Presentiamo l'intervista con Guido Carli, Governatore della Banca d'Italia dal 1960 al 1975, pubblicata sul numero 14 della rivista "Cooperazione" del Ministero degli Affari Esteri italiano, anno IV, luglio 1980.
LE SCELTE IMPROROGABILI
Intervista con Guido Carli
di Roberto Maurizio e Paolo Galeotti
Intervista con Guido Carli
di Roberto Maurizio e Paolo Galeotti
La cooperazione industriale dovrebbe avere uno spazio importante nelle negoziazioni Nord-Sud. Il dialogo attualmente è interrotto o quanto meno reso farraginoso da incomprensioni tra i negoziatori sugli stessi termini del problema. Quali sono, a Suo avviso, i limiti che i paesi industrializzati incontrano nel realizzare la cooperazione allo sviluppo?
L'aumento del prezzo del petrolio e la conseguente accumulazione di avanzi della bilancia dei pagamenti in un gruppo ristretto di paesi esportatori ripropone il problema del finanziamento dei loro disavanzi. I paesi industrializzati infatti finanziano i propri disavanzi in larga parte mediante prelievi dalle riserve, provocando così un trasferimento di riserve di liquidità internazionale unicamente verso i paesi esportatori. Ovviamente questo processo condurrebbe alla paralisi quando la continuità degli squilibri conducesse ad una concentrazione di riserve presso un gruppo limitato di paesi ad un livello di guardia assai pericoloso. Subentra allora il sistema finanziario internazionale, che però pone il problema della maggiore o minore facilità di accesso da parte dei diversi paesi. Nell'ambito dei paesi in via di sviluppo, occorre distinguere quelli che sono più prossimi all'industrializzazione degli altri. Questi hanno maggior facilità di accesso: quindi gli squilibri della bilancia dei pagamenti, aggravati dai recenti aumenti del prezzo del petrolio, penalizzano i paesi più poveri, in quanto meno degli altri hanno accesso al sistema finanziario internazionale. Se noi osserviamo le cifre pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale notiamo che nel perìodo compreso tra il dicembre 1977 e il settembre 1979 l'indebitamento netto, cioè debiti meno crediti, dei paesi in via di sviluppo verso il sistema bancario internazionale — quindi verso le maggiori banche o-peranti sul piano internazionale — è salito da 49 a 74,7 miliardi di dollari, con un incremento di 25,7 miliardi di dollari. La quasi totalità di tale aumento concerne i paesi dell'emisfero occidentale (17,4 miliardi di dollari su 25,7). L'indebitamento netto di questi paesi sale da 40 a 57,4 miliardi di dollari. Nell'interno di questa area si concentrano paesi come il Brasile e il Massico. Gli squilibri della bilancia dei pagamenti sono quindi attualmente finanziati dal sistema monetario internazionale. In conclusione, nella situazione attuale, i paesi che incontrano gli o-stacoli finanziari più aspri lungo il cammino dello sviluppo sono quelli che hanno un'alta densità di popolazione, e nello stesso tempo una bassa capacità di accesso al credito. Ad esempio, in questo periodo noi constatiamo che l'indebitamento netto dei paesi africani sale da 8 a 10,3 miliardi, cioè sale di 2,3 miliardi. In altre parole, l'aumento del prezzo del petrolio ha introdotto nel meccanismo finanziario internazionale un profondo rivolgimento, perché ha determinato una ridistribuzione degli avanzi e dei disavanzi. Restano i disavanzi dei paesi in via di sviluppo, ma gli avanzi, di contropartita, si sono spostati e concentrati in alcuni paesi con scarsa propensione all'assunzione del rischio del finanziamento verso paesi in via di sviluppo. Quindi resta la funzione di intermediazione del sistema bancario, il quale, a propria volta, urta contro il limite rappresentato dall'entità del rischio, che sposta il finanziamento medio e lo concentra nei paesi a mi-nor rischio. Assistiamo allora ad una continuità di flusso di finanziamento verso paesi come il Messico, il Brasile, ed entro certi limiti anche verso paesi come la Corea del Sud e le Filippine, e allo stesso tempo vediamo ridursi tale flusso verso paesi più depressi e quindi ad alto rischio nei confronti dei quali si concentra solitamente l'attenzione quando si propone il problema del dialogo Nord-Sud. In conclusione, nonostante la migliore disposizione di alcuni paesi industrializzati, i flussi di fondi che si dirigono verso paesi in via di sviluppo sono largamente inadeguati a promuovere proprio lo sviluppo di quei paesi che ne avrebbero maggiore necessità.
