9 ottobre 2007

L'upupa e Aristofane

"Io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello,
per provare quella contentezza e letizia della loro vita."
“Elogio agli uccelli”- Giacomo Leopardi


La Cornacchia
di Roberto Maurizio

SESTA PUNTATA – DUE/CINQUE

L’UPUPA NELLE SURAH



La cornacchia, o altri volatili della “famiglia” più allargata sono presenti in molti passi di testi religiosi, come nella Bibbia e nel Vangelo (il corvo) e nel Corano l’upupa (classe Aves, ordine Caraciiformes). Giobbe afferma : “Chi prepara al corvo il pasto quando i suoi nati gridano a Dio e vagano spinti dalla fame?” (Gb., 38, 41). Gesù ripete e chiarisce: “Osservate i corvi: non seminano né mietono; non hanno dispensa né granaio eppure Dio li nutre. Quanto più gli uccelli valete voi” (Lc., 12, 24). La “parente” lontana di Sosa e Susa, l’upupa appare nel Corano (sura XXVII) quando, con la sua cresta cinta di nobile corona, si rivolge a un folto gruppo di uccelli esortandoli a raggiungere Simurgh, il loro mitico re, che dimora in terre lontane e sconosciute. Nel Corano, ancora, l'upupa è messaggera di Salomone presso la regina di Saba e non può sfuggire l'analogia con la guida di Dante, Virgilio, nel suo viaggio ultraterreno. Trattandosi di un viaggio sconosciuto e misterioso non può essere compiuto senza qualcuno che conosca la strada. Gli uccelli incarnano gli attributi della personalità umana e ciascuno di loro, infatti, muove obiezioni all'invito dell'upupa, trova scuse e pretesti per mostrarsi esitante. L'upupa risponde con pazienza alle loro spesso ipocrite argomentazioni. Alla fine lo stormo partirà ma, altro simbolismo, solo trenta uccelli su centomila arriveranno alla meta. Simurgh significa 'trenta uccell' e raggiungere Simurgh si configura, quindi, come l'approdo allo specchio della verità essenziale dei trenta superstiti. Il viaggio si conclude con la scoperta della identità e unità dell'anima con il Principio Universale. Il ritorno all'origine comporta quindi una strage di egoismi e falsi attributi umani. Il viaggio si realizza, come l'upupa aveva annunciato e descritto, attraversando sette ardue valli, e ciò che sopravvive deve annichilirsi per poter rinascere ad una vera Coscienza. Le valli, simbolo delle tappe dell'evoluzione interiore, sono quelle della Ricerca, dell'Amore, della Conoscenza, del Distacco, dell'Unificazione, dello Stupore, della Povertà. I dialoghi sono inframmezzati da racconti aneddotici che rinforzano il carattere didascalico e sapienziale del poema. Si riporta, brevemente, qualche passo solo per dare una idea del suo tenore. Parla l'upupa: "Amici uccelli, in verità io sono il messaggero del divino, l'inviato dell'invisibile…io ebbi udienza un giorno da Salomone e per questo divenni eminente tra i suoi sudditi…noi abbiamo un re senza rivali che vive oltre la montagna di Qaf. Il suo nome è Simurgh ed è il sovrano di tutti gli uccelli. Egli ci è vicino ma noi siamo ad una distanza infinita da lui… La sua dimora è protetta da gloria inviolata. Il suo nome non è accessibile a ogni lingua… Se vi avrò come compagni sarete a corte i più intimi confidenti del re. Liberatevi dalla vostra miope presunzione! Chi mette in gioco la vita per lui si libera da se stesso, sulla via dell'amato egli va al di là del bene e del