4 settembre 2009

Giuseppe Sacco e John Ruskin

Giuseppe Sacco, un professore, un amico
di Roberto Maurizio

Il Prof. Giuseppe Sacco (foto di Roberto Maurizio)


La cultura degli ultimi anni del “Secolo breve”

Il Prof. Sacco durante una lezione con gli alunni delle medie superiori negli anni '80

(foto di Roberto Maurizio)

Gli anni ’70 e ’80 hanno prodotto un’enorme quantità di cultura che è stata, però, completamente ignorata dagli “storiografi” legati alla vecchia tradizione. Un attore di questo brillante decennio dimenticato è stato Giuseppe Sacco. Un esempio, completamente ignorato, fu un’esperienza realizzata tra gli “intellettuali” e gli studenti dell’Istituto tecnico commerciale statale “Giovanni Da Verrazano” al quale partecipò intensamente il Prof. Giuseppe Sacco. Che cos’è che distingueva un Professore universitario da un Insegnante di scuola media superiore? Non la cultura, la lettura di un milione di volumi letti in più, ma la “partecipazione emotiva” e il “coinvolgimento degli alunni alla lezioni che l’emerito Docente sapeva dare al suo intervento, immediato e diretto. Questo rapporto tra Università e Scuola superiore è sempre stato sporadico, e continua ad esserlo. Invece, ci sarebbe bisogno di una continuità e di un’assiduità in modo tale che il passaggio tra la scuola superiore e gli atenei dovrebbe essere visto non come un muro ma punto senza soluzione di continuità. Il linguaggio, il piglio, la professionalità dovrebbero saper distinguere un docente della scuola superiore. Speriamo che la Riforma Gelmini abbia in mente questa visione. Ma dubito fortemente. Il provincialismo è ancora l’arma vincente nella squallida scuola pubblica italiana. Per ringraziare, anche se tardivamente, il Prof. Sacco, “Stampa, Scuola e Vita” pubblica una sua recente intervista rilasciata a www.agoramagine.it il 22 agosto 2009.


Un curriculum di tutto rispetto

La lezione - conferenza del Prof. Giuseppe Sacco (foto di Roberto Maurizio)

Giuseppe Sacco è stato per 29 anni Professore di Relazioni e Sistemi Economici Internazionali nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma-Luiss, e per 11 anni Maître de Conférences all’Institut d’Etudes Politiques de Paris, oltre ad aver insegnato nelle università di Princeton, California, e all’MIT di Boston. Già consulente della Camera di Deputati per la preparazione della Legge Merli sulla protezione del mare, e a Resources for the Future, presso la Brookings Institutions, ha fatto parte della Delegazione Cee al Dialogo Nord-Sud, dopo la crisi petrolifera degli anni ’70. Ha rappresentato l’Italia alla Conferenza di Stoccolma sull’Ambiente Umano, da cui è nata la UNEP, e alla Conferenza di Nizza sul Plan Bleu del Mediterraneo. Capo Divisione all’OCSE di Parigi, Giuseppe Sacco, è stato Consulente della Banca Asiatica di Sviluppo, della Banca Mondiale, dei governi saudita, afgano, sudanese, francese, e per organismi non profit, o società multinazionali in oltre quaranta paesi, tra cui Messico, Brasile, Regno Unito, Malesia, Russia, Egitto, Kazakhstan. Già Direttore dell’European Journal of International Affairs, é stato a lungo commentatore di politica internazionale del quotidiano Il Messaggero, e in precedenza, del Giorno di Milano, nonché Direttore Responsabile di Luiss International Journal, e collaboratore regolare della BBC. Ha pubblicato circa 500 articoli o saggi sulle questioni economiche, politiche e culturali internazionali in Il Mondo (Rome) quando era diretto da Mario Pannunzio, e in Nord e Sud (Napoli) diretto da Francesco Compagna, in The New Society (Londra), Preuves (Parigi), Commentary (New York), Europa Archiv (Bonn), Commentaire (Parigi), Tempo Presente (Roma), Mondo Operaio (Roma), Washington Quarterly (Washington., DC), Politica Exterior (Madrid), Politique Etrangère (Parigi), Nuova Fase (Roma), Ideazione (Roma), Storia Contemporanea (Roma), Limes, (Roma), Géopolitique (Paris), Area (Roma), Sociétal (Paris)

I libri

Il Preside Luigi Lo Grippo e il Prof. Giuseppe Sacco (foto di Roberto Maurizio)


Autore, insieme ad Umberto Eco de "Il nuovo medioevo” (Milano, Bompiani), ha pubblicato – tra l’altro – “L’invasione scalza: movimenti migratori e sicurezza nazionale” (Milano , Franco Angeli), "Industria e Potere Mondiale" (Milano , Franco Angeli), "Il Mezzogiorno nella politica scientifica" (Milano, Etas Kompass), e, nel 2008, “Critica del Nuovo secolo”, (Roma, Luiss UP). Dirige la manifestazione semestrale “Cinema e Politica”.

