Stati Uniti d’America: il giorno della scelta
di Roberto Maurizio
di Roberto Maurizio
Con il fiato sospeso
Fra poche ore si saprà chi guiderà nei prossimi quattro anni gli Stati Uniti d’America. Alle cinque del mattino (ora italiana) si sono aperti i seggi degli Stati della Costa Est. A mano a mano, apriranno le cabine degli altri Stati. In pratica un primo risultato finale si potrà conoscere in Italia domani mattina, verso le cinque (ora italiana), attraverso gli exit poll. Il mondo sta guardano gli Usa con il fiato sospeso. Anche le borse trattengono il respiro.
Come si vota
Il sistema elettorale degli Stati Uniti è piuttosto complesso. Infatti, esso è frutto della forma federale dello Stato e della visione aristocratica della democrazia che avevano i padri costituenti alla fine del '700. Occorre comprenderne i tratti principali. Innanzitutto, occorre dire che il sistema elettorale americano è indiretto. Non sono i cittadini ad eleggere direttamente il Presidente, ma 538 cosiddetti “Grandi Elettori” (Ge). I cittadini sulla scheda esprimono la preferenza per un candidato Presidente, ma in realtà eleggono una lista di “Ge”associati con lui. È il singolo Stato che conta. I voti dei cittadini (detti “voti popolari”) si contano Stato per Stato, non al livello nazionale. McCain può vincere in Texas e perdere in California, Obama può vincere a New York e perdere in Arizona: colui che vince - anche di uno solo voto - in uno Stato si prende tutti i "grandi elettori" in palio in quello Stato (parziali eccezioni: i piccoli Maine e Nebraska, che sono suddivisi in collegi elettorali), chi riesce a far eleggere almeno 270 grandi elettori finisce alla Casa Bianca. Come votano i “Ge”. Tradizionalmente i “Ge” sono tenuti a votare per il candidato alla Casa Bianca cui sono associati nelle schede, ma ci sono teoriche eccezioni. Come si dividono i “Ge”. Ogni Stato, piccolo o grande, ha diritto a due grandi elettori più tanti altri quanti sono i deputati inviati alla Camera dei rappresentanti. I deputati alla Camera sono attribuiti grossomodo secondo la popolazione, quindi gli Stati più grandi ne hanno di più. Così i piccoli Stati sono relativamente sovrarappresentati rispetto alla popolazione: il Vermont (circa 600.000 abitanti) ha tre "voti elettorali" e la California (35.000.000) ne ha 55. Gli Stati “Banderuola”. Le ultime settimane della campagna elettorale si concentrano sugli Swing States, cioè su quegli Stati dove i sondaggi danno un esito incerto e dove pochi voti possono far pendere la bilancia da una parte o dall'altra. Come già accadde nell'ultima tornata elettorale, l'Ohio risulterà decisivo. In palio anche Florida, Nevada, Colorado, North Carolina, Missouri, Indiana, Virginia. La notte elettorale. Non essendoci un “Viminale” che fornisca e certifichi i risultati a livello nazionale, la notte elettorale si passa in attesa dei risultati dei singoli Stati. Le diverse catene televisive (ma ormai anche i quotidiani con i loro siti web) valutano exit poll, proiezioni e poi i dati effettivi e attribuiscono - secondo i loro calcoli - uno Stato a un contendente o a un altro, via via colorando di blu (per i democratici) e di rosso (per i repubblicani) le cartine del Paese. (Spunti tratti da un articolo di Vittorio Zucconi, La Repubblica).
I compiti del Presidente Usa
Il Presidente degli Stati Uniti è il Capo di Stato degli Stati Uniti d’America. La Costituzione statunitense, stabilisce che il Presidente è investito del potere esecutivo a livello federale (art. II, sez. 1) e che a lui fanno capo le forze armate federali e le milizie dei singoli Stati, ove chiamate al servizio della Federazione. Sempre l'art. II, dedicato al potere esecutivo, enumera altri poteri esclusivi del Presidente, come quelli di raccomandare al Congresso le misure che ritiene necessarie ed opportune, di nominare Consiglieri, di accordare la grazia e di sospendere le pene per i reati puniti a livello federale. L'esercizio di altri poteri presidenziali è invece coordinato con l'attività del Congresso. È il caso della promulgazione delle leggi approvate da entrambe le camere, che include la possibilità di esercitare il diritto di veto (art. I, sez. 7). In molte tipologie di atto la collaborazione con il Potere legislativo si sostanzia nel c.d. “Advice and Consent” del Senato. Il Presidente può così nominare diversi alti funzionari (inclusi i Segretari di Dipartimento, corrispondenti grosso modo ai ministri di un governo parlamentare), gli ambasciatori e i giudici federali, ma tali nomine devono essere scrutinate ed approvate dal Senato (a maggioranza semplice). I due terzi dei voti espressi dai senatori sono invece necessari per approvare i trattati firmati dal Presidente. Il Presidente rimane in carica quattro anni. Una convenzione costituzionale, stabilita da George Washington e Thomas Jefferson, limitava a due il numero di mandati ricopribili dalla stessa persona. Tale principio non venne rispettato solo da Franklin Delano Roosevelt, che venne eletto quattro volte. Nel 1951 venne quindi ratificato il ventiduesimo emendamento, che rese norma costituzionale il limite dei due mandati. L'elezione, come abbiamo detto, avviene indirettamente, tramite il Collegio elettorale degli Stati Uniti. Sede e residenza del presidente è la Casa Bianca a Washinghton D.C.(D.C. sta per Distretto di Columbia). Il Presidente dispone di un suo staff e usufruisce di numerosi servizi. Due boeing VC-25 (versione appositamente modificata dell'aereo di linea Boeing 747-200B) servono per il trasporto a lunga distanza. Con il Presidente a bordo, l'aereo viene denominato Aie Force One. Lo stipendio del Presidente ammonta a 400.000 dollari, esclusi altri benefici, e gli viene corrisposto una volta all'anno. Dalla Costituzione, 42 persone si sono succedute alla carica presidenziale. I mandati conteggiati sono comunque 43, in quanto Grover Cleveland, eletto nel 1884, sconfitto nel 1888 ed eletto nuovamente nel 1892, figura aver ricoperto due presidenze (la ventiduesima e la ventiquattresima, rispettivamente).
Il ciclone elettorale
In realtà, grandi divisioni tra i due candidati non esistono. I conservatori sembrano essere più deocratici e questi ultimi più conservatori. I programmi non sono poi completamente diversi. Quello che potrebbe cambiare realmente è l'atteggiamento nei confronti dell'Iran. Obama, più disponibile ad un disimpegno nello scacchiere mediorientale, potrebbe favorire l'arroganza iraniana e mettere in pericolo lo Stato di Israele. Obama sarà più "isolazionista" e punterà a risolvere i problemi sociali e finanziari degli americani. McCain potrebbe avere un appiglio più deciso nei confronti di Teheran e quindi "più protettivo" nei confronti di Israele. McCain potrebbe essere più liberista e quindi favorire la ripresa economica mondiale con l'appoggio di Cina e India. Ma è tutto da vedere! Ora il mondo trattiene il fiato e aspetta, rassegnato, il passaggio di questo ciclone elettorale. Ma, ha da firnì a nuttata!
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