19 gennaio 2010

Africa. Cinquantanni di indipendenza

L’Africa festeggia 50 anni di indipendenza
di Roberto Maurizio


Alba africana?



All'alba del nuovo millennio l’Africa è ancora un Continente povero con dispendiose guerre e tragici conflitti tribali. A 50 anni dalla sua indipendenza, il bilancio economico e politico dell'Africa è diseguale. L'opinione pubblica dei paesi sviluppati si ricorda dell’esistenza del continente africano solo in occasione di spaventose carestie (Sahel sahariano, Etiopia), di drammi etnici (di recente, nel Rwanda), di spirali di aiuti umanitari e interventi militari (come nel 1992 in Somalia), dell’emergere di tiranni come Bokassa, Idi Amin, Menghistu e Siad Barre, e in più rari avvenimenti positivi come la fine dell’apartheid in Sudafrica e la conseguente conclusione dell’isolamento internazionale di quel paese. Salvo proprio il caso sudafricano, la democrazia è praticamente assente e molti sono i regimi militari nel quadro estremamente vario di un Continente sterminato, diviso in innumerevoli etnie e in oltre 50 Stati. Industrializzazione e modernizzazione si sono diffuse, ma numerose sono le crisi e alte le spese militari. Le economie spesso deboli stentano a resistere al forte incremento demografico che ha prodotto anche una notevole emigrazione africana verso il mondo sviluppato e richiede aiuti umanitari esterni. Il reddito di molti paesi africani è fra i più bassi al mondo. Qualche paese del Nord Africa sta cercando di raggiungere una democrazia e lo sviluppo sostenibile e condiviso, come l’Algeria ed altri paesi della sponda sud del Mediterraneo. In altri, i tentativi di trovare soluzioni democratiche appropriate cozzano contro difficoltà oggettive di ambienti ancora non completamente svincolate dal sottosviluppo. Certo è che l’Africa, negli ultimi anni, sta compiendo degli enormi passi avanti che nessuno certifica. Soprattutto i cosiddetti media europei. Ma la Banca mondiale sta lanciando dei segnali positivi in vista di un insospettabile sviluppo economico che sta attraversando l’Africa trasversalmente. Non a caso la presenza dei cinesi diventa ogni giorno di più pressante in quasi tutti i paesi del Continente Nero. L’Europa, dopo la decolonizzazione, ha abbandonato a se stessa l’Africa, dopo averla sfruttati per centinaia di anni. Un’alba africana sicuramente ci sarà. E’ solo questione di tempo.





Fratello nero




Nonostante questo quadro a forte tinte scure, esiste ancora nel Continente Nero uno spirito di fratellanza che oltrepassa i confini e gli schemi geopolitici. Infatti, il recente terremoto di Haiti ha spinto il Senegal a richiamare in “patria” gli haitiani che continuano a vivere sull’isola caraibica che sarà sempre più compromessa da terremoti e sconvolgimenti “naturali”: cicloni, tornadi, maremoti, tsunami. La proposta, di primo acchito, sembra essere migliore rispetto a quella “italiana” di voler adottare i bambini haitiani, per fare “colore”. L’Africa “nera”, soprattutto quella occidentale, è un continente quasi del tutto “immune” dai terremoti. Canada, Groenlandia, Brasile, Siberia, Arabia Saudita e Antartide, insieme all’Africa occidentale sono le zone più sicure rispetto al rischio di terremoti. Certo, escludendo le zone fredde, cioè Canada, Groenlandia, Siberia e Antartide, resta ben poco: il Brasile e l’Arabia Saudita. Forse è meglio il Senegal. Oggi come oggi, nessuno parla della possibilità di trasferirsi in Africa. Ma un domani? Chissà? Un altro tipo di “terremoto” oggi affligge l’Africa che la rende così inospitale: sono le condizioni “economiche” che rendono “inospitali” queste aree in qualche modo molto vicine ad un “paradiso terrestre”. Per secoli e secoli, l’Africa “nera” ha vissuto “in pace” e a contatto diretto con la natura. La mentalità degli africani “neri” non ha nulla da spartire con quella dei “bianchi”. Più di mille anni fa, vennero a contatto con l’Islam che si integrò perfettamente all’interno della popolazione, travolgendo però gli antichi principi di “libertà naturali”. Successivamente, vennero invasi dagli “spocchiosi” colonialisti europei con la loro civiltà e con la loro religione. Poi vennero “schiavizzati” e deportati nelle Americhe. Oggi, finalmente, festeggiano il loro cinquantesimo anno dalla liberazione dal colonialismo. Certo, questo “riassunto” non è molto scientifico. Del resto non si possono esporre in 30 righe, 3.000 anni di storia. I fatti certi, quindi, sono che: 1. l’Africa è sempre stato un continente “sfruttato” che non ha mai avuto una sua “religione” autoctona; 2. tutti i paesi africani sono stati sottoposti al colonialismo, ad eccezione della Liberia; 3. attualmente gli Stati indipendenti del continente africano sono 53; 4. due sono le zone che aspettano ancora la propria indipendenza: il Sahara occidentale (El Ayun) e il Somaliland (Hargeisa); Ceuta, Melilla e le Isole Canarie sono ancora territori spagnoli; 5. Il 1960 è riconosciuto da tutti gli Stati africani come l’anno del riscatto dalla colonizzazione, anche se parecchi paesi raggiunsero l’indipendenza successivamente.