Cosa può fare in concreto l'Italia?
Cosa può fare in concreto l'Italia?
L'altro ostacolo che incontrano i paesi in via di sviluppo è rappresentato dall'assenza di progetti e, conseguentemente, uno dei modi concreti con cui promuoverne lo sviluppo è rappresentato dall'assistenza nella progettazione. Trattandosi di un campo che non impegna tanto imponenti risorse finanziarie, quanto piuttosto capacità professionali, che nel nostro Paese non mancano sicuramente, credo che l'Italia possa contribuirvi in modo più tangibile. Ritengo perciò che è proprio in questa direzione che noi potremmo svolgere un ruolo significativo, mentre permango pessimista nel prospettare il nostro intervento in campo finanziario, in quanto in questo momento non si riescono ad indicare con sicurezza soluzioni appropriate. Nel campo della progettazione, quindi, potremmo impegnarci di più, organizzandoci per collaborare all'attuazione di progetti globali. Sulla base della mia esperienza diretta, in qualità di presidente dell' Impresit in Nigeria, posso dire che il complesso di opere di irrigazione compiute in questo paese si classifica, tra queste iniziative, come una delle più consistenti nel quadro dei programmi di bonifica. Però il suo successo d'insieme è legato ad una serie di progetti finalizzati da un lato a rendere produttive le aree irrigate, dall'altro a instaurare le condizioni per la lavorazione dei prodotti, con un complesso di iniziative che richiedono un certo tipo di collaborazione e di coordinamento. In via ipotetica, l'opera di coordinamento potrebbe essere svolta dal Ministero degli Esteri. Ho citato questo esempio soltanto perché lo conosco per esperienza diretta, ma non ritengo affatto che sia l'unico caso.
Anche alla luce del recente dibattito internazionale, che collocazione darebbe all'industrializzazione nelle priorità dell'aiuto allo sviluppo?
Sono del parere che i problemi dei paesi in via di sviluppo non siano identificabili esclusivamente nell'industrializzazione: il vero problema è l'investimento. Ecco perché ho citato quel progetto che è un progetto di opere idrauliche, di irrigazione. In questi paesi vi è il complesso problema dell'accrescimento della produzione agricola, e questo, a sua volta, richiede il finanziamento delle infrastrutture, nonché l'adattamento dell'assetto sociale. In questi paesi si pone il problema di ridistribuzione della proprietà della terra e, indipendentemente da ciò, vi è il problema della aggregazione della proprietà dispersa; vi è, inoltre, il problema della cooperazione e, quindi, il problema dell'educazione alla cooperazione.
Nell'ambito del Terzo Mondo esistono paesi semi-industrializzati (Brasile, Messico, eco.), i cosiddetti NICs, che in un immediato futuro potrebbero essere concorrenti agguerriti delle imprese del Nord. Cosa pensa Lei di questi paesi?
Anche alla luce del recente dibattito internazionale, che collocazione darebbe all'industrializzazione nelle priorità dell'aiuto allo sviluppo?
Sono del parere che i problemi dei paesi in via di sviluppo non siano identificabili esclusivamente nell'industrializzazione: il vero problema è l'investimento. Ecco perché ho citato quel progetto che è un progetto di opere idrauliche, di irrigazione. In questi paesi vi è il complesso problema dell'accrescimento della produzione agricola, e questo, a sua volta, richiede il finanziamento delle infrastrutture, nonché l'adattamento dell'assetto sociale. In questi paesi si pone il problema di ridistribuzione della proprietà della terra e, indipendentemente da ciò, vi è il problema della aggregazione della proprietà dispersa; vi è, inoltre, il problema della cooperazione e, quindi, il problema dell'educazione alla cooperazione.
Nell'ambito del Terzo Mondo esistono paesi semi-industrializzati (Brasile, Messico, eco.), i cosiddetti NICs, che in un immediato futuro potrebbero essere concorrenti agguerriti delle imprese del Nord. Cosa pensa Lei di questi paesi?
