di Roberto Maurizio
Riccardo Lombardi
L’Icipec e i “lombardiani”
Venticinque anni fa, il 18 settembre 1984, moriva a Roma, Riccardo Lombardi all’età di 83 anni. “Stampa, scuola e vita” intende rivolgere un omaggio non solo al famoso personaggio storico, nato il 16 agosto 1901 a Regalbuto (Enna), ma all’uomo che negli ultimi anni della sua vita fu Presidente di un “grande” centro culturale e politico romano Icipec, situato a due passi dal “Palazzo”, proprio “sopra” il “bar Giolitti” di via Uffici del Vicario. L’Istituto per la cooperazione politica economica culturale internazionale nacque, su idea di Lombardi che ne assunse la Presidenza, nel 1977. Fintanto che Lombardi visse, l’Istituto seppe collezionare solo grandi successi di centro culturale e politico della sinistra socialista. Dal ’77 all’84, l’Icipec produsse libri, riviste (Views, bimestrale, Notizie Icipec, settimanale, diretta e curata dal sottoscritto), dibattiti e seminari che si moltiplicavano, soprattutto, a ridosso dell’estate. La mia collaborazione con l’Istituto di Lombardi venne favorita dalla mia “grande maestra”, Liliana Magrini, con la quale condividevo la rubrica “Trecentossesantagradi” del mensile “Politica Internazionale” dell’Ipalmo (Istituto per le relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Africa, America latina e Medio Oriente). Mentre presso l’Ipalmo, situato in via del Tritone, di fronte alla sede de “Il Messaggero”, si incontrava “di nascosto” la sinistra democristiana con il Pci, il Psi e gli “extraparlamentari” (l’istituto, presieduto da Pietro Bassetti, annoverava tra il Consiglio direttivo figure come, Nino Andreatta, Gilberto Bonalumi, Luciano De Pascalis, Marcella Glisenti, Gian Carlo Pajetta, Francesco Tanini, Giampiero Orsello, Gianni De Michelis, Aldo Ajello, Giampaolo Calchi Novati, Luigi Granelli, Oscar Mammì, Achille Occhetto, Margherita Boniver, Luciana Castelina, Carlo Guelfi, Ruggero Orfei), l’Icipec era il luogo d’incontro dei “lombardiani doc” e non, tra i quali emergevano, tra gli altri, Enrico Manca, Aldo Ajello, Fabrizio Cicchitto, Michele Achilli, Claudio Signorile (definito levantino da Rino Formica), Margherita Boniver.
Un gelato da “Giolitti”
Era un pomeriggio come tanti altri, quando vidi per la prima volta Riccardo Lombardi, all’Icipec, dopo aver preso un gelato da “Giolitti” in via degli Uffici del Vicario, dove avevo, poco prima, parcheggiato la mia Fiat 850 blu carabinieri, proprio davanti l’ingresso principale della Camera dei Deputati, all’interno della quale avevo intervistato Marco Pannella per la rivista “Cooperazione” del Ministero degli Esteri, di cui “de facto” facevo il Direttore responsabile (ndr l’intervista non venne mai pubblicata). A “colazione”, poche ore prima, avevo accompagnato, sempre con la mia Fiat 850 blu carabinieri, Antonello Trombadori, alla Stazione Termini. Era un’altra Roma, era un altro modo di vivere, senza paure di attentati, senza il timore di essere multati dai vigili Veltroniani, senza il rimprovero degli ambientalisti-integralisti-animalisti, senza l’accusa di assassino della Terra da parte dei talebani pane e cicoria con il burka (vietato entrare a Roma se non con le moto e i motorini rutelliani). Non fu un giorno come un altro, quello che mi diede la possibilità di stringere la mano ad un “Gigante” della storia italiana. Ricordo soprattutto le sue rughe, la sua sofferenza nel parlare, le pause non tra una parola e l’altra (come quelle di Craxi e Celentano), ma tra le consonanti e le vocali. L’ambiente circostante era pieno di fumo proveniente dal suo sigaro e, tra una schiarita e l’altra, vidi un’immagine che somigliava molto al “Genio” della Lampada di Aldino, soprattutto in quegli istanti nei quali rifletteva e sospirava. Il “contatto fisico” con il “Genio” durò solo due minuti. Anche se fui ai “suoi servigi” per altri cinque anni, non ebbi mai modo di parlare e sentirlo parlare direttamente con me. La mia ambizione era quella di carpirgli un’intervista fuori da comune, di parlare con lui, anche per soli 5 minuti. Anche se non ci fu nessun contatto verbale diretto, io dedicai interamente il mio lavoro, nell’Icipec, al “Gigante”. E’ per questo che a 25 anni dalla sua morte, vorrei che il mio “misero” ricordo possa raggiungere i suoi familiari. Riccardo Lombardi è stato per me, come una madre sordomuta e cieca. Nonostante che non si sia mai accorto della mia esistenza, appannata dai tanti giovani socialisti in lista di attesa per il grande successo e oscurata dai rampolli della buona stampa comunista de “il manifesto” ed degli ex “Lotta Continua”, io devo molto al “Grande Vecchio Siciliano” in quanto sapeva, anche se non vedeva, di avere accanto a sé un “servitore” riconoscente: un piccolo pesce “inserviente e pilota” della “Grande Balena Azzurra” che soleva dire: “E’ socialista quella società che riesce a dare a ciascun individuo la massima libertà di decidere la propria esistenza e di costruire la propria vita”.
