17 novembre 2009

Sorry. L'Australia di Kevin Rudd chiede due volte scusa

Sorry. Solo chi sa chiedere scusa è civile
di Roberto Maurizio


La “riconciliazione” e il riconoscimento degli errori



Gli americani e gli spagnoli, dopo le rispettive Guerre civili, hanno saputo trovare un punto di riconciliazione e di incontro, riconoscendo i reciproci errori e chiedendo scusa, là dove c’era bisogno. La stessa cosa sta succedendo in Algeria, dopo la tragedia dei primi anni ’90. Ripacificazione e scuse. Solo l’Italia, dopo 60 anni, non riesce a sedersi intorno ad un tavolo, a riscrivere la storia, a trovare una riconciliazione e pronunciare parole di pace e di scusa.

Kevin Rudd, un vero signore


Chiedere scusa una sola volta è già, di per sé, segno di educazione e di rispetto, due volte connota l’esistenza di una civiltà superiore. L’Australia, attraverso il suo Primo Ministro australiano, Kevin Rudd, ha chiesto perdono, nel giro di due anni, prima agli aborigeni, il 13 febbraio 2008, e poi alle centinaia di migliaia di bambini maltrattati negli orfanotrofi fra il 1930 e il 1970, il 16 novembre scorso.

Cambiare pagina



«È venuto il tempo che la nazione volti pagina nella storia d’Australia, correggendo i torti del passato e avanzando così con fiducia nel futuro». Così si espresse il Primo Ministro australiano l’anno scorso: «Oggi – disse Kevin Rudd - onoriamo i popoli indigeni di questa terra, le più antiche culture ininterrotte nella storia umana. Riflettiamo sui passati maltrattamenti».

Profondo dolore


Kevin Rudd, dunque, chiese scusa per le leggi e le politiche di successivi parlamenti e governi, che inflissero profondo dolore, sofferenze e perdite agli aborigeni, «questi nostri fratelli australiani». «Chiediamo scusa in modo speciale per la sottrazione di bambini aborigeni e isolani dello stretto di Torres dalle loro famiglie, dalle loro comunità e le loro terre. Per il dolore, le sofferenze e le ferite di queste generazioni rubate, per i loro discendenti e per le famiglie lasciate indietro, chiediamo scusa. Alle madri e ai padri, fratelli e sorelle, per la distruzione di famiglie e di comunità chiediamo scusa. E per le sofferenze e le umiliazioni così inflitte su un popolo orgoglioso e una cultura orgogliosa chiediamo scusa. Noi, Parlamento d’Australia, rispettosamente chiediamo che queste scuse siano ricevute nello spirito in cui sono offerte come contributo alla guarigione della nazione. Per il futuro ci sentiamo incoraggiati nel decidere che ora può essere scritta questa nuova pagina nella storia del nostro grande continente.
Noi oggi compiamo il primo passo nel riconoscere il passato e nel rivendicare un futuro che abbracci tutti gli australiani. Un futuro in cui questo parlamento decide che le ingiustizie del passato non debbano accadere mai, mai più. Un futuro in cui si uniscano la determinazione di tutti gli australiani, indigeni e non indigeni, a chiudere il divario fra di noi in aspettativa di vita, educazione e opportunità economiche. Un futuro in cui abbracciamo la possibilità di nuove soluzioni per problemi duraturi, dove i vecchi approcci hanno fallito. Un futuro basato su mutuo rispetto, comune determinazione e responsabilità. Un futuro in cui tutti gli australiani, di qualsiasi origine, siano partner veramente alla pari, con pari opportunità e con un pari ruolo nel dare forma al prossimo capitolo nella storia di questo grande paese, l’Australia». Queste le parole lette l’anno scorso al Parlamento australiano dal Premier Kevin Rudd, che pongono riparo, per quanto possibile, a uno dei più clamorosi e meno citati casi di razzismo conclamato della storia moderna. Nato per di più in una nazione che ha fama di liberale e aperta, attenta all'ambiente come alla qualità della vita e ai diritti e alle libertà dei suoi cittadini.

