29 aprile 2009

Draghi, l'Istat e i bamboccioni

Draghi parla dei poveri, l’Istat disegna l’Italia, la famiglia parcheggia
di Roberto Maurizio

Impatto amplificato della crisi di Wall Street sui paesi poveri

Il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi
Mentre i Grandi della Terra riuniti a Washington, il 25 aprile 2009, vedevano timidi spiragli di luce dopo mesi di buio, i dossier della Banca mondiale hanno messo a nudo i drammatici effetti sui paesi in via di sviluppo del terremoto con epicentro Wall Street. Il mondo avrà novanta milioni di poveri in più a causa della crisi finanziaria. Sulle economie più deboli del pianeta l’impatto della crisi sarà «grave», ha detto il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, parlando il 26 aprile, al Development Committee, un organismo della Banca mondiale, composto da 24 membri, eletti per due anni dai rappresentanti dei paesi o dei gruppi di paesi (constituencies), che nominano i membri del Consiglio degli Executive Directors. Il Development Committee si occupa di segnalare al Board of Governors le questioni critiche riguardanti lo sviluppo e di indicare il fabbisogno di risorse finanziarie per promuovere lo sviluppo economico nei paesi in via di sviluppo che detta le linee politiche della Banca mondiale.

Un’altra piega sulla piaga

«Rispetto a sei mesi fa, secondo il Governatore Draghi, la crisi ha preso un'altra piega. Quella che prima era una crisi che colpiva soprattutto le economie avanzate ora sta avendo un impatto pesante sui paesi in via di sviluppo e in transizione». «Diversi meccanismi di trasmissione, ha aggiunto il Governatore della Banca d’Italia, hanno agito in modo avverso nell'ultimo semestre: gli intermediari finanziari eccessivamente esposti... hanno tagliato i prestiti, una maggiore avversione al rischio ha ridotto i flussi di capitale verso i paesi emergenti, le entrate derivanti dall'esportazioni sono calate come conseguenza di una flessione del commercio e di una riduzione dei prezzi delle materie prime, le rimesse sembrano aver invertito la tendenza da anni positiva». A pesare sulle economie in evoluzione, quindi, sono il peggioramento del credito, il ridursi dei flussi di capitale verso i paesi emergenti e la caduta dei ricavi dell'export per effetto del declino dei volumi del commercio mondiale. Ma come si è propagata la crisi nel Terzo Mondo? La diagnosi di Draghi sui meccanismi che hanno colpito i Paesi più poveri è precisa. «Alcuni meccanismi di trasmissione hanno agito in modo avverso nell’ultimo semestre: gli intermediari finanziari eccessivamente esposti ai rischi di scadenza/cambio hanno tagliato i finanziamenti; l’aumentata avversione al rischio ha ridotto massicciamente i flussi di capitale nelle economie emergenti; gli incassi derivanti dalle esportazioni sono crollati come conseguenza del calo degli scambi commerciali e delle materie prime; le rimesse degli emigrati, normalmente un fattore anticiclico nei Paesi poveri, sembrano ora mostrare un’inversione nella loro tendenza pluriennale di aumento».

