – TRE/CINQUE/2






Fedro



Fedro (20 a.C. - 50 d.C. circa) è stato un favolista latino attivo sotto Tiberio, Caligola, e Claudio. Nel quadro della letteratura della prima età imperiale, è uno dei pochissimi autori di nascita non libera: infatti era uno schiavo trace (o macedone secondo altre fonti) e nei manoscritti delle sue opere è citato come libertus Augusti, poiché sembra che sia stato liberato dall'imperatore. I codici tramandano circa novanta sue favole, divise in cinque libri, in senàri giambici, ma il corpus originario era molto più ampio. Tale corpus, fu con ogni probabilità sottoposto, soprattutto in età tardomedievale e rinascimentale, a mutilazioni ed integrazioni di varia natura. La ragione va ricercata nell'utilizzo di queste favole a scopi didattici, data la loro brevità e semplicità, ed in particolare per l'apprendimento dei primi rudimenti del latino. Sono sicuramente attribuibili all'autore anche le favole raccolte nell'Appendix Perottina (dal nome dall'umanista Perotti, curatore della raccolta); altre favole si possono ricostruire dalla parafrasi in prosa. Non pare che questo umile, ma dignitoso ed arguto favolista, abbia ottenuto fra i suoi contemporanei quel successo che avrebbe meritato, almeno presso il pubblico dotto, ma i suoi testi, riscoperti nel XV secolo, furono ripagati da notevole fortuna in età moderna. Il favolista Jean de La Fontaine gli deve molto e le favolette di Fedro, per il loro stile semplicissimo e i loro contenuti moraleggianti, ebbero notevole impiego, come già si è sottolineato, nell'insegnamento scolastico del latino. Nel suo primo libro di favole, Fedro offre nel prologo, il suo tributo a Esopo che indica quale fonte da cui ha attinto. Alcune favole di Fedro, come quella del lupo e dell'agnello, sono ancora oggi universalmente note.Fedro è il più prolifero nella scelta della cornacchia come protagonista ed è l’unico, anche, a fare una netta distinzione tra corvo e cornacchia.



“Il corvo e la volpe”



Un gracchio che era più grosso di tutti gli altri, disprezzando i compagni della sua razza, se ne andò in mezzo ai corvi, e pretendeva di vivere con essi. Ma quelli, che non conoscevano né la sua faccia né la sua voce, lo picchiarono e lo cacciarono via. Respinto dai corvi, esso tornò allora di nuovo ai suoi gracchi. Questi, a loro volta, indignati per l’affronto, non lo vollero ricevere. Ecco come avvenne che esso fu escluso dalla società degli uni e degli altri. Questo succede anche agli uomini che abbandonano la loro patria e preferiscono i paesi altrui: in questi sono malvisti perché sono stranieri, e si rendono odiosi ai loro concittadini perché li hanno disprezzati. Chi si compiace di falsi elogi, di solito lo sconta e se ne pente, pieno di vergogna. Il corvo aveva rubato da una finestra un pezzo di formaggio; appollaiato sulla cima di un albero, era pronto a mangiarselo, quando la volpe lo vide e si mise a parlargli così: "Che lucentezza hanno le tue penne, corvo! Che nobile portamento è il tuo e che volto! Se avessi una bella voce, nessun uccello sarebbe superiore a te". Allora quello sciocco, mentre voleva esibire la sua voce, lasciò cadere dalla bocca il formaggio, che la volpe astuta fu pronta ad afferrare con i suoi avidi denti. Solo allora il corvo ingannato deplorò la sua stupidità.