male. Abbandonate la vostra vita e iniziate il cammino, avvicinatevi a quella corte a passo di danza!I pretesti di tutti gli uccelli: Noi che siamo una turba di deboli e inetti, privi di penne e di ali e di corpo e di spirito, come potremo giungere sino al nobile Simurgh se non in virtù di un miracolo? Quale relazione può esistere tra noi e lui? Se davvero esistesse un rapporto tra noi, non dovremmo forse desiderare di cercarlo? Egli è come Salomone, noi siamo miserabili formiche: considera attentamente il suo rango e commisuralo al nostro. Una formica precipitata nel fondo di un pozzo può forse giungere a Simurgh contando sulle sue forze? E perché mai un principe dovrebbe divenire amico di un miserabile?L'upupa così rispose. O inconcludenti! Da cuori a tal punto inariditi come potrà stillare autentico amore? Miserabili creature, fino a quando durerà la vostra ignavia? Passione e aridità non possono coesistere e chiunque aprì gli occhi all'amore andò a giocarsi la vita a passo di danza.Ecco, le immagini del Popolo Migratore, mostrano che questi antichi poeti, sapevano osservare la Natura molto bene, al punto da trarne simbologie universali. Sapevano molto bene che il cuore umano, in quanto contenente un atomo di assoluto, va osservato come fenomeno naturale. "Il viaggio è una prova davvero dura", dice la voce narrante mentre le immagini mostrano scene di abbattimenti da cacciatori e carcasse scheletrite nel deserto. Le danze rituali delle gru e degli altri uccelli riempiono i luoghi delle loro soste, lungo le rotte del viaggio, come chi si sia affidato alla forza naturale dell'amore. La classica formazione di volo a cuspide delle oche, che l'operatore riesce a farci seguire come se fossimo uno di loro, toglie ben poco alla fatica meccanica del viaggio ma dona tutto dal lato essenziale dell'energia solidale del gruppo che avanza verso una meta di un altro continente. Ciascuno sa che nessuno può affrontare per lui il suo proprio settore di aria, di vento, di gelo, verso la meta. La Natura non aiuta né ostacola. Semplicemente segue il suo corso e gli uccelli possono seguire soltanto il proprio destino. Al cospetto delle necessità naturali le attività dell'uomo, oltre che inquinanti, appaiono semplicemente fuori posto, artificiali e per nulla funzionali al corso naturale delle cose. Una inutile e violenta intrusione. Il volo delle oche su New York e le sue Torri ancora in piedi, fa apparire, nella sua involontaria evocazione, la Natura ancora più lontana, profonda e imperturbabile, come un vecchio saggio Zen. Quando al fine le oche ritornano al luogo da dove sono partite la voce narrante dichiara: "La promessa del ritorno è stata mantenuta". Non tutte sono tornate. Forse sono più di trenta su centomila e viene spontaneo chiedersi se noi, esseri evoluti, siamo in grado di riconoscere e mantenere le promesse verso il nostro destino, affrontando decimazione e morte simbolica. Attar vuole ricordare a tutte le genti delle epoche susseguenti che l'uomo ha un destino naturale più arduo, percepibile solo con il cuore, che non può non affrontare. Le sue promesse sono state pronunciate in altri luoghi.Il popolo dell'uomo ha itinerari lungo altri mondi.Il popolo dell'uomo vola con le ali del cuore.La meta del suo ritorno è tra le stelle.