Gli standard di sorveglianza
L'ex Presidente della Banca mondiale, Paul Wolfowitz
La Banca Mondiale ha risposto "prontamente" secondo Draghi aumentando l'assistenza allo sviluppo attraverso due istituzioni che lavorano sotto la sua giurisdizione: l'International Bank of Reconstruction and Development (Irbd) e l'International Finance Corporation (Ifc). Pur lodando l'azione del presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, che ha sostituito da un paio di anni il discusso Paul Wolfowitz, Draghi sottolinea nel suo intervento la necessità che le nuove risorse canalizzate attraverso il Vulnerability Framework siano assoggettate agli stessi standard di sorveglianza e controllo seguiti per gli altri aiuti della Banca mondiale. In aggiunta, il nuovo impegno di Ibrd e Ifc deve rispettare la disciplina di bilancio ed è necessaria un'analisi dell'operato delle due istituzioni per quanto riguarda la sostenibilità finanziaria e l'esposizione al rischio.
Robert Zoellick, Presidente della Banca mondiale
Sulla riforma della Banca mondiale, Draghi sottolinea la necessità di un accordo per il riallineamento della presenza dei diversi paesi nel capitale della Banca, in favore delle nazioni in via di sviluppo, entro gli Spring meeting del 2010. Il numero di persone destinate a entrare in condizioni di estrema povertà aumenterà fra i 55 e i 90 milioni entro la fine dell’anno. Secondo i dati dell’Istituto di Washington nel 2005 erano un miliardo e 375 milioni le persone che vivevano con 1,25 dollari al giorno, ovvero il 25% della popolazione mondiale. L’obiettivo è dimezzare i livelli degli Anni Novanta portando il tasso di povertà al 20,9% entro il 2015. «L’economia globale si è deteriorata drammaticamente dall’ultimo incontro» spiega il comunicato del Development Committee, secondo cui «la crisi si è trasformata in un disastro umanitario», con già 50 milioni di nuovi poveri, in particolare donne e bambini. I Grandi della Terra devono intervenire per alleviare questo drammatico effetto, è l’appello della Banca mondiale. Ecco allora che i Paesi del G20 mobiliteranno, in termini di stimoli fiscali, 820 miliardi di dollari nel 2009 e 660 miliardi nel 2010.
La sede della Banca mondiale e Washington
La stima è dell’Fmi che rivede al rialzo le previsioni «relative alla metà di marzo» portando dall’1,8% al 2,0% del Pil complessivo del G20 il peso degli stimoli fiscali per l’anno in corso. Per il 2010 il peso degli stimoli è ritoccato dall’1,3% all’1,5%. In base alla revisione, le misure discrezionali decise dall’Italia risultano, al netto degli stabilizzatori automatici, pari allo 0,2% del Pil nel 2009 e allo 0,1 per cento nel 2010. Data la possibilità di una ripresa lenta, è stata considerata però la necessità di «possibili risorse addizionali», oltre ai cento miliardi per i prossimi tre anni.
Timothy Geithner
Sulla questione degli aiuti al Sud del mondo è intervenuto Timothy Geithner che ha chiesto alle istituzioni internazionali che si occupano di sviluppo di attuare una revisione ampia e condivisa delle loro politiche di azione assicurando di aver adeguate risorse per affrontare la crisi, una sorta di «stress test» per le «development bank». Geithner ha inoltre detto che gli Stati Uniti agiranno sino a quando «sarà necessario per riavviare la crescita» sia interna che globale, contrastando allo stesso tempo le emergenze economico-sociali dei Paesi in via di sviluppo. A questo proposito Washington destinerà allo sviluppo dell’Africa Sub-sahariana circa 8,7 miliardi di dollari entro il 2010.
I saldi demografici italiani
Mentre a Washington, il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, analizza, per filo e per segno, le cause e gli effetti della crisi economica e finanziaria mondiale, l’Istat in Italia, presenta il suo bilancio demografico relativo a gennaio-novembre 2008. La popolazione residente in Italia, secondo l’Istat, ha superato la soglia dei 60 milioni. Nello scorso novembre, la popolazione italiana ammontava a 60.017.677. Dopo cinquant'anni dal raggiungimento dei 50 milioni di residenti (avvenuto nel 1959), il nostro paese supera così quella dei 60 milioni. A questo risultato - precisa l'Istat - ha contribuito nei primi venti anni (cioé dal 1959 al 1979) la componente naturale della crescita, poi, con "intensità crescente e in misura pressoché esclusiva", la componente migratoria. Nel 2008, rispetto al 2007, si è registrato un incremento dello 0,7% pari a 398.387 unità. L'aumento è concentrato al nord-Est (+1,1%), al centro (+1%), al nord-ovest (+0,8%). Nei primi undici mesi del 2008 si è confermato un saldo naturale negativo (-4.431; nello stesso periodo del 2007 era stato -2.576) ed un saldo migratorio con l'estero elevato. Si sono avute 528.772 iscrizioni in anagrafe per nascita (+1,9%). Mentre per il movimento migratorio si è registrato un saldo positivo (+420.236), di poco inferiore a quello degli stessi mesi dell'anno precedente (+455.998). E' Bologna la provincia italiana con il tasso di occupazione più alto (72,4%) mentre Crotone resta la maglia nera con appena il 37,3% di persone tra i 15 e i 64 anni che hanno un lavoro: i dati disaggregati per Regione e provincia sulla media 2008 delle forze di lavoro sono stati diffusi oggi dall'Istat che sottolinea come la forchetta rispetto alla media del Paese (58,7% il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni nel 2008, con una crescita di appena 0,1 decimi di punto rispetto al 2007) resti molto ampia.