“La cornacchia e l’aquila”

Contro i potenti nessuno è protetto a sufficienza; se poi si aggiunge un consigliere malefico, va in rovina tutto ciò che forza e perversità attaccano. L'aquila portò in alto una tartaruga. Ma questa aveva nascosto il corpo nella sua casa di corno e così rintanata non poteva essere lesa in alcun modo. Giunge, fendendo l'aria, la cornacchia, e volandole accanto, dice: "È certo una preda bella grassa quella che hai arraffato con gli artigli; ma se non ti mostrerò che cosa devi fare, ti stancherà inutilmente con il suo notevole peso". Avuta la promessa di una parte, consiglia di rompere su una roccia la dura corazza, lasciandola cadere dall'alto del cielo; dopo averla così fracassata, avrebbe potuto cibarsi facilmente. Persuasa da queste parole, l'aquila seguì i consigli e divise generosamente il pasto con la sua maestra. Così quella che era stata protetta dal dono di natura, ìmpari contro due, perì miseramente.Contra potentes nemo est munitus satis: si vero accedit consiliator maleficus, vis et nequitia omnia cadunt. Aquila in sublime sustulit testudinem; sed cum testudo abdiderat corpus, illaesa manebat. Venit cornix et prope volans aquilam compellabat: «Consilium meum habebis: si partem praedae mihi* promiseris». Partem promittit aquila. Tum cornix: «Super scopulum praecipitare debet testudo, ut duram allidat corticem, sic facile cibum habebimus». Aquila monito paruit et cum cornice, mala magistra, large divisit dapem. Sic testudo simul robori et astutiae succubuit.

“La cornacchia e la pecora”

La tediosa cornacchia su la pecora
s'era allogata, e costei sopra il tergo
sopportatala a lungo e a malincorpo
disse: «L'avessi fatto
al can che addenta già pagato avresti!»
La perfida risponde:
«Sprezzo gl'inermi e cedo ai forti, io so
chi tormentare e chi blandire, astuta;
e anni su anni, fino a farne mille,
prorogo la vecchiaia». L’odiosa cornacchia si posò sulla schiena di una pecora e con il becco la tormentò e la picchiò a lungo. - Se tu andassi a fare questi sgarbi al cane – sospirò la pecora – li pagheresti cari! - Ben per questo non vado da lui, ma vengo da te – rispose pronta la cornacchia. – I dispetti li faccio ai deboli, con i potenti sono ossequiosa: campo cent’anni!

“La cornacchia e il cane”

Una cornacchia che offriva ad Atena una vittima, invitò un cane al banchetto sacrificale. “Perché sprechi i tuoi quattrini in sacrifici?”, le chiese il cane. “Tanto,la dea ti ha così in uggia che impedisce alla gente di credere ai tuoi presagi”. E la cornacchia: “Ma io le offro i sacrifici proprio per questo. Cerco di conciliarmela, dato che mi vede di mal occhio”. Così ci son molti che, per paura, non esitano a beneficare quelli che li odiano.
“La cornacchia e il corvo”
La cornacchia, gelosa del corvo, il quale dà auspici agli uomini, prevede il futuro ed è perciò da essi invocato come testimonio, si mise in testa di fare altrettanto. Vedendo passare dei viandanti, volò su un albero e piantatasi là, cominciò a gracchiare a tutta forza. Al suono della sua voce, quelli si volsero spaventati, ma uno disse subito: “Niente, niente, amici, andiamo pure avanti. E’ soltanto una cornacchia, e le sue grida non significano nulla”. Così anche tra gli uomini, chi si mette a gareggiare coi più potenti di lui non solo non riesce ad uguagliarli, ma si guadagna anche le beffe.

“La cornacchia e il pavone”

Una cornacchia tumida
di boria inconsistente
colse le penne cadute a un pavone
e se le pose in propria guarnitura;
poi, disprezzando le compagne, andava
in mezzo al gruppo dei pavoni belli.
Ma quelli, con beccate che spennacchiano,
discacciano la volatile impudente.
Come, da scorbacchiata,
piangendo, ritornava alle congeneri
fu ripudiata con severo biasimo.
E una di questa già da lei spregiate:
«Se fra nostre nidiate fossi stata
contenta - così disse -
se comportato avessi tua natura,
non saresti svergognata
né da noi ripudiata in tua sciagura».

