14 luglio 2009

Alessandro Di Lisio: omaggio ad un eroe molisano

Alessandro Di Lisio: omaggio ad un eroe molisano
di Roberto Maurizio

Il pedalino bucato
Di "sporco" in Italia, ci sono, tra gli altri, quei giornalisti che vendono l'anima e i pedalini bucati. Una volta, il “pedalino bucato” era valutato in dollari, ora è stimato in euro (e vale pure di più, perché il buco non viene più valutato in inch ma in centimetri). Infangare un popolo, come quello molisano, è un gioco che "Il Corriere della Sera" fa quotidianamente. I neri, gli ebrei, i musulmani, invece, non si toccano, anche perché questi gliela farebbero pagare cara la pelle (intesa, come rammento del pedalino bucato). Invece, prendersela con un ragazzo molisano, caduto per difendere la democrazia, per il Corriere, è come bere un bicchiere d’acqua. Il Corriere di oggi, 14 luglio, ha violentato la figura di un ragazzo morto per “difendere” la “patria”, attribuendogli una frase che lo farebbe disconoscere da tutta la comunità con la quale si era fortemente legato. “La guerra è uno sporco lavoro”, questa la frase messa in bocca ad Alessandro Di Lisio, caporal maggiore dei paracadutisti della Folgore, in Afghanistan da quattro mesi. Alessandro era nato a Campobasso il 15 maggio 1984, ed è stato ucciso in un agguato a 50 chilometri da Farah. Di Lisio era un esperto artificiere che faceva parte di un team specializzato nella bonifica delle strade, prima del passaggio di convogli militari e diplomatici.


Cristo non sa nemmeno dov'è Campobasso



Questo “merceologicamante parlando non ripetibile” giornale milanese, non ha nemmeno un corrispondente nel Molise, la regione più bistrattata d’Italia, anche a causa di uno dei suoi “figli” più noti sui palcoscenici della magistratura, del parlamento e delle televisioni; uno che quando scende dal "trattore" si dimentica di essere molisano. "Il Corriere della Sera" ha fatto scrivere da Milano un articolo non firmato da un povero Cristo che forse non sa nemmeno dove sta Campobasso e sta sostituendo le sacre firme oggi a riposo a bordo di navi e yacht sparsi nel Mediterraneo, nei Caraibi e in Somalia. Questo "giornalista" ha preso, senza tener conto della Privacy, il profilo di Alessandro su Facebook e la ha sbattuto in prima pagina. Ma dov’è il garante della Privacy? L’articolo non firmato conosce addirittura il numero degli amici di Alessandro. Come ha fatto questo “sporco” giornalista ad intrufolarsi negli affari privati di Di Lisio attraverso Facebook? Possibile che non intervenga nessuno?


La "grande stampa" contro uno "troppo di destra"


Ecco cosa dice la grande "portatrice di etica" di via Solferino: “Il militare aveva anche un profilo su Facebook. L'ultimo messaggio lasciato sulla sua bacheca è dell'8 luglio 2009 alle 19.45, in cui scriveva «La guerra è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farla...». Nel suo profilo, Di Lisio, che ha 38 «amici», dice di essere nato il 15 maggio 1984, si definisce single in cerca di amicizia e di una relazione. Il suo orientamento politico è definito «troppo di destra». Il suo datore di lavoro è indicato come la Brigata Paracadutisti Folgore. Di Lisio è iscritto anche ad alcuni gruppi, tra i quali «bar aperti dopo le 21 a Legnago», «Facciamo chiudere il gruppo "picchiamo i cani"», «Sono di Campobasso!!», «Quelli delle Coste di Oratino... e dintorni», «Oratinesi Nel Mondo». Ci sono anche diversi brani musicali dei Metallica. Il 25 giugno 2009, alle 9.07, Alessandro scriveva «Mancano soltanto tre mesi di guerra... solo tre mesi»”. Ma che schifo è questo! Sbattere su un giornale le osservazioni personali di un ragazzi che trovava in Facbook uno sfogo, un modi di comunicare in ogni istante della sua poca vita le sue minime emozioni rubate da un giornale che crede di essere il Massimo!


Uno "sporco lavoro"


Perché i giornalisti non fanno il loro mestiere come una volta andando sul posto, conoscendo la gente? Invece, si collegano a Internet e "fanno" gli articoli di pessimo livello e di pessimo gusto. Ovviamente, se il giornalista che scrive è un fascista (cosa che non si trova sul 90% dei giornali e delle televisioni italiani), utilizzerà dei termini come Dio, Patria e Famiglia, se è un comunista (cioè quello alla page), si rifarà alla sporca guerra del Vietnam e allo "sporco lavoro" dell’Afghanistan. C'è tanta disoccupazione nel Sud e nel Molise. Assumete qualche corrispondente in più, brutti porci capitalisti, avrebbero detto i comunisti, oppure non parlate affatto se non conoscete le gente e rifiutate lo spirito che anima troppi pochi giovani tacciati solo di essere dei deficienti di destra.

Il Molise, in Afghanistan come in Belgio nelle miniere

Lo "sporco lavoro" di Alessandro non si distacca molto da quello dell'altretanto "sporco lavoro" dei suoi “antenati”: quelle migliaia e migliaia di molisani che andarono in Francia, in Belgio, in Germania, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia. Morirono a migliaia, ma nessuno lo sa. I molisani, anche se presi a pesci in faccia non si lamentano mai. Perché mai questo ragazzo molisano deve staccarsi dalla tradizione molisana di “gente capace e gentile”, di “gente che vive per l’altra gente”? Il popolo molisano non si merita di essere trattato come una bestia da soma che, quando serve, trasporta l’acqua con le orecchie e quando non è più utile alla causa delle persone oneste e civile di un Italia vacanziera, di Capalbio e abbronzata da fare invidia a Obama, viene offesa, calpestata e derisa. Dopo aver gettato il fango sul Molise, adesso, questi personaggi, in primo luogo quelli de "Il Corriere", stanno aspettando sulla riva del fiume, con ansia, che passi la bara trasportata da un C130 listato a lutto: destinazione Campobasso.

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