Lo stato dell’occupazione


Se infatti a Bologna lavorano quasi i tre quarti delle persone nella fascia di età considerata, a Crotone si supera appena un terzo della fascia. A livello regionale è rimasta invariata rispetto al 2007 la graduatoria delle prime cinque regioni con il tasso di occupazione più alto (Emilia-Romagna, Trentino, Valle d'Aosta, Lombardia e Veneto) e di quelle con i tassi di occupazione più bassi (Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata) mentre l'Umbria scavalca il Piemonte e sale alla sesta posizione. Il Piemonte scende dalla settima alla nona. Nelle regioni meridionali restano contenuti e comunque inferiori alla media nazionale i tassi di occupazione femminile: se in Emilia Romagna hanno un lavoro oltre sei donne su 10 in Campania la media scende a meno di una su tre. E se si considerano le province si scopre che è sempre Bologna la città con la percentuale più alta di occupate (il 66,6% mentre per i maschi la città più operosa è Reggio Emilia con l'82,8%). Per le femmine Crotone lascia la maglia nera a Caserta che con il 23% di occupate fa ancora peggio della città calabrese (23,2%). Tra le Regioni il Lazio supera per tasso di occupazione la media nazionale (con il 60,2% di occupati), grazie soprattutto alla provincia di Roma (62,6%) così come l'Abruzzo (59%) mentre le Regioni del Sud sono tutte sotto la media del Paese. La Lombardia è la quarta regione per tasso di occupazione mentre Milano è al settimo posto tra le province con il 68,7%. Il tasso di disoccupazione torna a crescere dopo nove anni di discesa ininterrotta e si posiziona al 6,7% ma anche qui con grosse differenze tra Nord e Sud. Se in Sicilia è al 13,8% in Trentino Alto Adige la media si ferma al 2,8% e in Emilia Romagna al 3,2%. Per le femmine il tasso di disoccupazione è in media all'8,5% ma oscilla tra il 17,3% siciliano e il 3,7% del Trentino. La provincia che ha nel complesso il tasso di disoccupazione più basso e Piacenza (1,9%), seguita da Bologna (2,2%) mentre il più alto è a Palermo (17,2%). Se si considera solo quello femminile il tasso di disoccupazione più alto è a Enna (22,2%), seguita da Sassari (21,5%). Nelle regioni meridionali è alto anche il tasso di inattività (ovvero delle persone che nella fascia di età 15-64 anni non hanno un lavoro e non ne cercano uno). Se in Italia la media è del 37% nella fascia considerata in Campania sale al 51,3% mentre in Emilia Romagna è al 27,4%.

Senza immigrati


Senza gli stranieri, sottolinea l'Istituto di statistica, l'Italia non avrebbe mai raggiunto la soglia dei 60 milioni di residenti: secondo le stime dell'Istat, infatti, la popolazione residente non supererebbe i 55.500.000. Il contributo della popolazione straniera - dice Angela Silvestrini, ricercatrice delle statistiche demografiche dell'Istat - è fondamentale. Senza di essi, gli italiani raggiungerebbero i 55 milioni e mezzo, una crescita di appena cinque milioni in 50 anni, da quando cioè è stata superata la soglia dei 50 milioni di residenti. Visto che gli stranieri attualmente sono stimati in circa 3.900.000 e che gli immigrati che hanno acquisito la cittadinanza sono fra i 400 mila-500, si può dire - sottolinea la ricercatrice - che degli attuali oltre 60 milioni residenti in Italia, quasi 4 milioni e mezzo sono immigrati.

I numeri per regioni
Nel 2008, rispetto al 2007, il numero dei residenti in Italia è cresciuto dello 0,7% pari a 398.387 unità. L'aumento si è concentrato al nord-Est (+1,1%), al centro (+1%), al nord-ovest (+0,8%). Nei primi undici mesi del 2008 si è confermato un saldo naturale negativo (-4.431; nello stesso periodo del 2007 era stato -2.576) ed un saldo migratorio con l'estero elevato. Si sono avute 528.772 iscrizioni in anagrafe per nascita (+1,9%). Mentre per il movimento migratorio si è registrato un saldo positivo (+420.236), di poco inferiore a quello degli stessi mesi dell'anno precedente (+455.998).

Previsioni
Anche le previsioni del futuro legano la crescita della popolazione italiana a quella straniera. Fra poco più di 40 anni, nel 2051 si stima che la popolazione residente nella Penisola raggiungerà i 61 milioni e 600 mila unità. Di questi, 10 milioni e 700 mila saranno stranieri.

Dalla famiglia comunità al parcheggio di bamboccioni (di Paolo Di Stefano)