Esopo, che si rifà a Fedro, ci offre questo racconto per aiutarci a non gloriarsi dei beni degli altri, ma piuttosto a prendere la nostra vita così com'è. Una cornacchia, tronfia di superbia, prese le penne che erano cadute a un pavone e se ne adornò. E, disprezzando le sue simili, si mescolò ad un bellissimo gruppo di pavoni. Quelli strappano le penne all'orgoglioso uccello e lo scacciano a zampate. La cornacchia, conciata male e ammaccata, in lacrime, riprese la strada del ritorno verso la propria gente; ma anche questi la scacciarono in modo umiliante. Allora una cornacchia, da lei precedentemente disprezzata, le disse: Se ti fossi accontentata di stare con noi e avessi voluto accettare ciò che ci aveva dato la natura, non avreste subito quella umiliazione e non sareste stata scacciata anche da noi.

“La cornacchia e la rondine fanfarona”

La rondine diceva alla cornacchia: “Io sono una fanciulla, e sono d’Atene, e sono di sangue reale, e son figlia del re d’Atene”, e continuava, con la storia di Tereo, e della violenza subita, e del taglio della lingua. “T’han tagliata la lingua”, disse la cornacchia, “e hai tanta parlantina! Che cosa mai succederebbe se ce l’avessi?”. I fanfaroni, a forza di parlare a vanvera, con i loro discorsi si smentiscono da soli. Un onesto soldato aveva guadagnato del denaro e lo aveva messo da parte, perché‚ era scrupoloso e non lo scialava, come gli altri, all'osteria. Due suoi camerati avevano il cuore cattivo e volevano portargli via il suo denaro; in apparenza, tuttavia, si comportavano molto amichevolmente. Un giorno gli dissero: -Ascolta, che cosa stiamo a fare qui in città, chiusi come se fossimo prigionieri? E per giunta uno come te, che a casa potrebbe guadagnare a dovere e vivere contento-. Insistettero così a lungo con questi discorsi, finché egli acconsentì e scappò con loro. Ma gli altri due non avevano altro intento che di rubargli il denaro fuori città. Quand'ebbero percorso un tratto di strada, i due camerati dissero: -Dobbiamo prendere la strada verso destra se vogliamo arrivare al confine-. -Ma neanche per idea!- rispose l'altro -di qui si torna dritti in città: dobbiamo proseguire a sinistra.- -Che cosa? Vuoi forse fare il prepotente?- gridarono gli altri due, gli si scagliarono addosso, lo picchiarono finché‚ egli cadde a terra e gli presero i soldi di tasca. Ma non era ancora abbastanza: gli cavarono gli occhi, lo trascinarono alla forca e ve lo legarono stretto. Lo abbandonarono là e se ne tornarono in città con il denaro rubato. Il povero cieco non sapeva in quale luogo triste si trovasse; tastò attorno a esse‚ e capì di essere seduto sotto una trave di legno. Allora pensò che si trattasse di una croce e disse: -E' stato bello da parte vostra avermi almeno legato sotto una croce: Dio è con me - e incominciò a pregare. Quando stava per imbrunire, udì un frullar d'ali: erano tre cornacchie che si posarono sulla forca. Ne udì una che diceva: -Sorelle, che novità ci portate? Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! La principessa è malata, e il vecchio re l'ha promessa in sposa a colui che la guarisce. Ma questo non lo può nessuno poiché la principessa ridiventerà sana solo se il rospo che si trova nello stagno verrà ridotto in cenere ed ella la berrà-. La seconda cornacchia disse: -Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! Questa notte verrà dal cielo una rugiada salutare e portentosa, e chi è cieco e si strofina gli occhi con essa, riacquista la vista-. La terza disse: -Ah, se la gente sapesse quello che sappiamo noi! Il rospo può essere di aiuto a una sola persona e anche la rugiada è rimedio per pochi, ma in città c'è grande pericolo: tutti i pozzi sono prosciugati e nessuno sa che se si toglie