1960. Anno delle indipendenze



Il 1960 è passato alla storia del Novecento come l’anno dell’indipendenza dell’Africa: ben 17 gli stati che hanno completato nel 1960 il processo di decolonizzazione politica, dal Camerun (1° gennaio) alla Mauritania (28 novembre). Per altrettanti paesi, il 2010 sarà un anno simbolico importante, di celebrazioni e riflessioni su cinquant’anni di indipendenza. Per ricordare l’anniversario, l’emittente pubblica franco-tedesca Arte ha realizzato un ambizioso progetto sulla rete, in collaborazione con TV5 Monde. Afrique: 50 ans d’indépendence essere definito come un web-documentario, o meglio, come scrivono i creatori, «un invito al viaggio», un periplo che «brulica di sorprese, incontri inattesi, passaggi obbligati, dimenticanze, e anche rimpianti». In concreto, si tratta di una sorta di viaggio virtuale, fruibile in francese e tedesco e percorribile attraverso un sito creato ad hoc, in dodici paesi francofoni che celebrano nel 2010 questo anniversario: Camerun, Senegal, Ciad, Benin, Burkina Faso, Congo, Costa d’Avorio, Gabon, Mauritania, Niger, Repubblica Centrafricana, Togo. Sull’homepage, è possibile accompagnare il viaggio con la visione di una videointervista allo storico Mamadou Diouf, dell’università di Columbia. Ogni mese sarà possibile visitare un paese diverso, nell’arco di un’ipotetica giornata di 24 ore, visionando un documentario diviso in più parti con una guida particolare: si comincia con il Camerun di Samuel Eto’o, che l’internauta può scoprire grazie alla guida di due ragazzi del gruppo rap Ak sang grave, Reezbo e Eboo. Tutti i materiali video sono fruibili anche in HD.


