di Roberto Maurizio
… continuando il viaggio nel Basso Molise, ci imbattiamo, in questa quarta puntata, con due dei paesi albanofoni più belli ed affascinanti d’Italia: Ururi e Portocannone. La scelta di queste due ridenti e accoglienti località del Basso Molise è puramente casuale. Gli “scatti” che pubblichiamo sono scontati. Infatti, essendo la troupe di “Stampa, Scuola e Vita”, come abbiamo visto nella terza puntata, “allocata” a San Martino in Pensilis, Hotel Santoianni, durante alcuni giorni di pioggia del luglio scorso, non potendo usufruire dei raggi del Sole delle spiagge di Campomarino e di Termoli, per causa di forza maggiore (nubifragi e piogge abbondanti), decise di scattare alcune fotografie, che siamo costretti a pubblicare a bassa risoluzione, cioè scontate nella grandezza in pixel, ma non “scontate” di significati. Anzi, questi scatti danno la possibilità e l’occasione di parlare di questi due suggestivi paesi del Basso Molise, anche, a volte, con tristezza e malinconia. Campomarino, invece, nonostante che sia un paese in cui si parla“albanese”, in queste “Vacanze molisane” verrà trattato a parte, da solo, nella prossima puntata.
Il monumento ai caduti
La prima domanda che si pone un turista “acculturato” è “perché questo luogo si chiama Ururi, perché si chiama Portocannone”? Credete che la stessa domanda se la pongano i visitatori dei viaggi Last Minute? A loro basta sapere che il volo più hotel li porterà attraverso l’anima austera di Berlino, nella misteriosa Budapest, sopra i bagordi della frizzante Barcellona, all’interno della stravagante Amsterdam, sopra i ponti, e a volta sotto, della romantica Praga, per finire nell’affascinante Stoccolma. Gli altri con tanti miliardi e tanti yacth (ovviamente non intestati ai proprietari che sono dei volgari evasori fiscali) si recano nei misteriosi paesi del piacere, senza nemmeno chiedersi come si chiamano, può essere Lipari, Favignana, Mykonos, Lofoten, e non gli frega niente perché si chiamano così. L’etimologia esiste da sempre, mentre la toponomastica, cioè lo studio dei nomi dei luoghi, invece, è una disciplina nata da pochi anni. E’ difficile, dunque, risalire al nome di un paese, di una regione, di un’isola, di un fiume. La stessa sorte tocca a Ururi, In molti sono propensi a pensare che questo paese si trovi in Sardegna. Si confonde con Urzulei in provincia di Oristano. Una “chicca” da verificare: l’accento albanese in italiano somiglia molto a quello sardo, forse perché, in primo luogo, la lingua italiana per gli albafoni e sardi è una lingua straniera, forse perché la Sardegna e le enclaves albanesi non sono altro che delle isole, forse perché anticamente esisteva un legame a noi sconosciuto tra la Sardegna e l’Albania.
Non è la Torre di Pisa, è Ururi con il grandangolare
Ururi parla, ma non ascolta
Iniziamo da Ururi. Quest’analisi non vuole e non può essere esuastiva. Esistono pochi siti e pochi libri che si occupano di questa località del Basso Molise. Alcuni siti, come http://www.ururi.com/ , sono impenetrabili, sono protetti fino all’inverosimile, non permettono all’internauta di copiare. Copiare è un po’ amare. Chi copia ha bisogno di informazioni e chi non dà informazioni vuol dire che si trincea nei suoi limiti e nelle sue aberrazioni. Praticamente, è soddisfatto della sua situazione di isolamento. Ma non è così per gli albanesi che devono ancora essere riconosciuti e apprezzati sul territorio italiano. Intendiamoci, non è un’accusa “ad personam”. Vale la stessa cosa per un comune montano degli Appennini o delle Alpi: San Paolo del Cimino, Sant’Ignazio di Longarone. Se ti nascondi, ururi punto com, non ti conoscerà nessuno (in italiano si sarebbe dovuto dire alcuno, perché due negazioni affermano). Ironia della sorte: il sito http://www.ururi.com/ ha il motto “Ururi parla”, ma nessuno lo ascolta. Liberiamo Internet dalle restrizioni. Siti come quello di “Ururi parla” resteranno relegati ai quattro gatti albanesi che si terranno le loro foto ingiallite che oggi nessuno più vuole, si beatificheranno della loro storia raccontata unilateralmente sulle loro pagine che nessuno potrà criticare. Ururi.com parla come un sordo! E i sordi se non odono, parlano. E un sordo dice, smettetela di occuparvi di noi che siamo autosufficienti e non abbiamo bisogno di nessuno aiuto. Ururesi, non fatevi “proteggere” da chi “vende solo fumo” (ogni riferimento è puramente casuale), apritevi al mondo, fatevi copiate in tutto il mondo, perché non avete nulla da nascondere.
