Di Gelmini si può anche morire
di Roberto Maurizio
di Roberto Maurizio
Gelmini mangia i bambini e scoppia i palloncini
Per anni, dal 1997 in poi, arrivati al 20 novembre, se al governo c’era la destra, puntualmente gli studenti “scendevano in piazza” per protestare contro la Finanziaria (ovviamente non sapevano neanche che cosa fosse). In verità, lo facevano anche quando c’era la sinistra, ma non c’era la stessa soddisfazione. Gli slogan contro la destra sono decisamente più facili da coniare, fanno più effetto e sono più belli. Vuoi mettere “Gelmini mangia i bambini e sconfia e palloncini” con “Fioroni ci rompi i maroni”? Oppure “Moratti tu baratti” con Berlinguer che non fa rima con niente? Quest’anno, la Finanziaria è stata votata prima, quasi un’eiculazione precoce, per cui, agli studenti si è spuntata un’arma. Che fare? Protestiamo per la Gelmini che fa rima anche con assassini (il che non guasta). In pratica, siamo a un mese di distanza dalle famigerate “occupazione” di una volta.
Magic Moment: due piccioni con una fava
Ma perché proprio a novembre? Negli anni ’60, e primi anni ’70, prima dell’introduzione dei Decreti delegati (416, 417, 418, 419, 420 datati 31 maggio 1974), la scuola italiana aveva un maestro unico che iniziava le lezioni il primo ottobre e già il 4 era in vacanza. Prima di entrare a regime, le lezioni delle superiori adottavano l’“orario provvisorio” che poteva durare due o tre mesi. Passato il primo quadrimestre, come diceva un famoso “collaboratore scolastico”, chiamato affettuosamente “bidello”, Fulvio, “ormai la scuola era finita”. Tre o quattro mesi estivi di sana e robusta vacanza per gli insegnanti e per gli studenti, quattro o cinque giorni di esami di riparazione agli inizi di settembre, e poi arrivederci al primo di ottobre seguito subito dopo dalla festa di San Francesco, il 4. La “pacchia” era tanta e tanti erano a godersela. Gli stipendi degli insegnanti erano bassi, ma non troppo. Per 12/14/18 ore di cattedra a settimana si arrivava a prendere in un anno una bella cifra. Il lavoro per i laureati, come adesso, non si trovava. Per le donne, la scuola, era un “momento magico”: due contratti a vita, con la scuola e con il marito che portava il vero stipendio. Il doppio lavoro (quello delle Professoresse che potevano seguire la famiglia e quello dei professori con la doppia professione) dava garanzia e tranquillità. Mentre la qualità della scuola perdeva sempre più colpi. Ecco allora le riforme. Attacchiamo i fannulloni dei professori che non lavorano e fanno le ripetizione a pagamento l’estate per gli esami di settembre.
Obiettivo 23 dicembre
La scuola ora inizia il 10 settembre e chiude il 10 giugno. Sono state abolite quelle tante belle festività che poi si sarebbero chiamate soppresse. Far iniziare i ragazzi, già depressi da un’estate andata buca, a settembre era ed è una follia. Gli studenti, quindi, furono costretti dal 79 in poi a studiare (un verbo ostico a 15-18 anni) fin da settembre. Che fare? Inventiamoci una rivolta: con in mano l’agenda, si tiravano le somme: iniziamo verso il 15 novembre la protesta, dal 29 facciamo l’autogestione, proseguiamo fino al 7 dicembre con l’occupazione, l’8 è festa, e finiamo il 23 la nostra protesta che attacchiamo alle feste natalizie (quando venne per qualche tempo tolta la Befana, anche quella!, si continuava a protestare fino al 7 gennaio). 31 gennaio, fine prime quadrimestre. Allora si studia (ma con moderazione).
La Pasqua bassa
Dopo la pagella, ancora uno sprazzo di eccitazione che non guasta. Si arriva al 20 febbraio. Quando non si è sfortunati con la Pasqua alta (cioè ad aprile) le cose si complicano, mentre se è bassa, tra un’assemblea di istituto una gita scolastica di una settimana, si arriva a pasquetta e nemmeno te ne accorgi. Resta i mese più brutto per gli studenti: maggio. Non ci sono assemblee, non ci sono gite, mentre ci sono quattro settimane, la cosiddetta “Quaresima” o “Calvario”, dalle quali non si può scappare. Finalmente, nel mese delle rose, gli studenti scoprono il libro, un vulnus che hanno saputo evitare in precedenza e che ora compare come una spada di Damocle sulla loro testa. Compiti in classe e interrogazioni a ripetizione. Il dramma si abbatte sull’essere meno protetto della Terra: lo studente! Lo vuole crocifiggere il professore, lo vuole inchiodare la famiglia, lo vuole rappresentare come un verme la propria coscienza.