1960-2010



Quest’anno l’Africa, dunque, celebra “convenzionalmente” mezzo secolo d’indipendenza. Ben
17 paesi africani raggiunsero nel 1960 l’indipendenza. Oltre a 14 ex colonie francesi dell’Africa Subsahariana, Alto Volta (Burkina Faso), Camerun, Centrafrica (già Oubangui-Chari), Ciad, Congo, Costa d'Avorio, Dahomey (poi Benin), Gabon, Madagascar, Mauritania, Niger, Senegal, Sudan francese (poi Mali), Togo, anche la Somalia, lo Zaire (ex Congo Belga) e Nigeria. Una ricorrenza importante che certamente merita una celebrazione di grande spessore. L’Africa uscì dal periodo coloniale in una situazione di grave crisi economica, politica e sociale. Inoltre, gran parte dei paesi africani conservò le frontiere tracciate arbitrariamente sul finire del secolo XIX dai diplomatici e dagli amministratori europei. In molti casi i gruppi etnici vennero divisi dai confini nazionali e spesso la lealtà nei confronti dei gruppi fu molto più forte di quella verso lo stato: la ripercussione immediata fu lo scoppio di violente ribellioni e conflitti etnici in molti paesi (ad esempio la guerra del Biafra). Per evitare conflitti etnici e cercare di mantenere l’equilibrio interno, molte tra le nuove democrazie divennero ben presto dei regimi autoritari a partito unico, la cui sopravvivenza dipendeva dal sostegno finanziario e militare delle superpotenze. I regimi africani si caratterizzarono tuttavia per un’estrema instabilità e per il sovente cambio di guardia attraverso cruenti pronunciamenti militari. Anche lo sviluppo economico rappresentò un problema insormontabile per la nuova Africa. Benché gli stati africani disponessero di cospicue risorse naturali, pochi avevano i mezzi finanziari necessari a sviluppare le loro economie. Spesso le imprese private straniere considerarono troppo rischiosi gli investimenti in queste regioni instabili e l’unica possibilità per molti paesi africani di accedere a crediti fu quella di rivolgersi ai paesi industrializzati e agli istituti finanziari internazionali, con i quali contrassero un enorme debito, che finì per condizionare enormemente le già esigue possibilità di sviluppo economico e sociale; negli anni Ottanta, la restituzione di questi prestiti portò pressoché alla bancarotta molte economie africane.


Africa povera e armata




Il raggiungimento dell'indipendenza africana ha avuto un cammino difficile e doloroso. I paesi africani mancavano spesso di una vera e propria classe dirigente autoctona e di un'amministrazione pubblica organizzata,e questo era un problema grave come la presenza di rivalità etniche e tribali perduranti da secoli. Oltretutto i paesi africani dovevano fare i conti con gravi problemi economici dovuti all'arretratezza, allo sfruttamento a cui erano stati sottoposti, al nuovo sfruttamento che le nazioni occidentali imposero alle ex colonie dopo il raggiungimento dell'indipendenza. Mancando una vera e propria classe dirigente, spesso l'unico potere forte nei paesi africani rimaneva l'esercito, in mano a bande di prepotenti rozzi e violenti appoggiati a volte dai sovietici, a volte dagli americani, a volte da gruppi industriali: da ciò centinaia di guerre dimenticate sanguinose e terribili per le morti dovute non solo alle ferite, ma anche alla fame, alle malattie, alla miseria, tristi effetti collaterali. Le lunghe guerre civili africane di cui si parla sui nostri giornali solo di sfuggita, e in occasione di stragi particolarmente mostruose, spesso sono state aggravate anche da fattori etnici e religiosi. Tutto questo ha aumentato l'instabilità del continente, la sua spaventosa povertà, la mortalità infantile.




