4 giugno 2008

Non sparate sulla Fao

La Fao, per me
di Roberto Maurizio
La biblioteca

Cosa aveva di diverso la Biblioteca della Fao, la Biblioteca David Lubin, rispetto alle altre sparse in tutta Roma negli anni ‘70? Quella del Senato della Repubblica, quella della Camera, quelle universitarie, ad iniziare dalla Biblioteca nazionale, quella di Economia e Commercio, quella di Lettere e Filosofia, quella, la più mal messa, di giurisprudenza? Un alone scientifico di alto livello, un sapore internazionale, nessuno parlava italiano anche se viveva alla Magliana, un’accoglienza tipo reception di una sala di attesa dei voli internazionali. E poi, la quantità e la qualità. La quantità emergeva immediatamente dagli scaffali della Biblioteca Lubin: un’enorme lista di libri, saggi, articoli, la quasi totalità scritta in inglese. E la qualità si percepiva dalla lettura degli autori presenti nei files accuratamente preparati e sempre aggiornati. Un elenco spropositato di autori di grosso calibro. Ho avuto la fortuna di frequentare la Biblioteca della Fao dal 1969 al 1973. La maggior parte dei libri citati nella bibliografia della mia tesi sull’”Inflazione strutturale” l’ho trovata lì, nel Palazzo bianco di viale Aventino. Oggi, non è più come una volta: tutti gli articoli, i libri, le recensioni, gli approfondimenti della Fao sono on line. Avrei dato tutto, allora, per avere l’accesso alla biblioteca della Fao, della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale per via telematica. Ma, si ancora ai primi passi. Oggi, invece, è possibile. Ma i giovani ricercatori italiani non utilizzano questa preziosa “merce”. Per i ricercatori e per i giornalisti, i dati sono essenziali per sviluppare una loro tesi, sono fondamentali per costruire una loro ipotesi di progetto. Senza dati non esiste nessun progetto: non puoi costruire un ponte, non puoi gestire una piccola o media impresa, figuriamoci una grande! Immerso negli studi e nella solennità delle bianche pareti della struttura destinata ad accogliere il Ministero per l’Africa nel 1938, che era stata costruita da Vittorio Cafiero, l’architetto caduto in disgrazia per le ottomila lire pretese per il Piano regolatore di Asmara e che per sopravvivere fece anche lo scenografo per gli “Ultimi giorni di Pompei”, di Carmine Gallone, tutti i giorni, alle 17.30, l’estate, e alle 16.30, l’inverno, uscivo dalle sudate carte per respirare l’aria capitolina. Il primo impatto, dopo aver abbandonato il cubo modernista di marmo e travertino, vagamente piacentino, inaugurato alla fine del 1952 dopo 14 anni di lavori, superate le aiuole sempre ben curate, lo assaporavo con la Stele di Axum, alla sinistra della quale dominava il Circo Massimo, a dritta, verso il Colosseo, giacevano nel loro magico torpore, le Terme di Caracalla, e a destra, la via che, all’epoca, solo a nominarla, richiamava gli insani desideri dei “maschi nostrani”. Oggi, la via della perdizione, via Caracalla, è diventata una strada normale, che congiunge l’Appia Antica al Centro di Roma, e la Stele di Axum è stata riportata là dove era stata “prelevata”.


La stele di Axun
La stele non era solo di conforto al cubo modernista di marmo e travertino, architettonicamente più vicino al Policlinico Gemelli che alla Farnesina, ma era anche un segnalibro per i viandanti diretti a San Pietro. La sua collocazione, prima del Circo Massimo, era la bussola verso la Basilica cristiana più importante del mondo. Sulla stele di Axun, Stampa, Scuola e Vita, farà un approfondimento. L'immagine riprodotta è dell'Ansa, con la didascalia "obelisco" di Axun. Non è un obelisco ma una stele. Quest'ultima indicava e indica il luogo della seportura.

