di Roberto Maurizio
Si chiama Glast (Gamma-Ray Large Area Space Telescope) e nasce da un contributo degli scienziati italiani. E’ un potente osservatorio astronomico della Nasa per lo studio dell’universo violento, lanciato da un vettore Delta da Cape Canaveral l’11 giugno 2008, alle ore 18.05 ora italiana. 11 giugno, come 11 settembre. Ma qui, Alkaida non c’entra. Forse, però, c’è una coincidenza astrale. Infatti, quasi nello stesso istante della messa in orbita di Glast, a 53 chilometri da Catania, a Mineo, sei persone vengono uccise da miasmi (voce dotta, miasma, che significa lordura, contaminazione, da miainein – lordare, di etimologia incerta, al plurale, miasmi, significa malsana esalazione di organismi in putrefazione o di acqua stagnante e impaludata che viziano l’aria, odore fetido o pestilenziale) e fango.
I versi di Edgar Lee Masters non sono "rassicuranti". Altrettanto poco "gioviali" si preannuncia la missione di Glast che sta cercando l'Universo violento. Ma Glast non si accorge che la vera violenza è a due passi da Catania. Sei morti. Sei famiglie distrutte. Ma, quello che più spaventa è la giovane età delle vittime di Mineo, commemorate, il giorno dopo da tanti vecchi politicanti che nello loro vita non hai corso il rischio di una “morte bianca”. Temperare una matita, coltivare i tulipani, non è la stessa cosa di stare in bilico a 100 metri di altezza, di stare vicino alla bocca della fornace di un'acciaiaria, di lavorare sull'autostrada con "pazzi al volante" con o senza alcool che sfrecciano a 180 chilometri all'ora per raggiungere una meta senza fine. E' la pazzia che guida la mente degli assassini. E' la pazzia senza senso, senza pregresso quella che più conta. E' la pazzia senza futuro. L'unico, finora, che ha saputo contrastare questo "pazzo, pazzo mondo" è stato il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che, anche in questa tragica occasione, è stato all’altezza della sua carica. Purtroppo, la "televisione" trasmette immagini che restano indelebili nella mente dell'ignaro telespettatore: si vedono commemorazione di morti sul lavoro (sempre giovani) da parte di una grigia platea, questa veramente bianca nel colore dei capelli. E' facile piangere quando non si è coinvolti direttamente. E' facile fare discorsi altisonanti quando non si è in grado di capire il pericolo che corre un lavoratore, lontano anni luci dalla sedia ovale nella quale si attende fiduciosi il passaggio obbligato che altri sono costretti a percorre a 27/50 anni (gli anni più belli della vita).
Li hanno “ripescati”, dopo molte ore sul fondo di una cisterna del depuratore di Mineo, nel Catanese. I feretri con i loro corpi hanno lasciato quello che un tempo era il loro posto di lavoro tra le urla di dolore e i pianti di amici e famigliari. L'ennesimo caso di morti bianche, una tragedia che ha gettato nello sconforto sei famiglie. I sei operai, sembra, che non indossassero alcuna protezione per naso, bocca e sistema respiratorio in genere. I soccorritori li hanno trovati riversi in una vasca di sedici metri per 5 metri di profondità, coperti dalla melma che affluisce dalle due vasche adiacenti. La griglia di protezione era stata asportata. Sarà in ogni caso l'autopsia a far luce sulle cause della morte. «Sono morti abbracciati uno con l'altro, quasi certamente nel tentativo di salvarsi a vicenda» ha raccontato don Minè Valdini, parroco della chiesa di Sant'Agrippina, patrono di Mineo, che ha visto le sei vittime all'interno del depuratore dove è avvenuta la tragedia. «Sono morti - ha aggiunto il sacerdote, trattenendo a stento la commozione - con un gesto d'amore. Un atto di generosità che purtroppo non è servito a nulla».