Piccoli gesti e grande passione missionaria di Papa Giovanni XXIII




Papa Giovanni XXIII partecipò con molto entusiasmo ed emotivamente all’emancipazione dei nuovi paesi africani che si manifestavano sulla scena internazionale, liberi ed indipendenti. Numerosi furono i messaggi radiofonici e le lettere che il Papa “buono” inviò ai nuovi Capi di Stato e di Governo dei nuovi Stati indipendenti africani. Il primo messaggio l’inviò ai cattolici del Togo, in occasione dei festeggiamenti per l'indipendenza del paese il 27 aprile. Il 5 giugno Papa Rocalli fece pervenire un altro messaggio a tutti i cattolici del continente africano. Un’altra lettera fece recapitare ai cattolici del Congo (Brazzaville) in occasione dell'indipendenza del paese il 28 novembre. Continuando sulla strada dell’amore per l’Africa, Giovanni XXIII, nel 1961, il 16 settembre, inviò un messaggio ai cattolici del Madagascar in occasione del primo centenario della libera espansione del cattolicesimo nel paese. Sempre a settembre indirizzò una lettera ai cattolici del Dahomey, in occasione del primo centenario dell'inizio dell'attività missionaria. Il 6 novembre pronunciò un radiomessaggio ai popoli africani, in occasione dell'inaugurazione delle trasmissioni giornaliere della radio Vaticana per quel continente. Il 9 dicembre fece pervenite un messaggio al Tanganica, in occasione dei festeggiamenti per la indipendenza del paese e, il giorno dopo, 10 dicembre 1961, la Lettera ai cattolici dell'Alto Volta (Burkina Faso) in occasione del primo anniversario dell'indipendenza del paese. Il 16 dicembre pronunciò un appello per la pace nell'ex Congo Belga (R.D.Congo) e inviò un messaggio alla popolazione del Niger. Nel 1962, Papa Roncalli lanciò un appello per la pace in Africa durante l'udienza del 3 giugno; il 9 ottobre scrisse un messaggio al popolo dell'Uganda nel giorno dell'indipendenza. Il 9 dicembre fece pervenire una lettera al Cardinale Lauren Rugambwa, in occasione della totale indipendenza della Tanzania. Nel suo breve pontificato, Papa Giovanni XXIII riuscì a far moltiplicare i territori ecclesiastici in paesi di missione. Le circoscrizioni ecclesiastiche dipendenti dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli passarono da 699 a 759, ripartite nel modo seguente: Africa 40 (da 224 a 264); Asia 14 (da 322 a 336); Oceania 7 (da 53 a 60). Sotto il suo pontificato, furono istituite gerarchie ecclesiali nel Niassa (Malawi) e nella Rhodesia del Nord (Zimbabwe), il 25 aprile 1959; nel Congo Belga e nel Ruanda-Urundi (ora R.D. Congo, Rwanda e Burundi), il 10 novembre 1959. In Africa, i vescovi autoctoni aumentarono da 20 a 61, tra cui Laureano Rugambwa vescovo di Bukoba (Tanganyika). Con i suoi piccoli gesti di grande passione missionaria, Papa Roncalli indirizzò molte preghiere per le comunità cristiane dei paesi di missione, come la Preghiera per la Chiesa del Silenzio, specialmente per quella di Cina, letta nella Basilica di San Paolo fuori le Mura in Roma, il 25 gennaio 1959, giorno in cui il Papa annunziava la sua decisione di indire un Concilio Vaticano II; la Preghiera destinata ai fedeli delle Chiese di recente fondazione, pubblicata nel gennaio 1960. L'invio di vari ceri, benedetti dal Santo Padre il 2 febbraio 1963, a paesi di missione in cui è stata istituita da poco la Gerarchia. Il Papa manifesta la gioia per l'indipendenza di numerosi popoli africani (17 nuovi Stati nel 1960, 2 nel 1961 e 4 nel 1962). Facendosi rappresentare ai festeggiamenti per l'indipendenza, esorta i cattolici a collaborare efficacemente al benessere delle loro rispettive nazioni.