Anche questi paesi presentano due tipi di problematiche: quella del settore agricolo e quella del settore industriale. Anch'essi, infatti, risentono del problema della produzione alimentare, in presenza di una situazione demografica senza precedenti; nello stesso tempo si trovano di fronte al grande problema della creazione di posti di lavoro, in misura corrispondente all'entrata sul mercato del lavoro delle generazioni — attualmente al di sotto dell'età lavorativa — che si sono numericamente ingigantite. Quindi anch'essi devono comprensibilmente dirigersi verso l'industrializzazione. Ed allora, quali sono i settori nei quali questo processo tenderà a manifestarsi con maggiore intensità? Secondo me, ciò avverrà sia nei settori di lavorazione delle materie prime, delle quali essi dispongono, sia nei settori ad alta densità di mano d'opera. Cioè, è evidente che l'industrializzazione tende a gravitare attorno alla prima e alla seconda lavorazione delle materie prime, in quanto si tratta di settori ad alta densità di mano d'opera. In fondo questi paesi hanno alcune materie prime, ma molta mano d'opera, ecco perché il processo di industrializzazione si muove in questa direzione. Ciò pone all'Europa nel suo insieme un problema molto complesso di aggiustamento strutturale, che deve tener conto di un mutato rapporto nella distribuzione internazionale del lavoro, perché, di fronte a questi andamenti, una delle reazioni possibili da parte dell'Europa potrebbe essere quella di ricorrere di nuovo alle politiche protezionisti-che. E' evidente che questa azione produrrebbe effetti disastrosi nei confronti dell'industrializzazione dei paesi in via di sviluppo. Quindi occorre tener conto di una diversa distribuzione internazionale del lavoro. Questi sono i problemi da affrontare nell'ambito della Commissione della Comunità Economica Europea. Ed io sono sempre più convinto che i paesi che si propongono di collaborare allo sviluppo non devono dimenticare che uno dei modi più efficaci è quello di non contrastare lo sviluppo industriale di questi paesi attraverso il ricorso a politiche protezionistiche. E' evidente che ciò richiede, anche da parte dei paesi europei, l'accettazione delle trasformazioni strutturali imposte dalla nuova distribuzione internazionale del lavoro, l'identificazione delle direttrici lungo le quali spingere il processo di industrializzazione; tra queste, solitamente viene indicata quella delle telecomunicazioni, della telematica, dell'informatica, dell'elettronica; però non è una risposta sufficiente.
Si possono correlare tra loro la crisi del settore automobilistico occidentale e la delocalizzazione delle imprese di questo settore nei paesi emergenti?
Attualmente la caduta della domanda nel settore automobilistico, specialmente negli Stati Uniti, è dovuta alla caduta della domanda interna. Il pubblico reagisce nel senso di allungare i tempi entro i quali rinnova l'automobile, si sposta verso modelli che consumano minor quantità di carburante. E' una trasformazione interna. Non si può affermare attualmente che il settore subisca concorrenza da parte di paesi in via di sviluppo.
Attualmente la caduta della domanda nel settore automobilistico, specialmente negli Stati Uniti, è dovuta alla caduta della domanda interna. Il pubblico reagisce nel senso di allungare i tempi entro i quali rinnova l'automobile, si sposta verso modelli che consumano minor quantità di carburante. E' una trasformazione interna. Non si può affermare attualmente che il settore subisca concorrenza da parte di paesi in via di sviluppo.
Nel recente documento approvato dal CIPES il settore industriale viene posto al quarto ed ultimo posto (mentre al primo è stato collocato quello agricolo). Cosa pensa Lei di questa classificazione?
Indubbiamente oggi l'agricoltura è il settore più importante verso il quale rivolgere l'attenzione, sia all'interno dei paesi emergenti sia come campo della cooperazione internazionale. Però, come dicevo prima, questo settore richiede una cooperazione progettuale. Agricoltura vuoi dire costruire dighe, canali, opere di irrigazione, vuoi dire ricomporre la proprietà agraria, costruire centri per la distribuzione degli attrezzi agricoli, per la conservazione, la lavorazione, la distribuzione dei prodotti. Quindi è difficile stabilire una linea netta di demarcazione tra agricoltura e industria, perché, soprattutto nei paesi nei quali i raccolti sono concentrati in determinati periodi dell'anno, si pone come primario il problema della conservazione dei prodotti e della loro distribuzione. Per alcuni prodotti, poi, si pone anche il problema della loro esportazione.
Qual è dunque la Sua conclusione sull'attuale stato della cooperazione internazionale?
La mia conclusione è che esiste un problema di carattere finanziario non ancora risolto. La stessa Commissione presieduta da Brandt (che fra gli altri ha consultato anche me), non ha dato risposte, o comunque non ha dato risposte nuove. Ma, indipendentemente dalle risposte che danno le commissioni, vi è uno stato obiettivo, rappresentato dal fatto che da un lato i paesi in avanzo di bilancia di pagamento, in questo momento, sono scarsamente propensi all'investimento diretto, ed impiegano i propri avanzi in collocamenti nel sistema finanziario internazionale; dall'altro il sistema bancario ha assunto rischi tali che richiedono che esso divenga sempre più prudente nella concessione di nuovi crediti.
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