L’analisi di Gad Lerner
Gad Lerner ha ricordato nel suo blog che "quando gli operai muoiono in troppi alla volta come a Mineo, fulminati o asfissiati letteralmente nella melma, resi massa irriconoscibile dal colore del fango, allora l’Italia è costretta a ricordare”. “Si crepa di nuovo nelle stive, nelle autocisterne, nei depuratori, sulle impalcature, sulle linee di lavorazione a caldo, come un tempo si crepava nelle miniere. Subiamo il contrasto scandaloso fra la retorica di una sicurezza ideologica, con cui viene drogata la politica, e poi la sicurezza effettiva sacrificata magari con la scusa che la produttività si migliori facendo senza gli scafandri, gli estintori, i respiratori, i caschi. L’umiliazione del lavoro manuale, la retrocessione della vita operaia a destino sfortunato, spesso vengono giustificate in nome di una virtuosa concordia interclassista, perché il conflitto fra legittimi interessi altro non sarebbe che “invidia sociale”. Lerner si scaglia conto i “costi crescenti, e dice: "Metteteli a bilancio per tempo, invece di stanziare oltre dieci milioni di euro per l’indennizzo delle vittime della ThissenKrupp, oltretutto ponendo la condizione vessatoria che rinuncino a costituirsi parte civile nel processo”. “Il lutto, continua Lerner, degli operai siciliani, piemontesi, veneti, liguri, pugliesi – il susseguirsi delle stragi al ritmo insopportabile di dieci morti in un solo giorno- rivela il tragitto di un paese nel quale i lavoratori tornano a essere plebe”. “Il nostro rimpianto boom economico, al tempo della ricostruzione, secondo Lerner, semmai lui l'ha veramente vissuto (ndr), scaturì dal concorso fra talento imprenditoriale e ritrovata dignità del lavoro, dall’orgoglio di una comunità nazionale capace di valorizzare anche la fatica fisica che oggi invece viene rimossa, imposta per bisogno, sopportata come vessazione” (Qui non so se Lerner abbia ragione. I dati sui morti degli anni '50, '60 e '70 sul lavoro non sono ancora stati resi noti. So che proprio in quegli anni i nostri emigranti in Canada lavoravano a 150 metri di altezza a 23 - 30 gradi sotto zero, e se non morivano subito, poco ci mancava). “Quei lavoratori di Mineo, sottoliena Lerner, andati cinque metri sotto terra senza attrezzature e prevenzioni adeguate, rappresentano una quotidianità italiana vergognosa, l’abitudine dilagante al pressappochismo”.
I morti sul lavoro e il Presidente
Nel suo discorso in occasione della festa del Primo Maggio 2008, il Presidente Giorgio Napolitano, ha ricordato che ci sono in Italia questioni che «possono essere affrontate attraverso la condivisione e quindi la continuità delle necessarie linee di intervento, al di là delle pur fisiologiche contrapposizioni politiche e dell’alternarsi delle maggioranze e dei governi». Lavoratori che si feriscono, che rimangono invalidi, che perdono la vita rappresentano certamente un problema nazionale, che richiede una riflessione collettiva, uno sforzo congiunto dei partiti e delle parti sociali. Mi pare che l’intenzione sia stata da tutti più volte manifestata, passiamo concretamente ai fatti. Le riforme che riguardano la flessibilità del lavoro non dovrebbero trascurare la sicurezza per chi lavora e per chi interagisce con i lavoratori.
Esami di Stato 2007-2008: la cultura della sicurezza
Parole stanche e dolenti, come quelle del poeta americano Edgar Lee Masters (autore di Spoon River Anthology), pubblicate tra il 1914 1 il 1915 sul Mirror di St. Louis, riprese da Fabrizio D’Andrè, in collaborazione con Fernanda Pivano e Cesare Pavese. Masters si ispirò a personaggi veramente eistiti nei paesini di Lewinstown e Petersburg, vicino a Springfield nell’Illinois. La caratteristica saliente dei personaggi di Edgar Lee Masters è che i morti non hanno più niente da dire e da perdere, quindi, possono raccontare la loro vita in assoluta sincerità. Chi muore lavorando, forse, qualcosa in più potrebbe dirla: le stragi della ThyssenKrupp, di Porto Marghera, di Molfetta, di Mineo, dovrebbero segnare un confine al di là quale non si dovrebbe andare. Non è accettabile che l’Italia, uno dei paesi più ricchi e organizzati del pianeta, debba registrare quasi un milione di incidenti sul lavoro l’anno: 930.000 denunciati, senza contare i “nascosti”, un lavoratore ucciso ogni 7 ore, 45 miliardi di euro l’anno per una strage di innocenti che potrebbe essere evitata. Come? Attraverso la Cultura della Sicurezza.