Un dei cannoni del Monumento ai caduti (sembra che siano stati regalati da Tanassi)
Da Aurora a Ururi. Che fantasia!
Sembra che il nome del paese tragga origine dalla località in cui esso sorge, “Aurole”. Durante i secoli il nome ha subito varie metamorfosi: da “Aurole” si passò a “Casale Aurelii”, poi “Derori” oppure “Deruri” e infine, dalla prima metà del XVIII, il paese viene chiamato “Ururi”. Il paese fu fondato nel XII secolo ed apparteneva alla Contea di Loritello; nel 1075 fu donato dal conte Roberto alla chiesa di Larino. Nella seconda metà del XV secolo il feudo, che allora si trovava in uno stato pessimo a causa del terremoto del 1456, venne ripopolato da una colonia di albanesi in fuga dai turchi che avanzavano nei Balcani; essi ricostruirono gli antichi casali e seppero far fruttare le vaste terre coltivabili che circondavano il paese. Nel 1539 però gli albanesi furono cacciati dal feudo e le loro abitazioni vennero bruciate, provvedimento chiesto dagli stessi larinesi che ne avevano favorito l’arrivo perché gli immigrati erano ritenuti violenti e turbolenti (da http://www.molisecittà.it/). Ururi è, dunque, un paese di origine albanese, di circa 3000 abitanti, situato su una collina poco distante dalla fascia costiera adriatica. Principale risorsa economica è l'agricoltura, praticata con tecniche e mezzi avanzati e con spirito imprenditoriale; tra le principali colture: il grano, l'olivo, la vite, il girasole, con derivati di alta qualita' (olio, vino). Sono in via di sviluppo imprese artigianali e di trasformazione dei prodotti agricoli. Tra i piatti tipici: il ragu con carne di agnello, pasta fatta in casa, dolci pasquali e natalizi (propati, caranjue), la pampanella ed i famosi torcinelli, involtini con interiora di agnello. Tra le prime famiglie insediatesi: Plescia, Musacchio, Peta, Licursi, Glave, Occhionero, Intrevado, Iavasile, Cocco, tuttora presenti in paese. Il legame più forte con le origini è rappresentato dalla lingua che ancora oggi si parla abitualmente: l'arberesh, conservato soprattutto nella forma orale. A tutela dell'ordine pubblico una stazione di carabinieri. L'Amministrazione Comunale è guidata dal Sindaco geom. Antonio Cocco.
La doppia denominazione in italiano e albanese delle strade di Ururi
Mario Tanassi, un benefattore?
Le informazioni su Ururi li abbiamo trovate sul sito del Comune, dove però, c’è poco. Si conosce il nome del sindaco e dell’assessore alla cultura e quant’altro. Quello che più sbalordisce il visitatore via web è la mancanza di informazioni su un “cittadino” che ha fatto tanto di quel bene sia a Ururi che ai paesi vicini: Mario Tanassi. Già il nome Mario, da Maria, dalla Madonna, doveva essere garanzia per i credenti ururesi. La democrazia italiana ha crocefisso Tanassi, un nome oggi impronunciabile in questi luoghi. Tanassi è diventato una specie di Ceausescu e di Milosevic, anche se non ha mai ammazzato nessuno. Morì nello stesso giorno di Napoleone, il 5 maggio, a Roma, non a Sant’Elena. Ma, come Napoleone, è stato abbandonato da tutti i suoi concittadini. Ecco il resoconto tratto dai giornali dell’epoca. Ironia della sorte, ad inchiodare Tanassi fu proprio un giornalista molisano, Gaetano Scardocchia. Mario Tanassi lasciò il Molise giovanissimo, per partecipare, a poco più di venti anni, alla seconda guerra mondiale in Africa. Qui visse per alcuni anni e, in Eritrea, venne eletto segretario della sezione del PSIUP di Asmara, capitale dello Stato africano. La carriera politica l'aveva iniziata a Roma, dove era stato assessore ai lavori pubblici. Eletto deputato nel 1963, Tanassi era stato negli anni '70 politico di spicco del panorama nazionale. Alto dirigente del Partito Socialdemocratico Italiano (PSDI), fu più volte ministro nella prima metà degli anni '70, in particolare nei governi guidati da Mariano Rumor e da Giulio Andreotti, alla guida del dicastero della Difesa. AL vertice nazionale del Psdi arrivò nel 1975. Ma proprio all'apice della carriera politica, Tanassi rimase coinvolto in uno scandalo, il famoso caso Lockheed. Fu accusato, insieme ad un altro ex ministro della Difesa, Luigi Gui, di concussione relativamente all'acquisto, da parte dell'Aeronautica militare italiana, di aerei Hercules C-130 prodotti dall'azienda americana che, secondo i