4 gennaio 2010

Spirit, Marte e Camus

La fine di Spirit su Marte … resta solo il Mediterraneo e Camus
di Roberto Maurizio

Il Rover "Spirit" su Marte al contrario; un punto interrogativo su Marte al contrario


Una sottoumanità rissosa




Il 4 gennaio 2010 l'attività della sonda "Spirit" è finita; il 4 gennaio 1960 moriva Albert Camus, la luce, gli occhi e il cuore del Mediterraneo


La sonda Spirit su Marte sta per concludere la sua missione. Inviata per scoprire qualcosa di nuovo a questa umanità consumata dall’odio, dal fanatismo, dall’integralismo becero e inconsistente, sta per chiudere gli "occhi" sul Pianeta Rosso. Il 2010, quindi, si apre con una semisconfitta della tecnologia. La fine del Grande Rover spaziale che ha resistito a sé stesso era già stata annunciata. L’odio e il fondamentalismo imperanti nel mondo e in Italia, purtroppo, resisteranno ancora per molti anni sulla faccia di questa Terra che mal sopporta l’essere più rissoso mai esistito tra le bestie dell’ex Paradiso Terrestre: l'omo incazzatus. Quando nel cielo oscuro ci saranno i segni di una "Nuova Era", non ci sarà più tempo per salvare questa specie di sotto umanità rissosa, piena di virus, piena di sangue assassino rivolto solo contro sé stesso e contro gli altri "omini incazzatissimi".

Giustizialismo becero e coatto

Invece di parlare di cose concrete, come per esempio l’amore e il rispetto degli altri esseri viventi su questa Terra e nell’Universo, si sente soltanto il tintinnare di catene, di un giustizialismo becero e coatto, di gente sottosviluppata pronta solo a sostituire l’altra parte con i soldi per poter avere i soldi. Questa è la giustizia e la libertà. Questa è democrazia della Carta Costituzionale. Questa, del resto, è anche la presunzione di molti esseri incazzati che credono di essere più corretti degli altri per partito preso. Isomma, la peste verrà sostituita dall’Aids, dall'Hnh1 di cui nessuno parla più, dopo i miliardi buttati al vento, dal divorzio, dall’aborto, dalla morte data per salvare cinque minuti di dolore. Ma qual è il dolore dei bambini somali? Nemmeno mezzo secondo. Se ne vanno al Creatore in trenta secondi e non chiedono di farsi staccare la spina. Il rispetto della dignità dell’uomo avviene anche togliendogli la capacità di sopportare un momento in più di sofferenza. Ma quant’è grande la sofferenza umana? Ci sono uomini che soffrono da decine e decine di anni, e nessuno se ne occupa. Ci sono donne, come Aung San Su Kyi, imprigionate in questo mondo senza morale, sensibilità senza stampa e senza potere.

Elction Day



Questo mondo comandato solo dalle Election Day, dove chi deve governare deve guadagnarsi solo la poltrona che renderà sicura la propria vita e quella dei suoi discendenti. Che schifo! Farsi eleggere per guadagnare! Che schifo fare i comunisti per prendere i soldi! Che schifo fare i fascisti per andare sul terzo scranno della Repubblica e dimenticare le proprie radici! Certo, andare nei nostri ospedali per i malati terminali è una liberazione farsi staccare la spina. Ma la stessa cosa la chiedono i ricoverati che in queste strutture non ricevono altro che calci sul viso. Meglio la morte che i calci sul viso. Come fanno i detenuti che nelle nostre carceri, non molto dissimili dagli ospedali, chiedono di staccarsi da soli la spina. La dignità umana va sempre rispettata in ogni società. Ma in quella in cui siamo costretti oggi a viverla non ci sono alternative.


Carceri, scuole, ospedali e droga




Carceri, scuole, ospedali, lavoro, giovani, droga, morte sono l’ultima cosa che interessa ai nostri politici tutti a sciare sulle Dolomiti dopo che quest’estate, quando le famiglie non raggiungevano nemmeno la prima settimana, erano sui gommoni in Puglia, in Sardegna, nei Caraibi. Ma di cosa stiamo parlando? Una classe politica, di destra e di sinistra, che fa solo i propri interessi, di pochissime persone: i loro familiari. Una volta c’era la Dc che faceva gli interessi della famiglia cattolica in Italia e regalava la sua beneficienza a destra e a manca. Ma Manca, oggi, a chi fa i regali? A quei pochi eletti che continueranno ad esistere fintanto ci sarà il nepotismo, l’arrivismo, la schifezza più assoluta. Di Pietro che si erge paladino del giustizialismo, a parte che si fa i suoi benedetti comodi, non è una persona affidabile. Tutti dentro! E’ troppo facile, vanno arrestati i colpevoli, e in Italia di colpevoli non se ne è mai trovato nemmeno uno: Strage di Milano, di Bologna, di Firenze, e poi Perugia, Aosta, Moro, …. Ma fateci ridere!