Indipendenza conquistata



Dalla Seconda guerra mondiale le potenze coloniali europee uscirono economicamente e psicologicamente indebolite, mentre era cresciuto il ruolo internazionale delle superpotenze statunitense e sovietica. Nelle colonie francesi dell’Africa settentrionale, dal 1947 in poi si sviluppò un forte movimento nazionalista. La rivoluzione algerina ebbe inizio nel 1954 e proseguì fino al 1962, anno in cui il paese ottenne l’indipendenza, già raggiunta dal Marocco e dalla Tunisia nel 1956. Nell’Africa subsahariana francese il presidente Charles De Gaulle aveva cercato di prevenire i movimenti nazionalistici garantendo agli abitanti dei territori d’oltremare lo status di cittadini a pieno titolo e consentendo a deputati e senatori di ciascun territorio di sedere nel Parlamento francese. Ma i limiti al diritto di voto e alla rappresentanza di ciascun territorio si rivelarono inaccettabili. Nelle colonie britanniche il ritmo del cambiamento accelerò dopo la guerra. Cominciarono ad apparire partiti di massa che accoglievano la schiera più ampia possibile di gruppi sociali, etnici ed economici. Nel Sudan, i disaccordi fra l’Egitto e la Gran Bretagna circa l’orientamento dell’autogoverno sudanese indussero i britannici a concedere l’indipendenza nel 1954. Durante gli anni Cinquanta gli esempi delle nazioni di recente indipendenza, la rivolta dei Mau-Mau in Kenya e l’abilità di alcuni leader popolari africani come Kwame Nkrumah produssero nuovi impulsi indipendentisti. Il Ghana ottenne l’indipendenza nel 1957, la Guinea nel 1958. Nel solo 1960 nacquero ben diciassette nazioni africane sovrane. Alla fine degli anni Settanta quasi tutta l’Africa era indipendente. I possedimenti portoghesi – Angola, Capo Verde, Guinea-Bissau e Mozambico – raggiunsero finalmente l’indipendenza nel 1974-75, dopo anni di violenti conflitti. La Francia rinunciò alle isole Comore nel 1975 e Gibuti ottenne l’indipendenza nel 1977. Nel 1976 la Spagna abbandonò il Sahara Spagnolo, che fu poi suddiviso fra Mauritania e Marocco; qui però si continuò a combattere una dura guerra per l’indipendenza. La Mauritania cedette la sua parte nel 1979, ma il Marocco, prendendo il sopravvento sull’intero territorio, continuò a combattere il locale Fronte Polisario. Lo Zimbabwe conquistò l’indipendenza nel 1980. L’ultimo grande possedimento coloniale nel continente, la Namibia, conseguì l’indipendenza nel 1990. Ma si dovette attendere il 1994 perché la maggioranza nera in Sudafrica ottenesse la propria “indipendenza” grazie a un governo democraticamente eletto. In Africa, alcuni paesi raggiunsero l'indipendenza pacificamente: Marocco e Tunisia nel 1956. Altri affrontarono guerre sanguinose: tra questi lo Zaire (ex Congo Belga), il Mozambico e l'Angola (colonie portoghesi) liberatesi solo nel 1975. In genere, le colonie francesi e inglesi raggiunsero l'indipendenza senza conflitti molto gravi, ma fecero eccezione l'Algeria per la Francia e il Kenya per la Gran Bretagna. Molti Francesi risiedevano in Algeria da tanto tempo e si opponevano alla decolonizzazione. In Algeria la questione fu complicata dal fatto che erano numerosi i francesi che da tempo vi risiedevano e si opponevano alla decolonizzazione. Ci fu bisogno del prestigio del generale De Gaulle, che aveva salvato l'onore della Francia nella Seconda guerra mondiale, per convincere il paese ad abbandonare la colonia per la quale aveva sostenuto una guerra di otto anni (guerra d'Algeria, dal 1954 al 62). Anche in Kenia la presenza di moltissimi abitanti bianchi portò a scontri violenti e sanguinosi che ebbero termine solo nel 1963. Invece, l'atteggiamento equilibrato e ragionevole tenuto da Francia e Inghilterra in altri casi diede loro notevoli vantaggi sul piano economico e politico sotto forma di rapporti privilegiati. Spesso i colonizzatori finanziarono forze armate locali che ostacolassero la decolonizzazione; ad esempio nel Katanga alcuni gruppi industriali belgi finanziarono per anni un piccolo Stato ribelle contro il legittimo Governo del Congo. Il primo ministro Lumumba fu ucciso e sostituito da Mobutu (1965) più disponibile nei confronti degli interessi occidentali.