ARISTOFANE E LE CORNACCHIE

Aristofane in greco Ἀριστοφάνης (450 a.C. circa – 388 a.C. circa) è stato un drammaturco greco, uno dei principali esponenti della Commedia Antica (l'Archaia) insieme a Cratino ed Eupoli, nonché l'unico di cui ci siano pervenute alcune opere complete (undici).Il suo primo successo nelle competizioni drammatiche fu nel 427 a.C. con la commedia oggi perduta, Daitaleis, ovvero I Banchettanti, che metteva in ridicolo il nuovo, modernizzante, sistema educativo. Operò principalmente durante il periodo della Guerra del Peleponneso, che si concluse con la sconfitta di Atene di fronte a Sparta. Il periodo successivo alla sconfitta ateniese del 404 a.C., lo vede ripiegare dalla sua accesa passione e coinvolgimento politico, dedicandosi a commedie più sociali e di costume. In un'altra commedia giovanile, egualmente non pervenutaci se non frammentariamente, I Babilonesi, attacca Cleone, un demagogo affamato di potere e denaro, anche a costo di sfruttare le città alleate. L'anno successivo, Aristofane continuò i suoi attacchi anticleoniani, facendone il personaggio centrale dei Cavalieri, messo in scena come "Paflagone" e stigmatizzato senza pietà come demagogo.Nelle Nuvole beffeggia i sostenitori di Socrate, presentato a metà tra il filosofo naturalista e il sofista, cattivo educatore della gioventù, cui insegna il Discorso Ingiusto che vince in ogni dibattito: il filosofo è visto come un pericolo da scacciare, bruciandone la scuola (il Pensatoio), con gran perplessità della posterità, anche in considerazione della reale - e non teatrale - condanna a morte che colpì il maestro di Platone nel 399 a.C.. Le Vespe trattano l'argomento dei processi e della giustizia in genere, un tema di attualità, in una città così litigiosa come Atene. Nella Pace, il protagonista, Trigeo, vola fino in cielo, abbandonato perfino dagli dei, disgustati, e libera Pace dalle grinfie di Polemos, la guerra, con l'aiuto di tutti i Greci e con gran disperazione dei fabbricanti di armi e degli altri mestatori. La commedia non a caso è piena di speranza per l'avvenire, in quanto scritta nel momento in cui Sparta ed Atene negoziavano la Pace di Nicia, 421 a.C.. Ci sono pervenuti, poi, anche Gli uccelli, 414 a.C., una sorta di evasione dai litigi e le beghe in cui era piombata la città, da parte di due ateniesi che vanno a vivere tra gli uccelli. Gli Uccelli (Ὄρνιθες) è il titolo di una commedia dell'autore greco Aristofane, scritta nel 414 a.C.. Narra di due cittadini ateniesi, Pistetero ed Evelpide, che fuggono dalla città cercando un mondo ideale, ovvero quel posto indefinito fra terra e cielo dove regnano le creature alate. Qui arrivati, si propongono e vengono accettati come fondatori della città degli uccelli, chiamata Nubicuculia, ed escogitano un furbesco ricatto ai danni degli déi dell'Olimpo. Molte però saranno le scocciature e gli intralci con cui il nuovo stato e i suoi governanti dovranno aver a che fare. La commedia, già dalle prime battute, si propone come una stoccata satirica al modo di vivere ateniese e soprattutto al potere bolso e tiranneggiante della magistratura; è altresì molto interessante, e ancora oggi motivo di riflessione, scoprire col progredire dell'azione scenica quanto si riveli di nuovo (e di vecchio) nella neonata Nubicuculia, rispetto alle città-stato esistenti all'epoca.
Ecco la trama. Due ateniesi lasciano la loro città tediosa, divorata dalla passione vendicativa della giustizia. Reggono sul pugno chiuso un gracchio e una cornacchia; e se ne vanno in cerca di un luogo senza seccature, per trascorrervi il resto della vita.
Così comincia "Gli Uccelli" di Aristofane, la più bella commedia di tutti i tempi. Laggiù i due ateniesi cercano e trovano un grande sogno utopico: una città morbida e soffice "come una pelliccia", che rinnova la perduta età dell'oro, quando gli uccelli, più antichi di Crono e dei Titani, erano sovrani della terra; una patria dolce e materna, senza leggi ne violenza, dove gli uccelli non vengono venerati nei templi, ma nei cespugli, sui lecci, sugli ulivi, tra i corbezzoli e gli oleandri, e in cambio assicurano agli uomini "felicità, lunga vita e pace, giovinezza, risate, danze e festini" - ciò che gli indifferenti dèi dell'Olimpo non ci hanno mai dato. Quanto poco dura questa lieve ventata di utopia! Solo per un attimo gli uomini diventano uccelli, e battono le ali nel cielo puro. Pisetero, il cittadino di Atene, non ama che il potere; e ristabilisce il regno della legge, stravolgendo l'aerea Nubicuculia in un doppio del mondo reale, dove gli uccelletti sorpresi a cospirare contro la democrazia vengono trasformati in un arrosto succulento. Eppure, malgrado questa caduta, il cerchio non si chiude del tutto. Agli uccelli, per quanto sconfitti, restano le ali, il volo - l'emblema della libertà assoluta. Il mondo nuovo manterrà la loro impronta nel trionfo del nonsenso - che rivela il migliore dei mondi possibili o forse l'unico ancora possibile nella cosiddetta società civile. Aristofane venera e celebra tutti i miti, quelli antichi e quelli moderni, che crea instancabilmente nel proprio linguaggio ; e di tutti i miti si prende gioco, con la beffa più empia e dissacratrice, che s'accende come un razzo, sale verso il ciclo, deflagra senza fine nell'aria, superando tutti i limiti e le misure della mente umana.

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