Un rover per la vita e lo spazio, non un Suv contro la vita e lo spazio




Non ci rimane che andare su Marte e trovare la soluzione: Spirit, o meglio Mer-a Mars Exloration Rover – A per distinguerlo dalla sonda gemella Mer B “Opportunity”, chiamato anche Mer-1. Spirit è il primo dei due rover della Nasa giunti su Marte nel mese di gennaio 2004. Le specifiche del rover Spirit prevedevano che esso avrebbe funzionato per almeno novanta giorni. Tali specifiche sono state ampiamente superate e Spirit ha continuato a marciare sul suolo marziano per tutto il 2006. In data 4 gennaio 2009 il rover Spirit ha "festeggiato" i 5 anni di lavoro sulla superficie marziana, dimostrando un’incredibile resistenza alle intemperie climatiche che si verificano sul pianeta.


Un decesso nell’inverno marziale

Oggi, 4 gennaio 2010, Spirit è entrato nella sua fase di “decesso per inverno marziale”. Il Sole fra sei mesi dovrebbe tornare a splendere su Spirit, ma potrebbe essere troppo tardi. Spirit, dunque, rappresenta la scienza al di là delle sue conoscenze; rappresenta un mondo migliore dove anche la volontà di arrivare potrebbe essere una soluzione, nonostante le difficoltà. Spirit rappresenta il Mediterraneo su Marte. Spirit ha portato con sé la voglia di vivere di andare oltre il possibile, la volontà di non fermarsi al primo impatto negativo. Spirit dovrebbe essere lo Spirito innovativo dell’essere pensante e non affetto da virus “politici”, quelli inviati sulla Terra per far prevalere un uomo malvagio su un altro uomo malvagio.


Spirit, spirito di Camus: 4 gennaio



Spirit è lo spirito di Camus. Il destino si prese gioco di Albert Camus il 4 gennaio di cinquant’anni fa. Doveva rientrare dalla Provenza a Parigi, aveva il biglietto del treno, ma l’editore Michel Gallimard lo convinse a partire con lui in auto. Morirono in un incidente stradale. Trovarono Camus privo di vita ma con il volto sereno e stupito; aveva in tasca il biglietto ferroviario della salvezza mancata. Portava con sé pure il manoscritto de Il primo uomo, che segnava il ritorno al padre e alla terra d’origine.


Emiplegia

Camus non aveva ancora compiuto 47 anni, ma aveva già ricevuto il premio Nobel, era un personaggio di culto. Scrittore di grido, intellettuale di denuncia, filosofo esistenzialista, secondo la moda del tempo, star del teatro e dei giornali. E fratello maggiore dei ribelli, forse precursore del ’68. Eppure la fama di Camus soffre di emiplegia: si ricorda soltanto il suo lato corretto e scontato, la critica al nazismo e alla pena di morte, la resistenza, il libertarismo laico e insofferente, la fama di intellettuale gauchiste, la sua origine umile di immigrato algerino. Meno si ricorda la sua rottura con il Partito Comunista, in cui militò brevemente, la polemica con Sartre, cattivo maestro, e la sua spiccata solitudine rispetto agli intellettuali organici e ai profeti delle masse, lui accusato da loro di essere «moralista disimpegnato»; il suo senso religioso e nietzscheano, l’assurdo come chiave della vita e la diffidenza per la ragione storica e progressiva; il suo amore per la cultura e la luce mediterranea, la predilezione per la bellezza e per la filosofia neoplatonica.


La luce mediterranea
Sappiamo cosa resta di Camus narratore: opere come Lo straniero e La peste, e non solo. Ma sul piano delle idee e dei saggi, prima che per una teoria, un’opera, o il rigore di una filosofia, Camus merita di essere ricordato soprattutto per tre cose. In primo luogo Camus ha capito che la filosofia come sistema e come carriera accademica, come scienza astratta e come linguaggio astruso, era ormai finita. Certo, restano nel Novecento grandi filosofi, come Heidegger e Wittgenstein, Croce e Gentile, Bergson e Ortega, e altri. Ma dopo Nietzsche, Marx e Dostoevskij, la filosofia è morta. Il nichilismo non annuncia solo la morte di Dio, ma attesta anche la morte della filosofia, il suo disfarsi. La tecnica ne ha preso il posto da quando l’agire domina sul pensare. Alla filosofia è possibile vivere solo uscendo dalla teoria e dall’accademia ed entrando nella vita, fin dentro la sua condizione assurda. Farsi esistenza e racconto, pensare ad altezza d’uomo, incontrando l’universalità nell’esperienza personale.