La contestazione “settimina”
Tutto questo, per dire cosa? Sotto il Sole da secoli non è cambiato niente! I giovani sono sempre gli stessi, i vecchi pure. L’unico mutamento è avvenuto nella data di inizio delle contestazioni. Uno o due mesi prima. Come faranno i nostri eroi a raggiungere il 23 dicembre? Non sarà questa una contestazione “settimina”?
L’Università privata. Ma siete scemi? Non vogliamo la Harvard University
La cosiddetta Riforma Gelmini non si occupa di Università se non per i contatti che ha con il “famigerato” Decreto legge 112. Ma andiamo con ordine. Primo punto la privatizzazione degli atenei. C’è chi parla di scomparsa dell’università pubblica, ma è davvero così? Il Dl ne parla all’art.16, che citiamo: “In attuazione dell’articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell’autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione è adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta ed è approvata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. La trasformazione opera a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di adozione della delibera. Come si vede il passaggio è facoltativo e serve la maggioranza assoluta; appare quindi molto difficile che la decisione venga presa senza fondati motivi, e di fatto ne sono escluse tutte le grandi università. Mai e poi mai la Statale di Milano o la Sapienza potrebbero avere il 51% del Senato accademico a favore. Punto secondo: il turn-over comporterà la perdita di 87.000 posti di lavoro (art.66). Falso. Come già detto in più occasioni è stato istituito il blocco delle assunzioni, per cui l’80% dei pensionamenti non sarà rimpiazzato. Ciò si rende necessario per rimettere in sesto i conti della scuola pubblica che allo stato attuale costa al contribuente una cifra spaventosa, ma non, si noti bene, per farla funzionare al meglio, bensì per finanziare un caravanserraglio in cui oltre il 90% delle risorse va a finire in stipendi. E questo spesso a fronte di classi e corsi con un numero di studenti risibile. Non sono invece previsti licenziamenti anche perché, ricordiamolo, la Pubblica amministrazione non può licenziare senza giusta causa (e quasi sempre neanche in quest’ultimo caso). Punto terzo. I tagli uccideranno l’università pubblica e costringeranno gli atenei a privatizzarsi (vedi punto uno). E’ stato effettivamente deliberato un taglio di contributi alle università pubbliche nell’ordine del 1% per l’anno 2009; taglio che crescerà negli anni fino a raggiungere quota 7,8% nel 2013. Si parla del Ffo (Fondo di funzionamento ordinario). Certo, un taglio non è mai piacevole ma in un’ottica di razionalizzazione della spesa e di ristrutturazione del sistema appare indispensabile. In buona sostanza il governo ha cercato disperatamente di reperire delle risorse dal fronte scuola per far quadrare i conti, ma spera con la riforma di abbattere i costi per poi cancellare i tagli o perlomeno renderli indolori. Si tratta comunque di cifre troppo esigue, almeno nell’immediato, per provocare quell’apocalisse del passaggio al privato che molti evocano. Questo non vuol dire che siano giusti di per sé, pur se inquadrati in una congiuntura economica drammatica.