magistrati, per ottenere la fornitura avrebbe versato tangenti a politici e militari. Tanassi fu costretto a dimettersi, mentre lo scandalo toccò anche il presidente della Repubblica dell'epoca, Giovanni Leone, costretto anch'egli a dimettersi. A denunciare, dalle colonne della stampa nazionale, questo scandalo con un memorabile scoop, fu proprio un giornalista molisano, Gaetano Scardocchia. Il parlamento nel 1977 concesse l'autorizzazione a procedere nei confronti di Tanassi con una maggioranza di 88 voti. Non passò invece l'autorizzazione a procedere per l'altro grande accusato, Luigi Gui, che fu salvato dal parlamento. Tanassi fu processato e condannato nel 1979 a due anni e quattro mesi di reclusione. Scontò 4 mesi di pena in carcere, primo ex ministro della storia repubblicana finito in cella. Lasciata la politica per anni ha svolto attività nel campo sociale.
Un popolo difficile
Un popolo difficile, quello ururese! A riconoscerlo è addirittura, come abbiamo visto, un sito pseudo ufficiale (http://www.molisecittà.it/): “… gli albanesi furono cacciati dal feudo e le loro abitazioni vennero bruciate, provvedimento chiesto dagli stessi larinesi che ne avevano favorito l’arrivo perché gli immigrati erano ritenuti violenti e turbolenti”. Sono passati centinaia di anni e le cose sono decisamente cambiate. Per fare solo un esempio di come il “popolo” ururese sia oggi un modello di persona tecnologicamente avanzata, basta guardare i campi di girasole coltivati subito dopo il bivio con San Martino in Pensilis, proprio sulla strada che porta Larino. Non ho avuto modo di fermarmi, per cui non sono riuscito a scattare la foto. E’ difficile raccontare le foto, soprattutto quelle non scattate. Ma l’immagine, forse perché non fermata dall’obiettivo, ti resta fissa per giorni e giorni. Un campo di girasoli, abbracciata ad una collina, che prima si alza, poi si abbassa, poi disegna una parabola dalla quale sembra che non voglia mai uscire, la cui area sottostante sembra non aver nessun colore diverso dal verde, mentre, invece, prevale il giallo che non riesce a dominare e primeggiare e si confonde in un'unica tinta, quella disegnata dai raggi del Sole assorbiti durante il giorno e restituiti al buio della notte che li conserva per renderli ancor più luminosi e vivaci l’indomani, subito dopo il passaggio velato di Venere sulla collina appena sveglia.
La stele e il cannone
In prima battuta, Portocannone è molto più friendly di Ururi, anche se permangono, per molti versi, gli aspetti “spigolosi” del carattere “albanese”. Non è razzismo. E una constatazione. Questo popolo ha dovuto affrontare le difficoltà e i problemi quotidiani da solo, ricevendo il minimo indispensabile, prima dalle popolazioni vicine e poi dallo Stato. Costretti, da soli a lavorare la terra, senza incentivi, senza protezioni, hanno sofferto per mantenere intatta una loro proprio cultura. Il Molise, già di per sé, costituisce una regione abbandonata da dio e dal mondo. Una regione a statuto ordinario con pochi finanziamenti. Quindi, non ha gli stessi soldi del Trentino o della Valle d’Aosta, non ha mai beneficiato di finanziamenti che sono arrivati all’Emilia e Romagna (e poi, dicono i beoni “come funziona la sanità nella regione rossa”! Ma quale rossa, l’Emilia e Romagna era ed è piena di soldi dello Stato! Per addolcire il carattere non proprio sereno dei portocannonesi, lo Stato con la S maiuscola e con i politici molisani minuscoli, hanno affibbiato a questo dolce (si fa per dire) e tranquillo (ancora per dire) l’impresa più dolce esistente: lo Zuccherificio! Quando il vento si alza dalle onde più alte dell’Adriatico e spira in direzione sudest, la vita a Portocannone diventa più mielata, più amabile, più soave: a volte, sfiora l’angelico sapore del morbido piacere di un torrone (che manco a farla a posta fa rima con terrone). Il diavolo fa le pentole e non i coperchi , e Dio creò l’uomo con il naso! Alle 18.30 del 6 agosto, i vecchi stremati dal caldo e dall’effluvio di quel vento che gonfia i portafogli delle famiglie portocannonesi, si guardano indietro e non dicono la frase scontata “si stava meglio quando si stava peggio”, ma dicono: una volta, forse, si aveva fame, ma si riusciva in primavera a riconoscere il profumo delle rose da quelle delle viole”.