"Generazione rubata"



«È una parte della nostra storia carica di vergogna, chiediamo scusa per le sofferenze fisiche, per le privazioni emotive e per la fredda assenza di amore, di tenerezza, di cure». «L’Australia è desolata per la tragedia assoluta delle migliaia di persone che hanno visto la loro infanzia perduta o violata» ha affermato Kevin Michael Rudd il 16 novembre scorso davanti al Parlamento, ricordando che «il Paese guarda con desolazione alle vicende dei bambini presi dalle loro famiglie e chiusi in istituti dove hanno subito violenze e maltrattamenti». Fra il 1930 ed il 1970 migliaia di bimbi aborigeni furono tolti alle loro famiglie per essere “integrati” nella società, adottati da bianchi o chiusi in orfanotrofi e forzosamente “rieducati” secondo la cultura dei colonizzatori inglesi, subendo gravi traumi. A loro si unirono circa 7mila bambini britannici e maltesi che vennero mandati in Australia, spesso sottratti a madri non sposate o a famiglie povere, trasferiti oltreoceano in base ad un programma di reinserimento sostenuto da Londra. I 470 mila aborigeni presenti oggi in Australia – riferisce la Misna - rappresentano il 3% cento della popolazione, anche se in presenza di gravi problemi sociali, legati soprattutto all’alto tasso di disoccupazione e alcolismo, negli ultimi 30 anni hanno dimostrato una crescente consapevolezza dei propri diritti e una precisa volontà di riscatto. Nonostante le scuse, però il Governo australiano ha escluso il pagamento di risarcimenti, ma offrirà un servizio nazionale per aiutare le persone a ritrovare i loro familiari.

Abusi sessuali e percosse


Tra questa “generazione maltrattata”, molti erano piccoli inglesi orfani o di famiglie povere, inviati a “ripopolare” l'immenso continente australiano e sottoposti a una vita di sevizie, lavori forzati e abusi sessuali. Kevin Rudd ha spiegato di essere “profondamente dispiaciuto” per il dolore provocato in una cerimonia a Canberra che ha raccolto centinaia di persone. Alcuni piangevano e si abbracciavano mentre Rudd raccontava le testimonianze di sopravvissuti con cui ha parlato, dagli abusi sessuali alle percosse. Ci furono fra il 1930 e il 1970, 500.000 “bambini dimenticati” abbandonati in orfanotrofi, mandati a lavorare in istituti pubblici per l'infanzia o affidati a remote comunità rurali. Una parte di questi veniva dalla Gran Bretagna. I bambini inglesi venivano "esportati" spesso di nascosto dalle famiglie e fornivano manodopera a costo zero.

Emigrazione infantile



La Gran Bretagna, secondo la Bbc, è l'unico paese che ha una vera tradizione di emigrazione infantile, lungo più di 4 secoli, per popolare le colonie. Nel 1618 i primi 100 furono mandati da Londra a Richmond in Virginia “a popolare l'America”. In tutto, 130.000 furono spediti verso Canada, Nuova Zelanda, Sudafrica, Zimbabwe (allora Rhodesia) e Australia. Dopo la seconda guerra mondiale, almeno 7.000 furono spediti in Australia e circa 1.300 fra Nuova Zelanda, Rhodesia e Canada. A molti bambini imbarcati a forza veniva detto che i genitori erano morti.

Cordoglio nazionale



Ai genitori veniva detto dalle agenzie per l'infanzia che sarebbero stati educati a un futuro migliore. In molti casi erano educati solo per il lavoro agricolo e soffrirono abusi che li hanno marcati a vita. Rudd ha parlato di un giorno di “cordoglio nazionale”, «un momento di svolta per i governi per fare in modo che non succeda mai più. La verità», ha detto alla cerimonia in Parlamento «è che questa è una brutta storia. Io spero che d'ora in poi vi chiameremo “gli australiani ricordati”». Circa 7.000 ex “bambini dimenticati” sono ancora vivi e sono ancora in Australia.

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