Who’s who
Riccardo Lombardi nacque a Regalbuto (Enna) il 16 agosto 1901. Dopo aver cominciato gli studi di ingegneria all'Università di Catania, nel 1919 si trasferì a Milano dove, l'anno successivo, si iscrisse al Politecnico. Tra la fine del 1919 e l'inizio del 1920 aderì, insieme al fratello Ruggero, al Partito popolare italiano, orientandosi verso il gruppo della sinistra. Confluì quindi nel Partito cristiano del lavoro, fondato dagli esponenti di questa tendenza alla fine del 1920. Nel 1922 conseguì la laurea in ingegneria industriale. Dopo aver partecipato ad alcune azioni degli Arditi del popolo, nel 1923 collaborò con il giornale della sinistra cattolica, "Il Domani d'Italia". Proprio in questi anni Lombardi maturò il suo distacco dalla cultura cattolica per avvicinarsi al pensiero marxista. Impiegatosi stabilmente presso un'impresa privata, nella seconda metà degli anni Venti continuò l'impegno politico, partecipando all'attività clandestina, a fianco sia di esponenti dell'antifascismo democratico sia di esponenti comunisti. Nel 1928 conobbe Ena Viatto, una giovane militante comunista, che divenne la compagna della sua vita. Agli inizi di agosto del 1930, a seguito di un volantinaggio davanti ad alcune fabbriche, fu scoperto ed arrestato dalla milizia fascista; fu rilasciato alla fine di agosto dopo aver subìto violenti percosse che gli lesionarono un polmone, creandogli problemi di salute per tutta a vita. Interrotti i rapporti con il Partito comunista, nel corso degli anni Trenta conciliò l'attività professionale con una limitata azione clandestina nelle file di "Giustizia e Libertà". Fino dalla sua costituzione nel 1942, fece parte del gruppo dirigente della sezione milanese del Partito d'Azione. L'anno successivo partecipò come delegato del Pd'A alle riunioni del comitato dei partiti antifascisti, poi Clnai. Agli inizi del 1944 entrò nella segreteria del Pd'A per l'Alta Italia, assunse la direzione dei "Nuovi quaderni di GL" ed entrò nel comitato direttivo dell'Unione tecnici italiani. Il 25 aprile 1945 fece parte della delegazione del Clnai che si incontrò a Milano con Mussolini, cui fu richiesta la resa incondizionata. Il giorno dopo assunse, su incarico del Clnai, la carica di prefetto di Milano, che mantenne fino a dicembre quando, essendo stato nominato ministro dei Trasporti nel primo governo De Gasperi, si trasferì a Roma. Nel 1946 fu eletto prima in una segreteria a tre e poi segretario unico del Pd'A, carica dalla quale si dimise l'anno successivo; guidò comunque la confluenza della maggioranza del partito nel Psi. Nelle elezioni del 2 giugno 1946 fu eletto deputato nel collegio unico nazionale. Svolse parallelamente un'intensa attività sindacale, mettendo in primo piano le esigenze occupazionali. Nel 1947 fu nominato presidente dell'Ente siciliano di elettricità; negli anni Cinquanta si occupò sistematicamente, alla Camera, del controllo delle risorse energetiche e fu poi uno dei principali sostenitori della nazionalizzazione dell'energia elettrica (1962). Nel 1948 assunse la presidenza dell'Azienda tramviaria milanese, carica che conservò fino al 1953. Nel corso del XXVI congresso nazionale del Psi (gennaio 1948) fu eletto membro della Direzione del partito. Al congresso successivo, indetto dopo la sconfitta elettorale del 18 aprile 1948, risultò vincitrice la corrente autonomista, della quale Lombardi era uno dei massimi esponenti: fu allora nominato direttore dell'"Avanti!". Mutati nel XXVIII congresso (maggio 1949) i rapporti di forza all'interno del partito, Lombardi perse sia la direzione dell'"Avanti!" che la carica di membro della Direzione nazionale. Ricoprì nuovamente tale carica dal 1953 fino alla sua morte, mentre diresse una seconda volta il giornale socialista dal dicembre 1963 al luglio 1964. Nella prima metà degli anni Cinquanta rivestì un ruolo di primo piano nel movimento internazionale dei Partigiani della pace, dal quale uscì nel 1956, dopo l'intervento sovietico in Ungheria. Nel 1977 promosse la costituzione dell'Istituto per la cooperazione politica economica culturale internazionale - Icipec, di cui assunse la presidenza. Nel 1979 emersero sempre più nette le divergenze di Lombardi con Bettino Craxi, allora segretario del partito. In un tentativo di mediazione tra gli autonomisti e la sinistra del partito, Lombardi fu eletto presidente del Psi nel gennaio 1980, ma due mesi dopo si dimise dalla carica. Negli anni successivi continuò, dall'opposizione, la sua battaglia politica. Candidato al Senato nelle elezioni del 1983, non fu rieletto. Morì a Roma il 18 settembre 1984.