Il pensiero meridiano: genius loci
Camus ha cercato di rianimare il pensiero con l’arte, ha cercato il punto di fusione tra filosofia e letteratura, e lo ha trovato nella vita alla luce del sole. Qui s’incontra il secondo grande motivo di fascino dell’opera di Camus. Il suo pensiero si radica nel paesaggio, nel sole, nel mare, nei colori del Mediterraneo. Pensiero meridiano chiamò Camus la sua geofilosofia; «il Mediterraneo dove l’intelligenza è sorella della luce cruda». Una filosofia profondamente meridionale, greca e latina, animata dal genius loci. Nella sua visione del mondo affiora il lucore dell’infanzia algerina e poi della Provenza, descritti nei suoi magnifici saggi solari dedicati all’estate e al ritorno. Una passione speciale nutre Camus per l’Italia, vista come sintesi tra la sua terra nativa, l’Algeria («la dolcezza di Algeri è piuttosto italiana») e la sua terra d’elezione, la Provenza. L’Italia, scrive ne Il rovescio e il diritto, è la «terra fatta secondo la mia anima».

Melange di acqua e di luce



Nella sua filosofia del paesaggio c’è un riferimento remoto, classico, ed uno vivente, prossimo. Il primo è Plotino, metafisico della bellezza e dell’Uno, venuto dall’Egitto a Roma, che per Camus «pensa d’artista, sente da filosofo... la sua ragione è vivente, piena, commovente come un melange di acqua e di luce», sul filo di una solitudine innamorata del mondo e di una «squisita malinconia». Parlando di Plotino, Camus parla di sé stesso. Il riferimento prossimo è invece Jean Grenier che fu suo insegnante e poi suo amico e che lo folgorò da ragazzo con i suoi scritti dedicati al mare, alle isole e all’ispirazione mediterranee, sulla scia di Paul Valéry. Il maestro sopravvisse al discepolo e scrisse su Camus un libro di ricordi.


Il fremito della libertà
Per Camus la rivolta è una ribellione metafisica contro la condizione umana, non riducibile alla rivoluzione sognata dalle ideologie totalitarie di massa. La rivolta di Camus conserva il fremito della libertà e l’impronta della solitudine, non si fa mai imposizione. La sua rivolta non nasce dall’insofferenza verso il reale, dall’odio per l’esistente e verso la propria patria, ma al contrario: «Sceglieremo Itaca, la terra fedele, il pensiero audace e frugale, l’azione lucida, la generosità dell’uomo che sa. Nella luce, il mondo resta il nostro primo e ultimo amore». Non l’utopia del mondo migliore e dell’uomo nuovo, ma la solidale fratellanza con l’uomo e il mondo reale.

Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio
Da ragazzo, cercando motivi di rivolta opposti alla retorica rivoluzionaria dei contestatori, lessi insieme La rivolta ideale di Oriani, Rivolta contro il mondo moderno di Evola e L’uomo in rivolta di Camus. Fui colpito dalla morale eroica del ribelle camusiano che preferisce «morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio» e nel Mito di Sisifo aggiunge: «ciò che si chiama ragione di vivere è allo stesso tempo un’eccellente ragione di morire». Il suo ribelle non cade nel narcisismo dorato del dandy, ma neanche nel cupo settarismo del rivoluzionario di professione. Camus non celebra la morte di Dio, ma lotta con Dio incessantemente; la sua fu una religiosità polemica.

La filosofia dell’amore
Camus tracciò una filosofia dell’amore. «Se fossimo déi non conosceremmo l’amore» dice con Platone; ma «l’uomo - scrive nei Taccuini - si realizza solo nell’amore perché vi trova in forma folgorante l’immagine della propria condizione senza avvenire». Camus sottrae l’amore all’eternità e lo rende umano, cioè fugace. Il suo fascino è la sua precarietà, il suo tramontare. Amo di Camus l’atmosfera pomeridiana della siesta, la nostra meridionale controra, la metafisica del caldo, il ronzìo delle mosche e il sapore mediterraneo dell’anisette che diventa pastis in Provenza, l’incanto del mare, la solitudine come sete d’eternità, gli dei che «parlano nel sole e nell’odore degli assenzi...».

L’irrequieta giovinezza

La filosofia di Camus combacia col mito e soffia con il vento della vita. Una volta, mentre navigava l’Atlantico, Camus indicò curiosamente nei 57 anni l’età in cui avrebbe portato a compimento la sua opera e trovato quel che cercava: dopo i 57 anni - annotò sul suo taccuino di bordo - verrà la vecchiaia e la morte. La morte precoce lo rubò alla vecchiaia, al compiersi dell’opera e al ritrovamento di quel che cercava. Camus restò incompiuto come l’uomo in rivolta e il suo Sisifo; condannato all’eterna, irrequieta giovinezza.

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