Epifania. Scienza e Fede
di Roberto Maurizio
di Roberto Maurizio
Giotto, “L’adorazione dei Magi”, Cappella degli Scrovegni, Padova
Il calore della calza
Con il sei gennaio, terminano le festività religiose natalizie. E’ il giorno dell’Epifania, che tutte le feste si porta via. E’ il giorno dal quale deriva anche il termine “Befana”, corruzione lessicale che si trasforma in Ebifania prima e in Ebefania poi, fino ad arrivare a Befania e quindi a Befana. E’ il giorno della calza, tradizione che risale al folklore tedesco quando i bambini appendevano sotto il camino, gli stivali pieni di paglia e fieno per sfamare il cavallo alato del dio Odino, dal quale ricevono come ricompensa doni e giocattoli. E’ il giorno dell’adorazione dei Tre Re Magi al "bambinello" appena scoperto dagli Sapienti Orientali guidati da una “Stella”. E’ il giorno, quindi, dell’incontro tra fede e scienza.
La “manifestazione”
Il vocabolo Epifania deriva dal greco Eptfaneia e significa "manifestazione", infatti il giorno 6 gennaio e cioè 12 giorni dopo il Natale, la tradizione cristiana celebra il primo manifestarsi dell’umanità e divinità di Gesù Cristo ai Re Magi. Proprio per questo l’Epifania, unitamente alla Pasqua, alla Pentecoste ed al Natale, costituisce una delle massime solennità che la Chiesa possa celebrare. Nel III secolo i cristiani cominciarono a riferisi a tutti i fenomeni di origine divina, come i miracoli, le visioni, i sogni premonitori... con il termine Epifania e solo successivamente questa parola venne usata esclusivamente per indicare il manifestarsi della divinità di Gesù ai Re Magi. Tanti famosi capolavori della pittura fiorentina, tra i cui autori troviamo Botticelli e Leonardo, furono ispirati dall’Epifania e anche nel XII e nel XIII secolo, numerose furono le laudi cantate per essa. Dei Re Magi si parla nei vangeli e ad essi, autorevoli esponenti di un popolo completamente estraneo al mondo ebraico, furono attribuiti i nomi Melchiorre (rappresentante della stirpe semitica), Gaspare (rappresentante della stirpe camitica) e Baldassarre (rappresentante della stirpe giapetica). I tre sovrani, tutt’ora considerati patroni e protettori dei viaggiatori e una volta anche dei mercanti e dei cavalieri, furono guidati in Giudea, fino alla grotta di Betlemme, da una stella che brillava più di tutte le altre, la “Stella Cometa”. Una volta giunti a destinazione i Tre Re Magi adorarono il Bambin Gesù, riconosciuto come Re dei Giudei e gli lasciarono tre importanti doni-simbolo: oro, in omaggio alla sua regalità, incenso, in omaggio alla sua divinità e mirra a significato della sua futura sofferenza redentrice.
Le due luci dei Magi
Le due luci dei Magi
E’ proprio ai Re Magi che Benedetto XVI, oggi 6 gennaio 2009, ha voluto “dedicare” la sua omelia durante la messa dell’Angelus dell’Epifania a San Pietro. La scienza da sola non basta a comprendere la realtà, che può essere letta solo attraverso un’unità tra «intelligenza e fede, scienza e rivelazione»: «le due luci che guidarono il cammino dei Magi», «sapienti» ma aperti al mistero di Dio. Papa Benedetto XVI ha riaffermato così la necessità di una scienza non «autosufficiente», aperta «ad ulteriori rivelazioni ed appelli divini». Umiltà e capacità di ascolto - ha detto il Papa - furono le doti principali dei Tre Re Magi, additati quali «modelli» di «autentici cercatori della verità» ai «sapienti» di oggi. «I Magi - ha spiegato Bendedetto XVI - ebbero bisogno delle indicazioni dei sacerdoti e degli scribi per conoscere esattamente il luogo in cui recarsi», anche se «erano dei sapienti, che scrutavano gli astri e conoscevano la storia dei popoli. Erano - ha proseguito il Pontefice - uomini di scienza in un senso ampio, che osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l'uomo. Il loro sapere, pertanto, lungi dal ritenersi autosufficiente, era aperto ad ulteriori rivelazioni ed appelli divini».
Veri sapienti
Tanto da non vergognarsi «di chiedere istruzioni ai capi religiosi dei Giudei». «Avrebbero potuto dire: facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno, evitando, secondo la nostra mentalità odierna, ogni contaminazione tra la scienza e la Parola di Dio. Invece i Magi - ha sottolineato Papa Ratzinger - ascoltano le profezie e le accolgono». In più, giunti alla povera capanna, «avrebbero potuto rimanere delusi, anzi, scandalizzati. Invece, da veri sapienti, sono aperti al mistero che si manifesta in maniera sorprendente». E invece di tornare da Erode ad annunciare la loro scoperta, accolgono l'avvertimento di un sogno, scelgono «come loro sovrano il Bambino», custodiscono la loro scoperta «nel nascondimento». L'Angelus dell'Epifania si è quindi chiuso con un’invocazione alla Vergine Maria, «modello di vera sapienza», affinché aiuti gli uomini «ad essere autentici ricercatori di Dio, capaci di vivere sempre la profonda sintonia che c'è tra ragione e fede, scienza e rivelazione».
I doni dei Magi
I doni portati dai Magi alla misera capanna di Betlemme rappresentano - secondo Papa Benedetto XVI «un atto di giustizia», di sottomissione a un Dio «che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo», e che «ci aspetta fra i poveri», sulla «strada dell'amore che solo può trasformare il mondo». Doni apparentemente poco appropriati - ha osservato il Pontefice - per una Sacra Famiglia privata di tutto, che «avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall'incenso e dalla mirra» e alla quale «neppure l'oro poteva essere immediatamente utile». «Ma questi doni - ha spiegato Ratzinger - hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità. La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell'amore che solo può trasformare il mondo».
Erode e il Bambino
Anche se «Erode sembra essere sempre più forte» e il bambino Gesù «sembra poter essere ricacciato tra coloro che non hanno importanza, o addirittura calpestato», la Verità della fede continua ad irradiarsi nel mondo, «nel grande contesto di tutta la storia». «Solamente in quel bambino», invece - ha sottolineato Benedetto XVI - «si manifesta la forza di Dio che raduna gli uomini di tutti i secoli, che trasfigura il mondo».
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La “Stella” della fede
«Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui», proprio come accadde ai Re Magi, che per primi seppero trovare e riconoscere la grandezza di Gesù, andare oltre la «logica del mondo» e comprendere quella del potere associato all'amore, riassunta nell'immagine di un «bambino inerme». Una opportunità offerta a tutti, quindi, anche oggi. Papa Ratzinger ha messo a confronto i racconti dell'Epifania dell'Antico e del Nuovo Testamento. Il primo narra del riscatto del popolo di Israele e della «luce di Dio» alla quale «i re delle nazioni si inchineranno». «Povera e dimessa», invece - ha osservato il Pontefice - la descrizione del Vangelo di Matteo, che racconta di strani re giunti da Oriente, «personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto», i quali però, accogliendo il richiamo della stella, cambiano il corso della storia. Non gli ultimi - ha sottolineato il Papa - «ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell'uomo. In Lui, infatti - ha concluso il Papa - si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell'amore che si affida a noi».
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