La sobrietà
Per Portocannone la toponomastica è molto più immediata e senza fronzoli. L’origine del nome, non è di chiara interpretazione. Tuttavia, potrebbe derivare dal termine petra (roccia) o preta diventato porta e poi porto. La seconda parte del nome potrebbe riferirsi ad un nome greco di persona, forse Cano, -onis con la N che diventa NN. Portocannone, la cui popolazione ha origini albanesi, non è nata con gli albanesi. Essa, infatti, esisteva già in epoca medievale, molto prima che arrivassero i nuovi coloni. Fu fondata dai popoli latini nel 1046 nella località denominata "Castelli", nei pressi dell'attuale cimitero comunale. Nel 1137 era chiamata "Portocandesium" e, successivamente, come risulta dai registri angioini del 1320, il suo nome fu mutato in "Portocanduni". La Portocannone latina ebbe fine nel 1456, quando un violento terremoto la rase al suolo. Nello stesso periodo iniziarono le migrazioni albanesi: la prima ebbe luogo nel 1461, quando re Ferdinando I d'Aragona, per vincere la fazione angioina contro cui era in guerra, ottenne l' aiuto delle milizie di Giorgio Castriota Skanderbeg, l' eroe nazionale albanese. Con le altre migrazioni, successive alla morte dell’eroe e all’invasione dei Turchi, molti albanesi varcarono l’Adriatico, certi di ottenere la protezione del regno di Napoli, in virtù dei benefici che il principe Skanderbeg aveva reso alla corona d’Aragona. Vennero così ripopolati i paesi distrutti dal terremoto ed iniziò la rifondazione di Portocannone.
La chiesa di Portocannone
Il monumento più pregevole è il palazzo Baronale, che si eleva solitario in tutta la sua imponenza. Costruito tra il 1735 ed il 1742 dal barone Carlo Diego Cinni, è attualmente di proprietà della famiglia Tanasso, che lo fece restaurare nel 1915. Il palazzo si presenta come una massiccia costruzione con muro a leggera scarpa e contrafforti rastremati negli angoli, ed è dotato di magazzini al piano terreno e di patio al centro. Il primo piano è quello abitato ed è costituito da numerose stanze con splendidi affreschi e mobili d' epoca, mentre all' ultimo piano si trova un portico aggettante e sul lato orientale un loggiato con prospiciente giardino.
Il Palazzo. La foto si trova sul sito del Comune di Portocannone
La manifestazione più significativa è senz'altro la "Carrese", una gara tra due carri, in onore della patrona del paese, la Beata Vergine Santissima di Costantinopoli. Tra il carro dei Giovani ed il carro dei Giovanotti vince chi riesce a varcare per primo il portale di Borgo Costantinopoli, davanti alla chiesa dei SS. Pietro e Paolo, dopo un percorso di circa tre chilometri che prende il via al Vallone delle Canne, dove la distanza di avvio tra i carri è di 25 metri.
Altre manifestazioni da segnalare sono la festa di S. Antonio che ha luogo la notte del 16 gennaio, il Carnevale tradizionale che ha avvio con il rituale trasporto di un fantoccio di cartapesta nel luogo dove verrà bruciato e, infine, in concomitanza delle festività natalizie, il Presepe vivente che coinvolge tutto il paese.
Un particolare della Chiesa di Portocannone: la maestosità e la severità
Portocannone e Kruje
Il castello di Kruje in Albania (la foto non è nostra)
Nel 1995, Portocannone ha dato vita al gemellaggio con la città di Kruje, importante centro dell' Albania interna che dista soli venti chilometri da Tirana. Questo evento vuole proporsi come riscoperta dell’antica Portocannone, un ritorno alle radici della storia della colonia albanese.
Fine quarta puntata
... continua
Le foto, se non espressamente segnalato, sono di Roberto Maurizio
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