Poliziotti italiani a guardia del Vertice, vicino alla statua di Mazzini

Africa. Core business
La Fao è come un grande ministero senza portafoglio per la fame altrui e l’agricoltura. Il suo Core business è l’Africa. Fintanto che il reddito operativo del continente tocca bassi incrementi di produttività e di efficienza, la Fao potrà continuare a giustificare la sua esistenza. Presso l’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite di viale Aventino, lavorano 2.200 persone, ma non si parla italiano. Le lingue riconosciute, quelle nelle quali è impresso su gigantesche lastre di marmo il Preambolo della Fao che accoglie i visitatori, sono solo cinque, nell’ordine: cinese, inglese, francese, spagnolo, arabo. E, naturalmente, non si è in territorio italiano. E’ così da quando, con un trattato di 25 pagine, l’Italia ha ceduto l'edificio alla Fao, «per la somma totale di un dollaro degli Stati Uniti d’America all’anno, da pagarsi in annualità anticipate», come recita appunto l'accordo, premurandosi di specificare che «non è applicabile l’usucapione», ovvero che la proprietà resta all’Italia (che si accolla così tutte «le riparazioni maggiori di carattere straordinario»).

Chine Room, Gabon Room, Iran Room


Il Segretario generale della Fao, Diouf, domina l’Organizzazione mondiale dell’agricoltura, ormai,da quasi 14 anni e manterrà la poltrona per altre 2 anni almeno. Come Nerone, che governò Roma dal 54 a.c. alla sua morte, 6 giugno 68. 16 anni. In comune Diuof e Nerone che cos’hanno? L’adorazione dei palazzi. Il primo per la Doms Aurea, il secondo per i tre piani del palazzo “fascista”, che sono organizzati per stanze nazionali, China Room, India Room, Gabon Room e via elencando sino alla Finland Room, nuova di zecca e perfettamente simile a una grande sauna di betulla. Il Building A, entrando al mezzanino sulla sinistra, è stata zona rossa, vale dire off limits. Epicentro, la gigantesca sala delle conferenze, tavolo di Presidenza per Berlusconi e Diouf, con 191 posti per i capi di Stato, 191 bandiere e, al piano di sotto, una sua replica: 191 sherpa con la penna in mano per la dichiarazione finale. L’altro epicentro è stata la sala per gli incontri dei capi di Stato con la stampa, nel building B. Qui l’effetto è stato quello di una commedia di Feydeau: Berlusconi è uscito da una porta mentre dall’altra veniva fatto entrare Ahmadinejad. Che a sua volta, ha fatto la stessa cosa, ha usato un’altra porta ancora per non incontrare Zapatero. Ironia della sorte? La Fao, che è l’agenzia dell’Onu che si occupa di costruire agricoltura, pesca e allevamenti nei Paesi bisognosi, ha una governance ricalcata sul modello istituzionale americano. Ma, a differenza che all’Onu, gli Stati Uniti contano quanto il Belize, l’Italia, la Russia, la Cina e, appunto, l’Iran. E che la sicurezza abbia individuato proprio l’Iran Room, per via delle sue tre porte di accesso e dei 40 posti a sedere per i giornalisti (quelli accreditati sono 900), proprio quando il massimo scalpore è dato dalla presenza a Roma di Ahmadinejad, fa l'effetto di qualcosa in più che un’ironia della sorte.


Non aboliamo la Fao, aboliamo le guerre
Nonostante tutte queste accuse contro il "carrozzone", nonostante che sia facile prendersela con un’istituzione che da anni cerca di realizzare, forse, anzi, sicuramaente senza riuscirci, un mondo senza la fame e senza ingiustizie, è ingiusto e ingiustificato sparare a zero sulla Fao: è come sparare sulla Croce Rossa. Sprechi, divertimenti, festini, costituiscono la caratteristica di un’istituzione internazionale che produce anche studi seri sul terreno, che detiene un potenziale bibliografico e di dati al di sopra, forse, di qualsiasi altra organizzazione mondiale. Chiediamo a tutti quelli che vogliono abolire la Fao, perché non fanno abolire prima la guerra? Una Fao riformata ha le potenzialità per far contribuire a far scomparire o a ridurre verticalmente e definitivamente tutte le guerre del mondo.

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