John Ruskin, da Gandhi a Obama



John Ruskin

Lei ha di recente partecipato, assieme ad uno specialista di Storia dell’arte, ad un dibattito su John Ruskin, il grande profeta del Movimento preraffaelita. Ma lei, nella sua vita professionale, è Professore di Relazioni e sistemi economici internazionali in una Facoltà di Scienze Politiche. A prima vista appare un po’ sorprendente ……

Me ne rendo conto. Ma a ben guardare non lo è poi tanto.

Perché Ruskin ha anche scritto di questioni sociali ed economiche …….


John Ruskin

Non solo per questo, che porterebbe a pensare che ci siano stati due Ruskin, che egli avesse una specie di sdoppiamento della personalità. Ma perché il suo approccio alle questioni estetiche e alle questioni sociali fanno tutt’uno. Basta pensare al suo rapporto con l’Italia, alla percezione totalmente insolita – per un Inglese protestante della sua classe sociale – con cui egli ebbe dell’arte e della storia del nostro paese. Mentre a quell’epoca i nobili e i ricchi d’Europa venivano giusto a vedere i monumenti, e consideravano gli Italiani come dei fastidiosi intrusi che impedivano la visione del paesaggio, Ruskin sviluppò subito un vero interesse per la società italiana, quanto per le grandi testimonianze artistiche del passato.

In Italia, è l’eredità artistica del medioevo che più lo colpisce ….


Esattamente! La sua percezione dell’Italia è perciò radicalmente diversa dal deformato e deformante cliché della civiltà italiana proposto dagli Anglosassoni, e dai Protestanti in generale, secondo i quali l’Italia avrebbe trovato la propria massima espressione nel Rinascimento, visto come fase storica di negazione dei “secoli bui” del Medioevo, e come prodotto dell’affermarsi di una classe borghese e bancaria, di cui i Medici sono la massima espressione. Ma anche come fenomeno con cui il primato culturale e civile dell’Italia in Europa verrebbe sostanzialmente a termine, avendo la Riforma fallito nella Penisola. Ruskin, nel suo superiore genio, riesce a superare i pregiudizi con cui si era tentato di indottrinarlo in famiglia e ad Oxford, e può così da un lato percepire, da un punto di vista estetico ed etico, tutta la sua grandezza spirituale del Medioevo italiano, e dall’altro lato – pur senza nulla togliere al Rinascimento – riconoscere i limiti della società borghese, e dare poi vita ad una severissima critica morale del capitalismo selvaggio che caratterizzava l’Inghilterra vittoriana. E qui sta la sua grandissima attualità; perché nel secolo successivo alla scomparsa di Ruskin, pur tra crusi e guerre, il capitalismo selvaggio non ha cessato di espandersi, omogeneizzando il mondo intero. Cosicché è diventato sempre più acuto il contrasto tra i valori estetici, etici ed umanistici dell’Europa cristiana e l’edonismo spicciolo e volgare di quella che Ruskin chiamava la money-making mob, la plebaglia che pensa solo a far soldi.

A cent’anni di distanza, Ruskin ritorna dunque di grande attualità?

Non ha mai cessato di esserlo. La sua critica non investe solo gli aspetti che si ritrovano nella società globale post-1980. Egli aveva ben intuito gli aspetti negativi della civiltà delle macchine, che culminerà nel fordismo un quarto di secolo dopo la sua scomparsa. Nel suo scritto di argomento estetico (ma l’etica e l’estetica non sono mai disgiunte nella sua opera!) “Pietre di Venezia, Sulla natura del Gotico”, la sua esaltazione del carattere solo parzialmente predefinito della produzione architettonica ed artistica gotica, e quindi della natura creativa, collettiva e corale del lavoro svolto dagli artigiani medioevali, si trasforma rapidamente in una denuncia estremamente efficace degli effetti disumanizzanti del lavoro industriale, che degrada l’operaio ad una macchina.

Mi sembra che ora lei ci stia parlando da Professore di economia e da scienziato della politica!



E' Professore solo chi sa ascoltare gli alunni (foto di Roberto Maurizio)


Non esiste una Scienza della politica! Né Ruskin avrebbe mai pensato che i suoi scritti politici potessero diventare manuali universitari, o fossero altra cosa che l’espressione del suo personale bisogno di battersi per una società profondamente diversa, più giusta e più umana di quella in cui egli viveva, e in cui ancora oggi noi viviamo. Ma ciò non toglie che egli abbia effettivamente avuto degli “allievi”, anche in politica, e che sia stato considerato un Maestro – non un Professore, ma un Maestro – da personalità che hanno profondamente segnato il ventesimo secolo: in primo luogo il Mahatma Gandhi.