Nei giovani governano le idee
La mia proposta è la seguente: iniziamo con la scuola, innestando la Cultura della Sicurezza. L'innesto è un fenomeno naturale. Si innesta un fiore, una pianta, un albero. La notra vita è stata "innestata" sulle religioni, sulle scoperte, sulla scienza, sui lumi. Concetti che vengono trasmessi attraverso la famiglia, la scuola, la società. La scuola, il primo grande gradino dopo la famiglia, può essere il volano di nuove idee. Il prossimo 18 giugno, circa 500.000 studenti affronteranno l’Esame di Stato 2007-2008 per conseguire un diploma di Secondo grado. Il Ministero della Pubblica (cassata) Istruzione prepara in segreto (quanto segreto non si sa) le tracce per il tema della Prima Prova: Italiano. Perché mai, il Ministero (che non è un Mistero) non pubblica le tematiche che gli alunni dovrebbero affrontare? La Ministra Gelmini, in altre parole, dovrebbe dire: “ragazzi e ragazze preparatevi sulle tematiche relative alle morti bianche” . Quale potrebbe essere il risultato? Invece di continuare a parlare di Cavour (con tutto il rispetto), di Mazzini e di Garibaldi (non ne parliamo) o di Giolitti, Mussolini (il più gettonato) e della crisi del ’29, quando il petrolio costava 3 centesimi di dollaro al barile, contro i circa 200 0 250 dollari attuali, perché non vi preparate per bene sulla protezione della vita in ambiente lavorativo, dandoci anche dei consigli (nei giovani governano le idee).
Gli alunni italiani come gli indiani canadesi?
L’Esame di Stato, come è concepito adesso, non è un momento finale di cinque anni di studi. E’ stato studiato per farlo diventare una trappola mortale per gli studenti. La volontà di uccidere la creatività è sintomatica negli astrusi e controversi temi che di anno in anno vengono proposti agli studenti trattati come merce da buttare al macero, senza raccolta differenziata. La volontà del Ministero è quella di uccidere squali e delfini, di estinguere un’intera identità culturale ed etnica. La cosiddetta “seconda prova” è un dramma, un’ecatombe che si abbatte su migliaia e migliaia di studenti con il solo scopo fanatico e truculento di smerdare la scuola italiana. Bisogna agire prima e non dopo. La tremenda e truculenta illusione dei debiti è mutuata direttamente dal nostro Ministro dell'Economia: tanti debiti, tanto onore! Anche nella “seconda prova”, perché non renderla pubblica preventivamente, perlomeno nelle sue parti essenziali? La scuola media superiore non inizia dal quinto anno, ma dal primo. E già dal primo anno gli alunni devono essere edotti e indirizzati adeguatamente affinché non si verifichi più la possibilità di fare arricchire quelli de “La notte prima degli esami”. Siamo un paese sviluppato. Buttate i carciofi oltre l’ostacolo. La globalizzazione non ci dà scampo e giustificazioni di sorta. Gli studenti italiani sono trattati come gli indiani del Canada.