Dal colonialismo all’indipendenza




La fine del colonialismo europeo in Africa fu un processo relativamente rapido che, fra la fine della Seconda guerra mondiale e l'inizio degli anni sessanta, condusse all'indipendenza gran parte del continente, dando vita a Stati per lo più coincidenti con i territori delle precedenti colonie. Le istanze di liberazione legate alla lotta contro il nazifascismo, cui molti africani parteciparono come membri delle armate delle rispettive potenze coloniali, e, in seguito, i principi della Carta atlantica, ebbero un forte impatto sul nazionalismo anticoloniale e spesso fornirono lo sfondo ideale a insurrezioni e movimenti di protesta come quelli dell'Algeria (1945), del Madagascar (1947-49), della Costa d'Oro (1948). Inoltre l'apparire sulla scena politica mondiale delle due nuove superpotenze di Usa e Urss, estranee per storia e per ideologia alle forme del colonialismo europeo, favorì l'instaurarsi di un nuovo tipo di supremazia, basato sull'influenza nella politica interna dei nuovi Stati e sulla loro sudditanza economica, in cambio dell'appoggio finanziario e militare ai nuovi capi per il mantenimento dei delicati equilibri interni. Mentre l'Italia aveva perso i suoi possedimenti africani in seguito alla sconfitta nella seconda guerra mondiale, le colonie degli altri paesi europei giunsero ad affrancarsi dalla dominazione straniera attraverso lo sviluppo di movimenti anticoloniali che portarono in molti casi a vere e proprie lotte per l'indipendenza. La Francia di De Gaulle, bisognosa di sostegni contro il governo collaborazionista di Vichy, aveva promesso riforme sostanziali, riconoscendo alle colonie dell'Africa occidentale francese e dell'Africa equatoriale francese lo status di entità individuali, all'interno di un'associazione con la madrepatria (Conferenza di Brazzaville del 1944 e Union française nel 1946), superando così la dottrina della spersonalizzazione e assimilazione dei popoli colonizzati, nell'ambito della civilisation come obiettivo del colonialismo. Negli anni cinquanta maturò un movimento anticoloniale ormai orientato verso l'autogoverno o l'indipendenza vera e propria, condotto da una nuova generazione di intellettuali e politici sovente formatisi in Europa o negli Stati Uniti e fortemente influenzati dalle dottrine di liberazione e autodeterminazione emerse specialmente nelle lotte antimperialistiche dell'India e dell'Asia orientale. Questa componente si saldò in certi casi con le espressioni della costante resistenza opposta dal mondo africano alla sopraffazione coloniale, che non avevano mai cessato di manifestarsi (rivolta dei Mau Mau in Kenya, 1952-1956). La guerra d'Algeria (1954-1962) costituì un punto di riferimento centrale per i movimenti di liberazione, influenzandone profondamente ideologia e prassi politica. L'indipendenza di vari paesi dell'Africa settentrionale (Libia, Sudan, Marocco e Tunisia) fra il 1952 e il 1956 aprirono la via all'emancipazione dell'Africa nera. In molti paesi essa fu guidata da partiti politici che si ispiravano ai principi di un "socialismo africano" teso a sottolineare, rispetto alla tradizione dottrinale del socialismo di matrice occidentale, le peculiarità della situazione locale e le radici culturali profonde di un comunitarismo e di un egualitarismo considerati propri della tradizione precoloniale rurale africana (K. F. Nkrumah, S. Touré, J. K. Nyerere, ecc.). La situazione precipitò dal 1956 quando, in seguito alla crisi di Suez, apparve chiaro che le due superpotenze Usa e Urss, prive di interessi diretti in Africa, non erano disposte ad avallare oltre la repressione colonialista delle potenze europee, ormai ridotte in secondo piano. La colonia britannica della Costa d'Oro divenne sovrana nel 1957, col nome di Ghana, dopo alcuni anni di autogoverno, seguita nel 1958 dalla Guinea francese che, unica tra le colonie africane di Parigi, rifiutò la proposta della madrepatria di entrare a far parte della Comunità franco-africana come Stato autonomo (i governi autonomi nei vari territori erano stati costituiti nel 1956, in base alla Loi cadre). Ottennero comunque la piena indipendenza nel 1960 i territori che avevano optato per questa soluzione: Alto Volta (Burkina Faso), Camerun, Centrafrica (già Oubangui-Chari), Ciad, Congo, Costa d'avorio, Dahomey (poi Benin), Gabon, Madagascar, Mauritania, Niger, Senegal, Sudan (poi Mali), Togo. Nello stesso anno raggiunsero l'indipendenza anche il Congo belga (poi Zaire), la Somalia (unione di quella britannica e di quella ex italiana) e la Nigeria, seguiti dalle altre colonie britanniche: Sierra Leone e Tanganica (poi Tanzania) nel 1961, Uganda nel 1962, Zanzibar (poi federatosi al Tanganica) e Kenya nel 1963, Malawi (già Nyasaland) e Zambia (già Rhodesia del nord) nel 1964, con la rottura della Federazione dell'Africa centrale (la Rhodesia del sud proclamò unilateralmente la propria indipendenza nel 1965, sotto il controllo della locale minoranza bianca), Gambia, Botswana e Lesotho nel 1965-1966.