Che cos’è cambiato in Italia negli ultimi 120 anni? Tutto o qua­si. Nel 1926, quando eravamo 40 milioni, la giovane contadina An­na, della provincia di Vicenza, che si sposò ventenne, poteva racconta­re di aver trovato, nella nuova fami­glia, «quatro omeni, più mé suoce­ro, mé suocera e mé cugnà». I figli, chissà quanti, sarebbero venuti do­po. Famiglie allargatissime al Nord. Figurarsi al Sud. Quando era­vamo 30 milioni, nel 1896, una con­tadina meridionale avrebbe potuto dire cose simili, sia pure con un dia­letto diverso. Ma rimanendo al cli­ché delle famiglie allargate, si pote­va raccontare anche un’altra storia rispetto a quella di Anna: per esem­pio, nel 1894, quella de « I viceré» di De Roberto. Famiglia nobile cata­nese, i cui componenti vengono di­vorati dall'odio, dalla sete di potere e dalla corruzione, fino ad averne deformati non solo i tratti morali ma anche quelli fisici. In realtà, ne­gli ultimi anni dell'800 prevalgono, in fotografia, le immagini dei gran­di eventi, cioè dei matrimoni in po­sa perfetta, le famiglione-comuni­tà di montagna, prete compreso al centro; oppure i quadretti interni di cucitrici in sala da pranzo e di ric­che famiglie con dietro quadri, can­delabri e l'immancabile pianoforte. Nelle famiglie operaie c'è sempre un giovane robusto «con due baffi da uomo» e cappello, al fianco di una ragazza con guanti e chignon approntato apposta per la comunio­ne del bimbo. Scalati tre decenni e dieci milio­ni, dipende. Se siamo nella Cala­bria più profonda, la guardia giura­ta del barone, fucile a tracolla e bar­ba incolta, può farsi riprendere con i quattro figli chi in piedi, chi sedu­to su un sasso, chi tra le braccia del­la mamma o della suocera, il cane in un angolo, la cesta al centro, per terra, colma di pane. La suocera non manca mai. A Palermo come a Belluno. Era lei che prendeva in ma­no le sorti domestiche della dina­stia, povera o ricca che fosse. Solo la guerra e il lavoro saranno capaci di sfilacciare provvisoriamente la famiglia italiana: basta pensare alle immagini di sole donne in gruppo, prive di padri e mariti, foto destina­te ai consorti al fronte o in emigra­zione perenne (in America prima, nelle miniere o nelle fabbriche del Nord dopo). Certo, tornando all'Italia dei qua­ranta milioni di abitanti, c'era già anche la famiglia dissipata che rac­conta Moravia ne « Gli indifferenti» (1929), dove la figura paterna viene sostituita dall'amante della madre rimasta vedova, in un intreccio di falsità e di ipocrisie borghesi. Ma la borghesia può permettersi combi­nazioni più fantasiose di quanto possa concedere il tran tran dell'ita­liano medio, concentrato per lo più a sbarcare il lunario. Sin dall'800 le figlie della borghesia studiano più a lungo delle altre e si sposano più tardi senza preoccuparsi di cercare lavoro. Le più povere trovano mari­to bambine e se non lo trovano da sé, c'è chi glielo impone. E ancora fin dentro ai ’60, da poco superati i cinquanta milioni, che scoccano nell'anno di grazia 1959. Quando possiamo trovare a Nord il dopo­pranzo delle mondine semiscoscia­te distese sui campi di fianco alle lo­ro biciclette, a Sud gli instancabili braccianti che continuano a scarica­re cassette di uva o di pomodori. O imbatterci in un cult dell’immagina­rio italiano: l’emigrante che dai fine­strini dei treni scarica grosse vali­gie chiuse da corde nelle banchine di stazioni ancora sconosciute. In at­tesa, ovviamente, di essere raggiun­to da moglie e figli, e magari anche da padre, madre, suoceri, cognati e nipoti. Perché la famiglia è — come scrisse nel 1973, Peter Nichols, cor­rispondente del Times da Roma— «il più celebre capolavoro della so­cietà italiana attraverso i secoli, il baluardo, l'unità naturale, il dispen­satore di tutto ciò che lo Stato ne­ga ». Così ancora nel '59, pieno boom economico, quando la Rai aveva già superato il milione di ab­bonamenti, dead line per le giorna­te di molti bambini, si apprestava a imporre, come avrebbe scritto Pa­solini, 'in tutto il suo nitore (...) il nuovo tipo di vita che gli italiani 'devono' vivere». Passato mezzo secolo, approdati nell'era del consu­mo edonistico e irresponsabile, e toccato il picco dei sessanta milio­ni di abitanti, chissà se la diagnosi sulla società familistica italiana pro­nunciata a suo tempo dal famoso corrispondente del Times avrebbe qualche senso. Anche in Italia la sa­cra famiglia è ormai un'entità da declinare al plurale: famiglie mono­parentali, famiglie miste nate dal­l’immigrazione, famiglie di fatto, famiglie instabili, famiglie deboli, famiglie esplose, famiglie corte e fa­miglie lunghe, famiglie-parcheg­gio per bamboccioni, per eterni adolescenti e per precari in attesa di una società che li accolga come cittadini a tutti gli effetti. Non tutto ciò che è contenuto in questo articolo di Paolo Di Stefano è condivisibile al 100%. Però, rappresenta uno “spaccato” che rasenta una parte consistente della verità, forse molto più complessa, ma dà una base di discussione che questo sito vorrebbe avere con i propri lettori.

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