Il vento cambia in Canada
Stasera, 12 giugno 2008, il Canada si fermerà. Maxi-schermi sono stati allestiti in molte città per seguire il discorso di riconciliazione del Primo Ministro. Il Parlamento fermerà tutti i lavori. C'è grossa attesa anche tra le associazioni dei nativi indiani, che oggi sono più di un milione. Alcuni di loro, soprattutto Inuit (quelli che un tempo venivano chiamati eschimesi, termine oggi considerato dispregiativo) e Metis (discendenti di famiglie indiane incrociate con europei), protesteranno perché i risarcimenti vengano allargati alle persone escluse perché le loro scuole non fanno parte della "lista nera". Thomas Loutit ha passato otto anni in quella scuola. Otto anni in cui è stato obbligato a cancellare la sua identità culturale e etnica. Otto anni in cui ha subito violenze sessuali. Michael Cachagee aveva 4 anni quando venne strappato alla sua famiglia e portato in una delle tante scuole religiose fondate e sovvenzionate dallo Stato canadese dal 1870 al 1970. Con una sola missione: "cristianizzare e civilizzare" gli indigeni. L'obiettivo, nelle parole di un alto funzionario degli Affari Indiani del 1920, era quello di "distruggere l'indiano finché è bambino". Questa sorte in cento anni ha travolto 150 mila piccoli appartenenti ai gruppi etnici aborigeni Inuit, First Nations e Metis. Frammenti di vite spezzate a cui oggi il governo del Canada, per bocca del Primo ministro Stephen Harper, ha chiesto ufficialmente scusa. Non solo. Per 90 mila di loro, tra cui figurano sopravvissuti e discendenti, riceveranno un risarcimento miliardario, di 2 miliardi di dollari. Una prima commissione governativa che ha coinvolto tutte le parti in causa, comprese le comunità e diversi rappresentanti religiosi, ha concluso nel 1996 che il programma ha danneggiato in maniera irreversibile generazioni di aborigeni e ha distrutto la loro cultura. Il primo risultato del gruppo di lavoro è stato quello di fare chiudere i battenti all'ultima di quelle 130 scuole. "Ne abbiamo voluto fare parte - dice un portavoce ecclesiastico - perché volevamo dire la nostra. Non tutti hanno partecipato a quegli abusi". A occuparsi del compenso sarà una commissione creata con parte dei 4,9 miliardi di dollari, cifra più alta della storia del Paese, raggiunta al termine di un accordo tra governo, confessioni religiose e rappresentanti indigeni, al termine di una class action promossa dai nativi. Riceveranno un risarcimento tutti gli studenti delle scuole incriminate, mentre un'ulteriore somma andrà alle vittime di abusi sessuali. A coordinare la commissione sarà Harry LaForme, primo e unico aborigeno a essere nominato giudice di Corte di Appello. La Forme viaggerà attraverso il Paese per ascoltare storie di studenti, insegnanti e testimoni e per educare i canadesi sul "lato oscuro della storia del Paese".
Una dolce, fragile e straziante conclusione, tra miasmi e De Andrè
Gli abitanti di Mineo, in altre occasioni
Il sipario, in Italia, dopo ogni scena, si chiude inesorabilmente. Il pregresso, solo ieri, diventa passato remoto. E il passato remoto, oggi, non esiste più. Dunque, occorre riunire le scene pregresse per trasformare le vecchie e ingiallite fotografie (le tante morti sul lavoro) in un film multicolore da mostrare ai giovani, sicuramente più interessati all'immediato, all'acid text. Rimontare le scene e fargli capire che un domani, che è ieri per lui, potrebbe essere quello di suo figlio. I giovani non comprendono il passato, hanno paura del presente, ma percepiscono il futuro. Per parlare con i giovani occorre cambiare linguaggio, compreso quello del sottoscritto che andrebbe rivisitato e opportunamente "sciacquato" nelle acque dell’Arno. Come fa un lettore a capire l’articolo sui tragici fatti di Meneo quando si ritrova sbattuto in faccia “la Collina di Spoon River”, di Edgar Lee Masters, De Andrè, Pivano, Pavese e i miasmi? Certo che gli italiani avranno sempre più a che fare nel futuro con i miasmi.
Declassare i morti
Parole come stanco, dolente, strage, ecatombe, cordoglio, rabbia, sdegno, basta, facciamo qualcosa, sono parole che non «passano» il velo dell’attenzione di un’opinione pubblica che sobbalza solo un istante, prima di declassare queste morti nella lista delle cose «inevitabili», da dimenticare presto, come Aung San Suu Kyi, Ingrid Betancourt, il ciclone Nargis, il Darfur, il fucile puntato contro i giornalisti, i bimbi affamati in Africa.
A Tarallucci e Vino
L’unica consolazione è che, adesso, arriverà una Commissione d’inchiesta parlamentare. Servirà? Sì, come le altre.
Nessun commento:
Posta un commento