Il ricordo di Aldo Ajello
Negli ultimi anni (alla scomparsa ne aveva compiuto ottantatré) Lombardi era un po' in disparte dalla politica, e da quella socialista in specie, di cui era stato un animatore indiscusso e per lungo tempo una sorta di leader alternativo, con una spiccata tendenza alle dimissioni. Una figura assai rispettata al vertice del partito nonostante la sua incisiva - e a volte dirompente - attitudine critica, e capace di un singolare proselitismo nei ranghi medi, e soprattutto nelle leve giovanili. Che Lombardi fosse un personaggio di raro conio risultava chiaro a chiunque seguisse, all'epoca, la politica italiana. Lo era, forse, a suo stesso dispetto. In contraddizione, comunque, con la ritrosia, la serietà, la qualità a volte oracolare delle sue ironie, l'aspetto perfino arcigno con il quale veniva spesso descritto o disegnato. Un ritrattista come Montanelli ne fece uno dei suoi soggetti o bersagli preferiti, scrivendo ad esempio che «portava a zonzo un volto notturno e temporalesco» e che «dava del lei a se stesso». Alto, magro, occhialuto, con le spalle ossute e quadrate, un po' curvo per i postumi di una bastonatura subita ad opera dei fascisti nel 1930, sempre con un mezzo toscano serrato fra le labbra, egli portò nel Psi - cui aveva aderito dopo lo scioglimento del partito d'Azione - quell'inquietudine che dell'azionismo era un tratto proverbiale. Gli deve molto non soltanto la fraseologia politica (dal termine «contestazione», a lui caro assai prima che si divulgasse in chiave di protesta studentesca, all'insistenza quasi missionaria sulle «riforme di struttura») ma anche, più in generale, un'arte di governo intesa come coerenza propositiva. Passioni politiche e umori polemici si coglievano subito nella sua voce calma, suadente, impastata di un coriaceo accento siciliano, quando si andava a trovarlo d'estate in una sua villetta affacciata sul lago Paola, a un passo da Sabaudia. Non si fa fatica a ricostruirli oggi, quei suoi pensieri e propositi, scorrendo le oltre mille pagine dei discorsi parlamentari da lui pronunciati fra il 1945 e il 1983, e che vennero pubblicati due anni fa a cura di Mario Baccianini, con una presentazione di Valdo Spini e un'introduzione di Simona Colarizi. Del centrosinistra - di quello originario, interpretato fra il '62 e il '63 dal governo Fanfani - Lombardi fu il vero padre. La nazionalizzazione dell'industria elettrica fu in gran parte frutto della sua tenacia. Le folate d'impopolarità originate da quel provvedimento non riuscirono a stroncarlo. A lungo, l'aggettivo «lombardiano» designò una sinistra sicura delle proprie credenziali democratiche, avversa ai compromessi, costante nel proporre una programmazione che a tanti conclamati liberali e liberisti appariva in contrasto con l'inveterata pratica dell'arbitrio. Come sappiamo Lombardi vide troppe speranze trasformarsi in angustie. E non a caso, Miriam Mafai, scrivendone quasi trent'anni fa la biografia per l'editore Feltrinelli, avrebbe voluto intitolarla (così confidava al lettore) «Riccardo Lombardi o dell'illusione programmatica del centro-sinistra». Del "suo" centro-sinistra, infatti, restò quasi soltanto il nome. Dalla rottura con Pietro Nenni - culminata nella famosa «notte di San Gregorio», giugno 1963, in cui egli, spaccando la corrente autonomista, fece fallire una riedizione, «organica» stavolta, dell'alleanza fra Dc e Psi - alla morte, il suo isolamento non fece che crescere. In luogo dell'alternativa di sinistra, da lui auspicata, trionfò il compromesso storico con quel partito cattolico di cui sempre più diffidava. Finché nell'era di Craxi, il dirsi «lombardiani» nel Psi assunse l'aerea rispettabilità d'un «flatus vocis»; e non parliamo di certi antichi esponenti di punta della corrente lombardiana che oggi fanno politica di vertice su sponde che nessuno, allora, poteva prevedere. E' dunque meglio pensare che il socialista di Regalbuto non abbia avuto eredi, e che la sua resti una testimonianza inimitabile e a senso unico: l'Italia come forse avrebbe potuto essere.
Le iniziative di oggi
Si svolgeranno oggi, 18 settembre, in occasione del 25° anno dalla morte di Riccardo Lombardi due importanti e significative iniziative a Firenze (“L’attualità del pensiero di Riccardo Lombardi”, vedere http://www.ecquologia.it/) e a Regalbuto (“Lombardi e il fenicottero che rifiutò Togliatti”, vedere http://www.radioradicale.it/).
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