la grossa pietra quadrata che si trova sulla piazza del mercato, e vi si scava sotto, ne sgorgherà dell'ottima acqua-. Quando le cornacchie ebbero pronunciato queste parole, egli le udì volar via con un frullar d'ali. Piano piano si liberò dalle corde, poi si chinò, raccolse qualche erbetta e si strofinò gli occhi con la rugiada che vi era caduta sopra. Subito tornò a vederci, e siccome in cielo c'erano la luna e le stelle, vide che si trovava presso la forca. Cercò allora un vaso di terracotta e raccolse quanto più potette‚ della preziosa rugiada; poi andò allo stagno, rimosse un po' l'acqua, tirò fuori il rospo e, dopo averlo ridotto in cenere, si recò alla corte del re. Là fece bere la cenere alla principessa, e quand'ella guarì la domandò in moglie, come era stato promesso. Ma siccome era vestito miseramente, egli non piacque al re, sicché questi fece sapere che colui che volesse avere sua figlia in sposa doveva prima procurare acqua alla città; così credeva di essersi liberato di lui. Ma egli andò alla piazza del mercato e disse alla gente di sollevare la pietra quadrata e di cercare l'acqua scavandovi sotto. Così fecero e presto trovarono una bella sorgente che dava acqua in abbondanza. Il re non poté più rifiutargli la figlia, ed essi si sposarono e vissero insieme felici. Un giorno, mentre se ne andava a passeggio per i campi, incontrò i due camerati di un tempo che erano stati tanto sleali con lui. Essi non lo riconobbero, mentre egli li identificò subito, andò da loro e disse: -Vedete, sono il vostro camerata di un tempo, al quale avete cavato gli occhi in modo così infame; ma il buon Dio, per fortuna, me li ha fatti ricrescere-. Allora essi si prostrarono ai suoi piedi e chiesero grazia; e siccome egli era di buon cuore, ne ebbe pietà, li prese con s‚ e diede loro vestiti e nutrimento. Indi raccontò come gli erano andate le cose e come fosse arrivato a tanta fortuna. Appresa ogni cosa, gli altri due non si davano pace e vollero anch'essi trascorrere una notte sotto la forca per vedere se sentivano qualcosa di interessante. Quando si trovarono sotto al patibolo, udirono un frullar d'ali sopra le loro teste: erano le tre cornacchie. La prima disse alle altre: -Ascoltate, sorelle, deve averci ascoltate qualcuno, poiché la principessa è guarita, il rospo è sparito dallo stagno, un cieco è tornato a vederci e in città hanno scavato di fresco un pozzo; venite e cerchiamo, forse troveremo colui che ci ha ascoltate!-. Le tre cornacchie scesero a volo e trovarono i due soldati; prima che questi potessero difendersi, si posarono sulle loro teste e cavarono loro gli occhi a forza di beccate, poi continuarono a beccarli finché‚ li uccisero. Così i due rimasero distesi sotto la forca. Non vedendoli tornare da due giorni, il loro vecchio camerata si chiese dove fossero andati a finire e si mise a cercarli. Ma non trovò altro che le loro ossa, le portò via dalla forca e le mise in una fossa.“Il viandante e il corvo”Gli uomini si lasciano spesso ingannare dalle parole. Un tale, percorrendo un sentiero fuori mano tra i campi, udì "Salve"; sostò un momento e quando vide che non c'era nessuno, riprese il cammino. Di nuovo la stessa voce lo saluta da non si sa dove. Rassicurato dal tono amichevole, si fermò per ricambiare la cortesia dell'altro, chiunque fosse. Guardò in giro e rimase a lungo nel suo errore, perdendo il tempo necessario per percorrere alcune miglia; finalmente si mostrò un corvo, che passando a volo su di lui, continuò a riversargli addosso "Salve". Allora, accorgendosi di essere stato preso in giro, disse: "Ma un accidente a te, disgraziato d'un uccello, che hai trattenuto così i piedi di chi ha fretta".

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