Ecco i quattro punti essenziali della Riforma Gelmini
Punto primo, il ritorno ai voti in pagella per elementari e medie e la bocciatura per la condotta. Invece di dire discreto ora si dice 7. La Gelmini forse si ricorda della gheghe “Bravo 7 +”, invece di ottimo, 10, invece di bastardo incapace insufficiente e sottosviluppato, 2. Mbe’? Non mi sembra così traumatico. Un’arma in più ce l’hanno sicuramente i professori con il cinque in condotta. Arma spuntata perché sicuramente non sarà applicata per le ritorsioni che gli insegnanti potrebbero avere dagli alunni e dai genitori. Potrebbe servire come minaccia. Ma già qualche insegnante è stato condannato per aver solo accennato ad un’ipotetica bocciatura. Punto secondo, il risparmio per le famiglie sui testi scolastici. Sarà introdotto l’obbligo per gli insegnanti di adottare solo libri i cui editori si siano impegnati a mantenere invariati i contenuti per tutto il quinquennio. Stop quindi al lucroso mercato degli aggiornamenti, che spesso costringeva gli alunni a cambiare il testo ogni anno solo perché vi erano state introdotte piccole modifiche. Anche qui nulla da eccepire. I nostri futuri ragionieri non sapranno mai che il Governo ha tolto l’Ici, l’odiata Irap (se verrà definitivamente cancellata) perché i libri devono rimanere all’età della pietra. L’italiano, la storia e la matematica sono sempre le stesse, o quasi, cambiano più lentamente. Ma come fa un ragioniere che due anni fa all’esame di Stato ha dovuto affrontare il Reporting, grazie a Fioroni, un argomento trattato nelle ultime pagine del libro di testo di circa 2.000 pagine? I derivati, i subprime, e le altre fregature che nasceranno da qui a cinque anni non saranno conosciuti dai nostri diplomati costretti a studiare su libri vecchi. Punto terzo, l’educazione civica. La materia sarà incentrata su educazione ambientale e Costituzione e dopo anni tornerà a essere obbligatoria per tutte le scuole secondarie di primo e secondo grado. Ma in molte scuole superiori già esiste la materia Diritto pubblico, che facciamo allora un doppione? Perché l’educazione civica non veniva studiata, perché era un doppione di storia, di italiano. Punto quarto, e pomo della discordia, il ritorno al maestro unico. Si comincerà a reintrodurlo nella prima classe dal 2009-2010 e gradualmente entrerà a regime in tutte le classi successive; non ci sarà dunque alcuno scioccante cambiamento per i bambini partiti col vecchio sistema. Il maestro unico porterà un grandissimo risparmio con il taglio di circa 87.000 insegnanti in tre anni, cosa che ha ovviamente causato la sollevazione della categoria e di tutte le forza politiche e sociali che la appoggiano.
Sgonfiare la bolla
Sì, è vero. Negli anni ’70, in piena crisi “terroristica interna”, la Dc e il Psi di allora, con una chiara, lucida e diabolica politica delle assunzioni buttò dentro la scuola molti laureati senza posto di lavoro. Il ’68 non c’entra nulla. Ma era un disegno strategico, dettato dai tempi difficili. Anche l’introduzione del doppio, triplo, quadruplo maestro è stato scelto per convenienza. Che ci facciamo di questa gente che prende lo stipendio e non lavora (inteso questo termine come produttività)? Imbarchiamo bidelli, cococò, supplenti, inservienti, lavavetri e quant’altro, anche senza un regime di emergenza? In questo modo si è creata la “Bolla delle capacità, delle conoscenze e delle competenze” con un’ipertrofica scuola pubblica che ha immiserito gli insegnanti, li ha ridotto a marionette, li ha scaraventati giù nella piramide sociale facendo toccare il fondo ad una classe che una volta rappresentava la scienza e la cultura. Ma come fa un misero insegnante con una Fiat 850 ad insegnare ad alunni con una Mercedes? Gli alunni, nonostante ciò, hanno sempre “rispettato” gli insegnati, ma non hanno mai visto in loro un esempio da seguire per una vera rampicata sociale verso i vincenti. Il professore sarà sempre perdente se non avrà un corrispettivo adeguato alla sua mission. C’è bisogno di una riforma forte. Questa della Gelmini è un timido tentativo di ristrutturazione. Purtroppo i genitori, che mandano i loro figli per otto ore nelle scuole cadono nella trappola di gentaglia (le maestre) che vuole solo perseguire i propri interessi. La scuola è una cosa seria. Se c’è bisogna di tagliare il superfluo occorre farlo in fretta per pagare di più gli insegnanti. Negli anni ’70 un insegnante lavorava 120 giorni all’anno e guadagnava poco. Adesso lavora il doppio e guadagna sempre poco.
Un maestro unico, unico davvero a 5.000 euro al mese
Un maestro unico dovrebbe avere uno stipendio minimo di 5.000 euro al mese per essere riconosciuto come figura culturale dai genitori che vanno a prendere i loro bambini con le Suv da 80.000 euro e poi li portano ai cortei di protesta contro la Gelmini e li fanno comparire in Tv. Colgo l’occasione per dire ai genitori con le Suv di Roma di non parcheggiare i seconda fila!
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