Quale è stato il rapporto tra questi due grandi uomini ? I nostri lettori saranno certo interessati a saperlo.


Il Prof. Sacco. In primo piano un registratore un po' obsoleto "multifunzione", oggetto di desideri anche dei tecnici della Rai (foto e registratore di Roberto Maurizio)


E’ stato un rapporto indiretto, dato che Ruskin è morto già da quattro anni quando Gandhi, cui un amico ha prestato Unto this last, il libro più “politico” di Ruskin, passa una notte insonne in treno senza poter staccare gli occhi dalla lettura. E, sulla base di quel libro, deciderà di cambiar vita e dare nuova forma al proprio impegno politico, creando una comune giornalistica dedicata alla povertà e alla non violenza.


Ruskin può dunque essere considerato il padre spirituale dell’India contemporanea?
Il Prof. Giuseppe Sacco con gli alunni e il Preside Luigi Lo Grippo (foto di Roberto Maurizio)

Purtroppo no. L’India contemporanea si è molto staccata dall’ispirazione originaria di Gandhi e di Ruskin. Il suo attuale sviluppo, come quello della Cina, prende infatti l’avvio dalla “morte delle utopie” che ha fatto seguito al fallimento del “Comunismo realizzato” di stile sovietico; un fallimento che viene interpretata come la prova provata dell’impossibilità di organizzare la società degli uomini su base “scientifica” – come pretendevano Marx e i suoi seguaci– e addirittura neanche su base razionale, come si era tentato di fare con la Rivoluzione francese. Si afferma così – in India, come in Cina e nel resto del mondo sino ad allora non facente parte del cosiddetto “Occidente” – l’idea che non esista altro sistema economico in grado di autostenersi e di produrre ricchezza se non quello fondato sugli “spiriti animali” del capitalismo. E la convinzione, che ne consegue, che pulsioni dell’animo umano da sempre considerate come moralmente deteriori, veri e propri “vizi” capitali come l’avidità e la sete di dominio, possano tramutarsi – grazie al meccanismo del mercato – in “virtù”, dal punto di vista collettivo. Siamo come si vede lontanissimi dal pensiero di Ruskin e di Gandhi. Eppure questo non può essere considerato irrimediabilmente cancellato dai successi economici che le autorità indiane oggi vanno vantando. E’ facile, infatti, osservare che la scelta di affidare la società agli istinti più selvaggi dell’animo umano è stata generalizzata anche al di fuori del campo economico, con un operazione logicamente arbitraria e gravida di enormi conseguenze. Fuori dal campo regolato dalle leggi strettamente economiche, la “mano invisibile del mercato” non gioca in nessun modo a realizzare il “miracolo” della trasformazione dei “vizi individuali” dei singoli in “virtù pubbliche”, volgendoli a favore dell’interesse collettivo. Basta pensare ad episodi come quello Madoff, o alla tendenza dei managers a pilotare artificialmente i risultati delle aziende loro affidate per massimizzare le loro stock options giusto per il tempo necessario ad incassarle. In generale, lo si è visto assai chiaramente con i “vizi” dei banchieri e finanzieri americani, che – lungi dal convertirsi in “virtù – si sono cumulati nella crisi in atto, un disastro senza nome della e di cui non si intravede ancora come si possa uscire.


La lettura di Ruskin andrebbe dunque consigliata anche ad Obama?



Il Prof. Roberto Maurizio durante l'incontro con il Prof. Giuseppe Sacco (foto di Piera Ciolli)

Non so. Per parafrasare Montale, potrei dire che non dispongo della formula che possa aprire nuovi mondi. Ma mi sembra evidente che l’elezione di Obama è il risultato di una ondata venuta dal profondo della società americana, la quale avverte la necessità del ritorno ad alcuni valori che la money-making mob sembra non solo aver completamente smarrito, ma anche fatto oggetto di ridicolo e pubblico ludibrio. Ma si è trattato di un ondata elettorale incerta sui suoi propri obiettivi, priva di leadership intellettuale, e quasi esclusivamente americana. Solo in Germania hanno qualche corso sentimenti collettivi analoghi a quelli che, in America, hanno portato l’attuale presidente alla Casa Bianca. E per di più, Obama è un Presidente che si trova ad operare avendo contro di sé un establishment implacabilmente ostile, fortemente radicato nelle posizioni di potere conquistate a partire dagli anni di Reagan, e con molti collegamenti esteri. Collegamenti organici che sono evidenti anche in Italia, e paradossalmente soprattutto con forze che fingono di collocarsi politicamente a sinistra.

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