Ruanda e Burundi, già belgi, divennero indipendenti nel 1962 e nel 1968 fu la volta di Guinea equatoriale (spagnola), Mauritius e Swaziland (britannici). Verso la metà degli anni settanta si ebbe la conclusione della lotta di liberazione nelle colonie portoghesi, condotta da movimenti che operarono scelte di tipo marxista-leninista, attivamente sostenuti dai paesi socialisti: la Guinea Bissau nel 1974, Angola e Mozambico nel 1975. In quell'anno la Spagna abbandonò il suo possedimento del Sahara, aprendo una crisi internazionale per la contrapposizione delle aspirazioni indipendentistiche della popolazione locale alle mire dei paesi vicini. Nel 1977 la Francia concesse l'indipendenza a Gibuti, mentre nel 1980, a conclusione di una lunga guerra civile condotta dalla popolazione nera contro i coloni bianchi, la Rhodesia del sud abrogò la propria dichiarazione unilaterale d'indipendenza del 1965 e, nell'ambito del Commonwealth, varò un nuovo governo di maggioranza e ottenne l'indipendenza col nome di Zimbabwe. L'ultimo paese africano ad acquistare la propria indipendenza fu la Namibia, che nel 1990, a conclusione di una lunga lotta, si affrancò dall'occupazione sudafricana, sancita come mandato della Società delle nazioni, dopo la prima guerra mondiale, poi non rinnovato dall'Onu. L'istituzione di nuovi stati africani sulla base dei confini dei vecchi domini coloniali, sancita formalmente dalla Carta dell' Organizzazione dell'unità africana (Oua) nel 1963, conteneva in sé innumerevoli contraddizioni, legate fra l'altro alla mancata corrispondenza tra formazioni storiche ed etnico-linguistiche e i confini delle nuove entità statali. Questo fattore con più generali problemi di dipendenza e vulnerabilità politica ed economica dei nuovi stati, è stato fra le cause principali di numerose crisi interne e internazionali (Katanga. Biafra, Eritrea, Sudan).

Il legame ombelicale







Checché se ne dica, il Continente Nero a 50 anni dall’indipendenza ha pienamente diritto di festeggiare la sua raggiunta libertà conquistata con spirito di sacrificio e abnegazione. Chiaramente, il colonialismo nelle sue diverse forme deve essere buttato alle ortiche. Frasi come quelle pronunciate dal Presidente del Gabon Omar Bongo Ondimba, secondo il quale, “la Francia senza l’Africa è un’automobile senza carburante e l’Africa senza la Francia è un veicolo senza autista”, deve appartenere al passato. Ma questo non significa che lo spirito di cooperazione fra l’Europa e l’Africa debba essere frantumato. L’Europa ha bisogno dell’Africa, l’Africa ha necessità di avere rapporti corretti e concreti con l’Europa. Il legame ombelicale tra Europa e Africa passa per il Mediterraneo.

Nessun commento:

Posta un commento